Oliviabenson2

Spero di lasciarvi, nonostante tutto, un buon ricordo

I privilegi di chi non vota (opinione personale)

Scrivo questo pezzo per log consapevole di aver creato un titolo controverso, quasi clickbait, come che l’opinione inserita all’interno di queste parole va contro quello che è il pensiero di molte persone all’interno della community. Vi dico però subito che non sono qui per proporvi un candidato X (anche se unƏ ci sarebbe, ma ne parlerò con un toot solo dopo aver pubblicato questo pezzo), nè per chiedervi di dare fiducia a un sistema in cui avete i vostri motivi per non credere. Vorrei però suscitare in voi una forma di riflessione e, nel caso, suggerirvi come rendere attivi i vostri non voti. Nel corso della vostra lettura, non leggerete nomi politici. Inoltre, poiché ho inserito nel titolo la parola “privilegi”, mi sembra giusto elencarne quelli che penso siano due che possiedo: il primo è l’essere stata per quasi tre anni scrutatrice di seggio, in un periodo in cui le elezioni erano molto frequenti (da fine 2015 a inizio 2018); lavorare lì mi ha aiutato a capire tante cose sul voto e sulle false credenze che girano attorno allo stesso; ho avuto inoltre la fortuna, durante i miei turni, di avere un presidente di seggio molto molto bravo, sia nell’eseguire il lavoro e spiegare le regole, sia nell’aiutare noi scrutatori a sopportare le nottate. Il secondo privilegio, non banale poiché giustifica in qualche modo questo pezzo è il fatto che ho una persona per cui votare nelle elezioni europee che si svolgeranno questo weekend, nei giorni 8 e 9 giugno 2024, insieme con diverse elezioni comunali e una regionale (quella del Piemonte). La candidata che voglio appoggiare è una persona di fiducia, da anni interna alla politica, che ha dedicato le sue battaglie alla causa dell’handicap. Se oggi nel mio municipio molti portatori di handicap hanno dei buoni servizi, lo si deve proprio a questa signora. Chi conosce la mia situazione personale, può capire perché voterò per lei. Mi trovo quindi ad avere un vantaggio notevole rispetto a tanti elettori: ho qualcuno che so essere capace e veritiero nel suo lavoro da votare e conosco abbastanza le regole da non cadere vittima delle fake news, una su tutte quella che vedrebbe i voti in bianco buttati nel cassonetto. Allora perché parlo del privilegio di chi non vota? E perché secondo me, anche per non votare, sarebbe importante recarsi in cabina elettorale? Partiamo dal principio: il sistema elettorale, che varia da paese a paese e la cui legislazione è soggetta a cambiamenti continui, è il sistema con cui, attraverso l’espressione segreta di un voto, viene data a tutti i cittadini di una certa età (a noi donne è arrivata questa possibilità con un decreto legislativo del 1945, mentre per votare il senato bisogna ancora compiere 25 anni) di scegliere i loro rappresentanti nei palazzi del potere. Questo sistema, che è il primo a cui si pensa quando si nomina la “democrazia”, non è perfetto. Anzi, ha molti problemi: brogli e compravendite di voti sono sfortunatamente altamente possibili. Per il primo, una soluzione che si è trovata, è proprio nell’assunzione degli scrutatori: non devono essere iscritti ad alcun partito né avere condanne penali o civili pendenti; vengono spesso cambiati e a volte convocati solo il giorno prima da una figura giudiziaria (nel mio caso mi è venuto a citofonare un vigile); hanno l’obbligo di restare chiusi all’interno dei seggi finchè tutti i verbali non sono stati firmati e controfirmati, mentre i carabinieri pattugliano i corridoi; e se una scheda, UNA, anche di quelle che non sono state utilizzate per votare (perché vengono sempre consegnate almeno un terzo in più delle schede necessarie) dovesse non risultare nel conteggio finale, il seggio viene posto sotto sequestro e tutti gli scrutatori presenti rischiano una denuncia penale. Nella mia “carriera” ho assistito a uno di questi sequestri, quando gli scrutatori, tutti giovanissimi, hanno abbandonato il seggio lasciando le schede sparse in giro. Non so come siano andata la procedura ma è stato comunque meno interessante di quando due rappresentanti di lista (figure più piantonate di noi) hanno cercato di menarsi. Posso comunque dirvi che oggigiorno i brogli sono fortunatamente più difficili di un tempo, e qualora succedessero, sarebbero in realtà abbastanza facili da beccare. Diversa è la questione del voto di scambio, o compravendita di voto che dir si voglia. Questo tipo di problema affligge molto di più gli Stati Uniti, dove è il candidato con più fondi a riuscire meglio nella sua campagna elettorale. Ma in questo caso, l’antidoto potrebbe essere proprio la non astensione: i soldi non sono infiniti, non sono per tutti. Si può corrompere un numero limitato di persone. Sia chiaro: il voto non garantisce in assoluto la non vittoria del corruttore. Ma anche la presenza di un’opposizione rafforzata, per quanto minoritaria, all’interno del palazzo occupato dal vincitore scorretto, può aiutare nel contenimento dei danni che lo stesso può causare. I due problemi illustrati sono i più famosi, ovviamente ce ne sono molti altri. Il voto non deve essere l’unica espressione democratica, né deve essere visto come la soluzione di tutti i problemi; rimane tuttavia uno strumento da non sottovalutare. La situazione in cui il nostro paese versa attualmente, con una maggioranza eletta con un alto tasso di astensione, sia degli italiani in patria sia di quelli all’estero, ne è la prova.

“Non sono d’accordo, e comunque ancora non capisco come fai a dire che ci non vota è privilegiato!”

Come già detto, era un titolo provocatorio, ma proverò a spiegarti tutto partendo dalla mia situazione: sono tra le persone che non possono permettersi di non votare. La realtà familiare in cui vivo, dove l’handicap è parte della nostra quotidianità, mi permette di cogliere e vedere le differenze tra un governo e l’altro, che per una persona normale passano inosservate. Puoi fare tutto l’attivismo che vuoi (e te ne sono tanto grata), ma certe cose puoi percepirle solo quando sei immerso nella situazione, qualunque essa sia. Un cambio di seggio nel municipio ed ecco che il locale affittato per i laboratori dei sordociechi viene chiuso. Un cambio in regione ed ecco che le gite culturali per l’associazione dei ragazzi autistici vengono ridotte da cinque a due. Un nuovo governo e all’improvviso la sedia a rotelle non la puoi più chiedere gratuita alla ASL… E chissà quante altre situazioni ci sono, che anche gli “attivisti” e io sottoscritta ignoriamo beatamente; chissà quante realtà vengono colpite. Ma non perché siamo cattivi, o stupidi, o poco attenti. Ma solo perché certi panni sono impossibili da indossare anche nella finzione, anche con l’empatia. Per me, un voto fa la differenza. Eccome. E credo sia una cosa che sempre più persone stiano percependo (abbiamo avuto bisogno di questo governo per capirlo), perché tutti gli attivisti, gruppi o singoli, che seguo stanno iniziando a manifestare e condividere questa necessità di una votazione. Chi invece è più protetto, questa necessità non può sentirla. Non può vedere le differenze.

“Non sarò portatore di handicap, ma non mi sento certo un privilegiato!”

Probabilmente non lo sei su tanti fronti. Il pericolo di parlare del privilegio come concetto è proprio questo: quale è veramente un privilegio? Allora proviamo a lasciare il concetto di “privilegio” da parte e parlare del perché non si vota. Sicuramente non è perché l’ha chiesto il Papa. Perché sì, il Papa al momento dell’unità d’Italia, quando iniziarono le prime elezioni a suffragio limitato, invitò i cattolici al “non expedit”, ovvero al non esprimere un parere, poiché egli non riconosceva il Regno d’Italia come tale. Eppure è evidente che c’è una forma di non riconoscimento e soprattutto di mancanza di fiducia, e non è biasimabile: in questo mondo sono poche le persone, i partiti, le realtà istituzionali di qualsiasi tipo che sono degne di fiducia. Il sistema non ha costruito il mondo che ci era stato promesso e quindi ora non vogliamo più riconoscerlo. È umano, non è nulla di originale. È già capitato nella storia e ha sempre portato, in modi diversi, a dei cambiamenti.

“E allora io aspetto il cambiamento! È molto sciocco pensare che un cambiamento avvenga con un vecchio strumento è stupido!”

Certo. C’è del vero. Ma in mancanza di uno strumento nuovo, rischiamo anche di perdere quel poco che abbiamo a disposizione. Immagina di essere costretto da qualcuno a scavare con un piccone rotto. Immagina di gettare quel piccone a terra e di dire che non scaverai finchè non avrai un piccone nuovo. Immagina che chi ti ha costretto a scavare raccolga il piccone e dica “ok, tornerò con un piccone nuovo.” E poi non torna più. Non mi stupirebbe se qualcuno della nostra attuale legislazione, vedendo l’alta astensione, se ne uscisse con la possibilità di togliere il voto a parte della popolazione. Se poi vogliamo citare la frase “se votare cambiasse qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”, che purtroppo anch’io ho erroneamente attribuito a Mark Twain, ma in verità era di Lowell Sun, sappiate che ad esempio diversi stati repubblicani americani, stanno rendendo molto più difficile votare per tutti (ed era già capitato nelle elezioni precedenti; ecco un articolo che spiega le nuove restrizioni: https://fivethirtyeight.com/features/16-states-made-it-harder-to-vote-this-year-but-26-made-it-easier/ ). No, c’è una gran paura del voto. Ecco perché le campagne elettorali sono così feroci, ecco perché l’astensione non viene mai accennata da alcun politico vincitore.

“Comunque io non ho nessuno per cui votare!”

E allora va a non votare. Esprimi il tuo dissenso anche con la scheda elettorale annullata (o bianca, perché no, non le buttano nel cassonetto).

“Non cambierebbe nulla!”

Non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché ancora non c’è stata un’elezione con una maggioranza di schede nulle. I commentatori amano affidarsi al “la gente se n’è andata al mare”. Se invece tutti andassero a non votare, i commenti probabilmente sarebbero diversi. Sarebbe come presentarsi alla festa di compleanno di una persona a noi antipatica, mangiare la torta, e dirle poi che non abbiamo portato il regalo. Oppure consegnare il compito del professore più odioso con la scritta “lei è uno stronzo”. Siete non-binary, a-gender, transgender ancora con i documenti del nome estinto e vi dà fastidio essere nella lista che non corrisponde al vostro genere di appartenenza e non avete nessuno che vi ha promesso un qualche cambiamento? Andate a scrivere sulla scheda la vostra protesta. Odiate questo governo ma non avete alternativa e non volete fare un voto “meno peggio”? Andate a scriverlo sulla scheda. Anche se io ho una candidata, suggerirei a tutti di provare questa operazione di presentarsi e non votare solo per vedere poi la faccia dei commentatori costretti a dire che il 90%-80%-60% delle schede sono nulle. Che la gente si è alzata, si è vestita, è andata in seggio e ha espresso il suo senso di schifo e sfiducia usando uno strumento. Non è andata al mare. È andata a non votare. Da scrutatrice ricordo con un certo affetto le schede annullate. Oltre a bestemmie (che noi dicevamo essere state scritte dalle suore del convento a cui era legato il nostro seggio) e alle parolacce, ho visto: – Una citazione di Socrate – Una citazione di Totò – Il disegno di un fiore – Il disegno di un orsetto Sappiate dunque che se lo farete renderete interessante l’esperienza anche per chi è lì a lavorare.

Questo che avete letto è un pezzo che ho scritto e pubblicato tra il 6 e il 7 giugno del 2024. È un’opinione personale, volta a creare una riflessione. Non è compito mio costringere qualcuno ad avere fiducia nelle istituzioni. E potrebbe darsi che un giorno, anch’io, possa prendere la decisione di non recarmi alle urne. Non lo escludo semplicemente perché nella vita mi sono capitate talmente tante cose contrastanti e sono stata portata o costretta a decisioni così diverse tra loro, che non voglio precludere questa probabilità. Però, credo che non succederà, perché a mie spese ho capito che anche quando ti viene dato uno strumento rotto, è bene usarlo. È meglio cercare di spaccare la pietra col piccone scassato, che smettere di lottare. Non ho ancora trovato qualcosa di alternativo al voto, o comunque non lo riconosco nel no expedit che molti vantano di esprimere fuori dalla cabina. E so che il voto non basta. La lotta è anche fuori dal periodo elettorale, giorno per giorno, nelle proteste fuori dal centro chiuso, nell’organizzazioni di gite con collette private e collettive, nell’inviare alla ASL 100 mail al giorno per chiedere almeno uno sconto sulla sedia a rotelle… Verrà un giorno in cui esisterà un metodo diverso. In cui il concetto di voto sarà obsoleto. Nell’attesa, invito tutti a usare questo piccone anche solo per colpire (METAFORA EH!) chi ce lo ha messo in mano sapendolo rotto. Buon voto a tutti.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio

Gli XFiles di Cabot Cove – Parte 4

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la quarta parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

Parte 3: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-3-racconto-fanfiction

