Oliviabenson2

Spero di lasciarvi, nonostante tutto, un buon ricordo

Gli XFiles di Cabot Cove – Parte 4

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la quarta parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

Parte 3: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-3-racconto-fanfiction

Scese le scale nel buio e andò verso la cucina dove si prese un bicchiere d’acqua. Sul tavolo c’erano i resti della “cena fredda” che Jessica Flatcher aveva preparato e consumato insieme a loro: sandwich ripieni e succo d’arancia, seguiti da una fetta di una torta fatta in casa di cui aveva spiegato per filo e per segno la ricetta. Era stata una cena veloce, che Mulder aveva consumato in silenzio, ascoltando le chiacchiere della scrittrice che sembrava ricordare ogni singola tempesta avvenuta a Cabot Cove; Dana aveva preso la parola più volte, ma solo per fare qualche domanda pertinente o raccontare anche lei qualche episodio inerente il brutto tempo. Fuori la pioggia ancora cadeva forte, ma almeno non si sentivano più i tuoni. Forse anche per questo, all’improvviso la luce ritornò. Cucina e salotto si illuminarono e Fox Mulder si sentì all’improvviso molto più calmo. “Adesso esplorare la casa sarà semplice.” Diede un’ultima occhiata indagatrice alla cucina e sbirciò sia nella credenza che nell’armadietto sotto al lavandino. Ma non trovò nulla. Nulla di sospetto almeno. La lampadina sfarfallò un po' e così l’uomo decise di prendere la scatola di fiammiferi e portarsi appresso il candelabro. Tornò così nel salone: il camino ormai era spento e solo delle brillanti braci rosse in mezzo alla cenere nera confermavano l’esistenza del fuoco. Fox osservò nuovamente la caotica biblioteca della signora Fletcher e solo allora notò una foto incorniciata: la donna era evidentemente Jessica da giovane e come aveva immaginato, era molto bella; l’uomo invece era probabilmente suo marito, il fu Frank Fletcher. Era una foto in bianco e nero e vedeva i due in una posa da ballo ma con lo sguardo al fotografo. Sentì un fruscio e percepì con la coda dell’occhio un movimento: alzando lo sguardo vide la padrona di casa che arrivava dal buio delle scale e sobbalzò. Anche la donna fu spaventata e lanciò un piccolo urlo seguito da una risatina allegra. “Ahaha! Mi ha spaventata agente Mulder! Mi scusi, non pensavo fosse qui!” Mulder, che si era teso e ancora teneva in mano la foto, cercò la scusa più rapida: “Mi scusi… Non riuscivo a dormire, sono venuto a prendere un libro e… e all’improvviso la luce è tornata.” “Sì per fortuna. Ero venuta giù proprio per spegnerle e per provare a chiamare lo sceriffo… Però la pioggia ancora molta vedo…” disse la signora Fletcher avvicinandosi alla finestra. La signora Fletcher, che indossava una lunga vestaglia chiara, ricordò a Mulder l’immagine della copertina di un libro di fiabe che aveva da bambino: una nonna vestita di bianco, seduta a leggere un libro a tanti bambini. Nulla di minaccioso. Quando la donna si voltò verso di lui scrutò la mano che teneva la fotografia. Fox gliela porse subito: “Non ho potuto farne a meno. È una bellissima foto.” La signora Fletcher la prese in mano e la osservò sorridendo teneramente: “La mia prima foto con Frank… ci eravamo conosciuti da una settimana quando è stata scattata. Pensi” si sedette sul divano e Fox con lei “che credevo di averla persa. E invece, mettendo a posto delle scartoffie qualche settimana fa, l’ho ritrovata! È stato bellissimo riaverla tra le mani! Qui eravamo all’Appleton Theater, dove ai tempi lavoravo per mantenere i miei studi e farmi le ossa. Mi sarebbe piaciuto diventare giornalista, ma… alla fine ho seguito un’altra strada.” “Mi sembra una strada migliore…” disse Mulder. “Sicuramente lo è stata al fianco di Frank.” Jessica Fletcher appoggiò la foto sul tavolino di fronte a loro e sospirò. Mulder continuava ad osservarla, in cerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione: un’espressione, un cenno, un difetto del viso che confermassero qualche presenza o coscienza negativa nella donna. Eppure, non la trovava. A parte il lampo di rabbia mostrato dopo l’accenno alla sua continua presenza in casi di omicidio, Jessica Fletcher sembrava un essere incapace di sentimenti negativi. Anche in quel momento, mentre osservava la foto di lei e del marito, sembrava più persa nella nostalgia e nella commozione, che nella disperazione. Gli occhi azzurri della donna si erano fatti lucidi e sopra uno di essi, dove si stava formando una lacrima, vi passo il dorso della mano per asciugarla. “Le chiedo scusa…” “Non si preoccupi, signora Fletcher.” “Posso farle una domanda?” Mulder fu colto di sorpresa, ma dopo quella conversazione, sentì di non potersi rifiutare: “Ma certo…” “Non ho capito esattamente qual è il vostro ruolo nell’FBI.” Fox Mulder si era preparato a una domanda del genere: “Io e la mia collega Scully siamo agenti speciali, lei è nel ramo della medicina forense, io sono più per l’azione e la burocrazia.” “Agenti speciali, ha detto?” “Esattamente. E non posso fornire altre informazioni.” La signora Fletcher apparve confusa. Si portò una mano sotto il mento e assunse un’aria pensierosa. “Qualcosa non va?” “Non riesco ancora a capire perchè per una comunicazione come quella che mi avete portato siate dovuti venire proprio voi dell’FBI.” Mulder si era preparato anche quella risposta: “Non c’è nessun motivo in particolare signora, se non che durante una nostra raccolta di dati il suo nome è venuto fuori più e più volte. Sa, una volta è un caso, due volte una coincidenza, tre volte un indizio… o non è questo il proverbio dei gialli?” La signora Fletcher rise: “Ho sentito qualcosa del genere, ma non è il proverbio dei gialli! Ma… Avete davvero letto tutti i miei libri in quattro giorni?” “Sì. Ero molto… molto curioso.” “Mi lasci indovinare: voleva vedere se mi ero ispirata a qualcuno dei casi in cui sono rimasta coinvolta, per scrivere i miei romanzi.” Mulder non se lo aspettava, così come non si aspettava che gli occhi della donna, ora socchiusi, potessero emanare una luce di furbizia e soddisfazione così forte. Perché sì, aveva fatto centro, anche se non era l’ispirazione che lui era andato a cercare. “Ammetto che ho avuto una curiosità simile.” Replicò l’agente cercando di non scomporsi. “Oh, le posso assicurare che faccio del mio meglio per tenere separate realtà e fantasia. Anche se ammetto che sì, una volta, con il mio romanzo ‘Il latitante’ sono andata molto vicina alla realtà, senza volerlo fare davvero. E ho così inavvertitamente risolto un omicidio!” Mulder chiuse gli occhi e ripassò a mente le informazioni acquisite sulla signora in quei giorni: “Ah sì! Il caso Navarro (1)! Sì avevo letto parti del fascicolo! E dire che tra i suoi romanzi è quello che mi è piaciuto meno.” La signora Fletcher parve restarci male, ma poi fece le spallucce. “Non volevo dire che era brutto!” si affrettò a dire Mulder “Ma solo che non è stato il mio preferito!” “Oh, c’è chi considera tutti i miei libri spazzatura. E non posso biasimare questo giudizio: anche io che ho studiato e amato tanto la narrativa, riconosco nella letteratura di genere una componente commerciale e di bassa categoria. Non è poesia, non è Shakespear. È un romanzo giallo, oppure un noir, o una storia poliziesca… e non deve piacere a tutti. Però le dirò, quando scrivo mi piace molto immaginare quello che può succedere e soprattutto come rovesciare le situazioni. E voglio che tutto sia preciso, chiaro, comprensibile… voglio che i miei lettori si divertano e che amino le mie trame proprio come le ho amate io mentre scrivevo.” Mulder annuì: “Immagino dunque… che anche partecipare a un caso vero possa essere d’aiuto da un certo punto di vista…” Jessica Fletcher parve seccata: “Agente Mulder, le posso assicurare che la mia presenza in così tanti casi di omicidio è solo una coincidenza.” “Io non credo alle coincidenze, signora Fletcher.” Un lampo esplose all’esterno, illuminando per un attimo l’intera casa e le stanze ancora avvolte nel buio. Il tuono però non si udì subito. Esplose dopo alcuni secondi. Segno che anche se ancora pioveva, almeno i fulmini era ormai lontani dalla casa. “In che senso non crede alle coincidenze, signor Mulder?” domandò la signora Fletcher, che però aveva aspettato pazientemente l’esplosione del tuono. “Spesso, quelle che noi chiamiamo coincidenze, non lo sono. Spesso c’è una spiegazione razionale…oppure incredibile, ma comunque slegata dal nostro concetto di ‘caso’. Spesso le cose accadono perché c’è… qualcosa che le ha fatte accadere. E lei stessa, signora Fletcher, mi scusi se mi permetto, ma ha saputo abilmente utilizzare la sua razionalità per dimostrare che certi eventi non erano semplice coincidenze ma prove importanti.” “Quindi lei pensa che io vada a cercarmi gli omicidi in giro per il mondo?” “Non ho modo di comprovare una cosa del genere… ma sono un uomo che non si ferma al concetto di coincidenza… Sono un agente dell’FBI e ne ho viste tante di coincidenze che non erano tali. Non ce l’ho con lei, signora; ma mi conceda il sospetto.” Questa volta, la signora sembrò accogliere meglio quell’accusa. Non si arrabbiò, ma rimase seduta in silenzio con aria pensierosa. Poi si alzò e disse solennemente all’agente, fissandolo negli occhi: “Signor Mulder, credo che lei almeno in parte abbia ragione. È vero, sono una persona che si fa coinvolgere facilmente. Ma le posso assicurare che lo faccio sempre a fin di bene.” “Non ho mai messo in dubbio la sua etica.” Mulder si sentiva sempre più imbarazzato. Sembrava impossibile spiegare la sua teoria senza nominarla esplicitamente, ma se lo avesse fatto… sapeva benissimo quali sarebbero state le conseguenze. In quella missione non era solo: c’era anche Scully e un capo che gli aveva dato degli ordini precisi. In più, c’era un problema ancora più grande che lo metteva in una posizione scomoda: più stava vicino a quella signora e più non riusciva a trovare in lei nulla di negativo. Se non fosse stata circondata da tutti quei casi di omicidio, sarebbe sembrata semplicemente una simpatica nonnina del Maine, abile nel raccontare storie sanguinose, ma anche nello sfornare dolci e fare conversazioni amabili e interessanti. “E sì… ammetto che… ci sono state delle volte in cui… ho messo a rischio molte persone, inclusa me stessa. E le dirò… mi sono quasi abituata a questo continuo coinvolgimento. Tanto che quando avete detto che gli omicidi sono centinaia, mi sono seriamente preoccupata. Solo che, ammetto che non saprei in che modo intervenire su questa coincidenza.” Sembrava veramente dispiaciuta mentre lo diceva. Mulder cominciava a sentirsi in imbarazzo. Cosa poteva dire alla signora dopotutto? “Resti a casa e non si muova più perché è evidente che ovunque va, la morte la segue.”? Sembrava assurdo anche a lui dirsi quelle parole nella testa. “Non posso fare altro che promettere a lei e alla sua collega di non farmi più coinvolgere in alcun modo, sia che mi sia richiesto o che mi trovi nel luogo per caso.” Proseguì la scrittrice sospirando “Certo, sarebbe brutto se poi per una mia mancanza una persona innocente finisse in galera… però, credo che sia la cosa migliore e anche la più semplice. Dopotutto gli omicidi non vengono certo a bussare alla mia porta.” Fu allora si sentì bussare alla porta. Colpi veloci e forti. “Oh cielo! E chi è adesso!?” esclamò la signora Fletcher avviandosi alla porta. Colto da un brutto presentimento, Fox Mulder la seguì. Quando la donna spalancò la porta, davanti a loro comparve Michael Sting, che però non indossava il cappuccio del suo impermeabile giallo a strisce nere. Il volto fradicio dell’uomo era stranamente gonfio. Fece un passo avanti ed emise un rantolo prima di cadere in avanti, rivelando un pugnale infilzato nella schiena.

(1) Riferimento all’episodio “Il Latitante” della decima stagione de “La signora in giallo”, dove Jessica Fletcher viene accusata di calunnia da un ex-galeotto per alcune scelte narrative del suo nuovo romanzo.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio

Vi presento “L'uomo vascello” (Autopromozione)

Pochi mesi fa, mentre ero in attesa di concludere il mio percorso universitario, stavo pensando di smettere per sempre con la scrittura. Avevo completato la tesi, ero in attesa delle ultime correzioni e del completamento delle pratiche burocratiche. Avevo fatto tutto il dovuto e dovevo aspettare i “comodi” degli altri. Nel frattempo due cose erano successe: avevo chiuso un rapporto con un editore che si era rimangiato delle promesse e stavo osservando dei movimenti nel mondo dell’editoria che non mi piacevano. C’erano anche altri problemi (alcuni ancora presenti), ma non starò qui ad elencarli anche perché non riguardavano strettamente la scrittura. La cosa che più mi dava fastidio era il senso di totale passività che provavo in quel momento, perché nonostante io avessi fatto il mio dovere, c’erano altre cose che dovevano muoversi e io non potevo contribuire al loro movimento: l’università e i miei relatori agivano indipendentemente da me e se per un qualsiasi motivo ci fosse stata una decisione opposta da parte di una di queste “entità”, un ritardo o anche solo un errore, io rischiavo di dover rimandare ulteriormente la tesi, prolungando l’attesa di altri mesi e costandomi anche a livello economico. La stanchezza mentale di quelle giornate mi rendeva difficile scrivere qualsiasi cosa, perfino il mio diario e anche questo mi faceva pensare che forse non dovevo più toccare una penna. Avevo fatto inoltre dei colloqui di lavoro abbastanza disastrosi con delle redazioni/case editrici. In questa situazione di profondo sconforto, un personaggio prese forma nella mia testa. In realtà, lo avevo conosciuto un po' di tempo prima, ma non avevo mai avuto di approfondirlo. Ho già raccontato (qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/se-non-fossi-corrotta-non-esisterebbe-in-difesa-di-nikita-personaggio ) che spesso i personaggi si mostrano a me come fossero persone vere. Non posso parlare realmente di processo creativo, perché a volte mi sembra che siano più loro a raccontarmi la loro storia che il contrario. Mi piace in questo senso immaginare che la mia testa sia una specie di bar, dove pensieri/idee diverse, assunta una forma personificata, si incontrano e iniziano a parlare tra loro o direttamente a me, la barista. Se poi la storia che raccontano mi piace, decido di mettermi al lavoro sulla stessa e allora inizia un processo di confronto diverso. Se invece la storia non mi convince o non posso lavorarci, i personaggi non vanno via. Restano nel bar “a disposizione”, come attori in attesa del loro turno sul palcoscenico. Questo personaggio apparteneva alla seconda categoria. Di genere maschile, ma senza nome, era uno degli esseri più passivi che avessi mai creato/incontrato. Una volta mi ero domandata se fosse effettivamente possibile raccontar la storia di qualcuno totalmente passivo e lui si era presentato rispondendomi di sì. Non ha mai avuto un nome proprio, alla fine l’ho nominato: l’uomo vascello. Faccio però fatica a identificarlo come un essere umano: è infatti un essere profondamente odioso, nei modi e nei pensieri, come nelle poche azioni che svolge; vede gli altri come un problema, nel peggiore dei casi; nel migliore, diventano uno strumento che usa con il fine egoistico di concedersi un po' di piacere fisico o mentale; chi legge la sua storia può erroneamente vederlo come un personaggio bisessuale, ma la verità è che non ha mai avuto preferenze particolari, o comunque non le ha mai indagate; non è in grado di amare le altre persone, in nessuna circostanza. Non mi piaceva, per questo non avevo mai raccontato la sua storia: era un essere intelligente e lucido ma mentalmente immobile, in balia di eventi abbastanza terribili da cui però traeva segretamente un senso di controllo e potere sugli altri. Questa cosa a me personalmente dava molto fastidio, ma in quel periodo di profondo dolore, era l’unico personaggio che sembrava mostrare al meglio quello che era il mio senso di attesa e frustrazione profonda. Anche se, mentre per me la stessa si trasformava in notti insonni o popolate da incubi e giornate passate seduta al PC a ricaricare la casella di mail universitarie, per lui la sofferenza fisica e l’insonnia erano una cosa di rutine, l’attesa e la costrizione all’essere alle dipendenze degli altri custodivano la promessa di un potere più grande. Quando lessi della chiamata narrativa della rivista “Il lettore di fantasia” (Per la rivista: https://www.illettoredifantasia.it/ Per il bando della chiamata narrativa: https://mailchi.mp/b5e292a4f409/call23inv ), volevo partecipare ma l’unica cosa che avevo in testa era la storia, da raccontare in prima persona, di questo gigantesco str0nz0, questo “vascello” carico di veleno e cattiveria. Alla fine, qualche giorno dopo il completamento delle ultime pratiche e la conferma che sì, mi sarei laureata, ma ancora non si sapeva in quale giornata, decisi di mettermi a scrivere di quest’uomo orribile, se non altro nella speranza che mi avrebbe lasciata in pace. Né uscì fuori un racconto horror con elementi che rimandavano al mondo lovercraftiano che intitolai appunto “L’uomo vascello”. Non riuscivo ad amare quello che avevo tirato fuori, rileggere il racconto mi aveva quasi spaventata: c’era sofferenza, rassegnazione, rancore, cattiveria… neanche un’ombra di sentimenti positivi. Anche il titolo mi pareva brutto, mi immaginavo chi lavorava in redazione leggere “L’uomo vascello” e scoppiare a ridere per l’imbarazzo della bruttezza di un titolo così. Stavo anche pensando di non mandarglielo, per non fargli perdere tempo. Stavano partecipando in tanti, più qualificati di me sicuramente, mi dicevo, poi io stavo pure pensando di lasciar perdere la scrittura quindi non aveva nemmeno tanto senso partecipare; ma ormai avevo completato il lavoro. Ci avevo impiegato circa due giorni (notti incluse) e mi sarebbe dispiaciuto non provarci nemmeno, anche se ero sicurissima che non sarebbe andato. Dopo un ultimo editing, inviai il racconto. Non lo dissi a nessuno, o forse accennai qualcosa, ma ero talmente sicura che quello sarebbe stato il mio ultimo racconto che non feci troppa pubblicità sulla mia partecipazione. Passarono le settimane, mi laureai, passai delle feste serene e ripresi un po' la scrittura (a mano) e quasi mi dimenticai di quel mostruoso personaggio che aveva infestato la mia mente per un tempo che a me sembrava infinito. Il 7 gennaio del 2024 però ricevetti una mail: il mio racconto avrebbe fatto parte dell’antologia. E avrei anche ricevuto un compenso! La redazione del “Lettore di Fantasia” è stata molto professionale nello svolgimento di tutto il processo: dal bando, al contratto, all’editing dell’ebook (dove se troverete delle stranezze è solo per via dell’impaginazione dello stesso) e ha reso noi autori partecipi di tutto, rispondendo sempre e in modo professionale a ogni domanda posta e hanno regalato una copia dell’antologia a tutti gli iscritti al loro patreon. Ma le storie non possono restare una cosa d’élite. È con grande piacere dunque che vi annuncio l’uscita dell’antologia su Amazon, dove può essere ora acquistata: https://www.amazon.it/dp/B0CVNLVTX1 Comprandola sosterrete tanto la realtà de “Il lettore di fantasia”, quanto me e tutti gli altri autori che vi hanno partecipato. Oltre al mio “vascello”, infatti, troverete tanti altri personaggi con le loro avventure. Inutile poi dire i risvolti che questa avventura mi ha portato: ho deciso alla fine di non smettere di scrivere e di continuare a provarci. “L’uomo vascello” mi ha dimostrato che anche se un lavoro può non essere propriamente “bello e buono”, può comunque riuscire ancora a trasmettere qualcosa a chi lo legge. Abbastanza da essere accettato a fianco di altri lavori (belli).

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 3 – (Racconto-Fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la terza parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

L’abbondante riserva di candele che la signora Fletcher aveva in casa, venne giustificata dalla stessa signora: “Capita spesso, durante le tempeste, che la luce vada via. Anche per questo quando sono qui preferisco la macchina da scrivere al computer.” Mulder, che non aveva ancora perso il pallore acquisito alla notizia dell’ennesimo lutto che faceva parte della vita della Fletcher, stava in piedi vicino a lei, illuminando con la candela il telefono che però si rivelò presto anch’esso fuori uso. “Avevamo separato l’attacco del telefono apposta… Tutto inutile…” Mormorò la signora Fletcher poi prese dalle mani di Mulder la candela “Beh, torniamo in cucina, in fondo manca ancora molto all’ultimo autobus. Magari poi la pioggia smette… Ma lei è pallido come un lenzuolo! Venga si metta a sedere!” “Sto bene, sto bene….” Mulder indietreggiò terrorizzato dall’idea di essere toccato dalla signora Fletcher. Dana intervenne subito, aiutandolo a sedersi. Poi si avvicinò alla Fletcher e sussurrò: “Io e il mio collega abbiamo dovuto affrontare un caso molto importante di recente… c’erano di mezzo dei bambini.” (1) “Ah…” La signora Fletcher fece un piccolo cenno con il capo. “Questo è il nostro primo incarico dopo la licenza. Dobbiamo ancora riabituarci. Il pensiero di un ragazzo senza genitori deve avergli riportato alla memoria quanto abbiamo visto…” “Capisco… Ho una camera per gli ospiti, vuole portarlo lei a stendersi lì?” “No, signora Fletcher, ma apprezzo il pensiero. Vorrei chiederle però di preparare, se riesce, un caffè caldo. Lo calmerà di sicuro. Io lo porto di là in salone e provo a parlargli.” “Va bene.” Dana prese un piccolo candelabro a tre manici e poi fece un cenno a Mulder di andare verso il salotto. Lui, sempre pallido, la seguì senza fare storie. Anche quando si sedettero sul comodo divano, davanti al camino ancora acceso e rumoreggiante a causa delle goccioline che superavano, spinte dal vento, la copertura del comignolo, l’uomo non potè fare a meno di girare la testa verso la porta della cucina, osservandola preoccupato. “Qui non può sentirci.” Sussurrò Dana con tono severo. “La morte circonda quella donna…” mormorò Mulder. “La morte circonda tutti noi! Non puoi comparare dei lutti personali a degli omicidi!” “Omicidi nei quali lei è sempre presente.” “Quanti omicidi vengono commessi in tutto il mondo ogni giorno?” “In quanti di questi omicidi si ritrova sempre la stessa persona coinvolta?” Il bagliore della candela proveniente dalla cucina si fece più vivido. “Sssh! Eccola!” E infatti la signora Fletcher comparve con un sorriso e una tazza di caffè fumante in mano. “Mi sono permessa, signor Mulder, di aggiungere del miele, che non viene mai messo nel caffè ma le assicuro che fa un effetto strepitoso!” disse con un tono allegro ma dolce, che ricordava proprio quello di una nonna che porta ai nipoti una merenda “Questo miele è di Cabot Cove, lo produce il signor Sting che è venuto qui apposta per fare l’apicoltore!” “Un apicoltore di nome Sting?” domandò incredulo Mulder. Anche Scully si sorprese. “Oh! Ci scherza sempre anche lui!” (2) disse la signora Fletcher “Ne vuole una anche lei?” “No grazie.” Rispose Dana. “Signora Fletcher… Vorrei farle una domanda che spero lei prenda nel migliore dei modi, perché mi rendo conto che può sembrare un’accusa.” Fece Mulder tutto d’un fiato mentre con la mano tremante prendeva in mano la tazza “Ma lei si è mai domandata come mai finisce sempre coinvolta in casi di omicidio?” La domanda colse evidentemente di sorpresa la scrittrice. Lei rimase con lo sguardo vuoto e gli occhi spalancati per diversi secondi prima di allargare le braccia in un plateale gesto di confusa rassegnazione: “Non lo so e ammetto che non mi sono posta troppe domande. C’è una mia certa inclinazione alla curiosità… Che sicuramente ha un ruolo. Però ho smesso di domandarmelo più o meno dopo il terzo caso che mi sono ritrovata ad affrontare… Tuttavia ci tengo a dirvi, per ricollegarmi anche a quello che mi avete detto voi prima, che il più delle volte non sono io a trovare gli omicidi, ma sono gli omicidi che trovano me.” Mulder, che ancora non aveva avuto il coraggio di bere, fissò intensamente la donna: “E la cosa non la infastidisce?” “Non mi rende felice, se è questo che vuole sapere.” Il tono della Fletcher si incrinò per la prima volta da che erano entrati in casa sua: non più calmo, accogliente, simpatico, ma piccato e deciso. Anche gli occhi, illuminati dalla calda luce della fiammella, brillarono per un attimo di quella che pareva una rabbia autentica. Mulder annuì e si prese un lungo sorso di caffè: “Il suo caffè è ottimo… e il miele ci sta molto bene. Non volevo offenderla. Mi scusi.” La signora Fletcher annuì e sembrò quasi rattristarsi, come pentita di quel breve momento di furia: “Dovete scusarmi voi: io capisco il vostro lavoro e il vostro avviso lo prendo molto sul serio.” Poggiò la sua candela sul tavolino e si sedette in poltrona, dirimpetto a loro. Rimasero tutti e tre in silenzio, ad ascoltare il fruscio della pioggia, il crepitare del fuoco e i lenti sorsi di Mulder. Dana lo osservava cercando di capire se almeno quello scambio di battute avesse effettivamente calmato la sua tensione, o se invece ne aveva solo generata dell’altra. Jessica Fletcher, invece, scrutava la finestra ed era evidentemente preoccupata. Fuori, le gocce di pioggia erano così intense che rendevano invisibile la strada. Li riscosse un improvviso rumore: qualcuno che bussava alla porta. “Con questo tempo!? E chi può essere!?” Jessica Fletcher prese la candela, si alzò e andò ad aprire. Fecero ingresso due uomini con in mano delle torce elettriche: uno piuttosto imponente nell’aspetto, coperto da un impermeabile grondante di colore verde scuro. L’altro magrissimo, con un impermeabile giallo a strisce nere. “Oh Seth! E Michael Sting! Cosa ci fate qui?” “Sting l’apicoltore?” domandò Mulder. “Affermativo!” rispose allegramente l’uomo con l’impermeabile giallo a strisce nere alzando il braccio “Con chi ho il piacere di parlare?” Mulder non rispose subito, perché affondò la testa fra le mani, dopo aver poggiato la tazza ormai vuota. E Dana, questa volta, non lo biasimò: perché anche lei cominciava a infastidirsi di tutte quelle coincidenze. “Jessica ti abbiamo disturbata?” L’uomo dalla stazza imponente si era tolto il cappuccio, rivelando un volto anziano, ma paffuto, con due occhiali in montatura nera. “No Seth, non preoccuparti, questi signori sono…” “FBI” intervenne Dana alzandosi “in visita alla signora per un problema di statistiche. Sono Dana Scully, lui è il mio collega, Fox Mulder.” “Seth Hazlitt, medico della città. Piacere…” strinse la mano di Dana chinando rispettosamente la testa. Non sembrava né sorpreso né allarmato dalla loro presenza in casa di Jessica. “Michael Sting! Apicoltore!” il magrissimo Sting si esibì in un baciamano piuttosto goffo “Jessica ora lavori anche per l’FBI?” Jessica rise: “No, ovviamente no.” “Anche…” mormorò Mulder che era rimasto seduto. “Non siamo qui per… o meglio siamo qui per lavoro ma non per chiedere alla signora una collaborazione. Comunque abbiamo finito e vorremmo ripartire con il prossimo autobus.” “Lei deve essere pazza!” esclamò senza esitazione Seth Haztlitt “Nemmeno un carro armato potrebbe girare con un tempo del genere!” “Ma… Noi dobbiamo tornare…” “É fuori discussione signora, anzi, io sono qui proprio per questo: volevo verificare se avevate bisogno di qualcosa; mezza città è senza elettricità, e l’altra metà ha le cantine allagate. Per questo sono con il signor Sting: stiamo portando degli attrezzi in città!” “Santo cielo!” esclamò Jessica. “Invito tutti voi a non uscire di casa.” “Ma noi dobbiamo tornare a Washington!” protestò Dana. “Domani. O dopodomani. Non dovete muovervi da qui finchè la tempesta non sarà finita.” Insistette il dottor Hastlitt. “Potete dormire nella mia stanza. Ha un solo letto, un matrimoniale, ma se vi accontentate potete restare, mentre io andrò nella camera degli ospiti…” disse Jessica Fletcher. Dana si voltò verso Fox e i due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa. “Direi che per una sera non è poi una brutta idea…” disse allora Fox, ma la voce era chiaramente nervosa. “Molto bene. Jessica, se succede qualcosa, qualunque cosa, chiamami al cerca persone. In quanto a voi signori, volete che porti un messaggio allo sceriffo da parte vostra?” “Come fa a sapere che abbiamo parlato con lo sceriffo? Lo ha intuito forse?” Pensò Fox Mulder. Ma non lo chiese ad alta voce, anche perché Dana stava già parlando: “Sì per favore: gli dica di mettersi in contatto con il nostro superiore e di informarlo della situazione.” “E per favore, Seth, se trovi dei ricambi per questi signori, portali. Anche se spero che si tratti solo di una nottata…” “Signora Fletcher non dovete…” “Molto bene. Noi ora andiamo, ma non esitate a contattarci. Jessica, signori, buonanotte.” Disse il dottor Hazlitt. “Buonanotte a tutti!” esclamò Michael Sting baciando di nuovo la mano di Dana. Fox si limitò a fare un cenno restando seduto.