Scese le scale nel buio e andò verso la cucina dove si prese un bicchiere d’acqua. Sul tavolo c’erano i resti della “cena fredda” che Jessica Flatcher aveva preparato e consumato insieme a loro: sandwich ripieni e succo d’arancia, seguiti da una fetta di una torta fatta in casa di cui aveva spiegato per filo e per segno la ricetta. Era stata una cena veloce, che Mulder aveva consumato in silenzio, ascoltando le chiacchiere della scrittrice che sembrava ricordare ogni singola tempesta avvenuta a Cabot Cove; Dana aveva preso la parola più volte, ma solo per fare qualche domanda pertinente o raccontare anche lei qualche episodio inerente il brutto tempo. Fuori la pioggia ancora cadeva forte, ma almeno non si sentivano più i tuoni. Forse anche per questo, all’improvviso la luce ritornò. Cucina e salotto si illuminarono e Fox Mulder si sentì all’improvviso molto più calmo. “Adesso esplorare la casa sarà semplice.” Diede un’ultima occhiata indagatrice alla cucina e sbirciò sia nella credenza che nell’armadietto sotto al lavandino. Ma non trovò nulla. Nulla di sospetto almeno. La lampadina sfarfallò un po' e così l’uomo decise di prendere la scatola di fiammiferi e portarsi appresso il candelabro. Tornò così nel salone: il camino ormai era spento e solo delle brillanti braci rosse in mezzo alla cenere nera confermavano l’esistenza del fuoco. Fox osservò nuovamente la caotica biblioteca della signora Fletcher e solo allora notò una foto incorniciata: la donna era evidentemente Jessica da giovane e come aveva immaginato, era molto bella; l’uomo invece era probabilmente suo marito, il fu Frank Fletcher. Era una foto in bianco e nero e vedeva i due in una posa da ballo ma con lo sguardo al fotografo. Sentì un fruscio e percepì con la coda dell’occhio un movimento: alzando lo sguardo vide la padrona di casa che arrivava dal buio delle scale e sobbalzò. Anche la donna fu spaventata e lanciò un piccolo urlo seguito da una risatina allegra. “Ahaha! Mi ha spaventata agente Mulder! Mi scusi, non pensavo fosse qui!” Mulder, che si era teso e ancora teneva in mano la foto, cercò la scusa più rapida: “Mi scusi… Non riuscivo a dormire, sono venuto a prendere un libro e… e all’improvviso la luce è tornata.” “Sì per fortuna. Ero venuta giù proprio per spegnerle e per provare a chiamare lo sceriffo… Però la pioggia ancora molta vedo…” disse la signora Fletcher avvicinandosi alla finestra. La signora Fletcher, che indossava una lunga vestaglia chiara, ricordò a Mulder l’immagine della copertina di un libro di fiabe che aveva da bambino: una nonna vestita di bianco, seduta a leggere un libro a tanti bambini. Nulla di minaccioso. Quando la donna si voltò verso di lui scrutò la mano che teneva la fotografia. Fox gliela porse subito: “Non ho potuto farne a meno. È una bellissima foto.” La signora Fletcher la prese in mano e la osservò sorridendo teneramente: “La mia prima foto con Frank… ci eravamo conosciuti da una settimana quando è stata scattata. Pensi” si sedette sul divano e Fox con lei “che credevo di averla persa. E invece, mettendo a posto delle scartoffie qualche settimana fa, l’ho ritrovata! È stato bellissimo riaverla tra le mani! Qui eravamo all’Appleton Theater, dove ai tempi lavoravo per mantenere i miei studi e farmi le ossa. Mi sarebbe piaciuto diventare giornalista, ma… alla fine ho seguito un’altra strada.” “Mi sembra una strada migliore…” disse Mulder. “Sicuramente lo è stata al fianco di Frank.” Jessica Fletcher appoggiò la foto sul tavolino di fronte a loro e sospirò. Mulder continuava ad osservarla, in cerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione: un’espressione, un cenno, un difetto del viso che confermassero qualche presenza o coscienza negativa nella donna. Eppure, non la trovava. A parte il lampo di rabbia mostrato dopo l’accenno alla sua continua presenza in casi di omicidio, Jessica Fletcher sembrava un essere incapace di sentimenti negativi. Anche in quel momento, mentre osservava la foto di lei e del marito, sembrava più persa nella nostalgia e nella commozione, che nella disperazione. Gli occhi azzurri della donna si erano fatti lucidi e sopra uno di essi, dove si stava formando una lacrima, vi passo il dorso della mano per asciugarla. “Le chiedo scusa…” “Non si preoccupi, signora Fletcher.” “Posso farle una domanda?” Mulder fu colto di sorpresa, ma dopo quella conversazione, sentì di non potersi rifiutare: “Ma certo…” “Non ho capito esattamente qual è il vostro ruolo nell’FBI.” Fox Mulder si era preparato a una domanda del genere: “Io e la mia collega Scully siamo agenti speciali, lei è nel ramo della medicina forense, io sono più per l’azione e la burocrazia.” “Agenti speciali, ha detto?” “Esattamente. E non posso fornire altre informazioni.” La signora Fletcher apparve confusa. Si portò una mano sotto il mento e assunse un’aria pensierosa. “Qualcosa non va?” “Non riesco ancora a capire perchè per una comunicazione come quella che mi avete portato siate dovuti venire proprio voi dell’FBI.” Mulder si era preparato anche quella risposta: “Non c’è nessun motivo in particolare signora, se non che durante una nostra raccolta di dati il suo nome è venuto fuori più e più volte. Sa, una volta è un caso, due volte una coincidenza, tre volte un indizio… o non è questo il proverbio dei gialli?” La signora Fletcher rise: “Ho sentito qualcosa del genere, ma non è il proverbio dei gialli! Ma… Avete davvero letto tutti i miei libri in quattro giorni?” “Sì. Ero molto… molto curioso.” “Mi lasci indovinare: voleva vedere se mi ero ispirata a qualcuno dei casi in cui sono rimasta coinvolta, per scrivere i miei romanzi.” Mulder non se lo aspettava, così come non si aspettava che gli occhi della donna, ora socchiusi, potessero emanare una luce di furbizia e soddisfazione così forte. Perché sì, aveva fatto centro, anche se non era l’ispirazione che lui era andato a cercare. “Ammetto che ho avuto una curiosità simile.” Replicò l’agente cercando di non scomporsi. “Oh, le posso assicurare che faccio del mio meglio per tenere separate realtà e fantasia. Anche se ammetto che sì, una volta, con il mio romanzo ‘Il latitante’ sono andata molto vicina alla realtà, senza volerlo fare davvero. E ho così inavvertitamente risolto un omicidio!” Mulder chiuse gli occhi e ripassò a mente le informazioni acquisite sulla signora in quei giorni: “Ah sì! Il caso Navarro (1)! Sì avevo letto parti del fascicolo! E dire che tra i suoi romanzi è quello che mi è piaciuto meno.” La signora Fletcher parve restarci male, ma poi fece le spallucce. “Non volevo dire che era brutto!” si affrettò a dire Mulder “Ma solo che non è stato il mio preferito!” “Oh, c’è chi considera tutti i miei libri spazzatura. E non posso biasimare questo giudizio: anche io che ho studiato e amato tanto la narrativa, riconosco nella letteratura di genere una componente commerciale e di bassa categoria. Non è poesia, non è Shakespear. È un romanzo giallo, oppure un noir, o una storia poliziesca… e non deve piacere a tutti. Però le dirò, quando scrivo mi piace molto immaginare quello che può succedere e soprattutto come rovesciare le situazioni. E voglio che tutto sia preciso, chiaro, comprensibile… voglio che i miei lettori si divertano e che amino le mie trame proprio come le ho amate io mentre scrivevo.” Mulder annuì: “Immagino dunque… che anche partecipare a un caso vero possa essere d’aiuto da un certo punto di vista…” Jessica Fletcher parve seccata: “Agente Mulder, le posso assicurare che la mia presenza in così tanti casi di omicidio è solo una coincidenza.” “Io non credo alle coincidenze, signora Fletcher.” Un lampo esplose all’esterno, illuminando per un attimo l’intera casa e le stanze ancora avvolte nel buio. Il tuono però non si udì subito. Esplose dopo alcuni secondi. Segno che anche se ancora pioveva, almeno i fulmini era ormai lontani dalla casa. “In che senso non crede alle coincidenze, signor Mulder?” domandò la signora Fletcher, che però aveva aspettato pazientemente l’esplosione del tuono. “Spesso, quelle che noi chiamiamo coincidenze, non lo sono. Spesso c’è una spiegazione razionale…oppure incredibile, ma comunque slegata dal nostro concetto di ‘caso’. Spesso le cose accadono perché c’è… qualcosa che le ha fatte accadere. E lei stessa, signora Fletcher, mi scusi se mi permetto, ma ha saputo abilmente utilizzare la sua razionalità per dimostrare che certi eventi non erano semplice coincidenze ma prove importanti.” “Quindi lei pensa che io vada a cercarmi gli omicidi in giro per il mondo?” “Non ho modo di comprovare una cosa del genere… ma sono un uomo che non si ferma al concetto di coincidenza… Sono un agente dell’FBI e ne ho viste tante di coincidenze che non erano tali. Non ce l’ho con lei, signora; ma mi conceda il sospetto.” Questa volta, la signora sembrò accogliere meglio quell’accusa. Non si arrabbiò, ma rimase seduta in silenzio con aria pensierosa. Poi si alzò e disse solennemente all’agente, fissandolo negli occhi: “Signor Mulder, credo che lei almeno in parte abbia ragione. È vero, sono una persona che si fa coinvolgere facilmente. Ma le posso assicurare che lo faccio sempre a fin di bene.” “Non ho mai messo in dubbio la sua etica.” Mulder si sentiva sempre più imbarazzato. Sembrava impossibile spiegare la sua teoria senza nominarla esplicitamente, ma se lo avesse fatto… sapeva benissimo quali sarebbero state le conseguenze. In quella missione non era solo: c’era anche Scully e un capo che gli aveva dato degli ordini precisi. In più, c’era un problema ancora più grande che lo metteva in una posizione scomoda: più stava vicino a quella signora e più non riusciva a trovare in lei nulla di negativo. Se non fosse stata circondata da tutti quei casi di omicidio, sarebbe sembrata semplicemente una simpatica nonnina del Maine, abile nel raccontare storie sanguinose, ma anche nello sfornare dolci e fare conversazioni amabili e interessanti. “E sì… ammetto che… ci sono state delle volte in cui… ho messo a rischio molte persone, inclusa me stessa. E le dirò… mi sono quasi abituata a questo continuo coinvolgimento. Tanto che quando avete detto che gli omicidi sono centinaia, mi sono seriamente preoccupata. Solo che, ammetto che non saprei in che modo intervenire su questa coincidenza.” Sembrava veramente dispiaciuta mentre lo diceva. Mulder cominciava a sentirsi in imbarazzo. Cosa poteva dire alla signora dopotutto? “Resti a casa e non si muova più perché è evidente che ovunque va, la morte la segue.”? Sembrava assurdo anche a lui dirsi quelle parole nella testa. “Non posso fare altro che promettere a lei e alla sua collega di non farmi più coinvolgere in alcun modo, sia che mi sia richiesto o che mi trovi nel luogo per caso.” Proseguì la scrittrice sospirando “Certo, sarebbe brutto se poi per una mia mancanza una persona innocente finisse in galera… però, credo che sia la cosa migliore e anche la più semplice. Dopotutto gli omicidi non vengono certo a bussare alla mia porta.” Fu allora si sentì bussare alla porta. Colpi veloci e forti. “Oh cielo! E chi è adesso!?” esclamò la signora Fletcher avviandosi alla porta. Colto da un brutto presentimento, Fox Mulder la seguì. Quando la donna spalancò la porta, davanti a loro comparve Michael Sting, che però non indossava il cappuccio del suo impermeabile giallo a strisce nere. Il volto fradicio dell’uomo era stranamente gonfio. Fece un passo avanti ed emise un rantolo prima di cadere in avanti, rivelando un pugnale infilzato nella schiena.

(1) Riferimento all’episodio “Il Latitante” della decima stagione de “La signora in giallo”, dove Jessica Fletcher viene accusata di calunnia da un ex-galeotto per alcune scelte narrative del suo nuovo romanzo.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Vi presento “L'uomo vascello” (Autopromozione)

Pochi mesi fa, mentre ero in attesa di concludere il mio percorso universitario, stavo pensando di smettere per sempre con la scrittura. Avevo completato la tesi, ero in attesa delle ultime correzioni e del completamento delle pratiche burocratiche. Avevo fatto tutto il dovuto e dovevo aspettare i “comodi” degli altri. Nel frattempo due cose erano successe: avevo chiuso un rapporto con un editore che si era rimangiato delle promesse e stavo osservando dei movimenti nel mondo dell’editoria che non mi piacevano. C’erano anche altri problemi (alcuni ancora presenti), ma non starò qui ad elencarli anche perché non riguardavano strettamente la scrittura. La cosa che più mi dava fastidio era il senso di totale passività che provavo in quel momento, perché nonostante io avessi fatto il mio dovere, c’erano altre cose che dovevano muoversi e io non potevo contribuire al loro movimento: l’università e i miei relatori agivano indipendentemente da me e se per un qualsiasi motivo ci fosse stata una decisione opposta da parte di una di queste “entità”, un ritardo o anche solo un errore, io rischiavo di dover rimandare ulteriormente la tesi, prolungando l’attesa di altri mesi e costandomi anche a livello economico. La stanchezza mentale di quelle giornate mi rendeva difficile scrivere qualsiasi cosa, perfino il mio diario e anche questo mi faceva pensare che forse non dovevo più toccare una penna. Avevo fatto inoltre dei colloqui di lavoro abbastanza disastrosi con delle redazioni/case editrici. In questa situazione di profondo sconforto, un personaggio prese forma nella mia testa. In realtà, lo avevo conosciuto un po' di tempo prima, ma non avevo mai avuto di approfondirlo. Ho già raccontato (qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/se-non-fossi-corrotta-non-esisterebbe-in-difesa-di-nikita-personaggio ) che spesso i personaggi si mostrano a me come fossero persone vere. Non posso parlare realmente di processo creativo, perché a volte mi sembra che siano più loro a raccontarmi la loro storia che il contrario. Mi piace in questo senso immaginare che la mia testa sia una specie di bar, dove pensieri/idee diverse, assunta una forma personificata, si incontrano e iniziano a parlare tra loro o direttamente a me, la barista. Se poi la storia che raccontano mi piace, decido di mettermi al lavoro sulla stessa e allora inizia un processo di confronto diverso. Se invece la storia non mi convince o non posso lavorarci, i personaggi non vanno via. Restano nel bar “a disposizione”, come attori in attesa del loro turno sul palcoscenico. Questo personaggio apparteneva alla seconda categoria. Di genere maschile, ma senza nome, era uno degli esseri più passivi che avessi mai creato/incontrato. Una volta mi ero domandata se fosse effettivamente possibile raccontar la storia di qualcuno totalmente passivo e lui si era presentato rispondendomi di sì. Non ha mai avuto un nome proprio, alla fine l’ho nominato: l’uomo vascello. Faccio però fatica a identificarlo come un essere umano: è infatti un essere profondamente odioso, nei modi e nei pensieri, come nelle poche azioni che svolge; vede gli altri come un problema, nel peggiore dei casi; nel migliore, diventano uno strumento che usa con il fine egoistico di concedersi un po' di piacere fisico o mentale; chi legge la sua storia può erroneamente vederlo come un personaggio bisessuale, ma la verità è che non ha mai avuto preferenze particolari, o comunque non le ha mai indagate; non è in grado di amare le altre persone, in nessuna circostanza. Non mi piaceva, per questo non avevo mai raccontato la sua storia: era un essere intelligente e lucido ma mentalmente immobile, in balia di eventi abbastanza terribili da cui però traeva segretamente un senso di controllo e potere sugli altri. Questa cosa a me personalmente dava molto fastidio, ma in quel periodo di profondo dolore, era l’unico personaggio che sembrava mostrare al meglio quello che era il mio senso di attesa e frustrazione profonda. Anche se, mentre per me la stessa si trasformava in notti insonni o popolate da incubi e giornate passate seduta al PC a ricaricare la casella di mail universitarie, per lui la sofferenza fisica e l’insonnia erano una cosa di rutine, l’attesa e la costrizione all’essere alle dipendenze degli altri custodivano la promessa di un potere più grande. Quando lessi della chiamata narrativa della rivista “Il lettore di fantasia” (Per la rivista: https://www.illettoredifantasia.it/ Per il bando della chiamata narrativa: https://mailchi.mp/b5e292a4f409/call23inv ), volevo partecipare ma l’unica cosa che avevo in testa era la storia, da raccontare in prima persona, di questo gigantesco str0nz0, questo “vascello” carico di veleno e cattiveria. Alla fine, qualche giorno dopo il completamento delle ultime pratiche e la conferma che sì, mi sarei laureata, ma ancora non si sapeva in quale giornata, decisi di mettermi a scrivere di quest’uomo orribile, se non altro nella speranza che mi avrebbe lasciata in pace. Né uscì fuori un racconto horror con elementi che rimandavano al mondo lovercraftiano che intitolai appunto “L’uomo vascello”. Non riuscivo ad amare quello che avevo tirato fuori, rileggere il racconto mi aveva quasi spaventata: c’era sofferenza, rassegnazione, rancore, cattiveria… neanche un’ombra di sentimenti positivi. Anche il titolo mi pareva brutto, mi immaginavo chi lavorava in redazione leggere “L’uomo vascello” e scoppiare a ridere per l’imbarazzo della bruttezza di un titolo così. Stavo anche pensando di non mandarglielo, per non fargli perdere tempo. Stavano partecipando in tanti, più qualificati di me sicuramente, mi dicevo, poi io stavo pure pensando di lasciar perdere la scrittura quindi non aveva nemmeno tanto senso partecipare; ma ormai avevo completato il lavoro. Ci avevo impiegato circa due giorni (notti incluse) e mi sarebbe dispiaciuto non provarci nemmeno, anche se ero sicurissima che non sarebbe andato. Dopo un ultimo editing, inviai il racconto. Non lo dissi a nessuno, o forse accennai qualcosa, ma ero talmente sicura che quello sarebbe stato il mio ultimo racconto che non feci troppa pubblicità sulla mia partecipazione. Passarono le settimane, mi laureai, passai delle feste serene e ripresi un po' la scrittura (a mano) e quasi mi dimenticai di quel mostruoso personaggio che aveva infestato la mia mente per un tempo che a me sembrava infinito. Il 7 gennaio del 2024 però ricevetti una mail: il mio racconto avrebbe fatto parte dell’antologia. E avrei anche ricevuto un compenso! La redazione del “Lettore di Fantasia” è stata molto professionale nello svolgimento di tutto il processo: dal bando, al contratto, all’editing dell’ebook (dove se troverete delle stranezze è solo per via dell’impaginazione dello stesso) e ha reso noi autori partecipi di tutto, rispondendo sempre e in modo professionale a ogni domanda posta e hanno regalato una copia dell’antologia a tutti gli iscritti al loro patreon. Ma le storie non possono restare una cosa d’élite. È con grande piacere dunque che vi annuncio l’uscita dell’antologia su Amazon, dove può essere ora acquistata: https://www.amazon.it/dp/B0CVNLVTX1 Comprandola sosterrete tanto la realtà de “Il lettore di fantasia”, quanto me e tutti gli altri autori che vi hanno partecipato. Oltre al mio “vascello”, infatti, troverete tanti altri personaggi con le loro avventure. Inutile poi dire i risvolti che questa avventura mi ha portato: ho deciso alla fine di non smettere di scrivere e di continuare a provarci. “L’uomo vascello” mi ha dimostrato che anche se un lavoro può non essere propriamente “bello e buono”, può comunque riuscire ancora a trasmettere qualcosa a chi lo legge. Abbastanza da essere accettato a fianco di altri lavori (belli).

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 3 – (Racconto-Fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la terza parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

L’abbondante riserva di candele che la signora Fletcher aveva in casa, venne giustificata dalla stessa signora: “Capita spesso, durante le tempeste, che la luce vada via. Anche per questo quando sono qui preferisco la macchina da scrivere al computer.” Mulder, che non aveva ancora perso il pallore acquisito alla notizia dell’ennesimo lutto che faceva parte della vita della Fletcher, stava in piedi vicino a lei, illuminando con la candela il telefono che però si rivelò presto anch’esso fuori uso. “Avevamo separato l’attacco del telefono apposta… Tutto inutile…” Mormorò la signora Fletcher poi prese dalle mani di Mulder la candela “Beh, torniamo in cucina, in fondo manca ancora molto all’ultimo autobus. Magari poi la pioggia smette… Ma lei è pallido come un lenzuolo! Venga si metta a sedere!” “Sto bene, sto bene….” Mulder indietreggiò terrorizzato dall’idea di essere toccato dalla signora Fletcher. Dana intervenne subito, aiutandolo a sedersi. Poi si avvicinò alla Fletcher e sussurrò: “Io e il mio collega abbiamo dovuto affrontare un caso molto importante di recente… c’erano di mezzo dei bambini.” (1) “Ah…” La signora Fletcher fece un piccolo cenno con il capo. “Questo è il nostro primo incarico dopo la licenza. Dobbiamo ancora riabituarci. Il pensiero di un ragazzo senza genitori deve avergli riportato alla memoria quanto abbiamo visto…” “Capisco… Ho una camera per gli ospiti, vuole portarlo lei a stendersi lì?” “No, signora Fletcher, ma apprezzo il pensiero. Vorrei chiederle però di preparare, se riesce, un caffè caldo. Lo calmerà di sicuro. Io lo porto di là in salone e provo a parlargli.” “Va bene.” Dana prese un piccolo candelabro a tre manici e poi fece un cenno a Mulder di andare verso il salotto. Lui, sempre pallido, la seguì senza fare storie. Anche quando si sedettero sul comodo divano, davanti al camino ancora acceso e rumoreggiante a causa delle goccioline che superavano, spinte dal vento, la copertura del comignolo, l’uomo non potè fare a meno di girare la testa verso la porta della cucina, osservandola preoccupato. “Qui non può sentirci.” Sussurrò Dana con tono severo. “La morte circonda quella donna…” mormorò Mulder. “La morte circonda tutti noi! Non puoi comparare dei lutti personali a degli omicidi!” “Omicidi nei quali lei è sempre presente.” “Quanti omicidi vengono commessi in tutto il mondo ogni giorno?” “In quanti di questi omicidi si ritrova sempre la stessa persona coinvolta?” Il bagliore della candela proveniente dalla cucina si fece più vivido. “Sssh! Eccola!” E infatti la signora Fletcher comparve con un sorriso e una tazza di caffè fumante in mano. “Mi sono permessa, signor Mulder, di aggiungere del miele, che non viene mai messo nel caffè ma le assicuro che fa un effetto strepitoso!” disse con un tono allegro ma dolce, che ricordava proprio quello di una nonna che porta ai nipoti una merenda “Questo miele è di Cabot Cove, lo produce il signor Sting che è venuto qui apposta per fare l’apicoltore!” “Un apicoltore di nome Sting?” domandò incredulo Mulder. Anche Scully si sorprese. “Oh! Ci scherza sempre anche lui!” (2) disse la signora Fletcher “Ne vuole una anche lei?” “No grazie.” Rispose Dana. “Signora Fletcher… Vorrei farle una domanda che spero lei prenda nel migliore dei modi, perché mi rendo conto che può sembrare un’accusa.” Fece Mulder tutto d’un fiato mentre con la mano tremante prendeva in mano la tazza “Ma lei si è mai domandata come mai finisce sempre coinvolta in casi di omicidio?” La domanda colse evidentemente di sorpresa la scrittrice. Lei rimase con lo sguardo vuoto e gli occhi spalancati per diversi secondi prima di allargare le braccia in un plateale gesto di confusa rassegnazione: “Non lo so e ammetto che non mi sono posta troppe domande. C’è una mia certa inclinazione alla curiosità… Che sicuramente ha un ruolo. Però ho smesso di domandarmelo più o meno dopo il terzo caso che mi sono ritrovata ad affrontare… Tuttavia ci tengo a dirvi, per ricollegarmi anche a quello che mi avete detto voi prima, che il più delle volte non sono io a trovare gli omicidi, ma sono gli omicidi che trovano me.” Mulder, che ancora non aveva avuto il coraggio di bere, fissò intensamente la donna: “E la cosa non la infastidisce?” “Non mi rende felice, se è questo che vuole sapere.” Il tono della Fletcher si incrinò per la prima volta da che erano entrati in casa sua: non più calmo, accogliente, simpatico, ma piccato e deciso. Anche gli occhi, illuminati dalla calda luce della fiammella, brillarono per un attimo di quella che pareva una rabbia autentica. Mulder annuì e si prese un lungo sorso di caffè: “Il suo caffè è ottimo… e il miele ci sta molto bene. Non volevo offenderla. Mi scusi.” La signora Fletcher annuì e sembrò quasi rattristarsi, come pentita di quel breve momento di furia: “Dovete scusarmi voi: io capisco il vostro lavoro e il vostro avviso lo prendo molto sul serio.” Poggiò la sua candela sul tavolino e si sedette in poltrona, dirimpetto a loro. Rimasero tutti e tre in silenzio, ad ascoltare il fruscio della pioggia, il crepitare del fuoco e i lenti sorsi di Mulder. Dana lo osservava cercando di capire se almeno quello scambio di battute avesse effettivamente calmato la sua tensione, o se invece ne aveva solo generata dell’altra. Jessica Fletcher, invece, scrutava la finestra ed era evidentemente preoccupata. Fuori, le gocce di pioggia erano così intense che rendevano invisibile la strada. Li riscosse un improvviso rumore: qualcuno che bussava alla porta. “Con questo tempo!? E chi può essere!?” Jessica Fletcher prese la candela, si alzò e andò ad aprire. Fecero ingresso due uomini con in mano delle torce elettriche: uno piuttosto imponente nell’aspetto, coperto da un impermeabile grondante di colore verde scuro. L’altro magrissimo, con un impermeabile giallo a strisce nere. “Oh Seth! E Michael Sting! Cosa ci fate qui?” “Sting l’apicoltore?” domandò Mulder. “Affermativo!” rispose allegramente l’uomo con l’impermeabile giallo a strisce nere alzando il braccio “Con chi ho il piacere di parlare?” Mulder non rispose subito, perché affondò la testa fra le mani, dopo aver poggiato la tazza ormai vuota. E Dana, questa volta, non lo biasimò: perché anche lei cominciava a infastidirsi di tutte quelle coincidenze. “Jessica ti abbiamo disturbata?” L’uomo dalla stazza imponente si era tolto il cappuccio, rivelando un volto anziano, ma paffuto, con due occhiali in montatura nera. “No Seth, non preoccuparti, questi signori sono…” “FBI” intervenne Dana alzandosi “in visita alla signora per un problema di statistiche. Sono Dana Scully, lui è il mio collega, Fox Mulder.” “Seth Hazlitt, medico della città. Piacere…” strinse la mano di Dana chinando rispettosamente la testa. Non sembrava né sorpreso né allarmato dalla loro presenza in casa di Jessica. “Michael Sting! Apicoltore!” il magrissimo Sting si esibì in un baciamano piuttosto goffo “Jessica ora lavori anche per l’FBI?” Jessica rise: “No, ovviamente no.” “Anche…” mormorò Mulder che era rimasto seduto. “Non siamo qui per… o meglio siamo qui per lavoro ma non per chiedere alla signora una collaborazione. Comunque abbiamo finito e vorremmo ripartire con il prossimo autobus.” “Lei deve essere pazza!” esclamò senza esitazione Seth Haztlitt “Nemmeno un carro armato potrebbe girare con un tempo del genere!” “Ma… Noi dobbiamo tornare…” “É fuori discussione signora, anzi, io sono qui proprio per questo: volevo verificare se avevate bisogno di qualcosa; mezza città è senza elettricità, e l’altra metà ha le cantine allagate. Per questo sono con il signor Sting: stiamo portando degli attrezzi in città!” “Santo cielo!” esclamò Jessica. “Invito tutti voi a non uscire di casa.” “Ma noi dobbiamo tornare a Washington!” protestò Dana. “Domani. O dopodomani. Non dovete muovervi da qui finchè la tempesta non sarà finita.” Insistette il dottor Hastlitt. “Potete dormire nella mia stanza. Ha un solo letto, un matrimoniale, ma se vi accontentate potete restare, mentre io andrò nella camera degli ospiti…” disse Jessica Fletcher. Dana si voltò verso Fox e i due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa. “Direi che per una sera non è poi una brutta idea…” disse allora Fox, ma la voce era chiaramente nervosa. “Molto bene. Jessica, se succede qualcosa, qualunque cosa, chiamami al cerca persone. In quanto a voi signori, volete che porti un messaggio allo sceriffo da parte vostra?” “Come fa a sapere che abbiamo parlato con lo sceriffo? Lo ha intuito forse?” Pensò Fox Mulder. Ma non lo chiese ad alta voce, anche perché Dana stava già parlando: “Sì per favore: gli dica di mettersi in contatto con il nostro superiore e di informarlo della situazione.” “E per favore, Seth, se trovi dei ricambi per questi signori, portali. Anche se spero che si tratti solo di una nottata…” “Signora Fletcher non dovete…” “Molto bene. Noi ora andiamo, ma non esitate a contattarci. Jessica, signori, buonanotte.” Disse il dottor Hazlitt. “Buonanotte a tutti!” esclamò Michael Sting baciando di nuovo la mano di Dana. Fox si limitò a fare un cenno restando seduto.

Era una bella stanza la camera degli ospiti della signora Fletcher. Fox si prese il suo lato del letto, si sedette e rimase immobile, mentre Dana si sistemava come poteva. “Queste lenzuola pulite profumano come quelle della casa di nonna.” Disse la donna. Forse voleva cercare di sdrammatizzare. Ma non funzionò. Fox rimase dritto seduto sul letto, immobile. “Io spengo la candela adesso.” Disse Dana. “Io mi sposto di sotto. Vado a dormire sul divano.” Fox prese il suo candelabro e si alzò. “Mulder?” “Sì?” “Tutto bene?” Fox non rispose. Si limitò a fare un sorriso asciutto e poi disse: “Buonanotte Scully.” Chiudendosi alle spalle la porta della stanza. Anche se sapeva che non avrebbe dormito, accumulando così ulteriore stanchezza, quella ennesima coincidenza fortuita gli forniva la possibilità di esplorare meglio la casa di quella scrittrice. E non voleva sprecarla.