Era una bella stanza la camera degli ospiti della signora Fletcher. Fox si prese il suo lato del letto, si sedette e rimase immobile, mentre Dana si sistemava come poteva. “Queste lenzuola pulite profumano come quelle della casa di nonna.” Disse la donna. Forse voleva cercare di sdrammatizzare. Ma non funzionò. Fox rimase dritto seduto sul letto, immobile. “Io spengo la candela adesso.” Disse Dana. “Io mi sposto di sotto. Vado a dormire sul divano.” Fox prese il suo candelabro e si alzò. “Mulder?” “Sì?” “Tutto bene?” Fox non rispose. Si limitò a fare un sorriso asciutto e poi disse: “Buonanotte Scully.” Chiudendosi alle spalle la porta della stanza. Anche se sapeva che non avrebbe dormito, accumulando così ulteriore stanchezza, quella ennesima coincidenza fortuita gli forniva la possibilità di esplorare meglio la casa di quella scrittrice. E non voleva sprecarla.

(1) : Non ricordo se e in quale episodio di XFiles erano coinvolti dei bambini. Se non fosse un’idea giusta per i tempi in cui è ambientata la storia, come in generale perché nessun episodio di XFiles riguardava dei bambini, la cosa può essere interpretata come una bugia di Scully, inventata sia per coprire il vero caso sia per togliere dall’imbarazzo Mulder. (2) La parola “Sting” in inglese, significa “puntura”.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 2 (racconto – fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la seconda parte e spero possa piacervi)

Per leggere la parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

“È una cittadina molto tranquilla! Un giorno che non lavorate potete venire a fare qualcosa di rilassante! Gite in barca, escursioni, oppure pescare!” Per quanto visita ufficiale, Skinner aveva comunque optato per non far portare ai due agenti un mezzo loro. Aveva parlato con lo sceriffo Mort Metzger, un ex poliziotto di New York che si era spostato nel piccolo paese da diversi anni diventandone sceriffo e prendendo il posto di un certo Amos Tupper, che però risultava ancora irrintracciabile. Cosa che aveva ovviamente profondamente scosso Mulder: un’altra coincidenza molto strana. Lo sceriffo, su ordine di Skinner, era passato a prenderli alla stazione dei pullman per portarli subito dalla signora Fletcher. Come spesso succedeva con la polizia, non era contento che ci fossero degli agenti dell’FBI, ma quantomeno cercava di nasconderlo. “Certo, oggi chi va a pesca deve fare attenzione!” proseguì lo sceriffo “Vedete quelle nubi? C’è una tempesta in arrivo. Avete detto che ripartite stasera?” “Sì, con l’ultimo pullman.” Affermò Mulder osservando fuori dal finestrino l’orizzonte nero, in netto contrasto con il cielo terso che ancora li sovrastava e che li aveva accolti nella cittadina. “Ma, esattamente, cosa dovete chiedere alla signora Fletcher di tanto urgente?” “Si tratta più di un avviso che di altro.” Rispose Dana Scully “Abbiamo notato che la signora Fletcher è stata coinvolta in molti casi di omicidio… lei si renderà conto che quando c’è il coinvolgimento di una persona civile in affari di polizia, è sempre pericoloso.” “Ah…” lo sceriffo Metzger parve incupirsi. “Ha collaborato anche con voi?” L’uomo, si schiarì la voce prima di dire: “La signora Fletcher fa parte della comunità ed è molto amata. Capirete che non siamo a Washington, né a New York. Qui qualsiasi aiuto per mantenere la quiete è benvenuto…” Aveva detto di sì. Con molti giri di parole. Ma era un sì. Mulder e Scully si lanciarono un’occhiata. “Comunque, qualsiasi sia il problema, posso garantire io per la signora Fletcher: ogni sua ‘intrusione’” tolse una mano dal volante per fare le virgolette in aria “Non è mai stata intralciante né ha mai compromesso le prove.” “Mi scusi se glielo chiedo,” intervenne allora Fox Mulder “ma le sue… collaborazioni con la signora Fletcher… sono state tanto numerose?” Dana Scully lo fulminò con lo sguardo, ma i suoi occhi si inquietarono quando notò che lo sceriffo si attardava a rispondere. “Se devo essere sincero…” disse infine “C’è in effetti un tasso di omicidi molto alto in questa città, per le sue dimensioni almeno. Non so, ogni tanto mia moglie scherza che potrebbe essere colpa di qualche lontana maledizione lanciata da qualcuna delle povere donne bruciate con l’accusa di stregoneria. Ma sapete, si tratta comunque di delitti tipici dei luoghi molto piccoli: gelosie, invidie, forme di arrivismo… oppure è qualcuno che viene da fuori e si porta dietro altre persone che voglio ucciderlo… Ok, forse c’è stato qualche caso più importante… però ripeto, nelle occasioni in cui la signora Fletcher è rimasta coinvolta, non c’è mai stato da parte sua alcun tipo di intralcio.” (1) “Però ammettete che c’è una situazione anomala per quel che riguarda gli omicidi.” “Se sono sotto interrogatorio, vorrei andare nel mio ufficio.” Avevano abusato troppo del buon atteggiamento. “Vi chiediamo scusa. Non è nostra intenzione offendere nessuno. Neanche la signora.” “Scusatemi voi.” Disse allora Metzger “Questa tempesta improvvisa mi sta innervosendo. Siamo arrivati comunque.” Parcheggiarono davanti alla casa della signora Fletcher: una graziosa casetta a due piani, bianca con il tetto verde scuro spiovente e un giardino molto curato. Scesero tutti insieme dall’auto, ma lo sceriffo li precedette. Fu lui a bussare alla porta, dopo essersi tolto il cappello. Questa si spalancò quasi subito. La signora Jessica Fletcher comparve sulla soglia. Indossava un bel maglione di lana con decorazioni floreali e dei pantaloni di tela pesanti. Era uguale alle foto che c’erano nei suoi libri. Da giovane, doveva essere stata una donna molto bella. “Signora Fletcher buongiorno. Ci sono questi signori che desiderano parlare con lei. Immagino… da soli…” “Preferiremmo di sì.” Disse calma Dana tirò fuori il distintivo “Buongiorno signora Fletcher. FBI. Sono Dana Scully e lui è il mio collega Fox Mulder.” “FBI?” fece la donna, sorpresa, ma non preoccupata. “Sì. Possiamo entrare?” “Oh certo! Prego accomodatevi! Stavo giusto preparando del tè!” “Io tornerò verso le sei per riaccompagnarvi al pullman.” Disse lo sceriffo. Poi sussurrò (ma Mulder lo sentì) alla signora Fletcher “Se c’è qualche problema, mi chiami.” Jessica chiuse la porta e fece un cenno ai due: “Andiamo in cucina, lì staremo comodi.” Un rombo che fece tremare pure il vetro delle finestre. Le luci della casa erano tutte accese, ma fuori sembrava già essere notte. Le nuvole che avevano visto all’orizzonte nel tratto di strada tra la fermata e la casa della signora, ora sovrastavano completamente il cielo. Una cappa nera e minacciosa. “Una tempesta? Avevano detto che poteva arrivare… ma ha fatto proprio in fretta!” la signora Fletcher si avvicinò alla finestra del salone per guardare fuori. Questo diede modo ai due agenti di guardarsi intorno. Il salone però non presentava alcuna anomalia. Anzi: l’odore dei libri e del camino acceso fecero provare un senso di calore e di accoglienza anche a Mulder. Osservò la biblioteca della donna e notò la gran quantità di libri gialli presenti, insieme a manuali di varia natura e diverse raccolte di poesie. Grandi classici e perfino alcuni libri di filosofia, affiancavano manuali di giardinaggio, di pesca e di caccia all’anatra; la raccolta completa dei romanzi e dei racconti di Sherlock Holmes, scritti da Arthur Conan Doyle, condivideva lo scaffale con diverse riviste letterarie e un testo dedicato all’architettura; Poe e San Tommaso D’Aquino erano divisi da alcuni testi di biologia… Leggeva molto, la signora Fletcher. E non leggeva solo libri gialli. Il fischio della teiera li attirò definitivamente in cucina, dove sul tavolo era poggiata una bellissima macchina da scrivere. “Non usate computer?” domandò Mulder. “Uso anche quello. Ma a volte mi piace tornare alle vecchie abitudini. Quanto zucchero?” “Io non prendo tè.” Fox Mulder osservò attentamente la cucina. Mobili vecchi, molti utensili in vista. Niente di anomalo. O forse troppo normale. “Per me giusto un cucchiaino. E grazie.” Disse Dana. Si accomodarono entrambi e la signora Fletcher, dopo aver servito una tazza fumante a Scully, si sedette dirimpetto a loro. “Allora, a cosa devo la vostra visita?” Era tranquilla, forse giusto un po' sorpresa, ma per nulla agitata. A Mulder questo non piacque. Quando si scambiò un’occhiata con Dana, le fece capire che era meglio che a parlare fosse lei. “Signora Jessica Fletcher, giusto? Scrittrice di libri gialli e ha anche avuto il ruolo di insegnante di criminologia a New York per un periodo. Tutto esatto?” “Sì, certo.” “Mi scusi… è un po' difficile quello che stiamo per chiederle. Ma vede, abbiamo fatto delle… delle ricerche per… la compilazione di alcune statistiche. E abbiamo notato il suo legame con molti casi di omicidio.” “Più di un centinaio.” Si intromise Mulder. La signora Fletcher sgranò gli occhi, come colta di sorpresa: “Così tanti?” “Non ci siamo permessi di contarli, vede il punto non è il numero…. È più il fatto che lei è presente e interviene anche nelle indagini a preoccuparci.” Un altro tuono fortissimo pose una momentanea pausa al discorso. La lampadina sfarfallò per un attimo, portandoli dal buio alla luce in rapida sequenza. Quando si stabilizzò, Dana riprese il discorso. “Signora Fletcher, capisco la sua buona volontà, chi non la capirebbe: tutti noi in una situazione di particolare stress o se è coinvolto qualcuno a cui teniamo, vogliamo essere d’aiuto. E certamente in tanti casi il suo intervento si è rivelato prezioso per l’autorità. Sappiamo che lei è riconosciuta da molti agenti di polizia come una risorsa preziosa. Ma c’è un fatto: lei non è della polizia.” La signora Fletcher socchiuse gli occhi e annuì: “Credo di capire dove volete arrivare.” “Non ho dubbi, anche perché lei è molto intelligente. Ma ho bisogno di chiederle formalmente una cosa: quella di cercare di non lasciarsi coinvolgere più. Le indagini, e lei lo sa, sono qualcosa di serio e difficile ed è molto pericoloso se un’informazione che le autorità preferiscono tenere riservata dovesse saltare fuori. In più sono molte le persone con cui la polizia può trovarsi a dover combattere: i giornalisti, le talpe e… senza nulla togliere agli agenti onesti, anche le purtroppo possibili corruzioni interne.” “Avete davvero fatto questo lungo viaggio da Washington” la signora Fletcher approfittò della lunga sorsata di tè di Dana per parlare “per chiedermi formalmente di non interessarmi più di un qualsiasi caso di omicidio?” “Esatto signora.” Disse Dana. Prese un respiro profondo e parlò con la voce più dolce che riuscì a impostare: “Voglio essere sincera: ho letto i rapporti e trovo veramente straordinario l’aiuto che è stata in grado di dare, almeno lì dove è stato riportato. Lei ha sicuramente contribuito molto alla giustizia. Ma c’è anche un altro motivo per il quale le chiediamo questo passo indietro. Vede signora, oltre alle indagini, lei ha spesso messo la vostra vita in pericolo. E forse anche quella di altre persone innocenti. È una responsabilità enorme, per la polizia e non solo. Sa, ammetto che non avevo avuto modo di leggere i suoi libri, ma ho trovato il tempo di leggerne uno prima di partire. Sembrerà una lusinga o forse una minaccia, ma le parlo sinceramente: penso che perdere il suo talento per aver deciso di occuparsi di un caso che non le apparteneva, sarebbe un grave danno per la letteratura.” A quelle parole, la signora Fletcher proruppe in una risatina vivace e simpatica: “Lei mi lusinga infatti. Ma le dirò, comprendo perfettamente la sua preoccupazione e la apprezzo molto.” Sembrava sincera in quell’affermazione. “Anche io ho letto i suoi libri sa?” si intromise allora Mulder “Tutti. In meno di quattro giorni.” Dana si allarmò, provò a richiamare con lo sguardo il collega, ma lui fissava intensamente la signora Fletcher che lo ricambiava nuovamente sorpresa. “Quattro giorni? Giovanotto sapevo che molti facevano nottata per i miei romanzi, ma…” “Sono un lettore molto avido” proseguì Mulder “e c’è una cosa che mi ha sorpreso: la perfezione con la quale lei descrive tutto, dagli omicidi alle indagini. Di solito, in narrativa, ci si permette di commettere tante ingenuità a favore di una lettura scorrevole o commerciale. Lei invece non sbaglia un colpo, signora…” Di nuovo quella risatina allegra: “Ah detto da un agente dell’FBI è un complimento non da poco!” “Sa che, da che ho scoperto il suo nome legato a tanti e diversi casi, ho pensato che potesse essere proprio la collaborazione con la polizia ad aver affinato le sue doti… ma poi ho guardato bene le date di pubblicazione e ho capito che il suo è un dono naturale.” Anche se ancora non era chiaro dove volesse andare a parare il suo collega, Dana non lo fermò. Era anzi sorpresa dell’attenzione all’uso delle parole che Fox stava applicando. “Beh, forse. In realtà penso dipenda dalle mie molte letture, e dalla mia passione naturale per il genere, oltre alla mia curiosità.” Proseguì la signora Fletcher, sempre raggiante. “La sua biblioteca, in salotto, è bellissima. Ho riconosciuto alcuni libri della mia infanzia…” proseguì Fox, ricambiando il sorriso ma in modo nervoso. “Oh sì. E non è neanche tutta! Negli anni ho dato via molti libri. Altri purtroppo si sono rovinati…” la donna si incupì “…E altri ancora non ho avuto il coraggio di tenerli dopo la morte di Frank.” “Suo marito?” Lei annuì. Fox chinò la testa. “Condoglianze.” “È stato molto tempo fa… spesso leggevamo assieme, passandoci i libri, oppure ero io a leggerli ad alta voce, la sera, per lui. Lui leggeva, ma meno di me, era più un uomo d’azione. Ma se mi portava un mazzo di fiori, aveva anche un libro da consegnarmi.” Il sorriso si illuminò di nuovo. “Posso chiederle cosa… è successo?” Dana si tese e lanciò un’occhiataccia a Fox. Ma lui rispose con uno sguardo che le chiedeva fiducia. “Un brutto male.” Rispose la signora Fletcher “Che fortunatamente, lo dico a posteriori, non ha portato troppa sofferenza nel nostro ultimo anno insieme. Frank era preoccupato per me più che per lui… non è stato facile… e forse scrivere mi ha aiutato.” “Il cadavere che ballò a mezzanotte.” “Il mio primo romanzo, sì. C’era tutto quello che piaceva a me dei gialli e a Frank dei film d’azione.” “Ha dedicato a lui e a un certo Grady il libro, infatti…” “Grady è mio nipote, figlio di un fratello di Frank. Ci siamo occupati di lui da adolescente, dopo la morte dei suoi genitori in un incidente.” Questa seconda informazione inerente una morte provocò una reazione piuttosto evidente in Fox. “Tutto bene giovanotto?” domandò preoccupata la signora Fletcher. Dana stava per dire qualcosa, quando un nuovo e potente tuono esplose all’esterno, le luci di tutta la casa si spensero e la cucina sprofondò nel buio.

(1) Cabot Cove ha una percentuale di omicidi per numero di omicidi più alta di qualsiasi altra città reale o immaginaria che sia. Nessun personaggio della serie sembra farci caso, tranne appunto lo sceriffo Metzger nell’episodio “Jessica e la mela parte 1”. Fonte: https://www.dailymail.co.uk/news/article-2191990/Murder-capital-world-Quiet-seaside-town-Cabot-Cove-named-dangerous-place-Earth.html

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Gli Xfiles di Cabot Cove: Parte 1 (Racconto – Fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la prima parte e spero possa piacervi)

Dana Scully aveva ricevuto la telefonata da Walter Skinner alcune ore prima: Fox Mulder, che era sparito per alcuni giorni dal lavoro, era tornato in piena notte in ufficio e aveva voluto consultare tutti gli archivi di X-files inerenti il Maine. In più si era presentato con delle grosse buste di tela piene di libri. Libri gialli e tutti della stessa autrice. Una certa Jessica Fletcher. “So che il vostro ultimo caso è stato abbastanza pesante, anche per questo gli avevo concesso un po' di riposo anche se non programmato. Però questo ritorno così precipitoso mi preoccupa. Deve avere a che fare con quella scrittrice. Per favore, vai a vedere cosa succede. È lì dall’una e non vuole andare via.” Così Dana era arrivata all’ufficio che il sole ancora non era nel cielo e aveva trovato il suo collega seduto per terra, con una cartellina rigonfia di fogli in mano e un libro nell’altra. Jessica Fletcher compariva in foto sul retro dell’edizione, rilegata con sovracoperta, sorridente vicina alla sua macchina da scrivere. Fox non si accorse di Dana se non quando lei fece un colpo di tosse. “Oh! Scully! Sei mattiniera!” “Felice di rivederti…” iniziò lei, ma lui non le diede tempo di continuare. “Mi dispiace di essere sparito ma… vedi è successa una cosa. C’è stato un delitto in Italia, a Genova (1), e pare che abbia coinvolto una nostra connazionale. Questa signora qui.” Indicò la foto di Jessica “E non è la prima volta che viene coinvolta in un omicidio. E non come sospettata, ma come parte della soluzione.” Dana rimase immobile e fissò il suo collega con uno sguardo a metà tra il sorpreso e l’incredulo. “Ok, ricomincio daccapo. Allora, ricordi quando ci siamo salutati l’ultima volta? Beh, sono andato a casa e ho trovato un giornale ad aspettarmi sulla porta. Non era il mio, era di una vicina, ma chi l’ha consegnato o era pigro o non ha letto bene il nome… oppure dovevo essere proprio io a trovarlo.” Dana inarcò un sopracciglio. “L’ho ridato alla vicina eh!? Ma solo dopo averlo letto!” proseguì Mulder “Ho trovato questo articolo nella sezione letteraria: quando il giallo immaginario incontra quello vero. Parlava di questo caso in Italia, a Genova, di una cantante soprano che doveva ritornare sul palcoscenico e di un delitto avvenuto in quelle circostanze. E c’era questo, Jessica Fletcher, nome che avevo già sentito. E infatti non mi sbagliavo: avevo un libro di questa signora. Il cadavere che ballò a mezzanotte, il primo, che l’ha resa famosa. Me lo sono letto e devo dire che non è male. Però mi ha fatto pensare: come può una vecchia signora, professoressa d’inglese pensionata e vedova, scrivere un libro giallo così particolare?” “Immaginazione. Creatività. E se è stata insegnante, avrà letto tanto.” Propose calma Dana. “Certo Scully, tutto giusto ma… non è il solo giallo che ha scritto.” “Anche Sherlock Holmes ha molti racconti.” “E quest’ultimo caso che ha contribuito a risolvere nel mondo reale, non è il solo.” Quest’ultima frase riuscì a scuotere un po' di più Dana. Se non per la frase in sé, per la gravità che la stessa conteneva: un civile che partecipa a delle indagini non è mai una buona cosa. “È così!” “Chi ti ha dato questa informazione?” “La libraia da cui ho comprato tutta la collezione dei suoi libri…” Fox si alzò e le consegnò la cartellina “... Informazione che ho accuratamente verificato.” Dana Scully aprì la cartellina. Scoprì presto che conteneva diversi documenti: rapporti, interrogatori, verbali dei processi… E il nome “Jessica Fletcher”, come la sua occasionale firma, erano cerchiati. “Non è una ominimia.” Disse Mulder aprendo la prima pagina del libro che ancora teneva in mano “Questa è una delle copie che ha firmato per la libraia qualche giorno fa, di ritorno da Genova. Guarda! Stessa calligrafia!” “Questi casi…” “Tutti risolti! Ho fatto prevenire qui solo i documenti che mi interessavano e ho potuto farlo facilmente perché appunto sono risolti: chi era colpevole ha confessato, è stato processato ed è andato in prigione. Vedrai che vengono da ogni parte del paese, anzi, del mondo! È stata anche a Londra! Ad Ansterdam, in Egitto! Ha avuto dei contatti con l’MI6 ed è stata coinvolta anche in casi ad alto rischio di diplomazia! È il solo filo conduttore di storie apparentemente dislocate e diverse tra loro.” Dana Scully, ancora intenta a osservare i documenti, annuì lentamente. “Sempre in contatto con la polizia e attivamente coinvolta nella soluzione del caso. Sebbene non sempre la cosa sia evidente, nell’ambiente della polizia è molto conosciuta.” “Hai fatto qualche telefonata anche lì?” “Molto di più. Ho parlato con tutti quelli che hanno accettato di mandare i file nel mio ufficio.” “Non so se avevi l’autorità per fare una cosa del genere Mulder… Ma vedo che sei riuscito a scoprire qualcosa di molto grave e importante.” “Allora sei d’accordo con me!” L’entusiasmo con cui Fox pronunciò quella frase, insospettì subito Dana: “Su cosa sono d’accordo esattamente?” “Che questa coincidenza è troppo particolare! Ovunque questa scrittrice si trovi, c’è sempre un delitto e un morto!” “Non starai mica insinuando…?” Fox Mulder annuì solennemente. “Mulder, Jessica Fletcher è una scrittrice, non un’assassina! I colpevoli di tutti questi casi sono stati trovati!” “Non lo metto in dubbio Scully, ma se ci fosse una sorta di spirito o entità che gira intorno a lei e convince le persone inclini a commettere delitti?” Si fissarono per un lungo minuto poi Dana inarcò le sopracciglia: “Mulder, non dirai sul serio?” “Abbiamo visto cose più strane!” “Forse hai letto troppi libri gialli e in troppo breve tempo.” “Anche questo: sono gialli perfetti! Quanti gialli hai letto nella tua vita? E quante volte hai storto il naso perché hai notato ingenuità o mancanze che giusto la sospensione dell’incredulità può giustificare? Ecco, qui la sospensione dell’incredulità non serve! È tutto preciso!” “Mulder… Io qui vedo un pericolo molto più reale: e cioè che una civile ha avuto accesso a informazioni riservate in varie occasioni.” “In centinaia di occasioni!” (2) “Centinaia o una soltanto, è una falla molto grave. Né parlerò io a Skinner se non ti dispiace. E se dovremo far visita alla signora, ti informerò. Anche se penso che qualche telefonata, potrebbe bastare… A proposito, perché hai voluto consultare i file dedicati al Maine?” “È dove risiede attualmente. Non ha mai abbandonato la sua cittadina, Cabot Cove. Che a quanto pare, se si cerca bene negli archivi, ha un brutto passato legato ai fenomeni di stregoneria e una volta un certo signor Sorenson… (3)” “Mulder, andiamo a parlare con Skinner. Va bene? Anzi, andrò a parlarci io. Perché credo sia meglio che tu vada a riposare. Dimmi hai dormito in questi giorni?” “No! Dovevo leggere i romanzi! Potevano avere degli indizi! Spesso chi scrive rivela molto più di se stesso nelle opere immaginarie che nella realtà… E la signora Fletcher, li scrive molto bene gli assassini…”