(1) : Non ricordo se e in quale episodio di XFiles erano coinvolti dei bambini. Se non fosse un’idea giusta per i tempi in cui è ambientata la storia, come in generale perché nessun episodio di XFiles riguardava dei bambini, la cosa può essere interpretata come una bugia di Scully, inventata sia per coprire il vero caso sia per togliere dall’imbarazzo Mulder. (2) La parola “Sting” in inglese, significa “puntura”.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 2 (racconto – fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la seconda parte e spero possa piacervi)

Per leggere la parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

“È una cittadina molto tranquilla! Un giorno che non lavorate potete venire a fare qualcosa di rilassante! Gite in barca, escursioni, oppure pescare!” Per quanto visita ufficiale, Skinner aveva comunque optato per non far portare ai due agenti un mezzo loro. Aveva parlato con lo sceriffo Mort Metzger, un ex poliziotto di New York che si era spostato nel piccolo paese da diversi anni diventandone sceriffo e prendendo il posto di un certo Amos Tupper, che però risultava ancora irrintracciabile. Cosa che aveva ovviamente profondamente scosso Mulder: un’altra coincidenza molto strana. Lo sceriffo, su ordine di Skinner, era passato a prenderli alla stazione dei pullman per portarli subito dalla signora Fletcher. Come spesso succedeva con la polizia, non era contento che ci fossero degli agenti dell’FBI, ma quantomeno cercava di nasconderlo. “Certo, oggi chi va a pesca deve fare attenzione!” proseguì lo sceriffo “Vedete quelle nubi? C’è una tempesta in arrivo. Avete detto che ripartite stasera?” “Sì, con l’ultimo pullman.” Affermò Mulder osservando fuori dal finestrino l’orizzonte nero, in netto contrasto con il cielo terso che ancora li sovrastava e che li aveva accolti nella cittadina. “Ma, esattamente, cosa dovete chiedere alla signora Fletcher di tanto urgente?” “Si tratta più di un avviso che di altro.” Rispose Dana Scully “Abbiamo notato che la signora Fletcher è stata coinvolta in molti casi di omicidio… lei si renderà conto che quando c’è il coinvolgimento di una persona civile in affari di polizia, è sempre pericoloso.” “Ah…” lo sceriffo Metzger parve incupirsi. “Ha collaborato anche con voi?” L’uomo, si schiarì la voce prima di dire: “La signora Fletcher fa parte della comunità ed è molto amata. Capirete che non siamo a Washington, né a New York. Qui qualsiasi aiuto per mantenere la quiete è benvenuto…” Aveva detto di sì. Con molti giri di parole. Ma era un sì. Mulder e Scully si lanciarono un’occhiata. “Comunque, qualsiasi sia il problema, posso garantire io per la signora Fletcher: ogni sua ‘intrusione’” tolse una mano dal volante per fare le virgolette in aria “Non è mai stata intralciante né ha mai compromesso le prove.” “Mi scusi se glielo chiedo,” intervenne allora Fox Mulder “ma le sue… collaborazioni con la signora Fletcher… sono state tanto numerose?” Dana Scully lo fulminò con lo sguardo, ma i suoi occhi si inquietarono quando notò che lo sceriffo si attardava a rispondere. “Se devo essere sincero…” disse infine “C’è in effetti un tasso di omicidi molto alto in questa città, per le sue dimensioni almeno. Non so, ogni tanto mia moglie scherza che potrebbe essere colpa di qualche lontana maledizione lanciata da qualcuna delle povere donne bruciate con l’accusa di stregoneria. Ma sapete, si tratta comunque di delitti tipici dei luoghi molto piccoli: gelosie, invidie, forme di arrivismo… oppure è qualcuno che viene da fuori e si porta dietro altre persone che voglio ucciderlo… Ok, forse c’è stato qualche caso più importante… però ripeto, nelle occasioni in cui la signora Fletcher è rimasta coinvolta, non c’è mai stato da parte sua alcun tipo di intralcio.” (1) “Però ammettete che c’è una situazione anomala per quel che riguarda gli omicidi.” “Se sono sotto interrogatorio, vorrei andare nel mio ufficio.” Avevano abusato troppo del buon atteggiamento. “Vi chiediamo scusa. Non è nostra intenzione offendere nessuno. Neanche la signora.” “Scusatemi voi.” Disse allora Metzger “Questa tempesta improvvisa mi sta innervosendo. Siamo arrivati comunque.” Parcheggiarono davanti alla casa della signora Fletcher: una graziosa casetta a due piani, bianca con il tetto verde scuro spiovente e un giardino molto curato. Scesero tutti insieme dall’auto, ma lo sceriffo li precedette. Fu lui a bussare alla porta, dopo essersi tolto il cappello. Questa si spalancò quasi subito. La signora Jessica Fletcher comparve sulla soglia. Indossava un bel maglione di lana con decorazioni floreali e dei pantaloni di tela pesanti. Era uguale alle foto che c’erano nei suoi libri. Da giovane, doveva essere stata una donna molto bella. “Signora Fletcher buongiorno. Ci sono questi signori che desiderano parlare con lei. Immagino… da soli…” “Preferiremmo di sì.” Disse calma Dana tirò fuori il distintivo “Buongiorno signora Fletcher. FBI. Sono Dana Scully e lui è il mio collega Fox Mulder.” “FBI?” fece la donna, sorpresa, ma non preoccupata. “Sì. Possiamo entrare?” “Oh certo! Prego accomodatevi! Stavo giusto preparando del tè!” “Io tornerò verso le sei per riaccompagnarvi al pullman.” Disse lo sceriffo. Poi sussurrò (ma Mulder lo sentì) alla signora Fletcher “Se c’è qualche problema, mi chiami.” Jessica chiuse la porta e fece un cenno ai due: “Andiamo in cucina, lì staremo comodi.” Un rombo che fece tremare pure il vetro delle finestre. Le luci della casa erano tutte accese, ma fuori sembrava già essere notte. Le nuvole che avevano visto all’orizzonte nel tratto di strada tra la fermata e la casa della signora, ora sovrastavano completamente il cielo. Una cappa nera e minacciosa. “Una tempesta? Avevano detto che poteva arrivare… ma ha fatto proprio in fretta!” la signora Fletcher si avvicinò alla finestra del salone per guardare fuori. Questo diede modo ai due agenti di guardarsi intorno. Il salone però non presentava alcuna anomalia. Anzi: l’odore dei libri e del camino acceso fecero provare un senso di calore e di accoglienza anche a Mulder. Osservò la biblioteca della donna e notò la gran quantità di libri gialli presenti, insieme a manuali di varia natura e diverse raccolte di poesie. Grandi classici e perfino alcuni libri di filosofia, affiancavano manuali di giardinaggio, di pesca e di caccia all’anatra; la raccolta completa dei romanzi e dei racconti di Sherlock Holmes, scritti da Arthur Conan Doyle, condivideva lo scaffale con diverse riviste letterarie e un testo dedicato all’architettura; Poe e San Tommaso D’Aquino erano divisi da alcuni testi di biologia… Leggeva molto, la signora Fletcher. E non leggeva solo libri gialli. Il fischio della teiera li attirò definitivamente in cucina, dove sul tavolo era poggiata una bellissima macchina da scrivere. “Non usate computer?” domandò Mulder. “Uso anche quello. Ma a volte mi piace tornare alle vecchie abitudini. Quanto zucchero?” “Io non prendo tè.” Fox Mulder osservò attentamente la cucina. Mobili vecchi, molti utensili in vista. Niente di anomalo. O forse troppo normale. “Per me giusto un cucchiaino. E grazie.” Disse Dana. Si accomodarono entrambi e la signora Fletcher, dopo aver servito una tazza fumante a Scully, si sedette dirimpetto a loro. “Allora, a cosa devo la vostra visita?” Era tranquilla, forse giusto un po' sorpresa, ma per nulla agitata. A Mulder questo non piacque. Quando si scambiò un’occhiata con Dana, le fece capire che era meglio che a parlare fosse lei. “Signora Jessica Fletcher, giusto? Scrittrice di libri gialli e ha anche avuto il ruolo di insegnante di criminologia a New York per un periodo. Tutto esatto?” “Sì, certo.” “Mi scusi… è un po' difficile quello che stiamo per chiederle. Ma vede, abbiamo fatto delle… delle ricerche per… la compilazione di alcune statistiche. E abbiamo notato il suo legame con molti casi di omicidio.” “Più di un centinaio.” Si intromise Mulder. La signora Fletcher sgranò gli occhi, come colta di sorpresa: “Così tanti?” “Non ci siamo permessi di contarli, vede il punto non è il numero…. È più il fatto che lei è presente e interviene anche nelle indagini a preoccuparci.” Un altro tuono fortissimo pose una momentanea pausa al discorso. La lampadina sfarfallò per un attimo, portandoli dal buio alla luce in rapida sequenza. Quando si stabilizzò, Dana riprese il discorso. “Signora Fletcher, capisco la sua buona volontà, chi non la capirebbe: tutti noi in una situazione di particolare stress o se è coinvolto qualcuno a cui teniamo, vogliamo essere d’aiuto. E certamente in tanti casi il suo intervento si è rivelato prezioso per l’autorità. Sappiamo che lei è riconosciuta da molti agenti di polizia come una risorsa preziosa. Ma c’è un fatto: lei non è della polizia.” La signora Fletcher socchiuse gli occhi e annuì: “Credo di capire dove volete arrivare.” “Non ho dubbi, anche perché lei è molto intelligente. Ma ho bisogno di chiederle formalmente una cosa: quella di cercare di non lasciarsi coinvolgere più. Le indagini, e lei lo sa, sono qualcosa di serio e difficile ed è molto pericoloso se un’informazione che le autorità preferiscono tenere riservata dovesse saltare fuori. In più sono molte le persone con cui la polizia può trovarsi a dover combattere: i giornalisti, le talpe e… senza nulla togliere agli agenti onesti, anche le purtroppo possibili corruzioni interne.” “Avete davvero fatto questo lungo viaggio da Washington” la signora Fletcher approfittò della lunga sorsata di tè di Dana per parlare “per chiedermi formalmente di non interessarmi più di un qualsiasi caso di omicidio?” “Esatto signora.” Disse Dana. Prese un respiro profondo e parlò con la voce più dolce che riuscì a impostare: “Voglio essere sincera: ho letto i rapporti e trovo veramente straordinario l’aiuto che è stata in grado di dare, almeno lì dove è stato riportato. Lei ha sicuramente contribuito molto alla giustizia. Ma c’è anche un altro motivo per il quale le chiediamo questo passo indietro. Vede signora, oltre alle indagini, lei ha spesso messo la vostra vita in pericolo. E forse anche quella di altre persone innocenti. È una responsabilità enorme, per la polizia e non solo. Sa, ammetto che non avevo avuto modo di leggere i suoi libri, ma ho trovato il tempo di leggerne uno prima di partire. Sembrerà una lusinga o forse una minaccia, ma le parlo sinceramente: penso che perdere il suo talento per aver deciso di occuparsi di un caso che non le apparteneva, sarebbe un grave danno per la letteratura.” A quelle parole, la signora Fletcher proruppe in una risatina vivace e simpatica: “Lei mi lusinga infatti. Ma le dirò, comprendo perfettamente la sua preoccupazione e la apprezzo molto.” Sembrava sincera in quell’affermazione. “Anche io ho letto i suoi libri sa?” si intromise allora Mulder “Tutti. In meno di quattro giorni.” Dana si allarmò, provò a richiamare con lo sguardo il collega, ma lui fissava intensamente la signora Fletcher che lo ricambiava nuovamente sorpresa. “Quattro giorni? Giovanotto sapevo che molti facevano nottata per i miei romanzi, ma…” “Sono un lettore molto avido” proseguì Mulder “e c’è una cosa che mi ha sorpreso: la perfezione con la quale lei descrive tutto, dagli omicidi alle indagini. Di solito, in narrativa, ci si permette di commettere tante ingenuità a favore di una lettura scorrevole o commerciale. Lei invece non sbaglia un colpo, signora…” Di nuovo quella risatina allegra: “Ah detto da un agente dell’FBI è un complimento non da poco!” “Sa che, da che ho scoperto il suo nome legato a tanti e diversi casi, ho pensato che potesse essere proprio la collaborazione con la polizia ad aver affinato le sue doti… ma poi ho guardato bene le date di pubblicazione e ho capito che il suo è un dono naturale.” Anche se ancora non era chiaro dove volesse andare a parare il suo collega, Dana non lo fermò. Era anzi sorpresa dell’attenzione all’uso delle parole che Fox stava applicando. “Beh, forse. In realtà penso dipenda dalle mie molte letture, e dalla mia passione naturale per il genere, oltre alla mia curiosità.” Proseguì la signora Fletcher, sempre raggiante. “La sua biblioteca, in salotto, è bellissima. Ho riconosciuto alcuni libri della mia infanzia…” proseguì Fox, ricambiando il sorriso ma in modo nervoso. “Oh sì. E non è neanche tutta! Negli anni ho dato via molti libri. Altri purtroppo si sono rovinati…” la donna si incupì “…E altri ancora non ho avuto il coraggio di tenerli dopo la morte di Frank.” “Suo marito?” Lei annuì. Fox chinò la testa. “Condoglianze.” “È stato molto tempo fa… spesso leggevamo assieme, passandoci i libri, oppure ero io a leggerli ad alta voce, la sera, per lui. Lui leggeva, ma meno di me, era più un uomo d’azione. Ma se mi portava un mazzo di fiori, aveva anche un libro da consegnarmi.” Il sorriso si illuminò di nuovo. “Posso chiederle cosa… è successo?” Dana si tese e lanciò un’occhiataccia a Fox. Ma lui rispose con uno sguardo che le chiedeva fiducia. “Un brutto male.” Rispose la signora Fletcher “Che fortunatamente, lo dico a posteriori, non ha portato troppa sofferenza nel nostro ultimo anno insieme. Frank era preoccupato per me più che per lui… non è stato facile… e forse scrivere mi ha aiutato.” “Il cadavere che ballò a mezzanotte.” “Il mio primo romanzo, sì. C’era tutto quello che piaceva a me dei gialli e a Frank dei film d’azione.” “Ha dedicato a lui e a un certo Grady il libro, infatti…” “Grady è mio nipote, figlio di un fratello di Frank. Ci siamo occupati di lui da adolescente, dopo la morte dei suoi genitori in un incidente.” Questa seconda informazione inerente una morte provocò una reazione piuttosto evidente in Fox. “Tutto bene giovanotto?” domandò preoccupata la signora Fletcher. Dana stava per dire qualcosa, quando un nuovo e potente tuono esplose all’esterno, le luci di tutta la casa si spensero e la cucina sprofondò nel buio.