Dana Scully parlò con Skinner da sola, tralasciando ovviamente la teoria di Mulder. Skinner in qualche modo la intuì accennando al fatto che “probabilmente è questa catena di coincidenze che ha attirato molto Mulder.” Dana gli lasciò la pila di fogli raccolta dal collega e se ne andò in ufficio per stilare e controllare altri rapporti. Qualche ora dopo, tuttavia sia lei che Mulder vennero convocati. Skinner sembrava molto arrabbiato. Ma poi tese la mano a Fox: “Ho bisogno necessariamente di farle i complimenti. Non so quale teoria ha guidato la sua ricerca, ma ha scoperto qualcosa di molto importante.” Fox esitò prima di stringere la mano di Skinner: non si era aspettato una lode così da parte sua. Skinner tornò alla scrivania, prese in mano il fascicolo e disse: “Questo è il materiale che ha raccolto lei, Mulder. Ed è pochissimo. La nostra cara Miss Marple del Maine ha avuto negli anni, a partire dal 1984 (4) contatti continui con vari corpi di polizia e non solo. Qualche telefonata mi ha confermato che è molto conosciuta nell’ambiente, al punto che a volte, contro ogni tipo di regolamento, sono stati gli stessi agenti a coinvolgerla. Ovviamente non ho nessuna prova concreta di ciò, ma le voci girano… e non tutti sono contenti di questo. Anche se tutti i casi, tutti, senza eccezione, che hanno visto il suo coinvolgimento, sono stati risolti.” “Un’altra splendida coincidenza.” Esclamò Mulder, ancora felice del credito ricevuto. Ma Skinner lo degnò solo di uno sguardo storto e critico, prima di proseguire: “Vi renderete conto dunque, che la situazione è grave: la nostra cara signora porta con sé molte informazioni riservate. E la sua presenza avrebbe potuto gravemente impattare sulle indagini. Ora, io non voglio aprire un caso, anche perché finirei per dover coinvolgere molte cariche della polizia e non solo di quella americana. Ma visto che è stato Mulder il primo a notare questa gravità e lei Scully a presentarla a me, vorrei chiedervi questo: di andare a fare una visita alla signora e capire come e quanto è affidabile, oltre a pregarla di smettere di giocare a Cluedo. Le cose possono diventare pericolose, per lei e per la polizia, oltre che per qualsiasi innocente coinvolto. Non ha mai sbagliato, sembra. Però non si è infallibili per sempre. Andate a Cabot Cove dopodomani, così lei, Mulder, può dormire e lei, Scully, può finire i rapporti. Non andate sotto copertura, la signora deve capire che le cose non devono essere prese sottogamba quanto si tratta di omicidi…”

(1) : Episodio di riferimento: Omicidio in “do di petto”. Undicesima stagione de “La signora in giallo” (2) : Dal 1984 al 1995 (anno in cui è ambientata questa storia) gli episodi delle storie di Jessica Fletcher sono più di 200. In alcuni episodi viene fatto capire che ci sono state occasioni in cui Jessica ha aiutato la polizia anche al di fuori di quanto raccontato nella serie. Ogni episodio contiene almeno un omicidio, ma sono molti gli episodi con più di un cadavere… (3) Episodio di riferimento: Il segreto di Borbey House. Decima stagione de “La signora in giallo”. Uno dei pochi ad avere una tematica quasi sovrannaturale (il vampirismo). (4) Il primo episodio di Jessica Fletcher è andato in onda il 30 settembre del 1984

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Perchè gli artisti sono “timidi”? (opinione personale)

Buonasera e buona vigilia di Natale. Poco tempo fa, su livello segreto, uno scambio di post partiti da un post lasciato da “lookacomics” (che potete trovare anche qui su log: https://log.livellosegreto.it/lookacomics/ ) mi ha portato a una riflessione che desidero condividere qui con voi, nella speranza sia di suscitarvi altri pensieri e magari portarvi a sperimentare una via a voi ancora ignota, sia di riuscire io stessa a chiarirmi le idee su questo problema che ho sempre trovato difficile e spinoso. Il problema è questo: come fa un artista a parlare di sé stesso e di quello che fa in modo corretto (se mai esista un modo corretto)? E perché a artist3 capita spesso di provare fastidio nel doversi fare pubblicità da sol3? Partirò dicendo che io sono una di quest3 “artist3”, anche se la mia situazione sta gradualmente migliorando. I motivi della mia “timidezza” sono radicati in diversi eventi del passato, come in elementi più generali nella quale forse qualcuno si riconoscerà. Partendo dal personale, così lo tolgo di mezzo in quanto elemento più “debole” per fare un discorso collettivo: non è un segreto che ho subito bullismo a scuola. Soprattutto a elementari e medie (del liceo ho anche dei bei ricordi), in piena età dello sviluppo. E poiché nel bullismo qualsiasi cosa si fa viene setacciata dagli occhi degli altri e costantemente presa in giro o umiliata (perché qualcosa da dire lo trovano sempre), ho sviluppato gradualmente un carattere dove tra l’essere osservata e boicottata e l’essere ignorata, preferisco la seconda strada. In un mondo di persone che pur di essere al centro dell’attenzione arrivano a commettere atti discutibili, a volte anche mortali, io nell’ombra ho prosperato: facevo quello che volevo senza coinvolgere i miei compagni di scuola, andavo ovunque in città (e fuori) da sola, per diversi anni ho fatto della solitudine la mia bandiera. Internet, almeno prima del predominio dei social, mi ha offerto la possibilità di condividere nell’anonimato: se non si conosceva la persona, potevi solo ammirare quello che faceva di artistico, fosse un disegno, una fanfiction, un’animazione amatoriale, un videogioco indie, un montaggio video… Lì ho scoperto altri tipi di tossicità, che però mi risultavano molto meno dolorosi di Chiara, la mia prima bulla, che cercava di spingermi giù per le scale “per scherzo”. Ora, questo lato solitario lo possiedo ancora; l’ho affinato e regolarizzato al punto giusto da non risultare comunque asociale. Questo però non ha cambiato il brutto rapporto che ho con i social, dove comunque sto imparando a stare. Nei social sembra tornare al centro la persona e come presenta ciò che fa, più che quello che fa. E basta poco perché diventino un’arma a doppio taglio. E senza scomodare Chiara Ferragni e i suoi recenti guai, anche perché per quanto brava come influencer non posso definirla un’artista, si può parlare di Gipi o di Giulia della Ciana, fumettisti che hanno subito delle pesanti shitstorm per motivi diversi e che hanno radicalmente cambiato il loro rapporto con questi strumenti. Gipi, a causa di quattro vignette pubblicate nel momento sbagliato, ha tagliato molti ponti e dato vita a una graphic novel, “Stacy”, che persino molti suoi critici stanno amando: https://www.coconinopress.it/prodotto/stacy/ . Giulia della Ciana, autrice dell’Euromanga “Butterfly effect”, che considero uno dei migliori Euromanga attualmente pubblicati in Italia, è stata invece violentemente criticata per la scelta di un finale realistico (cosa per me vergognosa, in quanto lo stesso era perfettamente coerente a tutto lo sviluppo della storia). Attualmente, Giulia della Ciana sta lavorando su una versione “Perfect” della storia, dove arriva ad approfondire personaggi ed eventi; sebbene programmata da tempo, poiché come spesso succede agli artisti si sente la necessità di migliorare anche ciò con cui si è già lavorato, la versione “Perfect” ha assunto per lei un'importanza ancora maggiore, in quanto non permette di generare “equivoci” creando false aspettative nei lettori (in verità, tali aspettative si sono create più per il target con cui la storia era stata pubblicizzata che per la struttura della stessa, ma su come viene abusata la questione del “target” nel mondo dell'editoria, parleremo un'altra volta): https://mangasenpai.it/product/28033124/butterfly-effect-perfect-edition-1 Osservare queste valanghe di odio collettive non incoraggia certo alla condivisione chi, come me, vede nell’arte un ponte per comunicare e non un gradino per mettersi al di sopra degli altri; se il ponte diventa un punto di accesso per chi vuole farti del male, allora è meglio toglierlo. Questi elementi personali, nelle quali alcuni si possono ritrovare e altri no, non sono il solo motivo per cui un artista può trovarsi in difficoltà a condividere le sue opere. Un altro motivo può trovarsi nel rapporto che l’autore ha con quello che crea. L’arte non è solo un veicolo di comunicazione con gli altri, è anche e soprattutto un veicolo di espressione del proprio inconscio. A volte quello che un’artista produce, è meglio che la luce non la veda. Nel film di Cronemberg “Crimes of the future” del 2022, il rapporto viscerale tra artista e opera d’arte viene analizzato molto bene con un espediente narrativo che lo rende letterale. Altra questione, molto più semplice e pratica: la comunicazione non è lavoro per tutti. Non è facile, non elementare, va fatta bene e anche studiando, anche imitando, non tutti riescono a esprimersi al meglio. L’aiuto di una terza persona, esterna e distaccata a sufficienza, sarebbe spesso necessario, in ambito editoriale come altrove, per poter coltivare davvero la riuscita della diffusione di un’opera. A volte però, questo aiuto non arriva, perché è un investimento che molti non se la sentono di compiere. Ma questo è un discorso che avrebbe bisogno di un altro log per essere affrontato. Ultimo motivo, non però meno importante: immaginate di creare qualcosa di vostro a livello artistico, di decidere di condividerla su pubblica piazza e di non ricevere alcun tipo di feedback. Immaginate allora di iniziare a “richiederlo” e comunque di ritrovarvi ad avere poca accoglienza. Anche da parte di persone che considerate amiche. Inutile dire che al di là della ferita personale, finisce anche per crearsi una situazione piuttosto imbarazzante che può andare ad impattare gravemente rapporti importanti. Detto ciò, è vero quello che era venuto fuori nella discussione sotto il post: se si crea qualcosa a cui si dà valore e la si vuole condividere con gli altri, la pubblicizzazione è una tappa necessaria. Si può riuscire a essere orgogliosi del proprio fare senza degenerare negli atteggiamenti seccanti o saccenti, si può riuscire a condividere il proprio fare senza risultare seccanti. Ora, anche a fronte degli ultimi eventi nostrani, sicuramente il mondo dei social verrà gradualmente rivalutato da utenti e fruitori; per quanto siano le “pubbliche piazze” meglio conosciute, non sono il solo modo per farsi pubblicità; per conto mio sto gradualmente imparando come pormi, ho osservato gli altri e ho capito quale potrebbe essere la strada per me. Ma questo non cambia il nodo della faccenda: è giusto fare pubblicità della propria attività, ma non tutti sanno o vogliono farla e qualunque sia il motivo, è un dato di fatto. Per questo rimane importantissimo il “passaparola”. Nessuno può aiutare un artista più di un sostenitore che parla di lui agli altri. Nessuno aiuta un libro più di chi lo consiglia agli altri (e no, non serve essere bookinfluencer o booktoker, basta anche parlane agli amici di persona). Anche per questo ho cercato di condividere in questo post le opere che ho nominato (e già che ci sono vi lascio anche la mia: https://www.amazon.it/cervo-Horn-Creek-9/dp/8832077655 ). Purtroppo viviamo ancora in un mondo dove come si comunicano le cose sembra più importante delle cose stesse. Il clima sta cambiando, ma ci vorrà molto tempo prima che l’essenza di una qualsiasi opera, sia essa un fumetto, un adattamento, un film, un videogioco, un libro o altro, torni al centro del giudizio altrui al posto dei reels o delle sponsorizzazioni. Nell’attesa, chi ha optato per questa strada, deve fare i conti con tutto, dalle shitstorm alla “schiavitù” delle visualizzazioni. O a scegliere di non restarci invischiato anche a rischio di non essere conosciuto dal resto della “comunità”. Quale che sia la scelta, il valore di un’opera artistica viene prima di tutto dall’autore della stessa. Se si è soddisfatti con quello che si è compiuto, la condivisione diventa solo un elemento e nemmeno il più importante. Come fruitori dobbiamo poi essere noi per primi a non fermarci ai più pubblicizzati tra gli artisti e cercare, scavare, indagare. A volte le pietre più preziose, sono nascoste in profondità.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

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“Se non fossi corrotta, non esisterebbe”: in difesa di Nikita, personaggio transgender (Opinione personale/aneddoto)

Alcuni giorni fa, in streaming, stavo giocando a un gioco mod e free-to-play che alcuni di voi mi avranno visto giocare: Stalker Anomaly. Un’esperienza FPS (ma volendo si può scegliere nelle impostazioni anche la terza persona) che vi consiglio, se vi piace il genere e avete giocato alla trilogia originale. Vi lascio qui il link per scaricarlo: https://www.moddb.com/mods/stalker-anomaly

Nel gioco, che è un sequel immaginario della prima trilogia di Stalker (composta da “Shadow of Chernobyl”, “Clear Sky” e “Call of Pripyat”), si sceglie una fazione con cui giocare. Ogni fazione è avvantaggiata o svantaggiata rispetto alle altre (dal luogo della sua base, dal rapporto con le altre fazioni, ecc), ma molto resta sulle spalle del giocatore e della sua abilità. Le fazioni sono in tutto 12, con 3 che possono essere sbloccate solo una volta completate le tre missioni principali del gioco (i Renegades, i Sin e gli ISG). Non è però di questo che voglio parlarvi, ma solo di un’esperienza molto spiacevole che mi ha fatto riflettere. Una persona, forse di nazionalità statunitense (ero in inglese) è entrata in chat. Abbiamo iniziato a parlare, e io ho raccontato di come vorrei provare a giocare a Stalker creando da zero un personaggio per ogni fazione esistente nel gioco, dandogli anche delle regole mie partendo dalla sua storia personale. Il mio primo personaggio attuale, ad esempio, appartiene alla fazione degli Echologist. Si chiama Hans Steiner, 25 anni, nato a Berlino, è un pacifista, un bravo ragazzo, astemio e odia profondamente le sigarette. In più è asessuale. Mi sono immaginata che dopo una vita accademica completamente chiusa dentro il laboratorio della sua università, ha colto l’occasione di sostituire un collega in visita nella Zona, restandone incantato sebbene la stessa fosse violenta e pericolosa. Tornato in Germania, incapace di togliersi dalla testa l’esperienza vissuta, Hans si mette in contatto con il capo degli Echologist e ritorna nella Zona, desideroso di sapere di più di questo luogo, spaventoso e incantevole al tempo stesso. Quando gioco con Hans, ho delle regole: non posso uccidere nessun essere umano se non costretta dalla necessità di difendermi (se però posso scegliere la fuga la scelgo sempre) e non posso accettare missioni che prevedono raid nelle fazioni avversarie o l’uccisione di obiettivi umani precisi. Posso sparare a qualsiasi mutante e anche utilizzare i loro loot anatomici per cucinare qualcosa (sì, su Anomaly potete assaggiare gli occhi di lurker con fagioli e vodka). Essendo Hans astemio, non può bere alcolici, che nel gioco sono un antidoto alle radiazioni talmente prezioso che nel gioco vanilla non è possibile usarli per creare una molotov. Né può fumare sigarette. Può raccoglierli e venderli. Ma per curarsi deve usare solo pillole antiradiazioni o altri antidoti (siringhe, acqua, ecc). Inoltre non gli faccio mai raccogliere giornali pornografici: lo immagino che li ignora totalmente considerandoli un peso inutile. Una volta descritto Hans sono passata a parlare degli altri personaggi ed è venuta fuori la storia di Nikita. Nikita sarà della fazione dei Mercenary, donna transgnder che ha trovato nel combattere una sorta di vocazione. Anche per lei ho pronte delle regole, ma ho intenzione di iniziare la partita con lei molto più in là, quando conoscerò meglio il gioco. Mentre parlavo di lei in streaming, l’utente in chat mi ha detto: “deve essere per forza transgender?” Avevo già capito in che direzione andava la domanda. Ma per quanto colta di sorpresa ho semplicemente risposto qualcosa del tipo: “No, non per forza, ma lei mi è venuta così.” Il tipo è andato via pacificamente, ma non senza specificare che si vede che sono stata “corrotta” da un certo tipo di propaganda. Non mi importava, sono andata avanti a parlare dei miei personaggi, del mio Clear Sky che farò talmente misterioso che nessuno saprà mai se è maschio o femmina, della mia Sin, arrivata nella zona ancora minorenne perché completamente corrotta già in fasce dal richiamo della Zona oltre che da una passione ossessiva per la violenza, del mio Military, che sarà costantemente sotto pressione sul cosa ci sta a fare uno come lui in questo luogo incontrollato, della mia Duty che ha visto i suoi amici morire e così è arrivata a odiare profondamente la zona e i suoi abitanti…. Però, oltre al dispiacere della dichiarazione, mi è venuto un dubbio: se la comunità LGBT+ non fosse presente e in qualche modo riconosciuta (purtroppo anche solo come “minaccia” secondo alcuni come quello che era passato in chat) avrei mai saputo creare un personaggio come Nikita? Ci ho riflettuto molto, e la risposta che mi sono data è stata: in verità può essere.

Il mio rapporto con la comunità LGBT+ non è stato sempre roseo, poiché da brava cretina, quando ero ragazzina, mi è capitato di ritrovarmi a condividere dei contenuti non appropriati nei confronti della community, arrivando a perdere un’amicizia importante. Un giorno parlerò anche di quella storia perché è stata il vero punto di partenza per la creazione della tesi del complottismo. Tuttavia, soprattutto grazie a social come Facebook, ho incontrato e fatto amicizia con molti componenti della community che hanno saputo spiegarmi perché certe cose non andavano dette o condivise e a come esprimere correttamente il sostegno e volendo anche il dissenso per alcune idee esposte dalla stessa. L’amicizia c’è stata anche fuori dalla rete: durante il terzo anno della triennale, conobbi e uscii per molto tempo con dei ragazzi legati alla comunity che mi aiutarono a capire meglio quali erano i problemi che affrontavano ogni giorno, come alcune delle contraddizioni che si erano create al suo stesso interno (il caso arcilesbica).

Io stessa, per molti anni, mi sono posta domande sulla natura del mio essere. Ho sempre saputo però di trovarmi bene nel mio femminile. Non trovo questo aspetto la parte più importante di me, ma c’è e mi sta bene così. E al momento, sono ben felice con Cyborg, il mio ragazzo. E spero che questo momento si estenda per molti e molti anni. Con lui mi sento al sicuro e non baratterei questo sentimento bellissimo con nulla. La sua presenza è una delle cose che mi trattiene dall’autodistruzione e dall’abbattimento completo. Dunque potete capire quanto è preziosa.

Ma tornando all’inizio, tornando alla domanda che mi sono posta, all’idea che forse se non avessi conosciuto questa comunità Nikita non sarebbe mai nata… Continuo a pensare che non è vero che sarebbe andata così. Nikita sarebbe arrivata da me però forse non l’avrei raccontata nel modo giusto. E così vale per tutti gli altri personaggi appartenenti alla comunità LGBT+ che con il tempo si sono “presentati” nella mia testa.

Anche se a volte è un termine che mi sfugge, non mi piace mai parlare di “creazione” quando parlo di storie e personaggi. Per tanti motivi. Il primo è profondamente personale: noi umani in realtà non siamo creatori, semmai possiamo arrivare a essere cocreatori in una realtà già esistente e già pensata. Qualsiasi cosa nascerà dalle nostre mani, in natura esiste già, magari in forme inaspettate e nascoste. Il secondo è che ho sempre sentito i personaggi come dotati di una vita loro, indipendentemente dal mio intervento: io non ho che l’onore di raccontare una parte della loro vita, la più importante magari. Sono autrice, non creatrice. E per quanto mi senta legata ai miei personaggi, per quanto so che c’è qualcosa di me dentro di loro, non mi considero in un ruolo di potere nei loro confronti.

Se Nikita si fosse presentata a me anni fa, al massimo l’avrei raccontata come una ragazza mascolina e nulla più. E in questo modo il personaggio avrebbe perso molto della sua unicità.

Tra questa notte e domani mattina consegnerò sul portale dell’università la mia tesi di laurea, dove parlo proprio di questo: il fatto che per svilire il movimento, lo stesso venga ridotto a una semplice “agenda di propaganda”. La storia della “Lobby Gay” e della “Teoria del Gender” è destinata a tenerci compagnia per un bel po’. Insieme alle accuse verso chi come me crea personaggi così di farlo perché ci sono “cascati” o peggio ancora per “convenienza”. Io so che Nikita ci farebbe sopra una risata. Spero che sarò anch’io capace di fare così e di tirare dritto proprio come ho fatto durante lo streaming.

Ora però, parliamo un po’ di lei. Nikita nasce a Mosca con il nome Nikolay. Anche se capisce subito di non riconoscersi come identità maschile, non scopre subito le carte in tavola. Riesce a nascondersi facilmente anche grazie a una passione che ha notoriamente attribuita al genere: quella delle armi. Nikita adora le armi. Suo padre è un ex dipendente di una fabbrica di armi e collezionista incallito, ben felice di vedere quello che considera il suo figlio maschio iscriversi all’esercito. Dislocata nella Zona a vent’anni, Nikita inizia come militare e fa conoscenza di una Loner tenuta prigioniera che l’aiuterà a realizzare quale è la sua vera identità. Dopo uno scambio di ostaggi, sicura che la sua amica sia libera, Nikita si trasferirà in Svizzera e con i soldi guadagnati nella Zona inizierà un processo di transizione. Una volta completato lo stesso, taglierà i ponti con la famiglia e lavorerà al poligono di tiro più importante di Zurigo. Il richiamo della Zona è forte, così come il desiderio di rivedere la sua amica. Ma l’esercito non la lascerà rientrare in quanto persona transgender. Diverso sarà invece il parere del capo dei Mercenary: egli sa che Nikita non sbaglia mai un colpo, né una pugnalata e la chiamerà a far parte della sua fazione. Così, a ventinove anni, Nikita tornerà nella Zona e inizierà la sua storia. Le regole per giocare con lei saranno: 1 – fabbricare il più possibile le armi utilizzando il crafting 2 – mai accettare missioni contro la fazione dei Loner 3 – cucinare con le parti dei mutanti va bene, ma mai mangiarle: i piatti creati sono per il commercio. 4 – ok l’alcool, mai la sigaretta (ma la può vendere)

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

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Romics Inside (Aneddoto Personale)

Voglio iniziare questo blog avvisando chi legge di prendere queste parole come un bel racconto personale. Reale, ma aneddotico. Un'esperienza che può non essere uguale per tutti. Sono entrata nel mondo dell'editoria da pochissimo e passando attraverso una finestra (quella degli adattamenti) che a scuola veniva in molti casi anche snobbata, tanto da due dei miei professori, quanto dal lato “favorito” della classe. Tuttavia, ho deciso di raccontare ugualmente il mio legame con questa manifestazione e spero che quanto racconterò possa offrire un'ispirazione o anche solo un margine di riflessione a chi leggerà.