(1) Cabot Cove ha una percentuale di omicidi per numero di omicidi più alta di qualsiasi altra città reale o immaginaria che sia. Nessun personaggio della serie sembra farci caso, tranne appunto lo sceriffo Metzger nell’episodio “Jessica e la mela parte 1”. Fonte: https://www.dailymail.co.uk/news/article-2191990/Murder-capital-world-Quiet-seaside-town-Cabot-Cove-named-dangerous-place-Earth.html

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Gli Xfiles di Cabot Cove: Parte 1 (Racconto – Fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la prima parte e spero possa piacervi)

Dana Scully aveva ricevuto la telefonata da Walter Skinner alcune ore prima: Fox Mulder, che era sparito per alcuni giorni dal lavoro, era tornato in piena notte in ufficio e aveva voluto consultare tutti gli archivi di X-files inerenti il Maine. In più si era presentato con delle grosse buste di tela piene di libri. Libri gialli e tutti della stessa autrice. Una certa Jessica Fletcher. “So che il vostro ultimo caso è stato abbastanza pesante, anche per questo gli avevo concesso un po' di riposo anche se non programmato. Però questo ritorno così precipitoso mi preoccupa. Deve avere a che fare con quella scrittrice. Per favore, vai a vedere cosa succede. È lì dall’una e non vuole andare via.” Così Dana era arrivata all’ufficio che il sole ancora non era nel cielo e aveva trovato il suo collega seduto per terra, con una cartellina rigonfia di fogli in mano e un libro nell’altra. Jessica Fletcher compariva in foto sul retro dell’edizione, rilegata con sovracoperta, sorridente vicina alla sua macchina da scrivere. Fox non si accorse di Dana se non quando lei fece un colpo di tosse. “Oh! Scully! Sei mattiniera!” “Felice di rivederti…” iniziò lei, ma lui non le diede tempo di continuare. “Mi dispiace di essere sparito ma… vedi è successa una cosa. C’è stato un delitto in Italia, a Genova (1), e pare che abbia coinvolto una nostra connazionale. Questa signora qui.” Indicò la foto di Jessica “E non è la prima volta che viene coinvolta in un omicidio. E non come sospettata, ma come parte della soluzione.” Dana rimase immobile e fissò il suo collega con uno sguardo a metà tra il sorpreso e l’incredulo. “Ok, ricomincio daccapo. Allora, ricordi quando ci siamo salutati l’ultima volta? Beh, sono andato a casa e ho trovato un giornale ad aspettarmi sulla porta. Non era il mio, era di una vicina, ma chi l’ha consegnato o era pigro o non ha letto bene il nome… oppure dovevo essere proprio io a trovarlo.” Dana inarcò un sopracciglio. “L’ho ridato alla vicina eh!? Ma solo dopo averlo letto!” proseguì Mulder “Ho trovato questo articolo nella sezione letteraria: quando il giallo immaginario incontra quello vero. Parlava di questo caso in Italia, a Genova, di una cantante soprano che doveva ritornare sul palcoscenico e di un delitto avvenuto in quelle circostanze. E c’era questo, Jessica Fletcher, nome che avevo già sentito. E infatti non mi sbagliavo: avevo un libro di questa signora. Il cadavere che ballò a mezzanotte, il primo, che l’ha resa famosa. Me lo sono letto e devo dire che non è male. Però mi ha fatto pensare: come può una vecchia signora, professoressa d’inglese pensionata e vedova, scrivere un libro giallo così particolare?” “Immaginazione. Creatività. E se è stata insegnante, avrà letto tanto.” Propose calma Dana. “Certo Scully, tutto giusto ma… non è il solo giallo che ha scritto.” “Anche Sherlock Holmes ha molti racconti.” “E quest’ultimo caso che ha contribuito a risolvere nel mondo reale, non è il solo.” Quest’ultima frase riuscì a scuotere un po' di più Dana. Se non per la frase in sé, per la gravità che la stessa conteneva: un civile che partecipa a delle indagini non è mai una buona cosa. “È così!” “Chi ti ha dato questa informazione?” “La libraia da cui ho comprato tutta la collezione dei suoi libri…” Fox si alzò e le consegnò la cartellina “... Informazione che ho accuratamente verificato.” Dana Scully aprì la cartellina. Scoprì presto che conteneva diversi documenti: rapporti, interrogatori, verbali dei processi… E il nome “Jessica Fletcher”, come la sua occasionale firma, erano cerchiati. “Non è una ominimia.” Disse Mulder aprendo la prima pagina del libro che ancora teneva in mano “Questa è una delle copie che ha firmato per la libraia qualche giorno fa, di ritorno da Genova. Guarda! Stessa calligrafia!” “Questi casi…” “Tutti risolti! Ho fatto prevenire qui solo i documenti che mi interessavano e ho potuto farlo facilmente perché appunto sono risolti: chi era colpevole ha confessato, è stato processato ed è andato in prigione. Vedrai che vengono da ogni parte del paese, anzi, del mondo! È stata anche a Londra! Ad Ansterdam, in Egitto! Ha avuto dei contatti con l’MI6 ed è stata coinvolta anche in casi ad alto rischio di diplomazia! È il solo filo conduttore di storie apparentemente dislocate e diverse tra loro.” Dana Scully, ancora intenta a osservare i documenti, annuì lentamente. “Sempre in contatto con la polizia e attivamente coinvolta nella soluzione del caso. Sebbene non sempre la cosa sia evidente, nell’ambiente della polizia è molto conosciuta.” “Hai fatto qualche telefonata anche lì?” “Molto di più. Ho parlato con tutti quelli che hanno accettato di mandare i file nel mio ufficio.” “Non so se avevi l’autorità per fare una cosa del genere Mulder… Ma vedo che sei riuscito a scoprire qualcosa di molto grave e importante.” “Allora sei d’accordo con me!” L’entusiasmo con cui Fox pronunciò quella frase, insospettì subito Dana: “Su cosa sono d’accordo esattamente?” “Che questa coincidenza è troppo particolare! Ovunque questa scrittrice si trovi, c’è sempre un delitto e un morto!” “Non starai mica insinuando…?” Fox Mulder annuì solennemente. “Mulder, Jessica Fletcher è una scrittrice, non un’assassina! I colpevoli di tutti questi casi sono stati trovati!” “Non lo metto in dubbio Scully, ma se ci fosse una sorta di spirito o entità che gira intorno a lei e convince le persone inclini a commettere delitti?” Si fissarono per un lungo minuto poi Dana inarcò le sopracciglia: “Mulder, non dirai sul serio?” “Abbiamo visto cose più strane!” “Forse hai letto troppi libri gialli e in troppo breve tempo.” “Anche questo: sono gialli perfetti! Quanti gialli hai letto nella tua vita? E quante volte hai storto il naso perché hai notato ingenuità o mancanze che giusto la sospensione dell’incredulità può giustificare? Ecco, qui la sospensione dell’incredulità non serve! È tutto preciso!” “Mulder… Io qui vedo un pericolo molto più reale: e cioè che una civile ha avuto accesso a informazioni riservate in varie occasioni.” “In centinaia di occasioni!” (2) “Centinaia o una soltanto, è una falla molto grave. Né parlerò io a Skinner se non ti dispiace. E se dovremo far visita alla signora, ti informerò. Anche se penso che qualche telefonata, potrebbe bastare… A proposito, perché hai voluto consultare i file dedicati al Maine?” “È dove risiede attualmente. Non ha mai abbandonato la sua cittadina, Cabot Cove. Che a quanto pare, se si cerca bene negli archivi, ha un brutto passato legato ai fenomeni di stregoneria e una volta un certo signor Sorenson… (3)” “Mulder, andiamo a parlare con Skinner. Va bene? Anzi, andrò a parlarci io. Perché credo sia meglio che tu vada a riposare. Dimmi hai dormito in questi giorni?” “No! Dovevo leggere i romanzi! Potevano avere degli indizi! Spesso chi scrive rivela molto più di se stesso nelle opere immaginarie che nella realtà… E la signora Fletcher, li scrive molto bene gli assassini…”

Dana Scully parlò con Skinner da sola, tralasciando ovviamente la teoria di Mulder. Skinner in qualche modo la intuì accennando al fatto che “probabilmente è questa catena di coincidenze che ha attirato molto Mulder.” Dana gli lasciò la pila di fogli raccolta dal collega e se ne andò in ufficio per stilare e controllare altri rapporti. Qualche ora dopo, tuttavia sia lei che Mulder vennero convocati. Skinner sembrava molto arrabbiato. Ma poi tese la mano a Fox: “Ho bisogno necessariamente di farle i complimenti. Non so quale teoria ha guidato la sua ricerca, ma ha scoperto qualcosa di molto importante.” Fox esitò prima di stringere la mano di Skinner: non si era aspettato una lode così da parte sua. Skinner tornò alla scrivania, prese in mano il fascicolo e disse: “Questo è il materiale che ha raccolto lei, Mulder. Ed è pochissimo. La nostra cara Miss Marple del Maine ha avuto negli anni, a partire dal 1984 (4) contatti continui con vari corpi di polizia e non solo. Qualche telefonata mi ha confermato che è molto conosciuta nell’ambiente, al punto che a volte, contro ogni tipo di regolamento, sono stati gli stessi agenti a coinvolgerla. Ovviamente non ho nessuna prova concreta di ciò, ma le voci girano… e non tutti sono contenti di questo. Anche se tutti i casi, tutti, senza eccezione, che hanno visto il suo coinvolgimento, sono stati risolti.” “Un’altra splendida coincidenza.” Esclamò Mulder, ancora felice del credito ricevuto. Ma Skinner lo degnò solo di uno sguardo storto e critico, prima di proseguire: “Vi renderete conto dunque, che la situazione è grave: la nostra cara signora porta con sé molte informazioni riservate. E la sua presenza avrebbe potuto gravemente impattare sulle indagini. Ora, io non voglio aprire un caso, anche perché finirei per dover coinvolgere molte cariche della polizia e non solo di quella americana. Ma visto che è stato Mulder il primo a notare questa gravità e lei Scully a presentarla a me, vorrei chiedervi questo: di andare a fare una visita alla signora e capire come e quanto è affidabile, oltre a pregarla di smettere di giocare a Cluedo. Le cose possono diventare pericolose, per lei e per la polizia, oltre che per qualsiasi innocente coinvolto. Non ha mai sbagliato, sembra. Però non si è infallibili per sempre. Andate a Cabot Cove dopodomani, così lei, Mulder, può dormire e lei, Scully, può finire i rapporti. Non andate sotto copertura, la signora deve capire che le cose non devono essere prese sottogamba quanto si tratta di omicidi…”

(1) : Episodio di riferimento: Omicidio in “do di petto”. Undicesima stagione de “La signora in giallo” (2) : Dal 1984 al 1995 (anno in cui è ambientata questa storia) gli episodi delle storie di Jessica Fletcher sono più di 200. In alcuni episodi viene fatto capire che ci sono state occasioni in cui Jessica ha aiutato la polizia anche al di fuori di quanto raccontato nella serie. Ogni episodio contiene almeno un omicidio, ma sono molti gli episodi con più di un cadavere… (3) Episodio di riferimento: Il segreto di Borbey House. Decima stagione de “La signora in giallo”. Uno dei pochi ad avere una tematica quasi sovrannaturale (il vampirismo). (4) Il primo episodio di Jessica Fletcher è andato in onda il 30 settembre del 1984

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Perchè gli artisti sono “timidi”? (opinione personale)

Buonasera e buona vigilia di Natale. Poco tempo fa, su livello segreto, uno scambio di post partiti da un post lasciato da “lookacomics” (che potete trovare anche qui su log: https://log.livellosegreto.it/lookacomics/ ) mi ha portato a una riflessione che desidero condividere qui con voi, nella speranza sia di suscitarvi altri pensieri e magari portarvi a sperimentare una via a voi ancora ignota, sia di riuscire io stessa a chiarirmi le idee su questo problema che ho sempre trovato difficile e spinoso. Il problema è questo: come fa un artista a parlare di sé stesso e di quello che fa in modo corretto (se mai esista un modo corretto)? E perché a artist3 capita spesso di provare fastidio nel doversi fare pubblicità da sol3? Partirò dicendo che io sono una di quest3 “artist3”, anche se la mia situazione sta gradualmente migliorando. I motivi della mia “timidezza” sono radicati in diversi eventi del passato, come in elementi più generali nella quale forse qualcuno si riconoscerà. Partendo dal personale, così lo tolgo di mezzo in quanto elemento più “debole” per fare un discorso collettivo: non è un segreto che ho subito bullismo a scuola. Soprattutto a elementari e medie (del liceo ho anche dei bei ricordi), in piena età dello sviluppo. E poiché nel bullismo qualsiasi cosa si fa viene setacciata dagli occhi degli altri e costantemente presa in giro o umiliata (perché qualcosa da dire lo trovano sempre), ho sviluppato gradualmente un carattere dove tra l’essere osservata e boicottata e l’essere ignorata, preferisco la seconda strada. In un mondo di persone che pur di essere al centro dell’attenzione arrivano a commettere atti discutibili, a volte anche mortali, io nell’ombra ho prosperato: facevo quello che volevo senza coinvolgere i miei compagni di scuola, andavo ovunque in città (e fuori) da sola, per diversi anni ho fatto della solitudine la mia bandiera. Internet, almeno prima del predominio dei social, mi ha offerto la possibilità di condividere nell’anonimato: se non si conosceva la persona, potevi solo ammirare quello che faceva di artistico, fosse un disegno, una fanfiction, un’animazione amatoriale, un videogioco indie, un montaggio video… Lì ho scoperto altri tipi di tossicità, che però mi risultavano molto meno dolorosi di Chiara, la mia prima bulla, che cercava di spingermi giù per le scale “per scherzo”. Ora, questo lato solitario lo possiedo ancora; l’ho affinato e regolarizzato al punto giusto da non risultare comunque asociale. Questo però non ha cambiato il brutto rapporto che ho con i social, dove comunque sto imparando a stare. Nei social sembra tornare al centro la persona e come presenta ciò che fa, più che quello che fa. E basta poco perché diventino un’arma a doppio taglio. E senza scomodare Chiara Ferragni e i suoi recenti guai, anche perché per quanto brava come influencer non posso definirla un’artista, si può parlare di Gipi o di Giulia della Ciana, fumettisti che hanno subito delle pesanti shitstorm per motivi diversi e che hanno radicalmente cambiato il loro rapporto con questi strumenti. Gipi, a causa di quattro vignette pubblicate nel momento sbagliato, ha tagliato molti ponti e dato vita a una graphic novel, “Stacy”, che persino molti suoi critici stanno amando: https://www.coconinopress.it/prodotto/stacy/ . Giulia della Ciana, autrice dell’Euromanga “Butterfly effect”, che considero uno dei migliori Euromanga attualmente pubblicati in Italia, è stata invece violentemente criticata per la scelta di un finale realistico (cosa per me vergognosa, in quanto lo stesso era perfettamente coerente a tutto lo sviluppo della storia). Attualmente, Giulia della Ciana sta lavorando su una versione “Perfect” della storia, dove arriva ad approfondire personaggi ed eventi; sebbene programmata da tempo, poiché come spesso succede agli artisti si sente la necessità di migliorare anche ciò con cui si è già lavorato, la versione “Perfect” ha assunto per lei un'importanza ancora maggiore, in quanto non permette di generare “equivoci” creando false aspettative nei lettori (in verità, tali aspettative si sono create più per il target con cui la storia era stata pubblicizzata che per la struttura della stessa, ma su come viene abusata la questione del “target” nel mondo dell'editoria, parleremo un'altra volta): https://mangasenpai.it/product/28033124/butterfly-effect-perfect-edition-1 Osservare queste valanghe di odio collettive non incoraggia certo alla condivisione chi, come me, vede nell’arte un ponte per comunicare e non un gradino per mettersi al di sopra degli altri; se il ponte diventa un punto di accesso per chi vuole farti del male, allora è meglio toglierlo. Questi elementi personali, nelle quali alcuni si possono ritrovare e altri no, non sono il solo motivo per cui un artista può trovarsi in difficoltà a condividere le sue opere. Un altro motivo può trovarsi nel rapporto che l’autore ha con quello che crea. L’arte non è solo un veicolo di comunicazione con gli altri, è anche e soprattutto un veicolo di espressione del proprio inconscio. A volte quello che un’artista produce, è meglio che la luce non la veda. Nel film di Cronemberg “Crimes of the future” del 2022, il rapporto viscerale tra artista e opera d’arte viene analizzato molto bene con un espediente narrativo che lo rende letterale. Altra questione, molto più semplice e pratica: la comunicazione non è lavoro per tutti. Non è facile, non elementare, va fatta bene e anche studiando, anche imitando, non tutti riescono a esprimersi al meglio. L’aiuto di una terza persona, esterna e distaccata a sufficienza, sarebbe spesso necessario, in ambito editoriale come altrove, per poter coltivare davvero la riuscita della diffusione di un’opera. A volte però, questo aiuto non arriva, perché è un investimento che molti non se la sentono di compiere. Ma questo è un discorso che avrebbe bisogno di un altro log per essere affrontato. Ultimo motivo, non però meno importante: immaginate di creare qualcosa di vostro a livello artistico, di decidere di condividerla su pubblica piazza e di non ricevere alcun tipo di feedback. Immaginate allora di iniziare a “richiederlo” e comunque di ritrovarvi ad avere poca accoglienza. Anche da parte di persone che considerate amiche. Inutile dire che al di là della ferita personale, finisce anche per crearsi una situazione piuttosto imbarazzante che può andare ad impattare gravemente rapporti importanti. Detto ciò, è vero quello che era venuto fuori nella discussione sotto il post: se si crea qualcosa a cui si dà valore e la si vuole condividere con gli altri, la pubblicizzazione è una tappa necessaria. Si può riuscire a essere orgogliosi del proprio fare senza degenerare negli atteggiamenti seccanti o saccenti, si può riuscire a condividere il proprio fare senza risultare seccanti. Ora, anche a fronte degli ultimi eventi nostrani, sicuramente il mondo dei social verrà gradualmente rivalutato da utenti e fruitori; per quanto siano le “pubbliche piazze” meglio conosciute, non sono il solo modo per farsi pubblicità; per conto mio sto gradualmente imparando come pormi, ho osservato gli altri e ho capito quale potrebbe essere la strada per me. Ma questo non cambia il nodo della faccenda: è giusto fare pubblicità della propria attività, ma non tutti sanno o vogliono farla e qualunque sia il motivo, è un dato di fatto. Per questo rimane importantissimo il “passaparola”. Nessuno può aiutare un artista più di un sostenitore che parla di lui agli altri. Nessuno aiuta un libro più di chi lo consiglia agli altri (e no, non serve essere bookinfluencer o booktoker, basta anche parlane agli amici di persona). Anche per questo ho cercato di condividere in questo post le opere che ho nominato (e già che ci sono vi lascio anche la mia: https://www.amazon.it/cervo-Horn-Creek-9/dp/8832077655 ). Purtroppo viviamo ancora in un mondo dove come si comunicano le cose sembra più importante delle cose stesse. Il clima sta cambiando, ma ci vorrà molto tempo prima che l’essenza di una qualsiasi opera, sia essa un fumetto, un adattamento, un film, un videogioco, un libro o altro, torni al centro del giudizio altrui al posto dei reels o delle sponsorizzazioni. Nell’attesa, chi ha optato per questa strada, deve fare i conti con tutto, dalle shitstorm alla “schiavitù” delle visualizzazioni. O a scegliere di non restarci invischiato anche a rischio di non essere conosciuto dal resto della “comunità”. Quale che sia la scelta, il valore di un’opera artistica viene prima di tutto dall’autore della stessa. Se si è soddisfatti con quello che si è compiuto, la condivisione diventa solo un elemento e nemmeno il più importante. Come fruitori dobbiamo poi essere noi per primi a non fermarci ai più pubblicizzati tra gli artisti e cercare, scavare, indagare. A volte le pietre più preziose, sono nascoste in profondità.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Il coniglio fantasioso: Come e perchè la cultura pop fa parte della narrazione complottista (Storia vera)

ATTENZIONE, PER FAVORE: Le parole che state per leggere sono riprese in parte dalla mia tesi di laurea e in parte sono create ex novo per permettere una lettura più facile della stessa. L’idea di questa condivisione nasce da una necessità personale. Non sono stata consigliata da nessuno (anzi, c’è chi mi ha consigliato di tenermi le cose per me) e la mia tesi, consegnata mesi fa, non può essere consultata, ma mi appartiene comunque e posso curarla e condividerla come preferisco. I motivi della non condivisione nell’archivio delle tesi della mia università nasce da una necessità di “protezione”, non solo personale ma anche di terze parti (persone e organizzazioni) che qui saranno prontamente rimosse. Nella condivisione cercherò di essere più neutrale possibile e se verranno condivisi aneddoti o idee personali, il lettore verrà prontamente avvisato.

Se non hai letto l’introduzione, eccola qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/il-coniglio-pauroso-introduzione-storia-vera

***

Esiste un meccanismo in narrativa, che permette a ogni lettore/spettatore di godere al meglio del mondo che si trova ad esplorare quando inizia un racconto di fantasia: si chiama “sospensione dell’incredulità”. E’ un patto che si instaura tra il fruitore di una storia e l’autore della stessa: il mondo proposto potrà essere il più assurdo, il più incredibile, il più illogico… ma se avrà una sua coerenza interna, il fruitore ci crederà e lo accetterà, per godersi al meglio la storia (Un articolo sull’argomento: https://www.illibraio.it/news/storie/sospensione-di-incredulita-1425969/ ) Non è solo con gli autori di fantasia che si può instaurare un patto del genere. Tale silenzioso accordo è parte integrante dell’universo delle teorie del complotto, che usano la cultura popolare come uno strumento sia per spiegare le proprie teorie, sia per dimostrarne la verità. L’uso dei testi narrativi come spiegazione di “verità assolute” è radicato nella storia umana (pensate solo alla mitologia che cercava di spiegare in modo razionale fenomeni naturali quando la scienza ancora non esisteva, o alle favole e fiabe che servivano a spiegare ai bambini come rapportarsi con i pericoli e le paure dei tempi), e il complottismo non è stato da meno. Ad esempio il libro denominato “I protocolli dei Savi di Sion”, il testo di maggior rilievo per tutte le teorie del complotto moderne, in alcuni casi riprende parola per parola due romanzi di fantasia; per la precisione: quello a tema satirico di Maurice Joly “Dialoghi all’inferno tra Macchiavelli e Montesquieu” (volto a criticare Napoleone III) e il romanzo “Biarritz” dello scrittore tedesco Hermann Goedsche. Entrambi i lavori sono usciti tra il 1864 e il 1868, ben prima che “I protocolli dei Savi di Sion” vedessero la luce. Questo libro, che non ha neanche un autore ufficiale (cosa che ne garantisce così una diffusione capillare vista la mancanza di diritti d’autore) ha ispirato tutte le principali teorie del complotto del novecento e del nuovo millennio, ispirando poi atti particolarmente efferati (come la “soluzione finale” di Adolf Hitler o come l’attentato di Andres Breivik (ispirato dalla teoria del complotto dell’Euroarabia) del 22 luglio del 2011 in Norvegia dove si contarono 77 vittime. Ma perché le teorie del complotto si affidano ad opere di fantasia? I motivi sono molteplici e no, non dipende solo dal fatto che le teorie stesse sono “fantasiose”. Quello semmai è l’ultimo gradino. Il primo gradino è il più importante: la fruibilità. Le opere di fantasia, salvo rarissime eccezzioni, sono altamente fruibili. Ovviamente, la fruibilità dell’opera cambia in base al tempo storico, al luogo, alla cultura e al target di riferimento dell’autore. Ad oggi, probabilmente, “After” è comunque più fruibile dei “Fratelli Karamazov”. Tuttavia, la scrittura non è il solo medium di diffusione per un’opera di fantasia. Ci sono anche fumetti, videogiochi, film…. Questi ultimi in particolare sono il mezzo più fruibile, grazie al perfetto incrocio di elementi visivi e uditivi/testuale per la composizione delle storie. Nella mitologia complottista, per sfuggire alla censura dilagante dei “poteri forti”, la narrativa è il mezzo migliore per “aprire gli occhi”, una metafora della realtà resa appositamente più fruibile ai lettori e difficile da individuare per i censori. Qualsiasi storia può diventare fonte di ispirazione per spiegare in modo semplice una teoria del complotto e comprovarne la sua esistenza. Vi nomino tre opere fittizie che sono molto riutilizzate nel contesto delle teorie del complotto:

  1. 1984, romanzo di George Orwell
  2. Matrix, film del 1999 girato dalle sorelle Larry e Lilly Wachowski (allora Andy e Larry Wachowski)
  3. Essi vivono (They Live), film del 1988 di John Carpenter

“1984” è considerato il capostipite della letteratura distopica (In verità sono stati diversi i romanzi pubblicati prima di “1984” che avevano come base narrativa una società distopica, a partire da “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift pubblicato nel 1726, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley pubblicato nel 1932 e “La fattoria degli animali” dello stesso Orwell ma pubblicato nel 1945. Tuttavia, “1984” è riuscito a guadagnarsi il titolo di “archetipo narrativo” del genere e tutte le opere successive allo stesso ne riprendono, tematiche, risvolti, stilistica e molto altro). Pubblicato nel 1949, racconta di un mondo diviso in blocchi di nazioni tra loro in guerra e di un popolo schiacciato da un’inquietante e invisibile figura chiamata “Grande fratello”. La tecnologia non è al servizio del popolo, ma è strumento di controllo e coercizione, grazie a messaggi propagandistici con cui gli abitanti del paese sono costantemente bombardati. Inoltre, lo stato di guerra perpetuo garantisce al potere la possibilità di agire indisturbato con la scusa di volere il bene della popolazione. Il controllo è così totale che anche la storia viene riscritta, tanto che il protagonista Wiston Smith si vede costretto a tenere nascosta una foto della vecchia Londra, pre-Grande Fratello, poiché solo l’esistenza della stessa mette a rischio la sua vita. Il controllo è ferreo e si estende fino alle vite personali degli individui, tanto che dichiararsi amore diventa l’atto di ribellione più importante. Molto di quello che racconta questo romanzo lo possiamo ritrovare nella nostra società, i cui contorni possono sovrapporsi alla tremenda politica distopica del Grande Fratello. In particolare, il rapporto di dipendenza con la tecnologia ancora oggi in mano a pochi soggetti e finalizzata alla raccolta dei dati personali degli utenti. Queste somiglianze forniscono ai complottisti un grande terreno per poter paragonare qualunque decisione (e il lockdown pandemico è stato solo una delle tante) a una forma di controllo o schiavitù da parte dei governi. Il romanzo viene anche utilizzato come spauracchio rappresentante un governo mondiale di stampo socialista, contrastando così qualsiasi dibattito proposto dall’ala sinistra o anche solo più liberale della politica: la richiesta di pronomi diversi o dell’inserimento degli insulti di stampo omofobo come reato? Ecco la neolingua di “1984”. Il tracciamento dei pagamenti con utilizzo del contante per contrastare l’evasione dalle tasse? Proprio come in “1984”, una forma di controllo. Un modo per togliere i soldi ai cittadini quando meno se lo aspettano. Poi ci sono i social, probabilmente il metodo di controllo più vicino a quello che è l’universo di 1984; tuttavia, per la diffusione delle teorie e della consapevolezza gli stessi sono utilissimi, quindi guai a toccarli, soprattutto se tenuti da “geni” quali Elon Musk, mentre magari “l’ebreo” Mark Zuckerberg va evitato. Curiosamente le tecniche di proselitismo del complottismo riprendono molto le tattiche propagandistiche del Grande Fratello: ripetizione continua e costante degli stessi concetti che da anni fanno parte della narrativa. Se “1984” parte dal lato razionale e politico, “Matrix” è invece l’opera che meglio accompagna le narrazioni conspiritualiste (di cui vi racconterò nel prossimo capitolo dedicato al rapporto con la psiche). “Matrix” racconta di un uomo, Thomas Anderson, nome in codice da hacker Neo, che si scopre come il prescelto per portare l’umanità fuori dalla “Matrice”, una realtà fittizia creata dalle macchine che, dopo un periodo di schiavitù sotto gli umani, si sono ribellate e hanno trasformato gli stessi in fonte di nutrimento. Il “risveglio” di Neo avviene attraverso l’ingestione di una pillola rossa che lo porta nella realtà, a combattere a fianco di Morpheus e la sua squadra per la liberazione del genere umano. Il film è stato girato da Andy e Larry Wachowsky, due donne transgender che tuttavia non avevano avviato il processo di transizione (lo avrebbero fatto proprio un anno dopo l’uscita del film), e vedeva come attore protagonista un giovanissimo Keanu Reeves. La trama del film sembrava riprendere concetti della filosofia solipsista come dello gnosticismo (vi parlerò di queste correnti in modo approfondito nel capitolo psiche) e perfino del buddismo: l’essere umano visto come contenitore fisico di uno spirito alla ricerca della libertà, ma trattenuto all’interno del pianeta terra da elementi esterni malefici. In questa visione, che molte correnti conspiritualiste riprendono, la terra e l’ambiente vengono viste come negative (quindi perché rispettarle? Perché avere paura del cambiamento climatico?) e il corpo come un mezzo di schiavitù che attraverso forze esterne (come i vaccini o i cibi industriali) è sottoposto a forme di tortura e coercizione. La speranza è nella coscienza, nello spirito e nella sua liberazione. Anche attraverso la morte fisica, propria e dell’altro. Un’altra teoria, portata avanti da una nicchia di spettatori e avvalorata dal percorso di transizione avviato dalle due sorelle, riteneva che il film fosse una metafora della presa di coscienza di una persona transgender della sua reale identità. Ciò era avvalorato dal colore delle pillole proposte da Morpheus (gli ormoni per la transizione sono spesso pillole rosse) e dall’uso delle parole dell’agente Smith durante gli incontri con Neo (il quale insisteva a chiamarlo “signor Anderson”, nome che il protagonista aveva ormai abbandonato). Gli indizi sulla fondatezza di questa teoria erano molti, ma questo non ha impedito all’estrema destra di fare proprio il film tanto da coniare il termine “Redpilled” (in italiano tradotto “Redpillato”) per descrivere chi decide di credere nelle teorie complottiste come persona finalmente risvegliata. Nel 2020 Lily Wachowsky dichiarò che la lettura del percorso di transizione era quella giusta. Tutte gli elementi attribuiti allo gnosticismo, al solipsismo e al resto erano presenti proprio per mascherare al meglio questa lettura ed evitare la censura da parte di Hollywood (Un articolo dedicato alla dichiarazione: https://www.bbc.com/news/newsbeat-53692435 ) La dichiarazione non ha minimamente scosso il mondo delle teorie del complotto, che, pur avendo al suo interno molte frange apertamente ostili alla comunità LGBT+ e/o a quella non-binary o trans nello specifico, continua a usare il termine “Red Pill” per indicare la presa di coscienza degli inganni della società da parte dei poteri forti, incluso ovviamente il sostegno alle minoranze di genere. “Essi Vivono” è un film girato nel 1988 da John Carpenter, regista di film di genere fantascientifico e body horror (come “La Cosa”, girato nel 1982). La storia è liberamente ispirata dal racconto del 1963 “Alle otto del mattino” (“Eight O'Clock in the Morning”) di Ray Nelson e racconta della presa di coscienza da parte di un uomo comune, John Nada (interpretato da Roddy Piper), dell’esistenza di un governo ombra di alieni che tengono l’umanità segretamente sottomessa in una società iniqua e ingiusta. Il titolo indica che “essi” (gli alieni) vivono tra noi, mimetizzati, in segreto. Ovviamente, con questo film vengono veicolate a piene mani tutte le teorie del complotto relative allo spazio, il cui autore maggiore (David Ike) ha costruito una vera e propria fortuna economica. Le tre storie citate non sono le sole: Guerre Stellari, XFiles, alcuni libri di Stephen King… volendo in qualsiasi prodotto di intrattenimento si può trovare un collegamento con le teorie del complotto. È qui che entra in scena il secondo gradino: la già citata “sospensione dell’incredulità”. Nel passato le autorità hanno nascosto tanto alla popolazione, perché non dovrebbero farlo ancora? QAnon fa parte dei servizi segreti? E perché no? Per quale motivo un agente segreto, magari stanco delle scorrettezze di cui era venuto a conoscenza, non può andare su un sito internet pieno di razzisti e pedofili e pubblicare qualche indizio su indagini interne? Anche Snowden ha fatto così, anche Assange, perché l’utente Q di 4chan dovrebbe essere diverso? Nel passato si facevano sacrifici umani insieme a rituali legati alla sfera sessuale, perché oggi non dovrebbe succedere con Satana? Migliaia di persone muoiono ogni giorno anche per meno, perché le èlite con le possibilità che hanno non dovrebbero attuare quei sacrifici? Magari in una pizzeria di Washington dove si è nascosti in bella vista? Viviamo in una società poco umana? Beh, ovvio, perché chi la governa non è umano! Non c’è prova della non esistenza degli alieni, fuori come dentro la terra; quindi perché non potrebbe essere così? La censura esiste ed è sempre esistita, quindi perché certi messaggi non dovrebbero passare attraverso i programmi di intrattenimento? Sia messaggi volti al risveglio, sia volti a tenere le coscienze addormentate. Se ci sono così tanti personaggi omosessuali lo si deve probabilmente alla “lobby gay” e non a un cambio dei costumi e a una maggiore apertura della società verso forme diverse di amore. Queste che avete letto sono le opposizioni più forti e ricorrenti nell’ambiente complottista, che fanno tutte affidamento al meccanismo di sospensione della realtà. I complottisti accuseranno sempre le narrazioni immaginarie che trattano temi a loro sgraditi di avere “un’agenda” nascosta (Ad esempio Durante il governo nazista, l’idea che una propaganda contraria al governo fosse inserita anche in romanzi e prodotti di intrattenimento non approvati dal ministero della propaganda, ha portato al rogo e in molti casi anche alla perdita di molti libri di narrativa come il romanzo “Bambi, vita di un capriolo”, dello scrittore austriaco Felix Salten, pubblicato nel 1923 e interpretato come una forma di propaganda antinazista: https://www.hollywoodreporter.it/film/film-stranieri/la-vera-storia-di-bambi-cacciato-e-bruciato-in-piazza-dai-nazisti/1938/ )… mentre a loro volta porteranno avanti la loro stessa agenda usando le storie immaginarie come strategia. In una società dove l’intrattenimento è diventato parte integrante della vita degli individui, oltre che ingranaggio economico consistente, chi vuole diffondere la sua visione del mondo non si farà scrupolo a pescare al suo interno alla ricerca di nuovi simboli da utilizzare. Anche nelle storie più lontane e improbabili. E badate bene: ho usato il termine “simboli” non a caso. Riprendendo il termine dall’enciclopedia Treccani (https://www.treccani.it/enciclopedia/simbolo/ ):

“Qualsiasi cosa (segno, gesto, oggetto, animale, persona), la cui percezione susciti un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile. L’originaria funzione pratica, prevalente ma non esclusiva, è sostituita dalla funzione rappresentativa e s. si identifica con segno.”

Quando si parla di simboli dunque, si crea un coinvolgimento collettivo, un collante importante, che fa sentire il fruitore parte della comunità e al tempo stesso protagonista diretto. Una persona normale, quando parla di un’opera immaginaria, fa sempre riferimento a se stessa, anche quando sente di aver letto l’intenzione dell’autore, in realtà proietta parti di sé nell’esposizione. Un complottista parlerà delle opere sempre in termini onnicomprensivi e propagandistici. Non sarà più “questo per me significa”, ma “questo significa”. E ogni opera sarà perfettamente adattabile alla teoria del complotto di riferimento, e alla dottrina che la stessa porta avanti. E se non si adatta, allora vuol dire che fa parte della parte “opposta”, quella dei “poteri forti”, quella che vuole tenere basse le coscienze e nascondere la verità. Nell’oscurità della tana dove i conigli a volte si incastrano, storie e fantasie, così familiari e semplici da capire, sono un collante e uno strumento importante per consolidare i membri e trattenerli giù; diventano la prova che “fuori qualcuno sa, ma non può dire”; e se anche poi la teoria dovesse saltare o fallire, si può sempre tornare sui propri passi e cambiare storia di riferimento. Noi esseri umani abbiamo bisogno di fantasie e narrazioni, a livello personale e collettivo, come valvola di sfogo, come promemoria, come riferimento dei valori collettivi (o del loro superamento). Io stessa ho iniziato questa serie di capitoli raccontando, nell’introduzione una storiella inventata. Bisogna quindi aspettarsi che chi ha degli interessi di dominio faccia delle storie un suo strumento. Sia egli un esponente politico in un palazzo del potere, un padrone di un’industria esperto della tecnica di marketing nota come “storytelling”, o un semplice influencer della sfera complottista. C’è poi un gradino ulteriore che non ho ancora toccato: quello del legame tra inconscio (collettivo e personale) con le figure e le strutture narrative più comuni. Questo passo però avverrà nel prossimo capitolo, quando scenderemo nei meandri della psiche.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio

Il coniglio pauroso: Introduzione (Storia Vera)

ATTENZIONE, PER FAVORE: Le parole che state per leggere sono riprese in parte dalla mia tesi di laurea e in parte sono create ex novo per permettere una lettura più facile della stessa. L’idea di questa condivisione nasce da una necessità personale. Non sono stata consigliata da nessuno (anzi, c’è chi mi ha consigliato di tenermi le cose per me) e la mia tesi, consegnata mesi fa, non può essere consultata, ma mi appartiene comunque e posso curarla e condividerla come preferisco. I motivi della non condivisione nell’archivio delle tesi della mia università nasce da una necessità di “protezione”, non solo personale ma anche di terze parti (persone e organizzazioni) che qui saranno prontamente rimosse. Nella condivisione cercherò di essere più neutrale possibile e se verranno condivisi aneddoti o idee personali, il lettore verrà prontamente avvisato.

In questa introduzione vi racconterò per sommi capi cosa andremo a trattare.

***

È estate, un’estate torrida. In una valle, dove l’erba è dello stesso colore della terra, solo un albero sempreverde sembra resistere ai raggi del sole e la sua chioma è folta. Un viandante, stremato, si siede sotto l’albero a prendere ombra. Mentre è seduto, arriva un uomo coperto da un ombrello parasole, che inizia a parlargli proprio dell’albero: è una bella pianta, un essere vivente e come tale, può morire e cadere; può succedere che un ramo si stacchi; oppure, se per esempio è un pino, può cadere una pigna... Di sicuro, prima o poi, qualcuno si farà male a stare sotto quella pianta. Il viandante inizia ad avere paura: prima si alza, per essere pronto a scappare nel caso l’albero iniziasse a scricchiolare; poi si sposta al sole; poi si sposta un po' più in là, anche perché non può sapere che traiettoria farà l’albero quando cadrà; poi gli viene in mente un’idea spaventosa: e se sotto quell’albero si sedesse un innocente e venisse travolto dalla sua caduta? Ne parla allo sconosciuto. “Dicono ci sia un’accetta abbandonata su un tronco tagliato qui vicino” risponde vago l’altro, tranquillo sotto il parasole. Il viandante esplora la valle e trova effettivamente una vecchia accetta. In fretta taglia l’albero, lo fa a pezzi per essere sicuro che non diventi un ostacolo insormontabile per chi passa. Mentre stramazza al suolo, l’uomo col parasole, raccoglie i pezzi di legno e si allontana fischiettando: oltre a essere protetto dal caldo, ora è protetto anche dal freddo dell’inverno. E tutto senza aver dovuto faticare. Questo racconto di pura fantasia, inventato ad hoc dalla sottoscritta, può essere il riassunto di quello che è l’obiettivo finale di molti diffusori del complottismo: l’instillare un dubbio nei propri ascoltatori per trarne un vantaggio personale. Il tutto attraverso l’uso di una comunicazione che parte da discorsi sensati ma che conduce in luoghi oscuri come le tane di un coniglio. Lì, ormai accecato e isolato, l’ascoltatore non può che affidarsi alle parole degli sconosciuti che sono con lui, a partire dai trascinatori; l’uscita sembra non esistere più, oppure il mondo esterno diventa troppo pauroso da affrontare: vi è derisione e aggressività da parte di chi è rimasto fuori. Ma, si racconta il complottista, un giorno anche loro vedranno la verità, magari saranno costretti a vederla e a risvegliarsi anche loro… oppure dovranno morire, perché in fondo non meritano il nuovo mondo di pace e libertà che così faticosamente dentro questa tana oscura cerchiamo di portare avanti. Ma se un trascinatore è facile da individuare, come si individua un “coniglio”? Molti possono sentirsi preparati a riconoscerli. La stessa cultura ci ha addestrati in tal senso. Per anni, con la complicità della narrativa cinematografica, letteraria e fumettistica, è circolata un immagine rassicurante del complottista medio: lo stereotipo lo mostra il più delle volte come un uomo, disadattato e auto-isolato, piuttosto ignorante, strano ma innocuo, molto solo, magari con un cappellino di stagnola sulla testa, spaventato dal mondo che lo circonda e al tempo stesso desideroso di condividere le sue teorie con qualsiasi estraneo che si trovi sulla sua strada; il complottista appare come un eccentrico, a volte seccante, a volte addirittura simpatico, che trasmette pietà e tristezza (Nominerò, giusto per rendere l’idea, alcuni personaggi che incarnano questo tipo di stereotipo: The Truth, personaggio secondario del videogioco “GTA: San Andreas”, un hippie che vive isolato e che tiene in testa una fascia di alluminio per non essere controllato dal governo; Ronaldo, personaggio secondario della serie a cartoni animati “Steven Universe”, ossessionato da tutto ciò che riguarda il sovrannaturale e i complotti riguardanti un dominio segreto del mondo da parte delle Gemme; il tassista Jerry Fletcher, protagonista del film del 1997 “Ipotesi di complotto”). Tale stereotipo, ormai si è capito, è molto lontano dalla realtà dei fatti: i complottisti reali non sono ignoranti, non sono auto-isolati (salvo alcuni casi eccezionali), non hanno un aspetto eccentrico… e non sono innocui, né tantomeno soli. Il complottismo è trasversale: chiunque può farne parte indipendentemente da genere, razza, idee politiche e credo religioso. Anche l’educazione non è più un punto di distinzione: tanti complottisti escono dalle università con laure, dottorati e master. Molti dei trascinatori, al di là dei loro interessi personali, probabilmente sono entrati nelle tane loro stessi come conigli spaventati, riconoscendo in teorie e narrazioni le giuste risposte ai loro dubbi e al loro malessere. E anche chi dice di non poterci cadere, molto spesso, si ritrova comunque a riconoscere delle “verità” nelle teorie che vengono portate avanti, come a individuare delle comunioni di sentimenti (sfiducia nelle autorità, ad esempio) e di intenti (“Bene” e “cambiamento”) con persone che affermano che la comunità LGBT+ è una farsa e che i morti di Sandy Hook non sono mai esistiti. Quando si studia il complottismo, la prima brutta notizia con cui si entra in contatto è proprio questa: i conigli siamo noi. Siamo tutti potenzialmente complottisti e non possiamo fare a meno di esserlo. Fa parte della nostra evoluzione: cercare di prevedere, comprendere e immaginare a priori qualcosa è ciò che ha permesso a singoli individui come a intere società di evolversi e rovesciare delle sorti avverse. Va inoltre notato che siamo anche dei cospiratori eccellenti: dalle trame di un gruppo di ragazzine che provano a far incontrare la loro amica timida con il ragazzo che le piace, agli accordi segreti prese tra potenze per un ritorno economico, la nostra vita è piena di piccole e grandi cospirazioni, in cui recitiamo ruoli diversi a seconda della nostra posizione in quel momento. A volte siamo protagonisti, altre volte complici, altre volte ancora vittime. E anche questo fa parte della nostra socialità, della nostra evoluzione, è insito nella natura umana. Per comodità separerò le cospirazioni reale e storiche dai complotti immaginari usando questi rispettivi termini. Questo perché nell’ottica complottista le “teorie del complotto” non sono “teorie”, ma “verità”. Verità nelle quali credono così fortemente da condizionare le loro azioni quotidiane, i loro rapporti interpersonali, i loro acquisti, i loro voti, i loro desideri e, come vedremo, persino le scelte sessuali. Non è così per tutti ovviamente: molti possono credere a una teoria del complotto e non basare la loro intera vita sulla stessa. Possiamo avere una vita perfettamente normale pur credendo al fatto che l’allunaggio non è mai avvenuto. Tuttavia, nulla ci impedisce, in un momento magari di sconforto, di partire da questa teoria per avventurarci su altri lidi. Con l’aiuto delle bolle social (che è comprovato hanno avuto un ruolo fondamentale nella diffusione delle Teorie del complotto e della radicalizzazione di molti suoi credenti, eccovi un primo articolo di riferimento: https://theconversation.com/conspiracy-theories-how-social-media-can-help-them-spread-and-even-spark-violence-209413), possiamo passare dall’allunaggio al pericolo dei rettiliani, dai rettiliani al complotto dei gesuiti, dai gesuiti agli ebrei, dagli ebrei a Soros, da Soros alla teoria gender, dalla teoria gender alla lobby gay... E magari all’improvviso il nostro vicino di casa omosessuale a cui la vita, ci sembra, stia andando molto meglio della nostra si trasforma nel nemico giurato della nostra serenità. Siamo tutti conigli, ma chi crede nelle teorie del complotto spesso si sente un coniglio migliore di altri, con diritto decisionale al di sopra delle parti. Anche quando la decisione riguarda la vita o la morte di qualcuno. Nel viaggio in cui voglio accompagnarvi con questi testi che condividerò, racconterò diversi lati della realtà complottista: il rapporto con la cultura pop, la psiche e il denaro. Tre realtà che trascendono qualsiasi tipo di personale connotazione apparente, come la politica, la razza, la religione (anche se nella psiche si parlerà del “conspiritualismo”, la forma di complottismo più pericolosa e pervasiva) e tante altre sovrastrutture che noi umani (o conigli) abbiamo costruito nel vano tentativo di migliorarci/controllarci. A questo proposito è bene dire che farò del mio meglio per non parlare dell’estrema destra. Anche se, come schieramento politico che ha avuto un ruolo fondamentale nell’uso e diffusione delle teorie del complotto (il partito Nazista ne è l’esempio più lampante), è bene specificare nuovamente che il complottismo è qualcosa di profondamente trasversale e che a modo suo resta distaccato dalla politica, continuando ad avere una vita propria e assumendo posizioni politiche specifiche solo quando ciò risulta funzionale rispetto ai suoi scopi. Come per molti elementi della società e della natura umana, il complottismo può diventare nelle mani di un politico uno strumento di propaganda molto utile e facile da utilizzare. L’abilità dei partiti di estrema destra attuali è quella di raccogliere il malcontento di tutte quelle fasce di popolazione che hanno trovato nelle teorie del complotto le sole risposte “logiche” al loro malessere. Se tale strategia fosse stata adottata anche da partiti di estrema sinistra, o dalle fasce più moderate dell’intero spettro, i risultati sarebbero uguali. I partiti estremisti si legano più facilmente alle teorie del complotto proprio per le polarizzazioni insite nelle stesse: buoni contro cattivi, noi contro loro, niente perdono né compromesso, niente redenzione né opinione; è nell’estremismo che l’uomo trova la sua sicurezza nel caos del pianeta terra… e non solo. Detto questo, iniziamo a scendere in questa tana.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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“Se non fossi corrotta, non esisterebbe”: in difesa di Nikita, personaggio transgender (Opinione personale/aneddoto)

Alcuni giorni fa, in streaming, stavo giocando a un gioco mod e free-to-play che alcuni di voi mi avranno visto giocare: Stalker Anomaly. Un’esperienza FPS (ma volendo si può scegliere nelle impostazioni anche la terza persona) che vi consiglio, se vi piace il genere e avete giocato alla trilogia originale. Vi lascio qui il link per scaricarlo: https://www.moddb.com/mods/stalker-anomaly

Nel gioco, che è un sequel immaginario della prima trilogia di Stalker (composta da “Shadow of Chernobyl”, “Clear Sky” e “Call of Pripyat”), si sceglie una fazione con cui giocare. Ogni fazione è avvantaggiata o svantaggiata rispetto alle altre (dal luogo della sua base, dal rapporto con le altre fazioni, ecc), ma molto resta sulle spalle del giocatore e della sua abilità. Le fazioni sono in tutto 12, con 3 che possono essere sbloccate solo una volta completate le tre missioni principali del gioco (i Renegades, i Sin e gli ISG). Non è però di questo che voglio parlarvi, ma solo di un’esperienza molto spiacevole che mi ha fatto riflettere. Una persona, forse di nazionalità statunitense (ero in inglese) è entrata in chat. Abbiamo iniziato a parlare, e io ho raccontato di come vorrei provare a giocare a Stalker creando da zero un personaggio per ogni fazione esistente nel gioco, dandogli anche delle regole mie partendo dalla sua storia personale. Il mio primo personaggio attuale, ad esempio, appartiene alla fazione degli Echologist. Si chiama Hans Steiner, 25 anni, nato a Berlino, è un pacifista, un bravo ragazzo, astemio e odia profondamente le sigarette. In più è asessuale. Mi sono immaginata che dopo una vita accademica completamente chiusa dentro il laboratorio della sua università, ha colto l’occasione di sostituire un collega in visita nella Zona, restandone incantato sebbene la stessa fosse violenta e pericolosa. Tornato in Germania, incapace di togliersi dalla testa l’esperienza vissuta, Hans si mette in contatto con il capo degli Echologist e ritorna nella Zona, desideroso di sapere di più di questo luogo, spaventoso e incantevole al tempo stesso. Quando gioco con Hans, ho delle regole: non posso uccidere nessun essere umano se non costretta dalla necessità di difendermi (se però posso scegliere la fuga la scelgo sempre) e non posso accettare missioni che prevedono raid nelle fazioni avversarie o l’uccisione di obiettivi umani precisi. Posso sparare a qualsiasi mutante e anche utilizzare i loro loot anatomici per cucinare qualcosa (sì, su Anomaly potete assaggiare gli occhi di lurker con fagioli e vodka). Essendo Hans astemio, non può bere alcolici, che nel gioco sono un antidoto alle radiazioni talmente prezioso che nel gioco vanilla non è possibile usarli per creare una molotov. Né può fumare sigarette. Può raccoglierli e venderli. Ma per curarsi deve usare solo pillole antiradiazioni o altri antidoti (siringhe, acqua, ecc). Inoltre non gli faccio mai raccogliere giornali pornografici: lo immagino che li ignora totalmente considerandoli un peso inutile. Una volta descritto Hans sono passata a parlare degli altri personaggi ed è venuta fuori la storia di Nikita. Nikita sarà della fazione dei Mercenary, donna transgnder che ha trovato nel combattere una sorta di vocazione. Anche per lei ho pronte delle regole, ma ho intenzione di iniziare la partita con lei molto più in là, quando conoscerò meglio il gioco. Mentre parlavo di lei in streaming, l’utente in chat mi ha detto: “deve essere per forza transgender?” Avevo già capito in che direzione andava la domanda. Ma per quanto colta di sorpresa ho semplicemente risposto qualcosa del tipo: “No, non per forza, ma lei mi è venuta così.” Il tipo è andato via pacificamente, ma non senza specificare che si vede che sono stata “corrotta” da un certo tipo di propaganda. Non mi importava, sono andata avanti a parlare dei miei personaggi, del mio Clear Sky che farò talmente misterioso che nessuno saprà mai se è maschio o femmina, della mia Sin, arrivata nella zona ancora minorenne perché completamente corrotta già in fasce dal richiamo della Zona oltre che da una passione ossessiva per la violenza, del mio Military, che sarà costantemente sotto pressione sul cosa ci sta a fare uno come lui in questo luogo incontrollato, della mia Duty che ha visto i suoi amici morire e così è arrivata a odiare profondamente la zona e i suoi abitanti…. Però, oltre al dispiacere della dichiarazione, mi è venuto un dubbio: se la comunità LGBT+ non fosse presente e in qualche modo riconosciuta (purtroppo anche solo come “minaccia” secondo alcuni come quello che era passato in chat) avrei mai saputo creare un personaggio come Nikita? Ci ho riflettuto molto, e la risposta che mi sono data è stata: in verità può essere.

Il mio rapporto con la comunità LGBT+ non è stato sempre roseo, poiché da brava cretina, quando ero ragazzina, mi è capitato di ritrovarmi a condividere dei contenuti non appropriati nei confronti della community, arrivando a perdere un’amicizia importante. Un giorno parlerò anche di quella storia perché è stata il vero punto di partenza per la creazione della tesi del complottismo. Tuttavia, soprattutto grazie a social come Facebook, ho incontrato e fatto amicizia con molti componenti della community che hanno saputo spiegarmi perché certe cose non andavano dette o condivise e a come esprimere correttamente il sostegno e volendo anche il dissenso per alcune idee esposte dalla stessa. L’amicizia c’è stata anche fuori dalla rete: durante il terzo anno della triennale, conobbi e uscii per molto tempo con dei ragazzi legati alla comunity che mi aiutarono a capire meglio quali erano i problemi che affrontavano ogni giorno, come alcune delle contraddizioni che si erano create al suo stesso interno (il caso arcilesbica).

Io stessa, per molti anni, mi sono posta domande sulla natura del mio essere. Ho sempre saputo però di trovarmi bene nel mio femminile. Non trovo questo aspetto la parte più importante di me, ma c’è e mi sta bene così. E al momento, sono ben felice con Cyborg, il mio ragazzo. E spero che questo momento si estenda per molti e molti anni. Con lui mi sento al sicuro e non baratterei questo sentimento bellissimo con nulla. La sua presenza è una delle cose che mi trattiene dall’autodistruzione e dall’abbattimento completo. Dunque potete capire quanto è preziosa.

Ma tornando all’inizio, tornando alla domanda che mi sono posta, all’idea che forse se non avessi conosciuto questa comunità Nikita non sarebbe mai nata… Continuo a pensare che non è vero che sarebbe andata così. Nikita sarebbe arrivata da me però forse non l’avrei raccontata nel modo giusto. E così vale per tutti gli altri personaggi appartenenti alla comunità LGBT+ che con il tempo si sono “presentati” nella mia testa.

Anche se a volte è un termine che mi sfugge, non mi piace mai parlare di “creazione” quando parlo di storie e personaggi. Per tanti motivi. Il primo è profondamente personale: noi umani in realtà non siamo creatori, semmai possiamo arrivare a essere cocreatori in una realtà già esistente e già pensata. Qualsiasi cosa nascerà dalle nostre mani, in natura esiste già, magari in forme inaspettate e nascoste. Il secondo è che ho sempre sentito i personaggi come dotati di una vita loro, indipendentemente dal mio intervento: io non ho che l’onore di raccontare una parte della loro vita, la più importante magari. Sono autrice, non creatrice. E per quanto mi senta legata ai miei personaggi, per quanto so che c’è qualcosa di me dentro di loro, non mi considero in un ruolo di potere nei loro confronti.

Se Nikita si fosse presentata a me anni fa, al massimo l’avrei raccontata come una ragazza mascolina e nulla più. E in questo modo il personaggio avrebbe perso molto della sua unicità.

Tra questa notte e domani mattina consegnerò sul portale dell’università la mia tesi di laurea, dove parlo proprio di questo: il fatto che per svilire il movimento, lo stesso venga ridotto a una semplice “agenda di propaganda”. La storia della “Lobby Gay” e della “Teoria del Gender” è destinata a tenerci compagnia per un bel po’. Insieme alle accuse verso chi come me crea personaggi così di farlo perché ci sono “cascati” o peggio ancora per “convenienza”. Io so che Nikita ci farebbe sopra una risata. Spero che sarò anch’io capace di fare così e di tirare dritto proprio come ho fatto durante lo streaming.

Ora però, parliamo un po’ di lei. Nikita nasce a Mosca con il nome Nikolay. Anche se capisce subito di non riconoscersi come identità maschile, non scopre subito le carte in tavola. Riesce a nascondersi facilmente anche grazie a una passione che ha notoriamente attribuita al genere: quella delle armi. Nikita adora le armi. Suo padre è un ex dipendente di una fabbrica di armi e collezionista incallito, ben felice di vedere quello che considera il suo figlio maschio iscriversi all’esercito. Dislocata nella Zona a vent’anni, Nikita inizia come militare e fa conoscenza di una Loner tenuta prigioniera che l’aiuterà a realizzare quale è la sua vera identità. Dopo uno scambio di ostaggi, sicura che la sua amica sia libera, Nikita si trasferirà in Svizzera e con i soldi guadagnati nella Zona inizierà un processo di transizione. Una volta completato lo stesso, taglierà i ponti con la famiglia e lavorerà al poligono di tiro più importante di Zurigo. Il richiamo della Zona è forte, così come il desiderio di rivedere la sua amica. Ma l’esercito non la lascerà rientrare in quanto persona transgender. Diverso sarà invece il parere del capo dei Mercenary: egli sa che Nikita non sbaglia mai un colpo, né una pugnalata e la chiamerà a far parte della sua fazione. Così, a ventinove anni, Nikita tornerà nella Zona e inizierà la sua storia. Le regole per giocare con lei saranno: 1 – fabbricare il più possibile le armi utilizzando il crafting 2 – mai accettare missioni contro la fazione dei Loner 3 – cucinare con le parti dei mutanti va bene, ma mai mangiarle: i piatti creati sono per il commercio. 4 – ok l’alcool, mai la sigaretta (ma la può vendere)

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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