Romics è attivo a Roma dal 2001, ma ho iniziato a frequentarlo solo a partire dalla seconda metà degli anni dieci del 2000 (2015 circa). Da subito mi è stato presentato in modo negativo da chiunque lo frequentasse: nato come fiera dei fumetti, l'aumento del merchandising e cosplayers nel corso degli anni ha fatto fuggire molte case editrici di fumetti, favorendo al loro posto altri tipi di attività commerciali. Dalla scherma delle spade laser, ai venditori di katane e parrucche, Romics ha visto scappare negli anni moltissimi editori grandi e piccoli. I grandi assenti di quest'anno sono stati: Bao, Shockdom, Bonelli e la Scuola Internazionale di Comics.

Eppure è stato proprio al primo Romics dopo la pandemia che ho trovato il mio primo vero lavoro da sceneggiatrice: conoscevo già l'editore al quale provai a presentare un progetto, ma era la prima volta anche per lui nel mondo dei fumetti. Aveva iniziato da poco una collana dedicata agli adattamenti dei suoi romanzi/racconti e stava tastando il terreno nelle varie fiere. Romics non gli piacque e decise di non tornarci più. Neanche il mio progetto gli piacque (le sue critiche sono state molto preziose e mi hanno spinto a una riscrittura totale, ma questa è un'altra storia), ma vedendo che comunque avevo con me molte tavole di prova sceneggiate, mi chiese se volevo cimentarmi in un adattamento. Accettai immediatamente e così nacque “Il cervo di Horn Creek”, seguito da altri tre contratti su cui i disegnatori stanno attualmente lavorando. Tutti pagati. Dopo ciò, non potei non legarmi a questa fiera. Poco meno di un anno dopo (la fiera ha sempre due date: una autunnale e una primaverile) incontrai un altro editore a Romics (Prankster Comics) e strinsi un buon rapporto con uno dei suoi sceneggiatori/editor: avevamo in comune la passione dei lupi mannari. Acquistai i suoi volumi, più altri di genere comico. Tra un commento e l'altro finii per proporre una storia breve mia, che venne accettata e pagata. La pubblicazione, prevista nella primavera di quest'anno, saltò. Insieme alla stessa, mi era stata proposta la partecipazione allo stand, che io avevo accettato. Ma con la mancata pubblicazione del volume e il ritardo di altri materiali, cancellò completamente la partecipazione della casa editrice. Quest'autunno, il volume antologico in cui ho partecipato è ancora sospeso, a causa di una storia non ancora finita. L'editore ha però deciso che potevo ugualmente partecipare con loro. Anche se l'ho saputo solo all'ultimo momento, alla fine anch'io sono risultata tra gli ospiti di quest'anno.

L'esperienza allo stand è stata molto piacevole: anche se tutti si conoscevano da prima di me, mi hanno fatta subito sentire a casa. L'ambiente era tranquillo, scherzoso, casareccio. Si lavorava, ma divertendosi, scherzando, chiacchierando e confrontandosi. Ho scoperto molte cose del “backstage” di tante case editrici: da persone che si sono bruciate a causa di un uso sbagliato dei social, alle decisioni di alcune case editrici che se da fuori risultano incomprensibili una volta nell'ambiente acquistano un altro senso. Nessun commento è stato mai denigratorio o insultante. La prima regola, mi ha spiegato l'editore, è essere gentile e comprensivi con tutti, dal disegnatore in erba all'editore con più esperienza: siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo aiutarci e non farci la guerra. Mai insultare chi arriva più in alto per quanto ci sembri immeritevole il suo traguardo, mai snobbare chi è indie o indipendente; meglio creare una rete costruttiva in cui c'è spazio per ognuno di noi. Anche se non c'era il mio volume, ho fatto del mio meglio per descrivere a chiunque si fermasse gli altri volumi che erano esposti (ne avevo letti molti). Anche se temo di non aver fatto abbastanza, l'editore era comunque contento di vedermi interagire con chi si fermava. Non sapendo disegnare non potevo fare molto, così ho pensato di aiutare in quel modo. Avevo molta libertà di movimento e dunque ho potuto visitare parte della fiera con facilità. Ho ignorato i padiglioni che erano per cinema e videogiochi (cosa che faccio ormai sempre, da che ho iniziato a frequentare le fiere con lo scopo “lavoro”) e ho visitato solo i padiglioni dedicati al fumetto. Ho già parlato dei grandi assenti, ma non sono la sola cosa che ho notato: ho visto che lo spazio per gli artisti (Artist Ally e Self Area) erano molto più piccoli del solito. E così l'area dedicata ai “talk”. La “Scuola Romana del Fumetto” era presente e ho avuto modo di consigliarla a un paio di persone che allo stand avevano commentato il loro desiderio di imparare a disegnare. Mi ha sorpreso non vedere “L'Internazionale di Comis”. E non so cosa possa significare la sua assenza. L'unico contatto interno che avevo si è licenziato tempo fa. Dunque non posso scoprire nulla. Ma alla fine, la cosa veramente importante erano le presenze: la quantità di merchandising in vendita e il suo aumento dei prezzi (molto più alti degli altri anni) mi ha decisamente intimorito. Tutti quelli che erano presenti compravano soprattutto oggetti relativi a prodotti come fumetti e libri... ma non fumetti o libri. Era anche chiaro che in molti casi non era un merchandising “regolare”: la percentuale delle vendite non sarebbe finita in tasca agli autori coinvolti. Un'altra cosa, notata anche allo stand, era che la presenza era minore degli anni precedenti. Parentesi cosplay: Naruto resiste, meno One Pice di quelli che aspettavo, un Trinità e un Tex selvatici sono apparsi, discreto numero di personaggi Disney. Il cosplay più bello è stato quello che non ho visto ma che mi è stato raccontato da un disegnatore dello Stand: un tale con una colomba ammaestrata sulla spalla (non ricordo il nome del personaggio, ma era di One Pice). Alla fine ho salutato tutti, ho preso tanti contatti e me ne sono andata felice. L'editore ha detto che potrò partecipare anche in primavera quando l'antologia uscirà.

Anche se può sembrare una sciocchezza, è stato bello partecipare a questa fiera stando dall'altro lato degli stand. E' una fiera che sta “morendo”, ma a cui resterò comunque legata per la vita solo per avermi concesso queste prime occasioni di lavoro. Sarebbe però bello e auspicabile un suo ritorno al passato, un periodo legato più agli editori e meno alle cianfrusaglie. Purtroppo al momento sembra che molte fiere stiano lentamente prendendo la piega del Romics e non il contrario.

Una cosa però è sicura: le fiere stanno tornando e con loro la possibilità per tanti, esordienti e professionisti, di incontrarsi tra loro e con il pubblico. E questa è una buona notizia.

“Il cervo di Horn Creek”: https://www.amazon.it/cervo-Horn-Creek-9/dp/8832077655

Prnakster edizioni: http://www.prankstercomics.it/

La pagina wikipedia di Romics: https://it.wikipedia.org/wiki/Romics

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Pubblicità ricordate ma perdute: il mondo straordinario di “Lost advertising and interstitial material” (Storia Vera)

Un potenziale che nessuno si era aspettato del web era la sua capacità archivistica. O forse, si era intuito tale potenziale, ma lo stesso ha iniziato a svilupparsi solo col passare del tempo, con l'arrivo di più utenti, con l'ingrandimento dei server. Più persone entravano, più il materiale condiviso cresceva. Sia quello prodotto dagli stessi utenti, sia quello che producevano altri. E nell'arco di poco tempo, si formò una community di persone che vedeva in internet una speranza non indifferente: quella di ritrovarvi al suo interno elementi dell'intrattenimento del passato. Di quando esisteva solo la televisione e, escludendo le repliche (“re-run”), se perdevi il programma lo perdevi per sempre. Questa community di cercatori dei denominati “Lost Media” (letteralmente “Media perduti”) ha solidificato la sua esistenza in rete nel 2012, quando un suo membro molto attivo di nome “dycaite” fondò la “Lost Media Wiki”, oggi ancora esistente e visitabile, ospitata su un server indipendente, che conta al suo interno migliaia di voci inerenti materiali andati perduti nel corso degli anni, che le persone cercano di ritrovare per poterle archiviare online e tenerle così vive non più solo nella memoria di pochi. Siano essi libri, film, videogiochi... o pubblicità.

Sulla comunità dedicata ai “Lost media”, sul loro lavoro di ricerca continuo e persistente, si potrebbero scrivere saggi di pagine e pagine. La loro presenza online va oltre la wiki, e include forum, reddit, blog, youtube, l'internet archive e qualsiasi altro mezzo online che permetta ricerca o comunicazione tra i membri. Ogni cosa ritrovata, ogni libro, film o corto animato, è protagonista di una storia collettiva che ha portato al suo essere ritrovato. Consiglio, a questo proposito, la storia dedicata al ritrovamento del corto “Cracks”, che ha in alcune sue parti i tratti di un thriller di spionaggio: https://youtu.be/PSFY4k7KeQI Ma c'è un lato di questa community che mi ha sempre affascinato: quello dedicato alla pubblicità.

Oggi la pubblicità è considerata una scocciatura. La cosa bella è che lo pensano anche le nuove generazioni, quelle che si sono risparmiate (almeno parzialmente) la televisione, che è stato uno dei primi mezzi di diffusione dello spot come oggi lo conosciamo. Già in passato la pubblicità risultava scocciante per gli spettatori televisivi, tanto da essere presa in giro perfino nei vecchi cartoni animati di Picchiarello e dei Looney Tunes. Eppure, nonostante ciò, la sezione della wiki di “Lost Media” dedicata alle pubblicità conta centinaia di sezioni: in ogni pagina sono annotati indizi temporali, visivi e geografici di dove quella pubblicità è stata vista la prima volta.

https://lostmediawiki.com/Category:Lost_advertising_and_interstitial_material

Spesso, della pubblicità si ricorda tutto, tranne il prodotto che pubblicizzava (sì, questo è l'incubo di qualsiasi addetto del marketing), il che rende difficile la ricerca. Le pubblicità cercate sono sia di tipo commerciale, che di tipo sociale. Possono anche essere trailer di cartoni, special televisivi, telefilm o film. E tutte hanno una cosa in comune: sono ricordate perchè hanno lasciato nella persona che le ha viste un'impronta emotiva, a volte negativa (perchè molto inquietanti o grottesche) altre volte positiva (una musica allegra, una battuta o una scenetta divertente). E' strano pensare che, qualcosa che attualmente è riconosciuto come un segno negativo dei nostri tempi, è comunque entrato talmente tanto nel nostro inconscio collettivo da diventare materiale di “archeologia” online. E tutto lascia pensare che il futuro non sarà differente: magari tra quarant'anni ci saranno dei ragazzi su reddit che chiederanno se da qualche parte è archiviata la pubblicità che in questo periodo gira su twitch dove Cydonia fa uno spot per una società simil-bancaria. Io per conto mio ho inserito nella mia tesi il link alla sponsorizzazione di Diego Fusaro a Clash Royal, e ho fatto vedere in streaming quella che secondo me è stata la miglior campagna di spot contro gli incidenti stradali mai fatta in Italia e che ad oggi mi fà ancora venire i brividi: https://www.youtube.com/watch?v=QAfDL9tRZ-E&list=PL340693420092D2EE&index=1

Gli ultimi anni hanno concesso a tutti noi di essere testimoni di campagne pubblicitarie piuttosto disastrose: il Parmigiano Reggiano, Open to meraviglia e (recentemente) Esselunga sono solo alcuni dei protagonisti delle controversie più importanti scatenatesi dentro e fuori dal web. Si è ormai consapevoli che se si mette male un piede si può cadere molto in basso, trasformandosi in cattivi esempi o meme di cui la gente ride. Alcuni sono riusciti a fare delle campagne che connubiano bene ironia e polemica (Buondì) o che sono delle vere e proprie opere di storytelling (Amazon). E credo che in un futuro lontano saranno quest'ultimi ad essere cercati. Un universitario seduto a studiare i disastri di “Open to meraviglia” per l'esame di marketing, scriverà su reddit di una vecchia pubblicità di quando era bambino dove un meteorite pioveva in testa a una donna e di un'altra dove un agente di polizia imparava a cucinare e diventava un cuoco...

Ovviamente i tempi sono cambiati, e trovare queste pubblicità sarà più semplice. Rimane però affascinante pensare che, anche tra anni e anni, la “Lost Media Wiki” avrà qualcosa su cui lavorare.

Perchè ho voluto raccontare questa storia? In realtà non ho un motivo particolare. Sul fediverso si parla molto di pubblicità, nonostante la sua mancanza, e volevo aggiungere questo tassello, quello delle pubblicità perdute ma non dimenticate. Magari non hanno aiutato a vendere il prodotto, ma si sono comunque rese, in qualche modo, immortali. La pubblicità è uno strumento, come tale può essere abusato e alla fine ritorcersi contro l'utilizzatore. Oppure può essere talmente particolare da distaccarsi dal suo ruolo e diventare un'opera a se stante (in fondo, era quello che faceva a modo suo “Carosello”). Al momento, siamo nella fase che si trova tra “l'abuso” e la “ritorsione” (Twitch ad esempio sta perdendo moltissimo per le sue scelte inerenti alla pubblicità) e l'evoluzione successiva è ancora ignota. Ma questo strumento è destinato a restare con noi ancora per molto tempo. E' giusto parlarne e cercare di capire se esiste un modo per esercitarlo al meglio, combinando funzionalità, eticità e bellezza. La presenza di questa wiki e l'amore che certi utenti mostrano per gli spot in questione è la prova che tale connubio non è impossibile.

Per concludere, un messaggio per tutti quelli del fediverso che conoscono il Giappone: sappiate che è in corso da quasi un decennio la caccia ad un vecchio spot sociale dedicato agli incidenti ferroviari. Per maggiori dettagli e per sapere a chi rivolgersi nel caso aveste delle informazioni, eccovi un video esplicativo: https://www.youtube.com/watch?v=6gNK9QhWQ9Q

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

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La favola di Biancaneve (racconto)

“Nonno, mi racconti la fiaba di Biancaneve?” Il nonno, che era intento a spolverare il piccolo altare dove aveva sistemato la foto di sua madre, si voltò stupito verso la nipotina. “Biancaneve? E perché proprio quella fiaba?” “Perché l’ho sentita solo una volta, mentre ero a scuola. In famiglia invece nessuno vuole raccontarla mai. Né la mamma, né il papà, nemmeno gli zii.” “Uff… Diciamo solo che è una fiaba che non ci piace molto, come viene raccontata…” il nonno si concentrò sul piccolo cerbiatto d’argento che faceva parte degli oggetti presenti vicino al ritratto fotografico in bianco e nero. Lucidare bene l’argento era sempre difficile. “Ma perché nonno? È una storia così bella!” protestò la nipotina. Il nonno non rispose. Finito il cerbiatto era passato alle spille con le rose d’oro laccata di smalto rosso. Si ricordava di quando sua madre, ogni mattina, l’appuntava sulle maniche, come fossero gemelli, in modo da lavorare più agevolmente, mentre lavava e cucinava. “Ma almeno la conosci la fiaba nonno?” “Certo che la conosco. Ma visto che a te piace tanto, perché non me la racconti tu?” Il nonno non la guardava, ma la sua voce era calma e dolce. La richiesta stupì la bimba che però si sentì anche eccitata, convinta che era l’unica bambina al mondo a cui un adulto avesse chiesto una fiaba. “Allora! C’è la regina no, la mamma di Biancaneve, che un giorno si punge e vede il sangue nella neve e pensa che le piacerebbe avere una figlia con i capelli come l’ebano e le guance rosse come il sangue…. Anche se ancora non ho capito cos’è l’ebano.” “Oh è un tipo di legno, molto bello, che è scuro da sembrare nero.” “Ah sì? Ah ho capito! Ecco perché stava vicino a una finestra, perché le finestre sono fatte di legno, giusto?” “Sì.” “Ma l’avevo detto che si era punta vicino alla finestra?” “No in realtà. Ma questo dettaglio lo sapevo anch’io.” Il nonno si era seduto e osservava intensamente la foto di sua madre; gli sembrava che il vetro si stesse rovinando. “Comunque, la bambina nasce, la regina muore e il re, il babbo, si risposa. Non ho capito perché i genitori nelle fiabe muoiono sempre!” “Un tempo, non c’era la cura di oggi.” Spiegò calmo il nonno. “E poi non ho neanche capito perché ogni volta che si risposano si scelgono sempre delle persone così cattive! Perché la nuova mamma di Biancaneve è molto cattiva! Tanto che la vuole uccidere! Ma l’uomo che la deve uccidere, un cacciatore, ha pietà per lei e la lascia andare! E da alla regina qualcosa di diverso… Non mi ricordo bene questa parte…” “La regina, in realtà, era la mamma.” Disse il nonno a voce alta mentre rimetteva a posto la foto. La nipote sgranò gli occhi. “Cosa?” “Nella versione che conosco io, è la stessa mamma a voler uccidere Biancaneve.” Mormorò l’uomo andando a sedersi sulla sedia a dondolo vicino al letto della nipotina “E il cacciatore ha ucciso un cerbiatto per salvarla: ha fatto a pezzi la bestiola e ha portato alcuni organi facendoli credere di Biancaneve. Che non era una giovane fanciulla, ma ancora una bambina, poco più grande di te.” La nipote fissò il nonno in cerca di qualche indizio che le dicesse che stava scherzando: un lampo negli occhi, una smorfia sul viso rugoso… Ma non trovò nulla. Il vecchio era serio e calmo mentre continuava a dondolarsi sulla sedia. “Questo rende la fiaba molto triste. Ma sei sicuro che ti hanno raccontato la fiaba giusta nonno?” “Vai avanti a raccontare, vediamo quanta differenza c’è tra la mia versione e la tua.” La nipote si rianimò subito: “Dopo essere scappata nel bosco, Biancaneve finisce a casa di sette nani che lavorano in miniera! E loro la ospitano e la…. Ah mi sono dimenticata perché la mamma… la matrigna la vuole uccidere. È perché uno specchio magico le ha detto che Biancaneve è più bella di lei! E lei è molto gelosa!” “Invidiosa.” La corresse il nonno. La bimba rimase qualche minuto in silenzio. Poi chiese: “Cosa vuol dire?” “Invidiosa, che prova invidia. La gelosia sembra simile ma non lo è. Nella gelosia c’è la paura di essere messi da parte da qualcuno per qualcun altro. È una di quelle che io amo chiamare ‘emozioni sociali’, cioè emozioni che coinvolgono il rapporto con gli altri. L’invidia invece parte sempre da sé stessi, e si prova quando si sente di non avere, o di avere in quantità ridotta, una capacità, una qualità, o anche degli oggetti, come il denaro, per esempio. Parte dal sentirsi inferiori. A quel punto si possono fare due cose: si fa pace con se stessi, guardando al buono che si ha o studiando una strategia per cercare di ottenere quanto ci manca; oppure si cerca di distruggere la persona che ha tale cosa. E la regina della fiaba sceglie questa strada. Per conto mio, con i miei fratelli, ero molto invidioso quando vedevo altri bambini che non erano orfani. Tuttavia, mai mi sarei permesso di uccidere i loro genitori, perché sapevo quanto era doloroso. In compenso, quando mia madre, la tua bisnonna” indicò la foto “ci adottò, ho fatto sempre in modo di essere un figlio di cui potesse andare orgogliosa. Io come i miei fratelli.” La nipote aveva ascoltato attenta le parole del nonno, con gli occhi sgranati e contenti, orgogliosi; le piaceva sentir parlare della bisnonna perché era stata l’unica tra i pronipoti a non averla conosciuta, e da come ne parlavano gli zii, i prozii e i suoi stessi genitori, era stata una figura quasi mitica all’interno della famiglia. “E nella mia versione i nani erano dei bambini.” Proseguì il nonno “perché sai, una volta, e ancora oggi succede in molti posti nel mondo, non era anomalo che i bambini lavorassero in miniera.” La nipote non proseguì la storia. Non si divertiva più a raccontare una fiaba che era così diversa da quella che il nonno ricordava (anche se sapere che i nani erano dei bambini e non dei veri nani le fece quasi piacere, perché pensò che almeno così anche Biancaneve in quanto bambina non si sarebbe sentita così sola). “Senti nonno, nella tua storia il pettine, la cinta e la mela avvelenata ci sono?” “Sì. La mamma di Biancaneve cercò di ucciderla per tre volte e solo alla terza sembrò riuscirci.” “E poi i nani… cioè, i bambini, la misero in una bara di cristallo?” “Erano troppo poveri per poterlo fare. La misero e la vegliarono in una bara aperta in attesa della sepoltura.” “E un principe passò e vedendola bella le diede un bacio e la svegliò?” “No. Un principe, vedendola bella, diede ai bambini tanti soldi per portarla via con la bara.” Seguì una lunga pausa. “Voleva portarla via ancora morta?” “Sì.” “Per farci cosa?” Il nonno non rispose subito. All’improvviso corrugò la fronte, come se fosse preoccupato. Con gentilezza mise una mano sulla spalla della nipote e disse: “Purtroppo alcune cose sono molto difficili da spiegare anche per me. Ti posso solo dire che i bambini lo fecero giurare che non le avrebbe fatto del male, e mai avrebbero accettato quei soldi se non ne avessero avuto bisogno. In più avevano paura che rifiutandola al principe, la loro vita sarebbe stata in pericolo.” “Ma allora Biancaneve come si è svegliata?” “Uno dei servi del principe inciampò e lei rigurgitò la mela avvelenata.” “Nel senso che l’ha vomitata?” “Diciamo… di sì.” La nipote scoppiò a ridere: una principessa che vomitava! Questa sì che era una cosa divertente! “E lo sai che alla fine il principe non lo ha sposato?” La bambina smise di ridere. “No?” “Certo che no! Era talmente arrabbiata del fatto che l’avesse voluta portare via da morta costringendo i bambini a venderla, che lo cacciò via in malo modo. Il principe non voleva fargliela passare liscia, e tornò notte tempo per vendicarsi, non trovandola. Questo perché Biancaneve aveva fatto i bagagli e aveva raggiunto il castello di sua madre, che per anni l’aveva fatta credere al popolo morta per un incidente. Quando la regina, che stava per prendere le complete redini del regno dopo la morte del marito, vide Biancaneve marciare con altri sette bambini verso il palazzo, capì che non solo il suo piano era fallito, ma che probabilmente il popolo avrebbe saputo la verità. Ora qui ho sempre avuto due versioni: la prima è che morì gettandosi direttamente dalla torre, consapevole di essere in trappola; la seconda che prese un arco e si sporse per cercare di mirare a Biancaneve, così facendo cadde giù.” “A noi a scuola hanno detto che al matrimonio di Biancaneve le fecero indossare delle scarpe di ferro incandescenti e così danzò fino alla morte.” Il nonno fissò la bimba: “Ti hanno raccontato tutte le parti edulcorate della fiaba… tranne questa?” “Cosa vuol dire ‘edulcorate’ nonno?” “Ammorbidite, riadattate rendendole meno paurose magari.” “In realtà a me piace di più la tua versione. Tranne che per questa storia della mamma e non matrigna. Ma è bello pensare che Biancaneve sia stata insieme a tanti bambini, e che abbia fatto prendere un bello spavento a quella cattiva! Però poi i bambini li ha adottati?” “Sì, ha preso le redini del regno e ha costretto il principe che la voleva prendere da morta a fare le pubbliche scuse davanti a tutti i regnanti. Da allora ha regnato con tanta saggezza e la sua terra è una delle più belle e avanzate tecnologicamente nel mondo delle fiabe. E lei e i suoi sette figlioli hanno vissuto per sempre felici e contenti.” La bambina sbadigliò, ma era felice. “Nonno perché non volete raccontarla questa fiaba? È così bella! Se questa è la versione che hanno raccontato a voi, è ancora più bella di quella che raccontano a me!” “Non tutte le fiabe fanno piacere, perché in quanto metafore alcune raccontano cose troppo vicine alla realtà, per chi sa leggere tra le righe.” “Cosa significa nonno?” “Non pensi di essere un po’ troppo stanca per stasera? Anche la testa si deve riposare.” La piccola sbuffò e mise sotto le coperte. “Comunque forse ho capito cosa voleva fare il principe con Biancaneve morta.” Il nonno, che le stava rimboccando le coperte, si fermò. Il suo viso rugoso si tese in una espressione preoccupata. “Voleva mangiarla!” esclamò poi la bimba “Voleva metterla in un pentolone e mangiarla, proprio come l’orco di Pollicino.” Il nonno scoppiò in una risata fragorosa e le carezzò la testa. “Questa è una possibilità in effetti. Sì… la si potrebbe anche raccontare così.” “Ha fatto bene a non sposarlo! Perché secondo me era proprio un principe orco!” “Può darsi, piccola mia, può darsi…” “Buonanotte nonno.” Il nonno si chinò e le diede un bacio sulla fronte. “Buonanotte a te, Bianca.” Sussurrò l’anziano mentre lasciava la stanza.

NOTE: Dopo un dialogo avvenuto su livello segreto causato da un mio post sull’adattamento di Biancaneve che voglio fare senza principe e senza nani, ho pensato di scrivere questa storia, nella quale sono racchiuse tante diverse versioni della fiaba, inclusa la mia. Ora è brutto fare a gara a chi è più rivoluzionario, ma se invece di toglierli i personaggi venissero semplicemente risaltati in modo diverso, pensò che una riscrittura di Biancaneve migliore della fiaba originale (che non ho mai realmente sopportato) sia possibile e quasi doverosa. Spero che la mia nel suo piccolo vi sia piaciuta.

Larga la foglia, stretta la via Riscrivetela voi meglio della mia

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio