Oliviabenson2

Spero di lasciarvi, nonostante tutto, un buon ricordo

L’uomo che non voleva curarsi (storia vera)

Mio padre non ha mai camminato. O meglio, io non l’ho mai visto camminare. A tre anni fu colpito dalla poliomielite, una malattia ancora molto diffusa nel mondo e probabilmente lo sarebbe anche in Italia se non vi fosse l’obbligo di esservi vaccinati dall’infanzia. Per tutta la sua vita, ad eccezione dei primi tre anni, non ha potuto usare le sue gambe. Quando mi veniva a prendere a scuola, poiché era evidente che non poteva camminare, i miei compagni lo scambiavano per un nonno. Imparai subito a spiegare la sua condizione. Non poteva prendermi in braccio come gli altri papà. Però mi portava volentieri a cavallo della sua sedia a rotelle in casa. Nonostante il suo handicap (o forse proprio per quello), mio padre odiava i medici. Da che ho iniziato a capire il linguaggio, ho sentito dire da lui solo peste e corna della medicina e dei dottori e ha sempre dimostrato una gran paura per gli ospedali, rifiutando i ricoveri anche quando necessari (se non fosse stato incosciente, probabilmente avrebbe rifiutato anche l’ultimo). Si era ritrovato, ben prima che diventasse un fenomeno di internet, radicalizzato in diverse credenze antiscientifiche inerenti la medicina. Ha sempre preferito l’omeopatico all’ufficiale e fosse stato per lui, salvo il vaccino anti-polio, probabilmente non ci avrebbe fatto altri vaccini. Fortunatamente, mamma non era di quel parere. E siccome era lei ad assolvere la maggior parte dei compiti di cura per me e per mio fratello, abbiamo sempre avuto i giusti vaccini e le giuste medicine. Mai eccessi, mai difetti. Mio padre però ha deciso di mantenere la sua testarda idea. Per anni non ha curato molti dei malanni che ha preso e ha rifiutato molti vaccini (incluso quello della polmonite). Ogni disturbo che ha avuto, per quanto evidente, come ad esempio le apnee notturne (potete leggere cosa sono qui: https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/cardiologia/apnee-notturne-quali-rischi-si-corrono-se-non-si-curano ), è stato da lui ignorato, arrivando anche ad accusare apertamente chi di noi gli faceva notare che era evidente che qualcosa non andava di “stupidità”; una volta, a tavola, mi ha addirittura dato dell’imbecille davanti a mia madre, quando avevo detto che forse avrebbe dovuto prendersi delle medicine invece degli integratori allo zenzero. Negli ultimi dieci anni, neanche la lotta combattuta contro il tumore è riuscita a fargli cambiare idea sul prendersi cura di se stesso chiedendo aiuto e seguendo istruzioni adeguate. Finito il ciclo di cure regolari, il suo mantenimento sono stati integratori e gocce omeopatiche. E se non fosse stato costretto a dei controlli di rutine, probabilmente il risveglio della malattia, individuato mesi fa, non sarebbe stato scoperto. Quando lo abbiamo fatto ricoverare prima di pasqua, pensavamo che avesse preso quello che avevamo anche noi: questa specie di influenza che poi era degenerata in una forma di bronchite. Aveva iniziato (con molto ritardo) a prendere gli antibiotici e a fare un po' di fumenti classici. Ma in realtà, nel suo caso, il virus era quello della polmonite. Adesso è in terapia intensiva e comunque, almeno da quello che mi è stato raccontato, tratta male i medici e le infermiere che ha intorno. È costretto a curarsi, non può rifiutare le medicine come fa a casa. E forse è proprio questo il motivo per il quale odia gli ospedali: al loro interno non ha autorità. Può sembrare strano che una persona così legata a una problematica corporea odi la medicina, eppure sono molti nelle comunità sia di handicap fisici, sia nelle comunità neurodivergenti, sia tra coloro che hanno disturbi di salute mentale (depressione, disturbo bipolare, narcisismo) che odiano la medicina. I motivi sono molti: da una generale sfiducia del sistema, a una brutta esperienza personale che viene trasformata in generalizzazione. Lo stato della società in cui ci troviamo non aiuta certo a far cambiare idea. E così ci stanno persone che al posto di un aiuto psichiatrico, credono di poter curare la loro vita con lo yoga; gente come mio padre che ha uno stato tale di apnee notturne da dormire malissimo e addormentarsi durante il giorno rischiando di cadere dalla sedia a rotelle che preferisce prendere lo zenzero per tenersi sveglio; e molti ragazzi autistici e non solo che spesso, purtroppo anche con il benestare di tutori e genitori, pensano di poter risolvere tutto con una dieta senza glutine e non vedono neanche l’ombra di uno psicologo specializzato che possa supportarli, se non magari una volta l’anno per rinnovare il diritto alla pensione (che non tutti fanno, perché dopotutto se il figlio può guarire mangiando mele, perché registrarlo come handicappato? – storia a cui abbiamo veramente assistito). Quanto ho annotato può essere uno strumento di supporto. Ovunque si possono trovare liste che annotano i benefici di strumenti come lo yoga, sostanze come lo zenzero, e di diete particolari come quella che esclude del tutto o solo in parte il glutine. Ma, come tutti gli strumenti, da sole non bastano. Perché vi sto raccontando questo? Nessun motivo in particolare. Anche questo racconto è solo uno strumento, un monito, che da solo non può bastare. Vi può dare un’idea su quello che ho passato da bambina e non solo. E vi può far capire quanto sia importante cercare l’aiuto di professionisti. Ma sta poi a voi attrezzarvi per decidere che fare del vostro corpo e della vostra testa. Mio padre ha rifiutato strenuamente di curare l’una e l’altra (sì, perché ha avuto anche dei disturbi psicologici, conseguenza delle lunghe degenze delle sue malattie) e ora è in ospedale e ci resterà, si pensa, almeno per due mesi, se non di più. Se infatti all’inizio i dottori ci avevano parlato di inizio maggio per una dimissione, ora preferiscono non sbilanciarsi. In più, il suo stato sta favorendo probabilmente il proliferare di cellule tumorali nel corpo. Quindi pure se esce, un futuro rientro è probabile in tempi brevi. E se lui è in ospedale, è perché comunque siamo stati noi a chiamare l’ambulanza. Molti non hanno neanche questo, non hanno qualcuno accanto che chiama i soccorsi per loro quando li trova con le labbra viola e incoscienti. E per molti altri, invece, qualcuno c’è, ma alla fine l’ambulanza non la chiama. Anche se il nostro sistema fa abbastanza schifo, per tutti i tagli che ha subito, cerchiamo di approfittarne: andiamo agli screening, memorizziamo le nostre asl e guardie mediche. Purtroppo la situazione non sembra in via di miglioramento e questo è uno dei motivi per il quale io ho ad esempio aperto una assicurazione sanitaria per me. So che non tutti possono farlo e che non è un sistema giusto. Ma in mancanza di meglio e dopo aver visto quanto è successo a mio padre ho preferito investire parte dei risparmi in quello. Non sto usufruendo di alcun servizio per mia fortuna, ma se dovesse capitarmi qualcosa c’è una strada in più. Mio padre avrebbe rifiutato anche quell’opzione e non sarebbe ricorso nemmeno alla fisioterapia necessaria alla sua condizione (per evitare cose come piaghe da decubito) se non fosse stato per mamma e per il merito che il nostro sistema ancora ha di fornire un minimo di servizio di questo tipo. Quindi per chiudere, cercate di fare attenzione a voi stessi. Cercate di mantenervi per quanto possibile e di non lasciarvi incantare troppo da chi vi dice che il sistema non funziona e quindi la sua soluzione è la migliore. Anche se ha ragione sulla prima parte della frase, la seconda dopo la congiunzione è una cavolata. Per quanto riguarda me, so che quanto sta succedendo a mio padre è soprattutto una sua responsabilità. Aveva gli strumenti, persino più strumenti degli altri, e ha deciso di non utilizzarli. Aveva un sistema (noi) di supporto che gli aveva fatto notare ciò che non andava e ha deciso di risponderci male e non darci ascolto. Aveva la possibilità di farsi anche il vaccino contro la polmonite a casa, perché il medico si era proposto di farlo, per aiutarlo. E non si è voluto fidare. Se questa storia finirà male, proverò un gran dispiacere, ma di sicuro nessun senso di colpa.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio

Gli XFiles di Cabot Cove – Parte 4

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la quarta parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

Parte 3: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-3-racconto-fanfiction

Scese le scale nel buio e andò verso la cucina dove si prese un bicchiere d’acqua. Sul tavolo c’erano i resti della “cena fredda” che Jessica Flatcher aveva preparato e consumato insieme a loro: sandwich ripieni e succo d’arancia, seguiti da una fetta di una torta fatta in casa di cui aveva spiegato per filo e per segno la ricetta. Era stata una cena veloce, che Mulder aveva consumato in silenzio, ascoltando le chiacchiere della scrittrice che sembrava ricordare ogni singola tempesta avvenuta a Cabot Cove; Dana aveva preso la parola più volte, ma solo per fare qualche domanda pertinente o raccontare anche lei qualche episodio inerente il brutto tempo. Fuori la pioggia ancora cadeva forte, ma almeno non si sentivano più i tuoni. Forse anche per questo, all’improvviso la luce ritornò. Cucina e salotto si illuminarono e Fox Mulder si sentì all’improvviso molto più calmo. “Adesso esplorare la casa sarà semplice.” Diede un’ultima occhiata indagatrice alla cucina e sbirciò sia nella credenza che nell’armadietto sotto al lavandino. Ma non trovò nulla. Nulla di sospetto almeno. La lampadina sfarfallò un po' e così l’uomo decise di prendere la scatola di fiammiferi e portarsi appresso il candelabro. Tornò così nel salone: il camino ormai era spento e solo delle brillanti braci rosse in mezzo alla cenere nera confermavano l’esistenza del fuoco. Fox osservò nuovamente la caotica biblioteca della signora Fletcher e solo allora notò una foto incorniciata: la donna era evidentemente Jessica da giovane e come aveva immaginato, era molto bella; l’uomo invece era probabilmente suo marito, il fu Frank Fletcher. Era una foto in bianco e nero e vedeva i due in una posa da ballo ma con lo sguardo al fotografo. Sentì un fruscio e percepì con la coda dell’occhio un movimento: alzando lo sguardo vide la padrona di casa che arrivava dal buio delle scale e sobbalzò. Anche la donna fu spaventata e lanciò un piccolo urlo seguito da una risatina allegra. “Ahaha! Mi ha spaventata agente Mulder! Mi scusi, non pensavo fosse qui!” Mulder, che si era teso e ancora teneva in mano la foto, cercò la scusa più rapida: “Mi scusi… Non riuscivo a dormire, sono venuto a prendere un libro e… e all’improvviso la luce è tornata.” “Sì per fortuna. Ero venuta giù proprio per spegnerle e per provare a chiamare lo sceriffo… Però la pioggia ancora molta vedo…” disse la signora Fletcher avvicinandosi alla finestra. La signora Fletcher, che indossava una lunga vestaglia chiara, ricordò a Mulder l’immagine della copertina di un libro di fiabe che aveva da bambino: una nonna vestita di bianco, seduta a leggere un libro a tanti bambini. Nulla di minaccioso. Quando la donna si voltò verso di lui scrutò la mano che teneva la fotografia. Fox gliela porse subito: “Non ho potuto farne a meno. È una bellissima foto.” La signora Fletcher la prese in mano e la osservò sorridendo teneramente: “La mia prima foto con Frank… ci eravamo conosciuti da una settimana quando è stata scattata. Pensi” si sedette sul divano e Fox con lei “che credevo di averla persa. E invece, mettendo a posto delle scartoffie qualche settimana fa, l’ho ritrovata! È stato bellissimo riaverla tra le mani! Qui eravamo all’Appleton Theater, dove ai tempi lavoravo per mantenere i miei studi e farmi le ossa. Mi sarebbe piaciuto diventare giornalista, ma… alla fine ho seguito un’altra strada.” “Mi sembra una strada migliore…” disse Mulder. “Sicuramente lo è stata al fianco di Frank.” Jessica Fletcher appoggiò la foto sul tavolino di fronte a loro e sospirò. Mulder continuava ad osservarla, in cerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione: un’espressione, un cenno, un difetto del viso che confermassero qualche presenza o coscienza negativa nella donna. Eppure, non la trovava. A parte il lampo di rabbia mostrato dopo l’accenno alla sua continua presenza in casi di omicidio, Jessica Fletcher sembrava un essere incapace di sentimenti negativi. Anche in quel momento, mentre osservava la foto di lei e del marito, sembrava più persa nella nostalgia e nella commozione, che nella disperazione. Gli occhi azzurri della donna si erano fatti lucidi e sopra uno di essi, dove si stava formando una lacrima, vi passo il dorso della mano per asciugarla. “Le chiedo scusa…” “Non si preoccupi, signora Fletcher.” “Posso farle una domanda?” Mulder fu colto di sorpresa, ma dopo quella conversazione, sentì di non potersi rifiutare: “Ma certo…” “Non ho capito esattamente qual è il vostro ruolo nell’FBI.” Fox Mulder si era preparato a una domanda del genere: “Io e la mia collega Scully siamo agenti speciali, lei è nel ramo della medicina forense, io sono più per l’azione e la burocrazia.” “Agenti speciali, ha detto?” “Esattamente. E non posso fornire altre informazioni.” La signora Fletcher apparve confusa. Si portò una mano sotto il mento e assunse un’aria pensierosa. “Qualcosa non va?” “Non riesco ancora a capire perchè per una comunicazione come quella che mi avete portato siate dovuti venire proprio voi dell’FBI.” Mulder si era preparato anche quella risposta: “Non c’è nessun motivo in particolare signora, se non che durante una nostra raccolta di dati il suo nome è venuto fuori più e più volte. Sa, una volta è un caso, due volte una coincidenza, tre volte un indizio… o non è questo il proverbio dei gialli?” La signora Fletcher rise: “Ho sentito qualcosa del genere, ma non è il proverbio dei gialli! Ma… Avete davvero letto tutti i miei libri in quattro giorni?” “Sì. Ero molto… molto curioso.” “Mi lasci indovinare: voleva vedere se mi ero ispirata a qualcuno dei casi in cui sono rimasta coinvolta, per scrivere i miei romanzi.” Mulder non se lo aspettava, così come non si aspettava che gli occhi della donna, ora socchiusi, potessero emanare una luce di furbizia e soddisfazione così forte. Perché sì, aveva fatto centro, anche se non era l’ispirazione che lui era andato a cercare. “Ammetto che ho avuto una curiosità simile.” Replicò l’agente cercando di non scomporsi. “Oh, le posso assicurare che faccio del mio meglio per tenere separate realtà e fantasia. Anche se ammetto che sì, una volta, con il mio romanzo ‘Il latitante’ sono andata molto vicina alla realtà, senza volerlo fare davvero. E ho così inavvertitamente risolto un omicidio!” Mulder chiuse gli occhi e ripassò a mente le informazioni acquisite sulla signora in quei giorni: “Ah sì! Il caso Navarro (1)! Sì avevo letto parti del fascicolo! E dire che tra i suoi romanzi è quello che mi è piaciuto meno.” La signora Fletcher parve restarci male, ma poi fece le spallucce. “Non volevo dire che era brutto!” si affrettò a dire Mulder “Ma solo che non è stato il mio preferito!” “Oh, c’è chi considera tutti i miei libri spazzatura. E non posso biasimare questo giudizio: anche io che ho studiato e amato tanto la narrativa, riconosco nella letteratura di genere una componente commerciale e di bassa categoria. Non è poesia, non è Shakespear. È un romanzo giallo, oppure un noir, o una storia poliziesca… e non deve piacere a tutti. Però le dirò, quando scrivo mi piace molto immaginare quello che può succedere e soprattutto come rovesciare le situazioni. E voglio che tutto sia preciso, chiaro, comprensibile… voglio che i miei lettori si divertano e che amino le mie trame proprio come le ho amate io mentre scrivevo.” Mulder annuì: “Immagino dunque… che anche partecipare a un caso vero possa essere d’aiuto da un certo punto di vista…” Jessica Fletcher parve seccata: “Agente Mulder, le posso assicurare che la mia presenza in così tanti casi di omicidio è solo una coincidenza.” “Io non credo alle coincidenze, signora Fletcher.” Un lampo esplose all’esterno, illuminando per un attimo l’intera casa e le stanze ancora avvolte nel buio. Il tuono però non si udì subito. Esplose dopo alcuni secondi. Segno che anche se ancora pioveva, almeno i fulmini era ormai lontani dalla casa. “In che senso non crede alle coincidenze, signor Mulder?” domandò la signora Fletcher, che però aveva aspettato pazientemente l’esplosione del tuono. “Spesso, quelle che noi chiamiamo coincidenze, non lo sono. Spesso c’è una spiegazione razionale…oppure incredibile, ma comunque slegata dal nostro concetto di ‘caso’. Spesso le cose accadono perché c’è… qualcosa che le ha fatte accadere. E lei stessa, signora Fletcher, mi scusi se mi permetto, ma ha saputo abilmente utilizzare la sua razionalità per dimostrare che certi eventi non erano semplice coincidenze ma prove importanti.” “Quindi lei pensa che io vada a cercarmi gli omicidi in giro per il mondo?” “Non ho modo di comprovare una cosa del genere… ma sono un uomo che non si ferma al concetto di coincidenza… Sono un agente dell’FBI e ne ho viste tante di coincidenze che non erano tali. Non ce l’ho con lei, signora; ma mi conceda il sospetto.” Questa volta, la signora sembrò accogliere meglio quell’accusa. Non si arrabbiò, ma rimase seduta in silenzio con aria pensierosa. Poi si alzò e disse solennemente all’agente, fissandolo negli occhi: “Signor Mulder, credo che lei almeno in parte abbia ragione. È vero, sono una persona che si fa coinvolgere facilmente. Ma le posso assicurare che lo faccio sempre a fin di bene.” “Non ho mai messo in dubbio la sua etica.” Mulder si sentiva sempre più imbarazzato. Sembrava impossibile spiegare la sua teoria senza nominarla esplicitamente, ma se lo avesse fatto… sapeva benissimo quali sarebbero state le conseguenze. In quella missione non era solo: c’era anche Scully e un capo che gli aveva dato degli ordini precisi. In più, c’era un problema ancora più grande che lo metteva in una posizione scomoda: più stava vicino a quella signora e più non riusciva a trovare in lei nulla di negativo. Se non fosse stata circondata da tutti quei casi di omicidio, sarebbe sembrata semplicemente una simpatica nonnina del Maine, abile nel raccontare storie sanguinose, ma anche nello sfornare dolci e fare conversazioni amabili e interessanti. “E sì… ammetto che… ci sono state delle volte in cui… ho messo a rischio molte persone, inclusa me stessa. E le dirò… mi sono quasi abituata a questo continuo coinvolgimento. Tanto che quando avete detto che gli omicidi sono centinaia, mi sono seriamente preoccupata. Solo che, ammetto che non saprei in che modo intervenire su questa coincidenza.” Sembrava veramente dispiaciuta mentre lo diceva. Mulder cominciava a sentirsi in imbarazzo. Cosa poteva dire alla signora dopotutto? “Resti a casa e non si muova più perché è evidente che ovunque va, la morte la segue.”? Sembrava assurdo anche a lui dirsi quelle parole nella testa. “Non posso fare altro che promettere a lei e alla sua collega di non farmi più coinvolgere in alcun modo, sia che mi sia richiesto o che mi trovi nel luogo per caso.” Proseguì la scrittrice sospirando “Certo, sarebbe brutto se poi per una mia mancanza una persona innocente finisse in galera… però, credo che sia la cosa migliore e anche la più semplice. Dopotutto gli omicidi non vengono certo a bussare alla mia porta.” Fu allora si sentì bussare alla porta. Colpi veloci e forti. “Oh cielo! E chi è adesso!?” esclamò la signora Fletcher avviandosi alla porta. Colto da un brutto presentimento, Fox Mulder la seguì. Quando la donna spalancò la porta, davanti a loro comparve Michael Sting, che però non indossava il cappuccio del suo impermeabile giallo a strisce nere. Il volto fradicio dell’uomo era stranamente gonfio. Fece un passo avanti ed emise un rantolo prima di cadere in avanti, rivelando un pugnale infilzato nella schiena.

(1) Riferimento all’episodio “Il Latitante” della decima stagione de “La signora in giallo”, dove Jessica Fletcher viene accusata di calunnia da un ex-galeotto per alcune scelte narrative del suo nuovo romanzo.

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Vi presento “L'uomo vascello” (Autopromozione)

Pochi mesi fa, mentre ero in attesa di concludere il mio percorso universitario, stavo pensando di smettere per sempre con la scrittura. Avevo completato la tesi, ero in attesa delle ultime correzioni e del completamento delle pratiche burocratiche. Avevo fatto tutto il dovuto e dovevo aspettare i “comodi” degli altri. Nel frattempo due cose erano successe: avevo chiuso un rapporto con un editore che si era rimangiato delle promesse e stavo osservando dei movimenti nel mondo dell’editoria che non mi piacevano. C’erano anche altri problemi (alcuni ancora presenti), ma non starò qui ad elencarli anche perché non riguardavano strettamente la scrittura. La cosa che più mi dava fastidio era il senso di totale passività che provavo in quel momento, perché nonostante io avessi fatto il mio dovere, c’erano altre cose che dovevano muoversi e io non potevo contribuire al loro movimento: l’università e i miei relatori agivano indipendentemente da me e se per un qualsiasi motivo ci fosse stata una decisione opposta da parte di una di queste “entità”, un ritardo o anche solo un errore, io rischiavo di dover rimandare ulteriormente la tesi, prolungando l’attesa di altri mesi e costandomi anche a livello economico. La stanchezza mentale di quelle giornate mi rendeva difficile scrivere qualsiasi cosa, perfino il mio diario e anche questo mi faceva pensare che forse non dovevo più toccare una penna. Avevo fatto inoltre dei colloqui di lavoro abbastanza disastrosi con delle redazioni/case editrici. In questa situazione di profondo sconforto, un personaggio prese forma nella mia testa. In realtà, lo avevo conosciuto un po' di tempo prima, ma non avevo mai avuto di approfondirlo. Ho già raccontato (qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/se-non-fossi-corrotta-non-esisterebbe-in-difesa-di-nikita-personaggio ) che spesso i personaggi si mostrano a me come fossero persone vere. Non posso parlare realmente di processo creativo, perché a volte mi sembra che siano più loro a raccontarmi la loro storia che il contrario. Mi piace in questo senso immaginare che la mia testa sia una specie di bar, dove pensieri/idee diverse, assunta una forma personificata, si incontrano e iniziano a parlare tra loro o direttamente a me, la barista. Se poi la storia che raccontano mi piace, decido di mettermi al lavoro sulla stessa e allora inizia un processo di confronto diverso. Se invece la storia non mi convince o non posso lavorarci, i personaggi non vanno via. Restano nel bar “a disposizione”, come attori in attesa del loro turno sul palcoscenico. Questo personaggio apparteneva alla seconda categoria. Di genere maschile, ma senza nome, era uno degli esseri più passivi che avessi mai creato/incontrato. Una volta mi ero domandata se fosse effettivamente possibile raccontar la storia di qualcuno totalmente passivo e lui si era presentato rispondendomi di sì. Non ha mai avuto un nome proprio, alla fine l’ho nominato: l’uomo vascello. Faccio però fatica a identificarlo come un essere umano: è infatti un essere profondamente odioso, nei modi e nei pensieri, come nelle poche azioni che svolge; vede gli altri come un problema, nel peggiore dei casi; nel migliore, diventano uno strumento che usa con il fine egoistico di concedersi un po' di piacere fisico o mentale; chi legge la sua storia può erroneamente vederlo come un personaggio bisessuale, ma la verità è che non ha mai avuto preferenze particolari, o comunque non le ha mai indagate; non è in grado di amare le altre persone, in nessuna circostanza. Non mi piaceva, per questo non avevo mai raccontato la sua storia: era un essere intelligente e lucido ma mentalmente immobile, in balia di eventi abbastanza terribili da cui però traeva segretamente un senso di controllo e potere sugli altri. Questa cosa a me personalmente dava molto fastidio, ma in quel periodo di profondo dolore, era l’unico personaggio che sembrava mostrare al meglio quello che era il mio senso di attesa e frustrazione profonda. Anche se, mentre per me la stessa si trasformava in notti insonni o popolate da incubi e giornate passate seduta al PC a ricaricare la casella di mail universitarie, per lui la sofferenza fisica e l’insonnia erano una cosa di rutine, l’attesa e la costrizione all’essere alle dipendenze degli altri custodivano la promessa di un potere più grande. Quando lessi della chiamata narrativa della rivista “Il lettore di fantasia” (Per la rivista: https://www.illettoredifantasia.it/ Per il bando della chiamata narrativa: https://mailchi.mp/b5e292a4f409/call23inv ), volevo partecipare ma l’unica cosa che avevo in testa era la storia, da raccontare in prima persona, di questo gigantesco str0nz0, questo “vascello” carico di veleno e cattiveria. Alla fine, qualche giorno dopo il completamento delle ultime pratiche e la conferma che sì, mi sarei laureata, ma ancora non si sapeva in quale giornata, decisi di mettermi a scrivere di quest’uomo orribile, se non altro nella speranza che mi avrebbe lasciata in pace. Né uscì fuori un racconto horror con elementi che rimandavano al mondo lovercraftiano che intitolai appunto “L’uomo vascello”. Non riuscivo ad amare quello che avevo tirato fuori, rileggere il racconto mi aveva quasi spaventata: c’era sofferenza, rassegnazione, rancore, cattiveria… neanche un’ombra di sentimenti positivi. Anche il titolo mi pareva brutto, mi immaginavo chi lavorava in redazione leggere “L’uomo vascello” e scoppiare a ridere per l’imbarazzo della bruttezza di un titolo così. Stavo anche pensando di non mandarglielo, per non fargli perdere tempo. Stavano partecipando in tanti, più qualificati di me sicuramente, mi dicevo, poi io stavo pure pensando di lasciar perdere la scrittura quindi non aveva nemmeno tanto senso partecipare; ma ormai avevo completato il lavoro. Ci avevo impiegato circa due giorni (notti incluse) e mi sarebbe dispiaciuto non provarci nemmeno, anche se ero sicurissima che non sarebbe andato. Dopo un ultimo editing, inviai il racconto. Non lo dissi a nessuno, o forse accennai qualcosa, ma ero talmente sicura che quello sarebbe stato il mio ultimo racconto che non feci troppa pubblicità sulla mia partecipazione. Passarono le settimane, mi laureai, passai delle feste serene e ripresi un po' la scrittura (a mano) e quasi mi dimenticai di quel mostruoso personaggio che aveva infestato la mia mente per un tempo che a me sembrava infinito. Il 7 gennaio del 2024 però ricevetti una mail: il mio racconto avrebbe fatto parte dell’antologia. E avrei anche ricevuto un compenso! La redazione del “Lettore di Fantasia” è stata molto professionale nello svolgimento di tutto il processo: dal bando, al contratto, all’editing dell’ebook (dove se troverete delle stranezze è solo per via dell’impaginazione dello stesso) e ha reso noi autori partecipi di tutto, rispondendo sempre e in modo professionale a ogni domanda posta e hanno regalato una copia dell’antologia a tutti gli iscritti al loro patreon. Ma le storie non possono restare una cosa d’élite. È con grande piacere dunque che vi annuncio l’uscita dell’antologia su Amazon, dove può essere ora acquistata: https://www.amazon.it/dp/B0CVNLVTX1 Comprandola sosterrete tanto la realtà de “Il lettore di fantasia”, quanto me e tutti gli altri autori che vi hanno partecipato. Oltre al mio “vascello”, infatti, troverete tanti altri personaggi con le loro avventure. Inutile poi dire i risvolti che questa avventura mi ha portato: ho deciso alla fine di non smettere di scrivere e di continuare a provarci. “L’uomo vascello” mi ha dimostrato che anche se un lavoro può non essere propriamente “bello e buono”, può comunque riuscire ancora a trasmettere qualcosa a chi lo legge. Abbastanza da essere accettato a fianco di altri lavori (belli).

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

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Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 3 – (Racconto-Fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la terza parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

L’abbondante riserva di candele che la signora Fletcher aveva in casa, venne giustificata dalla stessa signora: “Capita spesso, durante le tempeste, che la luce vada via. Anche per questo quando sono qui preferisco la macchina da scrivere al computer.” Mulder, che non aveva ancora perso il pallore acquisito alla notizia dell’ennesimo lutto che faceva parte della vita della Fletcher, stava in piedi vicino a lei, illuminando con la candela il telefono che però si rivelò presto anch’esso fuori uso. “Avevamo separato l’attacco del telefono apposta… Tutto inutile…” Mormorò la signora Fletcher poi prese dalle mani di Mulder la candela “Beh, torniamo in cucina, in fondo manca ancora molto all’ultimo autobus. Magari poi la pioggia smette… Ma lei è pallido come un lenzuolo! Venga si metta a sedere!” “Sto bene, sto bene….” Mulder indietreggiò terrorizzato dall’idea di essere toccato dalla signora Fletcher. Dana intervenne subito, aiutandolo a sedersi. Poi si avvicinò alla Fletcher e sussurrò: “Io e il mio collega abbiamo dovuto affrontare un caso molto importante di recente… c’erano di mezzo dei bambini.” (1) “Ah…” La signora Fletcher fece un piccolo cenno con il capo. “Questo è il nostro primo incarico dopo la licenza. Dobbiamo ancora riabituarci. Il pensiero di un ragazzo senza genitori deve avergli riportato alla memoria quanto abbiamo visto…” “Capisco… Ho una camera per gli ospiti, vuole portarlo lei a stendersi lì?” “No, signora Fletcher, ma apprezzo il pensiero. Vorrei chiederle però di preparare, se riesce, un caffè caldo. Lo calmerà di sicuro. Io lo porto di là in salone e provo a parlargli.” “Va bene.” Dana prese un piccolo candelabro a tre manici e poi fece un cenno a Mulder di andare verso il salotto. Lui, sempre pallido, la seguì senza fare storie. Anche quando si sedettero sul comodo divano, davanti al camino ancora acceso e rumoreggiante a causa delle goccioline che superavano, spinte dal vento, la copertura del comignolo, l’uomo non potè fare a meno di girare la testa verso la porta della cucina, osservandola preoccupato. “Qui non può sentirci.” Sussurrò Dana con tono severo. “La morte circonda quella donna…” mormorò Mulder. “La morte circonda tutti noi! Non puoi comparare dei lutti personali a degli omicidi!” “Omicidi nei quali lei è sempre presente.” “Quanti omicidi vengono commessi in tutto il mondo ogni giorno?” “In quanti di questi omicidi si ritrova sempre la stessa persona coinvolta?” Il bagliore della candela proveniente dalla cucina si fece più vivido. “Sssh! Eccola!” E infatti la signora Fletcher comparve con un sorriso e una tazza di caffè fumante in mano. “Mi sono permessa, signor Mulder, di aggiungere del miele, che non viene mai messo nel caffè ma le assicuro che fa un effetto strepitoso!” disse con un tono allegro ma dolce, che ricordava proprio quello di una nonna che porta ai nipoti una merenda “Questo miele è di Cabot Cove, lo produce il signor Sting che è venuto qui apposta per fare l’apicoltore!” “Un apicoltore di nome Sting?” domandò incredulo Mulder. Anche Scully si sorprese. “Oh! Ci scherza sempre anche lui!” (2) disse la signora Fletcher “Ne vuole una anche lei?” “No grazie.” Rispose Dana. “Signora Fletcher… Vorrei farle una domanda che spero lei prenda nel migliore dei modi, perché mi rendo conto che può sembrare un’accusa.” Fece Mulder tutto d’un fiato mentre con la mano tremante prendeva in mano la tazza “Ma lei si è mai domandata come mai finisce sempre coinvolta in casi di omicidio?” La domanda colse evidentemente di sorpresa la scrittrice. Lei rimase con lo sguardo vuoto e gli occhi spalancati per diversi secondi prima di allargare le braccia in un plateale gesto di confusa rassegnazione: “Non lo so e ammetto che non mi sono posta troppe domande. C’è una mia certa inclinazione alla curiosità… Che sicuramente ha un ruolo. Però ho smesso di domandarmelo più o meno dopo il terzo caso che mi sono ritrovata ad affrontare… Tuttavia ci tengo a dirvi, per ricollegarmi anche a quello che mi avete detto voi prima, che il più delle volte non sono io a trovare gli omicidi, ma sono gli omicidi che trovano me.” Mulder, che ancora non aveva avuto il coraggio di bere, fissò intensamente la donna: “E la cosa non la infastidisce?” “Non mi rende felice, se è questo che vuole sapere.” Il tono della Fletcher si incrinò per la prima volta da che erano entrati in casa sua: non più calmo, accogliente, simpatico, ma piccato e deciso. Anche gli occhi, illuminati dalla calda luce della fiammella, brillarono per un attimo di quella che pareva una rabbia autentica. Mulder annuì e si prese un lungo sorso di caffè: “Il suo caffè è ottimo… e il miele ci sta molto bene. Non volevo offenderla. Mi scusi.” La signora Fletcher annuì e sembrò quasi rattristarsi, come pentita di quel breve momento di furia: “Dovete scusarmi voi: io capisco il vostro lavoro e il vostro avviso lo prendo molto sul serio.” Poggiò la sua candela sul tavolino e si sedette in poltrona, dirimpetto a loro. Rimasero tutti e tre in silenzio, ad ascoltare il fruscio della pioggia, il crepitare del fuoco e i lenti sorsi di Mulder. Dana lo osservava cercando di capire se almeno quello scambio di battute avesse effettivamente calmato la sua tensione, o se invece ne aveva solo generata dell’altra. Jessica Fletcher, invece, scrutava la finestra ed era evidentemente preoccupata. Fuori, le gocce di pioggia erano così intense che rendevano invisibile la strada. Li riscosse un improvviso rumore: qualcuno che bussava alla porta. “Con questo tempo!? E chi può essere!?” Jessica Fletcher prese la candela, si alzò e andò ad aprire. Fecero ingresso due uomini con in mano delle torce elettriche: uno piuttosto imponente nell’aspetto, coperto da un impermeabile grondante di colore verde scuro. L’altro magrissimo, con un impermeabile giallo a strisce nere. “Oh Seth! E Michael Sting! Cosa ci fate qui?” “Sting l’apicoltore?” domandò Mulder. “Affermativo!” rispose allegramente l’uomo con l’impermeabile giallo a strisce nere alzando il braccio “Con chi ho il piacere di parlare?” Mulder non rispose subito, perché affondò la testa fra le mani, dopo aver poggiato la tazza ormai vuota. E Dana, questa volta, non lo biasimò: perché anche lei cominciava a infastidirsi di tutte quelle coincidenze. “Jessica ti abbiamo disturbata?” L’uomo dalla stazza imponente si era tolto il cappuccio, rivelando un volto anziano, ma paffuto, con due occhiali in montatura nera. “No Seth, non preoccuparti, questi signori sono…” “FBI” intervenne Dana alzandosi “in visita alla signora per un problema di statistiche. Sono Dana Scully, lui è il mio collega, Fox Mulder.” “Seth Hazlitt, medico della città. Piacere…” strinse la mano di Dana chinando rispettosamente la testa. Non sembrava né sorpreso né allarmato dalla loro presenza in casa di Jessica. “Michael Sting! Apicoltore!” il magrissimo Sting si esibì in un baciamano piuttosto goffo “Jessica ora lavori anche per l’FBI?” Jessica rise: “No, ovviamente no.” “Anche…” mormorò Mulder che era rimasto seduto. “Non siamo qui per… o meglio siamo qui per lavoro ma non per chiedere alla signora una collaborazione. Comunque abbiamo finito e vorremmo ripartire con il prossimo autobus.” “Lei deve essere pazza!” esclamò senza esitazione Seth Haztlitt “Nemmeno un carro armato potrebbe girare con un tempo del genere!” “Ma… Noi dobbiamo tornare…” “É fuori discussione signora, anzi, io sono qui proprio per questo: volevo verificare se avevate bisogno di qualcosa; mezza città è senza elettricità, e l’altra metà ha le cantine allagate. Per questo sono con il signor Sting: stiamo portando degli attrezzi in città!” “Santo cielo!” esclamò Jessica. “Invito tutti voi a non uscire di casa.” “Ma noi dobbiamo tornare a Washington!” protestò Dana. “Domani. O dopodomani. Non dovete muovervi da qui finchè la tempesta non sarà finita.” Insistette il dottor Hastlitt. “Potete dormire nella mia stanza. Ha un solo letto, un matrimoniale, ma se vi accontentate potete restare, mentre io andrò nella camera degli ospiti…” disse Jessica Fletcher. Dana si voltò verso Fox e i due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa. “Direi che per una sera non è poi una brutta idea…” disse allora Fox, ma la voce era chiaramente nervosa. “Molto bene. Jessica, se succede qualcosa, qualunque cosa, chiamami al cerca persone. In quanto a voi signori, volete che porti un messaggio allo sceriffo da parte vostra?” “Come fa a sapere che abbiamo parlato con lo sceriffo? Lo ha intuito forse?” Pensò Fox Mulder. Ma non lo chiese ad alta voce, anche perché Dana stava già parlando: “Sì per favore: gli dica di mettersi in contatto con il nostro superiore e di informarlo della situazione.” “E per favore, Seth, se trovi dei ricambi per questi signori, portali. Anche se spero che si tratti solo di una nottata…” “Signora Fletcher non dovete…” “Molto bene. Noi ora andiamo, ma non esitate a contattarci. Jessica, signori, buonanotte.” Disse il dottor Hazlitt. “Buonanotte a tutti!” esclamò Michael Sting baciando di nuovo la mano di Dana. Fox si limitò a fare un cenno restando seduto.

Era una bella stanza la camera degli ospiti della signora Fletcher. Fox si prese il suo lato del letto, si sedette e rimase immobile, mentre Dana si sistemava come poteva. “Queste lenzuola pulite profumano come quelle della casa di nonna.” Disse la donna. Forse voleva cercare di sdrammatizzare. Ma non funzionò. Fox rimase dritto seduto sul letto, immobile. “Io spengo la candela adesso.” Disse Dana. “Io mi sposto di sotto. Vado a dormire sul divano.” Fox prese il suo candelabro e si alzò. “Mulder?” “Sì?” “Tutto bene?” Fox non rispose. Si limitò a fare un sorriso asciutto e poi disse: “Buonanotte Scully.” Chiudendosi alle spalle la porta della stanza. Anche se sapeva che non avrebbe dormito, accumulando così ulteriore stanchezza, quella ennesima coincidenza fortuita gli forniva la possibilità di esplorare meglio la casa di quella scrittrice. E non voleva sprecarla.

(1) : Non ricordo se e in quale episodio di XFiles erano coinvolti dei bambini. Se non fosse un’idea giusta per i tempi in cui è ambientata la storia, come in generale perché nessun episodio di XFiles riguardava dei bambini, la cosa può essere interpretata come una bugia di Scully, inventata sia per coprire il vero caso sia per togliere dall’imbarazzo Mulder. (2) La parola “Sting” in inglese, significa “puntura”.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio

Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 2 (racconto – fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la seconda parte e spero possa piacervi)

Per leggere la parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

“È una cittadina molto tranquilla! Un giorno che non lavorate potete venire a fare qualcosa di rilassante! Gite in barca, escursioni, oppure pescare!” Per quanto visita ufficiale, Skinner aveva comunque optato per non far portare ai due agenti un mezzo loro. Aveva parlato con lo sceriffo Mort Metzger, un ex poliziotto di New York che si era spostato nel piccolo paese da diversi anni diventandone sceriffo e prendendo il posto di un certo Amos Tupper, che però risultava ancora irrintracciabile. Cosa che aveva ovviamente profondamente scosso Mulder: un’altra coincidenza molto strana. Lo sceriffo, su ordine di Skinner, era passato a prenderli alla stazione dei pullman per portarli subito dalla signora Fletcher. Come spesso succedeva con la polizia, non era contento che ci fossero degli agenti dell’FBI, ma quantomeno cercava di nasconderlo. “Certo, oggi chi va a pesca deve fare attenzione!” proseguì lo sceriffo “Vedete quelle nubi? C’è una tempesta in arrivo. Avete detto che ripartite stasera?” “Sì, con l’ultimo pullman.” Affermò Mulder osservando fuori dal finestrino l’orizzonte nero, in netto contrasto con il cielo terso che ancora li sovrastava e che li aveva accolti nella cittadina. “Ma, esattamente, cosa dovete chiedere alla signora Fletcher di tanto urgente?” “Si tratta più di un avviso che di altro.” Rispose Dana Scully “Abbiamo notato che la signora Fletcher è stata coinvolta in molti casi di omicidio… lei si renderà conto che quando c’è il coinvolgimento di una persona civile in affari di polizia, è sempre pericoloso.” “Ah…” lo sceriffo Metzger parve incupirsi. “Ha collaborato anche con voi?” L’uomo, si schiarì la voce prima di dire: “La signora Fletcher fa parte della comunità ed è molto amata. Capirete che non siamo a Washington, né a New York. Qui qualsiasi aiuto per mantenere la quiete è benvenuto…” Aveva detto di sì. Con molti giri di parole. Ma era un sì. Mulder e Scully si lanciarono un’occhiata. “Comunque, qualsiasi sia il problema, posso garantire io per la signora Fletcher: ogni sua ‘intrusione’” tolse una mano dal volante per fare le virgolette in aria “Non è mai stata intralciante né ha mai compromesso le prove.” “Mi scusi se glielo chiedo,” intervenne allora Fox Mulder “ma le sue… collaborazioni con la signora Fletcher… sono state tanto numerose?” Dana Scully lo fulminò con lo sguardo, ma i suoi occhi si inquietarono quando notò che lo sceriffo si attardava a rispondere. “Se devo essere sincero…” disse infine “C’è in effetti un tasso di omicidi molto alto in questa città, per le sue dimensioni almeno. Non so, ogni tanto mia moglie scherza che potrebbe essere colpa di qualche lontana maledizione lanciata da qualcuna delle povere donne bruciate con l’accusa di stregoneria. Ma sapete, si tratta comunque di delitti tipici dei luoghi molto piccoli: gelosie, invidie, forme di arrivismo… oppure è qualcuno che viene da fuori e si porta dietro altre persone che voglio ucciderlo… Ok, forse c’è stato qualche caso più importante… però ripeto, nelle occasioni in cui la signora Fletcher è rimasta coinvolta, non c’è mai stato da parte sua alcun tipo di intralcio.” (1) “Però ammettete che c’è una situazione anomala per quel che riguarda gli omicidi.” “Se sono sotto interrogatorio, vorrei andare nel mio ufficio.” Avevano abusato troppo del buon atteggiamento. “Vi chiediamo scusa. Non è nostra intenzione offendere nessuno. Neanche la signora.” “Scusatemi voi.” Disse allora Metzger “Questa tempesta improvvisa mi sta innervosendo. Siamo arrivati comunque.” Parcheggiarono davanti alla casa della signora Fletcher: una graziosa casetta a due piani, bianca con il tetto verde scuro spiovente e un giardino molto curato. Scesero tutti insieme dall’auto, ma lo sceriffo li precedette. Fu lui a bussare alla porta, dopo essersi tolto il cappello. Questa si spalancò quasi subito. La signora Jessica Fletcher comparve sulla soglia. Indossava un bel maglione di lana con decorazioni floreali e dei pantaloni di tela pesanti. Era uguale alle foto che c’erano nei suoi libri. Da giovane, doveva essere stata una donna molto bella. “Signora Fletcher buongiorno. Ci sono questi signori che desiderano parlare con lei. Immagino… da soli…” “Preferiremmo di sì.” Disse calma Dana tirò fuori il distintivo “Buongiorno signora Fletcher. FBI. Sono Dana Scully e lui è il mio collega Fox Mulder.” “FBI?” fece la donna, sorpresa, ma non preoccupata. “Sì. Possiamo entrare?” “Oh certo! Prego accomodatevi! Stavo giusto preparando del tè!” “Io tornerò verso le sei per riaccompagnarvi al pullman.” Disse lo sceriffo. Poi sussurrò (ma Mulder lo sentì) alla signora Fletcher “Se c’è qualche problema, mi chiami.” Jessica chiuse la porta e fece un cenno ai due: “Andiamo in cucina, lì staremo comodi.” Un rombo che fece tremare pure il vetro delle finestre. Le luci della casa erano tutte accese, ma fuori sembrava già essere notte. Le nuvole che avevano visto all’orizzonte nel tratto di strada tra la fermata e la casa della signora, ora sovrastavano completamente il cielo. Una cappa nera e minacciosa. “Una tempesta? Avevano detto che poteva arrivare… ma ha fatto proprio in fretta!” la signora Fletcher si avvicinò alla finestra del salone per guardare fuori. Questo diede modo ai due agenti di guardarsi intorno. Il salone però non presentava alcuna anomalia. Anzi: l’odore dei libri e del camino acceso fecero provare un senso di calore e di accoglienza anche a Mulder. Osservò la biblioteca della donna e notò la gran quantità di libri gialli presenti, insieme a manuali di varia natura e diverse raccolte di poesie. Grandi classici e perfino alcuni libri di filosofia, affiancavano manuali di giardinaggio, di pesca e di caccia all’anatra; la raccolta completa dei romanzi e dei racconti di Sherlock Holmes, scritti da Arthur Conan Doyle, condivideva lo scaffale con diverse riviste letterarie e un testo dedicato all’architettura; Poe e San Tommaso D’Aquino erano divisi da alcuni testi di biologia… Leggeva molto, la signora Fletcher. E non leggeva solo libri gialli. Il fischio della teiera li attirò definitivamente in cucina, dove sul tavolo era poggiata una bellissima macchina da scrivere. “Non usate computer?” domandò Mulder. “Uso anche quello. Ma a volte mi piace tornare alle vecchie abitudini. Quanto zucchero?” “Io non prendo tè.” Fox Mulder osservò attentamente la cucina. Mobili vecchi, molti utensili in vista. Niente di anomalo. O forse troppo normale. “Per me giusto un cucchiaino. E grazie.” Disse Dana. Si accomodarono entrambi e la signora Fletcher, dopo aver servito una tazza fumante a Scully, si sedette dirimpetto a loro. “Allora, a cosa devo la vostra visita?” Era tranquilla, forse giusto un po' sorpresa, ma per nulla agitata. A Mulder questo non piacque. Quando si scambiò un’occhiata con Dana, le fece capire che era meglio che a parlare fosse lei. “Signora Jessica Fletcher, giusto? Scrittrice di libri gialli e ha anche avuto il ruolo di insegnante di criminologia a New York per un periodo. Tutto esatto?” “Sì, certo.” “Mi scusi… è un po' difficile quello che stiamo per chiederle. Ma vede, abbiamo fatto delle… delle ricerche per… la compilazione di alcune statistiche. E abbiamo notato il suo legame con molti casi di omicidio.” “Più di un centinaio.” Si intromise Mulder. La signora Fletcher sgranò gli occhi, come colta di sorpresa: “Così tanti?” “Non ci siamo permessi di contarli, vede il punto non è il numero…. È più il fatto che lei è presente e interviene anche nelle indagini a preoccuparci.” Un altro tuono fortissimo pose una momentanea pausa al discorso. La lampadina sfarfallò per un attimo, portandoli dal buio alla luce in rapida sequenza. Quando si stabilizzò, Dana riprese il discorso. “Signora Fletcher, capisco la sua buona volontà, chi non la capirebbe: tutti noi in una situazione di particolare stress o se è coinvolto qualcuno a cui teniamo, vogliamo essere d’aiuto. E certamente in tanti casi il suo intervento si è rivelato prezioso per l’autorità. Sappiamo che lei è riconosciuta da molti agenti di polizia come una risorsa preziosa. Ma c’è un fatto: lei non è della polizia.” La signora Fletcher socchiuse gli occhi e annuì: “Credo di capire dove volete arrivare.” “Non ho dubbi, anche perché lei è molto intelligente. Ma ho bisogno di chiederle formalmente una cosa: quella di cercare di non lasciarsi coinvolgere più. Le indagini, e lei lo sa, sono qualcosa di serio e difficile ed è molto pericoloso se un’informazione che le autorità preferiscono tenere riservata dovesse saltare fuori. In più sono molte le persone con cui la polizia può trovarsi a dover combattere: i giornalisti, le talpe e… senza nulla togliere agli agenti onesti, anche le purtroppo possibili corruzioni interne.” “Avete davvero fatto questo lungo viaggio da Washington” la signora Fletcher approfittò della lunga sorsata di tè di Dana per parlare “per chiedermi formalmente di non interessarmi più di un qualsiasi caso di omicidio?” “Esatto signora.” Disse Dana. Prese un respiro profondo e parlò con la voce più dolce che riuscì a impostare: “Voglio essere sincera: ho letto i rapporti e trovo veramente straordinario l’aiuto che è stata in grado di dare, almeno lì dove è stato riportato. Lei ha sicuramente contribuito molto alla giustizia. Ma c’è anche un altro motivo per il quale le chiediamo questo passo indietro. Vede signora, oltre alle indagini, lei ha spesso messo la vostra vita in pericolo. E forse anche quella di altre persone innocenti. È una responsabilità enorme, per la polizia e non solo. Sa, ammetto che non avevo avuto modo di leggere i suoi libri, ma ho trovato il tempo di leggerne uno prima di partire. Sembrerà una lusinga o forse una minaccia, ma le parlo sinceramente: penso che perdere il suo talento per aver deciso di occuparsi di un caso che non le apparteneva, sarebbe un grave danno per la letteratura.” A quelle parole, la signora Fletcher proruppe in una risatina vivace e simpatica: “Lei mi lusinga infatti. Ma le dirò, comprendo perfettamente la sua preoccupazione e la apprezzo molto.” Sembrava sincera in quell’affermazione. “Anche io ho letto i suoi libri sa?” si intromise allora Mulder “Tutti. In meno di quattro giorni.” Dana si allarmò, provò a richiamare con lo sguardo il collega, ma lui fissava intensamente la signora Fletcher che lo ricambiava nuovamente sorpresa. “Quattro giorni? Giovanotto sapevo che molti facevano nottata per i miei romanzi, ma…” “Sono un lettore molto avido” proseguì Mulder “e c’è una cosa che mi ha sorpreso: la perfezione con la quale lei descrive tutto, dagli omicidi alle indagini. Di solito, in narrativa, ci si permette di commettere tante ingenuità a favore di una lettura scorrevole o commerciale. Lei invece non sbaglia un colpo, signora…” Di nuovo quella risatina allegra: “Ah detto da un agente dell’FBI è un complimento non da poco!” “Sa che, da che ho scoperto il suo nome legato a tanti e diversi casi, ho pensato che potesse essere proprio la collaborazione con la polizia ad aver affinato le sue doti… ma poi ho guardato bene le date di pubblicazione e ho capito che il suo è un dono naturale.” Anche se ancora non era chiaro dove volesse andare a parare il suo collega, Dana non lo fermò. Era anzi sorpresa dell’attenzione all’uso delle parole che Fox stava applicando. “Beh, forse. In realtà penso dipenda dalle mie molte letture, e dalla mia passione naturale per il genere, oltre alla mia curiosità.” Proseguì la signora Fletcher, sempre raggiante. “La sua biblioteca, in salotto, è bellissima. Ho riconosciuto alcuni libri della mia infanzia…” proseguì Fox, ricambiando il sorriso ma in modo nervoso. “Oh sì. E non è neanche tutta! Negli anni ho dato via molti libri. Altri purtroppo si sono rovinati…” la donna si incupì “…E altri ancora non ho avuto il coraggio di tenerli dopo la morte di Frank.” “Suo marito?” Lei annuì. Fox chinò la testa. “Condoglianze.” “È stato molto tempo fa… spesso leggevamo assieme, passandoci i libri, oppure ero io a leggerli ad alta voce, la sera, per lui. Lui leggeva, ma meno di me, era più un uomo d’azione. Ma se mi portava un mazzo di fiori, aveva anche un libro da consegnarmi.” Il sorriso si illuminò di nuovo. “Posso chiederle cosa… è successo?” Dana si tese e lanciò un’occhiataccia a Fox. Ma lui rispose con uno sguardo che le chiedeva fiducia. “Un brutto male.” Rispose la signora Fletcher “Che fortunatamente, lo dico a posteriori, non ha portato troppa sofferenza nel nostro ultimo anno insieme. Frank era preoccupato per me più che per lui… non è stato facile… e forse scrivere mi ha aiutato.” “Il cadavere che ballò a mezzanotte.” “Il mio primo romanzo, sì. C’era tutto quello che piaceva a me dei gialli e a Frank dei film d’azione.” “Ha dedicato a lui e a un certo Grady il libro, infatti…” “Grady è mio nipote, figlio di un fratello di Frank. Ci siamo occupati di lui da adolescente, dopo la morte dei suoi genitori in un incidente.” Questa seconda informazione inerente una morte provocò una reazione piuttosto evidente in Fox. “Tutto bene giovanotto?” domandò preoccupata la signora Fletcher. Dana stava per dire qualcosa, quando un nuovo e potente tuono esplose all’esterno, le luci di tutta la casa si spensero e la cucina sprofondò nel buio.

(1) Cabot Cove ha una percentuale di omicidi per numero di omicidi più alta di qualsiasi altra città reale o immaginaria che sia. Nessun personaggio della serie sembra farci caso, tranne appunto lo sceriffo Metzger nell’episodio “Jessica e la mela parte 1”. Fonte: https://www.dailymail.co.uk/news/article-2191990/Murder-capital-world-Quiet-seaside-town-Cabot-Cove-named-dangerous-place-Earth.html

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

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Gli Xfiles di Cabot Cove: Parte 1 (Racconto – Fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la prima parte e spero possa piacervi)

Dana Scully aveva ricevuto la telefonata da Walter Skinner alcune ore prima: Fox Mulder, che era sparito per alcuni giorni dal lavoro, era tornato in piena notte in ufficio e aveva voluto consultare tutti gli archivi di X-files inerenti il Maine. In più si era presentato con delle grosse buste di tela piene di libri. Libri gialli e tutti della stessa autrice. Una certa Jessica Fletcher. “So che il vostro ultimo caso è stato abbastanza pesante, anche per questo gli avevo concesso un po' di riposo anche se non programmato. Però questo ritorno così precipitoso mi preoccupa. Deve avere a che fare con quella scrittrice. Per favore, vai a vedere cosa succede. È lì dall’una e non vuole andare via.” Così Dana era arrivata all’ufficio che il sole ancora non era nel cielo e aveva trovato il suo collega seduto per terra, con una cartellina rigonfia di fogli in mano e un libro nell’altra. Jessica Fletcher compariva in foto sul retro dell’edizione, rilegata con sovracoperta, sorridente vicina alla sua macchina da scrivere. Fox non si accorse di Dana se non quando lei fece un colpo di tosse. “Oh! Scully! Sei mattiniera!” “Felice di rivederti…” iniziò lei, ma lui non le diede tempo di continuare. “Mi dispiace di essere sparito ma… vedi è successa una cosa. C’è stato un delitto in Italia, a Genova (1), e pare che abbia coinvolto una nostra connazionale. Questa signora qui.” Indicò la foto di Jessica “E non è la prima volta che viene coinvolta in un omicidio. E non come sospettata, ma come parte della soluzione.” Dana rimase immobile e fissò il suo collega con uno sguardo a metà tra il sorpreso e l’incredulo. “Ok, ricomincio daccapo. Allora, ricordi quando ci siamo salutati l’ultima volta? Beh, sono andato a casa e ho trovato un giornale ad aspettarmi sulla porta. Non era il mio, era di una vicina, ma chi l’ha consegnato o era pigro o non ha letto bene il nome… oppure dovevo essere proprio io a trovarlo.” Dana inarcò un sopracciglio. “L’ho ridato alla vicina eh!? Ma solo dopo averlo letto!” proseguì Mulder “Ho trovato questo articolo nella sezione letteraria: quando il giallo immaginario incontra quello vero. Parlava di questo caso in Italia, a Genova, di una cantante soprano che doveva ritornare sul palcoscenico e di un delitto avvenuto in quelle circostanze. E c’era questo, Jessica Fletcher, nome che avevo già sentito. E infatti non mi sbagliavo: avevo un libro di questa signora. Il cadavere che ballò a mezzanotte, il primo, che l’ha resa famosa. Me lo sono letto e devo dire che non è male. Però mi ha fatto pensare: come può una vecchia signora, professoressa d’inglese pensionata e vedova, scrivere un libro giallo così particolare?” “Immaginazione. Creatività. E se è stata insegnante, avrà letto tanto.” Propose calma Dana. “Certo Scully, tutto giusto ma… non è il solo giallo che ha scritto.” “Anche Sherlock Holmes ha molti racconti.” “E quest’ultimo caso che ha contribuito a risolvere nel mondo reale, non è il solo.” Quest’ultima frase riuscì a scuotere un po' di più Dana. Se non per la frase in sé, per la gravità che la stessa conteneva: un civile che partecipa a delle indagini non è mai una buona cosa. “È così!” “Chi ti ha dato questa informazione?” “La libraia da cui ho comprato tutta la collezione dei suoi libri…” Fox si alzò e le consegnò la cartellina “... Informazione che ho accuratamente verificato.” Dana Scully aprì la cartellina. Scoprì presto che conteneva diversi documenti: rapporti, interrogatori, verbali dei processi… E il nome “Jessica Fletcher”, come la sua occasionale firma, erano cerchiati. “Non è una ominimia.” Disse Mulder aprendo la prima pagina del libro che ancora teneva in mano “Questa è una delle copie che ha firmato per la libraia qualche giorno fa, di ritorno da Genova. Guarda! Stessa calligrafia!” “Questi casi…” “Tutti risolti! Ho fatto prevenire qui solo i documenti che mi interessavano e ho potuto farlo facilmente perché appunto sono risolti: chi era colpevole ha confessato, è stato processato ed è andato in prigione. Vedrai che vengono da ogni parte del paese, anzi, del mondo! È stata anche a Londra! Ad Ansterdam, in Egitto! Ha avuto dei contatti con l’MI6 ed è stata coinvolta anche in casi ad alto rischio di diplomazia! È il solo filo conduttore di storie apparentemente dislocate e diverse tra loro.” Dana Scully, ancora intenta a osservare i documenti, annuì lentamente. “Sempre in contatto con la polizia e attivamente coinvolta nella soluzione del caso. Sebbene non sempre la cosa sia evidente, nell’ambiente della polizia è molto conosciuta.” “Hai fatto qualche telefonata anche lì?” “Molto di più. Ho parlato con tutti quelli che hanno accettato di mandare i file nel mio ufficio.” “Non so se avevi l’autorità per fare una cosa del genere Mulder… Ma vedo che sei riuscito a scoprire qualcosa di molto grave e importante.” “Allora sei d’accordo con me!” L’entusiasmo con cui Fox pronunciò quella frase, insospettì subito Dana: “Su cosa sono d’accordo esattamente?” “Che questa coincidenza è troppo particolare! Ovunque questa scrittrice si trovi, c’è sempre un delitto e un morto!” “Non starai mica insinuando…?” Fox Mulder annuì solennemente. “Mulder, Jessica Fletcher è una scrittrice, non un’assassina! I colpevoli di tutti questi casi sono stati trovati!” “Non lo metto in dubbio Scully, ma se ci fosse una sorta di spirito o entità che gira intorno a lei e convince le persone inclini a commettere delitti?” Si fissarono per un lungo minuto poi Dana inarcò le sopracciglia: “Mulder, non dirai sul serio?” “Abbiamo visto cose più strane!” “Forse hai letto troppi libri gialli e in troppo breve tempo.” “Anche questo: sono gialli perfetti! Quanti gialli hai letto nella tua vita? E quante volte hai storto il naso perché hai notato ingenuità o mancanze che giusto la sospensione dell’incredulità può giustificare? Ecco, qui la sospensione dell’incredulità non serve! È tutto preciso!” “Mulder… Io qui vedo un pericolo molto più reale: e cioè che una civile ha avuto accesso a informazioni riservate in varie occasioni.” “In centinaia di occasioni!” (2) “Centinaia o una soltanto, è una falla molto grave. Né parlerò io a Skinner se non ti dispiace. E se dovremo far visita alla signora, ti informerò. Anche se penso che qualche telefonata, potrebbe bastare… A proposito, perché hai voluto consultare i file dedicati al Maine?” “È dove risiede attualmente. Non ha mai abbandonato la sua cittadina, Cabot Cove. Che a quanto pare, se si cerca bene negli archivi, ha un brutto passato legato ai fenomeni di stregoneria e una volta un certo signor Sorenson… (3)” “Mulder, andiamo a parlare con Skinner. Va bene? Anzi, andrò a parlarci io. Perché credo sia meglio che tu vada a riposare. Dimmi hai dormito in questi giorni?” “No! Dovevo leggere i romanzi! Potevano avere degli indizi! Spesso chi scrive rivela molto più di se stesso nelle opere immaginarie che nella realtà… E la signora Fletcher, li scrive molto bene gli assassini…”

Dana Scully parlò con Skinner da sola, tralasciando ovviamente la teoria di Mulder. Skinner in qualche modo la intuì accennando al fatto che “probabilmente è questa catena di coincidenze che ha attirato molto Mulder.” Dana gli lasciò la pila di fogli raccolta dal collega e se ne andò in ufficio per stilare e controllare altri rapporti. Qualche ora dopo, tuttavia sia lei che Mulder vennero convocati. Skinner sembrava molto arrabbiato. Ma poi tese la mano a Fox: “Ho bisogno necessariamente di farle i complimenti. Non so quale teoria ha guidato la sua ricerca, ma ha scoperto qualcosa di molto importante.” Fox esitò prima di stringere la mano di Skinner: non si era aspettato una lode così da parte sua. Skinner tornò alla scrivania, prese in mano il fascicolo e disse: “Questo è il materiale che ha raccolto lei, Mulder. Ed è pochissimo. La nostra cara Miss Marple del Maine ha avuto negli anni, a partire dal 1984 (4) contatti continui con vari corpi di polizia e non solo. Qualche telefonata mi ha confermato che è molto conosciuta nell’ambiente, al punto che a volte, contro ogni tipo di regolamento, sono stati gli stessi agenti a coinvolgerla. Ovviamente non ho nessuna prova concreta di ciò, ma le voci girano… e non tutti sono contenti di questo. Anche se tutti i casi, tutti, senza eccezione, che hanno visto il suo coinvolgimento, sono stati risolti.” “Un’altra splendida coincidenza.” Esclamò Mulder, ancora felice del credito ricevuto. Ma Skinner lo degnò solo di uno sguardo storto e critico, prima di proseguire: “Vi renderete conto dunque, che la situazione è grave: la nostra cara signora porta con sé molte informazioni riservate. E la sua presenza avrebbe potuto gravemente impattare sulle indagini. Ora, io non voglio aprire un caso, anche perché finirei per dover coinvolgere molte cariche della polizia e non solo di quella americana. Ma visto che è stato Mulder il primo a notare questa gravità e lei Scully a presentarla a me, vorrei chiedervi questo: di andare a fare una visita alla signora e capire come e quanto è affidabile, oltre a pregarla di smettere di giocare a Cluedo. Le cose possono diventare pericolose, per lei e per la polizia, oltre che per qualsiasi innocente coinvolto. Non ha mai sbagliato, sembra. Però non si è infallibili per sempre. Andate a Cabot Cove dopodomani, così lei, Mulder, può dormire e lei, Scully, può finire i rapporti. Non andate sotto copertura, la signora deve capire che le cose non devono essere prese sottogamba quanto si tratta di omicidi…”

(1) : Episodio di riferimento: Omicidio in “do di petto”. Undicesima stagione de “La signora in giallo” (2) : Dal 1984 al 1995 (anno in cui è ambientata questa storia) gli episodi delle storie di Jessica Fletcher sono più di 200. In alcuni episodi viene fatto capire che ci sono state occasioni in cui Jessica ha aiutato la polizia anche al di fuori di quanto raccontato nella serie. Ogni episodio contiene almeno un omicidio, ma sono molti gli episodi con più di un cadavere… (3) Episodio di riferimento: Il segreto di Borbey House. Decima stagione de “La signora in giallo”. Uno dei pochi ad avere una tematica quasi sovrannaturale (il vampirismo). (4) Il primo episodio di Jessica Fletcher è andato in onda il 30 settembre del 1984

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Due articoli che vorrei condividere con voi (Opinione personale)

Sto portando avanti un piccolo fioretto del silenzio su Livello Segreto, nel quale ho preso l'impegno di non postare nulla di mio e limitarmi ai retoot. Lasciandomi però due piccole eccezioni: la “crush del mercoledì” (che si è trasformato per me in un viaggio nella storia degli adattamenti holmesoniani) e i blog di log. Dunque, avendo a disposizione questo strumento, poichè mi è capitato di leggere due articoli interessanti nella stessa giornata (cosa rara), voglio usarlo per riproporli a voi, prendendomi il giusto spazio per spiegare quello che mi ha colpito di questi due editoriali della testata “Domani”. Ad oggi una delle migliori che abbiamo in Italia.

Il primo è un articolo che parla della “banalizzazione” del male. https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/oggi-la-vera-questione-non-e-la-banalita-del-male-ma-la-sua-banalizzazione-ir1289rq

Riprendendo una delle opere della filosofa (da me anche studiata e amata) Hanna Arendt, Gabriele Segre propone una riflessione sulla banalizzazione del male di oggi intesa come “appiattimento” e “polarizzazione”. Una visione senza sfumature da parte di tutte le parti in causa, che conseguentemente toglie anche sfumature al bene. Il male, se semplificato, non può essere affrontato correttamente. Questo è quanto ho ripreso io da questo articolo. Si può essere d'accordo o no, ma rimane un articolo interessante, che a me personalmente ha fatto molto pensare. Da un pò di tempo mi sto ritrovando a guardare con occhio molto più critico di prima tutta la realtà che mi circonda. Tante cose che un tempo avrei desiderato per me, oggi non le toccherei neanche con la punta di un bastone. E altre che credevo fossero per me deleterie stanno diventando una fonte costante di gioia. Questo perchè i concetti stessi di “bene” e “male” sono comunque molto relativi e profondamente soggettivi. Salvo alcuni casi eccezionali, spesso legati a eventi collettivi (dove infatti le polarizzazioni sono più facili, complici anche i social), ognuno di noi porta dentro esperienze e idee che con il tempo possono anche cambiare, portando a un netto cambiamento di valori positivi e negativi. Un esempio personale: non ho mai nascosto di aver subito bullismo a scuola e l'esperienza vissuta ha per molto tempo condizionato la mia visione del giudizio altrui, che ho sempre osservato con diffidenza anche quando ricevevo dei complimenti. Con il passare degli anni, ho imparato a distinguere i complimenti “interessati” da quelli sinceri, merito anche dei rapporti e delle amicizie raccolte dopo essere uscita da quella gabbia mortifera che è la scuola. Tuttavia, in questo ultimo anno in particolare, la diffidenza è tornata insieme a un altro sentimento ancora più importante: l'indifferenza. Crescendo ho imparato che esiste qualcosa che vale molto di più delle parole, ovvero le azioni. Hanna Arendt diceva che la parola può essere un'azione (con la promessa ad esempio). Ma l'azione da sola, senza parole, rimane comunque più forte. Per farvi un esempio, vi dico di immaginarvi questa situazione, che è ai limiti dell'assurdo ma descrive perfettamente quello che voglio cercare di dire. Immaginate di incontrare una persona che si vanta con voi di avere un drago in casa, ma alla vostra richiesta di poter vedere la creatura inizia a comportarsi in modo strano: magari dice di sì e promette un appuntamento a casa sua che non arriverà mai, oppure spiega che non lo fa mai vedere perchè è un animale pericoloso, oppure semplicemente prova a cambiare discorso... Inutile dire che dopo un pò, probabilmente, non crederete più all'esistenza del drago. La fede così cieca la si può avere al massimo per una divinità e anche in quel caso, da che mondo è mondo, l'uomo cerca comunque dei segni dell'azione del divino per assicurarsi l'esistenza (esempio: i miracoli dei santi), quindi sarebbe più che normale pretendere questo dalle persone. Quando parliamo di “bene” e “male”, quando identifichiamo l'altro come nostro nemico, dovremmo anzitutto capire come e perchè quella sensazione spiacevole di inimicizia si è manifestata. E stabilito questo, capire quale strategia usare per costruire il “bene”. Nel mio caso, per quanto sia assolutamente convinta, avendolo vissuto in prima persona, quanto le parole siano importanti e quanto correttamente vadano usate, sto anche cercando di incorporare alle stesse le azioni e sto inziando a pretendere lo stesso da molto del mondo che mi circonda. Forse anche per questo il web mi sembra sempre più difficile da vivere: sul web le azioni si svolgono su un piano più sottile che sulla realtà e coinvolgono molto l'uso delle parole, creando una zona grigia molto difficile da comprendere. Se Hanna Arednt fosse ancora qui, penso che vedrebbe nel web la realizzazione perfetta della “parola-azione”, di cui parla in “Vitae Activa”, opera con un titolo meno vendibile della “Banalità del male”, ma sicuramente superiore in contenuto filosofico. Questa riflessione così personale, tuttavia, non è forse molto adatta per l'articolo di Gabriele Segre, che osserva il tutto da un punto di vista collettivo e conseguentemente appiattito e polarizzato. Piuttosto è perfetta per l'articolo di Letizia Pezzali, dedicato all'invidia.

https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/linvidia-e-brutta-come-una-cimice-ma-ci-racconta-qualcosa-di-noi-pne7s6m8

Questo articolo, se possibile, mi è piaciuto ancora più del primo, non solo per la riflessione sul ruolo positivo che hanno l'invidia e l'ansia (quando, se analizzati, diventano importantissimi campanelli d'allarme per il nostro sè), ma anche per le parole spese per analizzare come a volte certi personaggi del nostro tempo accusino gli altri di invidia nei loro confronti quando in realtà si è semplicemente preoccupati dell'influenza che questi personaggi hanno sulla comunità e quanto la stessa può essere per noi pericolosa. Mi sono ritrovata a riflettere sul concetto di invidia diverse volte nella vita, anche perchè anch'io accusata di invidiare personaggi di cui in realtà non mi importa nulla e anzi ho il terrore di fare la loro stessa fine. Dall'altro lato ammetto di essermi scoperta, non con poca vergogna, a provare un sentimento di invidia verso persone a me care. Un esempio è una mia carissima amica che ha la fortuna di avere una famiglia che ho giudicato molto migliore della mia e mi sono ritrovata, in alcune serate più tristi, a chiedermi: “Perchè non sono potuta nascere io in un ambiente sano?”. A posteriori, quel sentimento mi ha aiutato molto a capire cosa non mi piaceva del mio ambiente familiare e ad affrontare alcuni problemi in seno allo stesso, per poi scoprire, tempo dopo, che anche la mia amica non era felice della sua di famiglia. Perchè se nella mia idea di “bene”, la mia famiglia si trovava più in basso della sua, nella sua idea di “bene” era la mia a trovarsi più in alto. Credo che l'insegnamento che si può imparare da entrambi gli articoli sia proprio questo: qualsiasi giudizio noi diamo sulla vita altrui, sarà sempre “banale” e limitato. Noi saremo “l'uomo sazio che spiega la fame all'affamato” in alcune occasioni, mentre in altre copriremo il ruolo dell'affamato e proveremo esattamente lo stesso sentimento che abbiamo fatto provare ad altri; è vero che nella collettività personalizzare troppo le cose può creare forme di narcisismo ed esclusività, tuttavia è anche vero che l'appiattimento generale in nome dell'inclusività non ha funzionato. Da qualche parte c'è una via di mezzo, che però non sarà mai permanente, cambierà in base al tempo storico, alle necessità, agli strumenti. A livello collettivo diamo molta più importanza alle parole oggi perchè abbiamo il web. Tra qualche decennio, forse, diventerà più importante il linguaggio non verbale, nei video e nella realtà, perchè sarà da quello che si potrà capire se una persona ci sta effettivamente accettando o meno; nasceranno nuove etichette, nuovi codici di comportamento, nuovi insulti silenziosi. E magari, tra qualche decennio ancora, tornerà di moda l'odore, che per i nostri più antichi antenati come per gli animali è il modo migliore per capire se qualcuno ci piace oppure no. Così, a naso.

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Pensieri in libertà su Livello Segreto – primo anno e mezzo (Opinione personale)

Recentemente uno spiacevole evento mi ha coinvolta in un caso di “doxing”, dove, in una esplicita minaccia giunta via mail, indirizzo di casa e altri dati sensibili della persona contattata erano evidenti. Su consiglio della polizia postale, tutte le persone coinvolte sono state invitate a rimuovere momentaneamente qualsiasi informazione sensibile dai propri account social; le stesse includono, oltre a indirizzi fisici e numeri di telefono, anche indirizzi mail, eventuali foto di esterni o interni che rendendono facilmente riconoscibile la propria abitazione e altri elementi affini dai profili pubblici e possibilmente anche da quelli privati. Per mia fortuna, le condivisioni che ho su internet sono molto limitate e molte delle poche tracce che avevo lasciato negli anni sono andate perdute, tra cambi di account, server svuotati, video cancellati e tutto il resto. Su internet cancellare qualcosa per sempre è difficile ma non impossibile. Mi sono però ricordata di aver condiviso un paio di volte un contatto mail su Mastodon, sempre in modo “privato”, ma ugualmente possibile da rintracciare. Ho deciso così, per prudenza di ripercorrere tutta la timeline di Livello Segreto per rimuovere questi pochi messaggi. Non ho dubbi che fossero condivisioni al sicuro e tra persone civili, ma data la delicatezza di quanto capitato ho deciso comunque di agire così. Questo mi ha permesso di ridare un'occhiata alla mia timeline, a tutti i post, le risposte e le robe condivise. Mi ha anche dato la possibilità di ritrovare alcune cose con cui vorrei preparare una piccola sorpresa. E così ho anche avuto modo di riflettere su questa community in cui sono entrata il 20 agosto del 2022. La prima cosa che voglio dire è che la possibilità di visualizzare i post in modo cronologico, senza algoritmi che favoriscono i post più “amati”, rimane una delle possibilità più interessanti offerte da Mastodon e offrono un senso di ordine non indifferente. Mi sto però rendendo conto che comunque si vengono a creare delle disparità in questo modo: l'utente con più retoot (e con più followers disposti a condividerlo) o che è più attivo a livello di interazioni si ritrova comunque ad essere più favorito sulla timeline di un utente più “timido”, magari portato in basso nella timeline generale dai toot e retoot di altri utenti. Questo non vuole essere una critica al sistema di Mastodon (che questa istanza non può non seguire), ma solo un momento di riflessione su quanto la “timidezza” sia ormai una dannazzione dentro e fuori dal web. Anzi forse più dentro che fuori, perchè almeno nella relatà la persona timida ha comunque la possibilità di essere vista da qualcuno e in qualche modo coinvolta nella socialità generale. Ho poi notato che l'abitudine di diversi utenti (sana anche per il server) di cancellare automaticamente i post dopo un certo periodo di tempo, non include le risposte agli stessi. Mi sono quindi ritrovata piena di commenti mochi di discorsi nati sotto post ormai spariti. Ho cercato di cancellarne il più possibile, anche per migliorare così lo spazio del server, ma temo che molti siano rimasti ancora lì, visibili solamente a me. C'è qualcosa di poetico nel rileggere questi commenti, cliccarci sopra e vedere che l'origine degli stessi è scomparsa; magari analizzandoli provi a capire quale era il discorso originale e si aprono finestre di ricordi. Credo però che sia utile provare a pensare a un sistema per non eliminare solo il post, ma anche le risposte, che altrimenti rischiano di restare presenti a occupare spazio ma invisibili se non per l'utente stesso che deve andarli a cancellare manualmente. Infine, ho scoperto con molta amarezza che molte delle persone con cui ho interagito in questo primo anno, sono sparite: alcuni commenti di risposta avevano a fianco nomi senza link ipertestuale, segno di una disattivazione dell'account. Con alcuni avevo avviato conversazioni interessanti sugli argomenti più vari: dalla presenza dei cani al ristorante, a come riparare un elettrodomestico. Ho rimosso anche quei commenti perchè ormai occupavano solo spazio, senza poter davvero essere di contributo per nessuno. Altre persone poi hanno semplicemente smesso da un giorno all'altro di interagire con chiunque nell'istanza. Anche qui niente di strano, anzi è ormai la norma su qualunque piattaforma, da Twitch a Efp, passando per tutte quelle Meta, discord, blogpost e oltre. A volte la realtà chiama, manca il tempo, manca la voglia, mancano le idee. Nel mondo reale sarebbe l'equivalante di una persona che smette di frequentare il bar dove prende sempre il caffè, sparendo dalla vita di clienti e barista in silenzio, così come era entrata. Niente di nuovo, ma ugualmente triste da osservare. A quasi un anno e mezzo di distanza, questa istanza di Mastodon rimane uno dei miei angoli preferiti del web, ma ammetto che ha perso una parte del suo fascino iniziale. C'è sicuramente molto di rivoluzionario, rispetto alle piattaforme digitali e l'ambiente e le persone sono nettamente migliori. Le conoscenze fatte su Livello Segreto mi stanno e mi hanno aiutato molto in questo anno e mezzo così particolare e tormentato dove ho affrontato molti cambiamenti. Il senso di solidarità e di non competizione è ancora forte e attivo. Sento però che è venuto comunque a mancare qualcosa, che non dipende dall'istanza in sè, da Mastodon, o dai moderatori. Forse dipende solo dal fatto che il web in generale sta stancando sempre di più. E anche quando si trova un ambiente piacevole, un “safe space” dove rintanarsi, si finisce per arrivare a preferire la stessa realtà, che per quanto a volte crudele e pericolosa, è l'unico posto dove si può avere un margine di certezza più ampio su chi è vicino a noi. Per farvi capire cosa intendo: se la minaccia di morte fosse arrivata non via mail ma a parole da una persona reale, non sarebbe successo tutto il casino che ora, mio malgrado, anch'io mi ritrovo a dover fronteggiare. Non parlerò più della faccenda, ci è stato richiesto anche questo. Su Livello Segreto e sul fediverso in generale osserverò gli sviluppi, ma temo che non sarà la “soluzione” nella quale tutti sperano. Se riuscirà a costruire una legacy, rimarrà comunque una delle risposte migliori alle logiche mercanteggianti dei social commerciali. Ma fortunatamente (ed è anche merito di Livello Segreto se lo so), il web non è fatto solo di questo e conto quest'anno di provare a esplorare anch'io le varie alternative per cercare di costruire qualcosa di buono. Tra un paio di giorni inizierò un fioretto di silenzio, dove non condividerò più nulla di personale, salvo poche eccezioni, sulla mia timeline. Sarà un modo per cercare di ribadire la natura condivisiva e di mutuo scambio con cui è nata l'istanza. Inoltre, una delle cose su cui voglio lavorare in questo mese di “silezio”, sarà proprio un piccolo tributo per l'istanza stessa. Una piccola sorpresa che spero arriverà in primavera. Spero che le mie parole non risultino troppo dure o negative; la mia non vuole essere una critica (nè denigrativa nè costruttiva), ma solo una riflessione generale sullo stato delle cose e sulla particolare evoluzione che sta prendendo la comunicazione online.

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Perchè gli artisti sono “timidi”? (opinione personale)

Buonasera e buona vigilia di Natale. Poco tempo fa, su livello segreto, uno scambio di post partiti da un post lasciato da “lookacomics” (che potete trovare anche qui su log: https://log.livellosegreto.it/lookacomics/ ) mi ha portato a una riflessione che desidero condividere qui con voi, nella speranza sia di suscitarvi altri pensieri e magari portarvi a sperimentare una via a voi ancora ignota, sia di riuscire io stessa a chiarirmi le idee su questo problema che ho sempre trovato difficile e spinoso. Il problema è questo: come fa un artista a parlare di sé stesso e di quello che fa in modo corretto (se mai esista un modo corretto)? E perché a artist3 capita spesso di provare fastidio nel doversi fare pubblicità da sol3? Partirò dicendo che io sono una di quest3 “artist3”, anche se la mia situazione sta gradualmente migliorando. I motivi della mia “timidezza” sono radicati in diversi eventi del passato, come in elementi più generali nella quale forse qualcuno si riconoscerà. Partendo dal personale, così lo tolgo di mezzo in quanto elemento più “debole” per fare un discorso collettivo: non è un segreto che ho subito bullismo a scuola. Soprattutto a elementari e medie (del liceo ho anche dei bei ricordi), in piena età dello sviluppo. E poiché nel bullismo qualsiasi cosa si fa viene setacciata dagli occhi degli altri e costantemente presa in giro o umiliata (perché qualcosa da dire lo trovano sempre), ho sviluppato gradualmente un carattere dove tra l’essere osservata e boicottata e l’essere ignorata, preferisco la seconda strada. In un mondo di persone che pur di essere al centro dell’attenzione arrivano a commettere atti discutibili, a volte anche mortali, io nell’ombra ho prosperato: facevo quello che volevo senza coinvolgere i miei compagni di scuola, andavo ovunque in città (e fuori) da sola, per diversi anni ho fatto della solitudine la mia bandiera. Internet, almeno prima del predominio dei social, mi ha offerto la possibilità di condividere nell’anonimato: se non si conosceva la persona, potevi solo ammirare quello che faceva di artistico, fosse un disegno, una fanfiction, un’animazione amatoriale, un videogioco indie, un montaggio video… Lì ho scoperto altri tipi di tossicità, che però mi risultavano molto meno dolorosi di Chiara, la mia prima bulla, che cercava di spingermi giù per le scale “per scherzo”. Ora, questo lato solitario lo possiedo ancora; l’ho affinato e regolarizzato al punto giusto da non risultare comunque asociale. Questo però non ha cambiato il brutto rapporto che ho con i social, dove comunque sto imparando a stare. Nei social sembra tornare al centro la persona e come presenta ciò che fa, più che quello che fa. E basta poco perché diventino un’arma a doppio taglio. E senza scomodare Chiara Ferragni e i suoi recenti guai, anche perché per quanto brava come influencer non posso definirla un’artista, si può parlare di Gipi o di Giulia della Ciana, fumettisti che hanno subito delle pesanti shitstorm per motivi diversi e che hanno radicalmente cambiato il loro rapporto con questi strumenti. Gipi, a causa di quattro vignette pubblicate nel momento sbagliato, ha tagliato molti ponti e dato vita a una graphic novel, “Stacy”, che persino molti suoi critici stanno amando: https://www.coconinopress.it/prodotto/stacy/ . Giulia della Ciana, autrice dell’Euromanga “Butterfly effect”, che considero uno dei migliori Euromanga attualmente pubblicati in Italia, è stata invece violentemente criticata per la scelta di un finale realistico (cosa per me vergognosa, in quanto lo stesso era perfettamente coerente a tutto lo sviluppo della storia). Attualmente, Giulia della Ciana sta lavorando su una versione “Perfect” della storia, dove arriva ad approfondire personaggi ed eventi; sebbene programmata da tempo, poiché come spesso succede agli artisti si sente la necessità di migliorare anche ciò con cui si è già lavorato, la versione “Perfect” ha assunto per lei un'importanza ancora maggiore, in quanto non permette di generare “equivoci” creando false aspettative nei lettori (in verità, tali aspettative si sono create più per il target con cui la storia era stata pubblicizzata che per la struttura della stessa, ma su come viene abusata la questione del “target” nel mondo dell'editoria, parleremo un'altra volta): https://mangasenpai.it/product/28033124/butterfly-effect-perfect-edition-1 Osservare queste valanghe di odio collettive non incoraggia certo alla condivisione chi, come me, vede nell’arte un ponte per comunicare e non un gradino per mettersi al di sopra degli altri; se il ponte diventa un punto di accesso per chi vuole farti del male, allora è meglio toglierlo. Questi elementi personali, nelle quali alcuni si possono ritrovare e altri no, non sono il solo motivo per cui un artista può trovarsi in difficoltà a condividere le sue opere. Un altro motivo può trovarsi nel rapporto che l’autore ha con quello che crea. L’arte non è solo un veicolo di comunicazione con gli altri, è anche e soprattutto un veicolo di espressione del proprio inconscio. A volte quello che un’artista produce, è meglio che la luce non la veda. Nel film di Cronemberg “Crimes of the future” del 2022, il rapporto viscerale tra artista e opera d’arte viene analizzato molto bene con un espediente narrativo che lo rende letterale. Altra questione, molto più semplice e pratica: la comunicazione non è lavoro per tutti. Non è facile, non elementare, va fatta bene e anche studiando, anche imitando, non tutti riescono a esprimersi al meglio. L’aiuto di una terza persona, esterna e distaccata a sufficienza, sarebbe spesso necessario, in ambito editoriale come altrove, per poter coltivare davvero la riuscita della diffusione di un’opera. A volte però, questo aiuto non arriva, perché è un investimento che molti non se la sentono di compiere. Ma questo è un discorso che avrebbe bisogno di un altro log per essere affrontato. Ultimo motivo, non però meno importante: immaginate di creare qualcosa di vostro a livello artistico, di decidere di condividerla su pubblica piazza e di non ricevere alcun tipo di feedback. Immaginate allora di iniziare a “richiederlo” e comunque di ritrovarvi ad avere poca accoglienza. Anche da parte di persone che considerate amiche. Inutile dire che al di là della ferita personale, finisce anche per crearsi una situazione piuttosto imbarazzante che può andare ad impattare gravemente rapporti importanti. Detto ciò, è vero quello che era venuto fuori nella discussione sotto il post: se si crea qualcosa a cui si dà valore e la si vuole condividere con gli altri, la pubblicizzazione è una tappa necessaria. Si può riuscire a essere orgogliosi del proprio fare senza degenerare negli atteggiamenti seccanti o saccenti, si può riuscire a condividere il proprio fare senza risultare seccanti. Ora, anche a fronte degli ultimi eventi nostrani, sicuramente il mondo dei social verrà gradualmente rivalutato da utenti e fruitori; per quanto siano le “pubbliche piazze” meglio conosciute, non sono il solo modo per farsi pubblicità; per conto mio sto gradualmente imparando come pormi, ho osservato gli altri e ho capito quale potrebbe essere la strada per me. Ma questo non cambia il nodo della faccenda: è giusto fare pubblicità della propria attività, ma non tutti sanno o vogliono farla e qualunque sia il motivo, è un dato di fatto. Per questo rimane importantissimo il “passaparola”. Nessuno può aiutare un artista più di un sostenitore che parla di lui agli altri. Nessuno aiuta un libro più di chi lo consiglia agli altri (e no, non serve essere bookinfluencer o booktoker, basta anche parlane agli amici di persona). Anche per questo ho cercato di condividere in questo post le opere che ho nominato (e già che ci sono vi lascio anche la mia: https://www.amazon.it/cervo-Horn-Creek-9/dp/8832077655 ). Purtroppo viviamo ancora in un mondo dove come si comunicano le cose sembra più importante delle cose stesse. Il clima sta cambiando, ma ci vorrà molto tempo prima che l’essenza di una qualsiasi opera, sia essa un fumetto, un adattamento, un film, un videogioco, un libro o altro, torni al centro del giudizio altrui al posto dei reels o delle sponsorizzazioni. Nell’attesa, chi ha optato per questa strada, deve fare i conti con tutto, dalle shitstorm alla “schiavitù” delle visualizzazioni. O a scegliere di non restarci invischiato anche a rischio di non essere conosciuto dal resto della “comunità”. Quale che sia la scelta, il valore di un’opera artistica viene prima di tutto dall’autore della stessa. Se si è soddisfatti con quello che si è compiuto, la condivisione diventa solo un elemento e nemmeno il più importante. Come fruitori dobbiamo poi essere noi per primi a non fermarci ai più pubblicizzati tra gli artisti e cercare, scavare, indagare. A volte le pietre più preziose, sono nascoste in profondità.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

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Il coniglio fantasioso: Come e perchè la cultura pop fa parte della narrazione complottista (Storia vera)

ATTENZIONE, PER FAVORE: Le parole che state per leggere sono riprese in parte dalla mia tesi di laurea e in parte sono create ex novo per permettere una lettura più facile della stessa. L’idea di questa condivisione nasce da una necessità personale. Non sono stata consigliata da nessuno (anzi, c’è chi mi ha consigliato di tenermi le cose per me) e la mia tesi, consegnata mesi fa, non può essere consultata, ma mi appartiene comunque e posso curarla e condividerla come preferisco. I motivi della non condivisione nell’archivio delle tesi della mia università nasce da una necessità di “protezione”, non solo personale ma anche di terze parti (persone e organizzazioni) che qui saranno prontamente rimosse. Nella condivisione cercherò di essere più neutrale possibile e se verranno condivisi aneddoti o idee personali, il lettore verrà prontamente avvisato.

Se non hai letto l’introduzione, eccola qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/il-coniglio-pauroso-introduzione-storia-vera

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Esiste un meccanismo in narrativa, che permette a ogni lettore/spettatore di godere al meglio del mondo che si trova ad esplorare quando inizia un racconto di fantasia: si chiama “sospensione dell’incredulità”. E’ un patto che si instaura tra il fruitore di una storia e l’autore della stessa: il mondo proposto potrà essere il più assurdo, il più incredibile, il più illogico… ma se avrà una sua coerenza interna, il fruitore ci crederà e lo accetterà, per godersi al meglio la storia (Un articolo sull’argomento: https://www.illibraio.it/news/storie/sospensione-di-incredulita-1425969/ ) Non è solo con gli autori di fantasia che si può instaurare un patto del genere. Tale silenzioso accordo è parte integrante dell’universo delle teorie del complotto, che usano la cultura popolare come uno strumento sia per spiegare le proprie teorie, sia per dimostrarne la verità. L’uso dei testi narrativi come spiegazione di “verità assolute” è radicato nella storia umana (pensate solo alla mitologia che cercava di spiegare in modo razionale fenomeni naturali quando la scienza ancora non esisteva, o alle favole e fiabe che servivano a spiegare ai bambini come rapportarsi con i pericoli e le paure dei tempi), e il complottismo non è stato da meno. Ad esempio il libro denominato “I protocolli dei Savi di Sion”, il testo di maggior rilievo per tutte le teorie del complotto moderne, in alcuni casi riprende parola per parola due romanzi di fantasia; per la precisione: quello a tema satirico di Maurice Joly “Dialoghi all’inferno tra Macchiavelli e Montesquieu” (volto a criticare Napoleone III) e il romanzo “Biarritz” dello scrittore tedesco Hermann Goedsche. Entrambi i lavori sono usciti tra il 1864 e il 1868, ben prima che “I protocolli dei Savi di Sion” vedessero la luce. Questo libro, che non ha neanche un autore ufficiale (cosa che ne garantisce così una diffusione capillare vista la mancanza di diritti d’autore) ha ispirato tutte le principali teorie del complotto del novecento e del nuovo millennio, ispirando poi atti particolarmente efferati (come la “soluzione finale” di Adolf Hitler o come l’attentato di Andres Breivik (ispirato dalla teoria del complotto dell’Euroarabia) del 22 luglio del 2011 in Norvegia dove si contarono 77 vittime. Ma perché le teorie del complotto si affidano ad opere di fantasia? I motivi sono molteplici e no, non dipende solo dal fatto che le teorie stesse sono “fantasiose”. Quello semmai è l’ultimo gradino. Il primo gradino è il più importante: la fruibilità. Le opere di fantasia, salvo rarissime eccezzioni, sono altamente fruibili. Ovviamente, la fruibilità dell’opera cambia in base al tempo storico, al luogo, alla cultura e al target di riferimento dell’autore. Ad oggi, probabilmente, “After” è comunque più fruibile dei “Fratelli Karamazov”. Tuttavia, la scrittura non è il solo medium di diffusione per un’opera di fantasia. Ci sono anche fumetti, videogiochi, film…. Questi ultimi in particolare sono il mezzo più fruibile, grazie al perfetto incrocio di elementi visivi e uditivi/testuale per la composizione delle storie. Nella mitologia complottista, per sfuggire alla censura dilagante dei “poteri forti”, la narrativa è il mezzo migliore per “aprire gli occhi”, una metafora della realtà resa appositamente più fruibile ai lettori e difficile da individuare per i censori. Qualsiasi storia può diventare fonte di ispirazione per spiegare in modo semplice una teoria del complotto e comprovarne la sua esistenza. Vi nomino tre opere fittizie che sono molto riutilizzate nel contesto delle teorie del complotto:

  1. 1984, romanzo di George Orwell
  2. Matrix, film del 1999 girato dalle sorelle Larry e Lilly Wachowski (allora Andy e Larry Wachowski)
  3. Essi vivono (They Live), film del 1988 di John Carpenter

“1984” è considerato il capostipite della letteratura distopica (In verità sono stati diversi i romanzi pubblicati prima di “1984” che avevano come base narrativa una società distopica, a partire da “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift pubblicato nel 1726, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley pubblicato nel 1932 e “La fattoria degli animali” dello stesso Orwell ma pubblicato nel 1945. Tuttavia, “1984” è riuscito a guadagnarsi il titolo di “archetipo narrativo” del genere e tutte le opere successive allo stesso ne riprendono, tematiche, risvolti, stilistica e molto altro). Pubblicato nel 1949, racconta di un mondo diviso in blocchi di nazioni tra loro in guerra e di un popolo schiacciato da un’inquietante e invisibile figura chiamata “Grande fratello”. La tecnologia non è al servizio del popolo, ma è strumento di controllo e coercizione, grazie a messaggi propagandistici con cui gli abitanti del paese sono costantemente bombardati. Inoltre, lo stato di guerra perpetuo garantisce al potere la possibilità di agire indisturbato con la scusa di volere il bene della popolazione. Il controllo è così totale che anche la storia viene riscritta, tanto che il protagonista Wiston Smith si vede costretto a tenere nascosta una foto della vecchia Londra, pre-Grande Fratello, poiché solo l’esistenza della stessa mette a rischio la sua vita. Il controllo è ferreo e si estende fino alle vite personali degli individui, tanto che dichiararsi amore diventa l’atto di ribellione più importante. Molto di quello che racconta questo romanzo lo possiamo ritrovare nella nostra società, i cui contorni possono sovrapporsi alla tremenda politica distopica del Grande Fratello. In particolare, il rapporto di dipendenza con la tecnologia ancora oggi in mano a pochi soggetti e finalizzata alla raccolta dei dati personali degli utenti. Queste somiglianze forniscono ai complottisti un grande terreno per poter paragonare qualunque decisione (e il lockdown pandemico è stato solo una delle tante) a una forma di controllo o schiavitù da parte dei governi. Il romanzo viene anche utilizzato come spauracchio rappresentante un governo mondiale di stampo socialista, contrastando così qualsiasi dibattito proposto dall’ala sinistra o anche solo più liberale della politica: la richiesta di pronomi diversi o dell’inserimento degli insulti di stampo omofobo come reato? Ecco la neolingua di “1984”. Il tracciamento dei pagamenti con utilizzo del contante per contrastare l’evasione dalle tasse? Proprio come in “1984”, una forma di controllo. Un modo per togliere i soldi ai cittadini quando meno se lo aspettano. Poi ci sono i social, probabilmente il metodo di controllo più vicino a quello che è l’universo di 1984; tuttavia, per la diffusione delle teorie e della consapevolezza gli stessi sono utilissimi, quindi guai a toccarli, soprattutto se tenuti da “geni” quali Elon Musk, mentre magari “l’ebreo” Mark Zuckerberg va evitato. Curiosamente le tecniche di proselitismo del complottismo riprendono molto le tattiche propagandistiche del Grande Fratello: ripetizione continua e costante degli stessi concetti che da anni fanno parte della narrativa. Se “1984” parte dal lato razionale e politico, “Matrix” è invece l’opera che meglio accompagna le narrazioni conspiritualiste (di cui vi racconterò nel prossimo capitolo dedicato al rapporto con la psiche). “Matrix” racconta di un uomo, Thomas Anderson, nome in codice da hacker Neo, che si scopre come il prescelto per portare l’umanità fuori dalla “Matrice”, una realtà fittizia creata dalle macchine che, dopo un periodo di schiavitù sotto gli umani, si sono ribellate e hanno trasformato gli stessi in fonte di nutrimento. Il “risveglio” di Neo avviene attraverso l’ingestione di una pillola rossa che lo porta nella realtà, a combattere a fianco di Morpheus e la sua squadra per la liberazione del genere umano. Il film è stato girato da Andy e Larry Wachowsky, due donne transgender che tuttavia non avevano avviato il processo di transizione (lo avrebbero fatto proprio un anno dopo l’uscita del film), e vedeva come attore protagonista un giovanissimo Keanu Reeves. La trama del film sembrava riprendere concetti della filosofia solipsista come dello gnosticismo (vi parlerò di queste correnti in modo approfondito nel capitolo psiche) e perfino del buddismo: l’essere umano visto come contenitore fisico di uno spirito alla ricerca della libertà, ma trattenuto all’interno del pianeta terra da elementi esterni malefici. In questa visione, che molte correnti conspiritualiste riprendono, la terra e l’ambiente vengono viste come negative (quindi perché rispettarle? Perché avere paura del cambiamento climatico?) e il corpo come un mezzo di schiavitù che attraverso forze esterne (come i vaccini o i cibi industriali) è sottoposto a forme di tortura e coercizione. La speranza è nella coscienza, nello spirito e nella sua liberazione. Anche attraverso la morte fisica, propria e dell’altro. Un’altra teoria, portata avanti da una nicchia di spettatori e avvalorata dal percorso di transizione avviato dalle due sorelle, riteneva che il film fosse una metafora della presa di coscienza di una persona transgender della sua reale identità. Ciò era avvalorato dal colore delle pillole proposte da Morpheus (gli ormoni per la transizione sono spesso pillole rosse) e dall’uso delle parole dell’agente Smith durante gli incontri con Neo (il quale insisteva a chiamarlo “signor Anderson”, nome che il protagonista aveva ormai abbandonato). Gli indizi sulla fondatezza di questa teoria erano molti, ma questo non ha impedito all’estrema destra di fare proprio il film tanto da coniare il termine “Redpilled” (in italiano tradotto “Redpillato”) per descrivere chi decide di credere nelle teorie complottiste come persona finalmente risvegliata. Nel 2020 Lily Wachowsky dichiarò che la lettura del percorso di transizione era quella giusta. Tutte gli elementi attribuiti allo gnosticismo, al solipsismo e al resto erano presenti proprio per mascherare al meglio questa lettura ed evitare la censura da parte di Hollywood (Un articolo dedicato alla dichiarazione: https://www.bbc.com/news/newsbeat-53692435 ) La dichiarazione non ha minimamente scosso il mondo delle teorie del complotto, che, pur avendo al suo interno molte frange apertamente ostili alla comunità LGBT+ e/o a quella non-binary o trans nello specifico, continua a usare il termine “Red Pill” per indicare la presa di coscienza degli inganni della società da parte dei poteri forti, incluso ovviamente il sostegno alle minoranze di genere. “Essi Vivono” è un film girato nel 1988 da John Carpenter, regista di film di genere fantascientifico e body horror (come “La Cosa”, girato nel 1982). La storia è liberamente ispirata dal racconto del 1963 “Alle otto del mattino” (“Eight O'Clock in the Morning”) di Ray Nelson e racconta della presa di coscienza da parte di un uomo comune, John Nada (interpretato da Roddy Piper), dell’esistenza di un governo ombra di alieni che tengono l’umanità segretamente sottomessa in una società iniqua e ingiusta. Il titolo indica che “essi” (gli alieni) vivono tra noi, mimetizzati, in segreto. Ovviamente, con questo film vengono veicolate a piene mani tutte le teorie del complotto relative allo spazio, il cui autore maggiore (David Ike) ha costruito una vera e propria fortuna economica. Le tre storie citate non sono le sole: Guerre Stellari, XFiles, alcuni libri di Stephen King… volendo in qualsiasi prodotto di intrattenimento si può trovare un collegamento con le teorie del complotto. È qui che entra in scena il secondo gradino: la già citata “sospensione dell’incredulità”. Nel passato le autorità hanno nascosto tanto alla popolazione, perché non dovrebbero farlo ancora? QAnon fa parte dei servizi segreti? E perché no? Per quale motivo un agente segreto, magari stanco delle scorrettezze di cui era venuto a conoscenza, non può andare su un sito internet pieno di razzisti e pedofili e pubblicare qualche indizio su indagini interne? Anche Snowden ha fatto così, anche Assange, perché l’utente Q di 4chan dovrebbe essere diverso? Nel passato si facevano sacrifici umani insieme a rituali legati alla sfera sessuale, perché oggi non dovrebbe succedere con Satana? Migliaia di persone muoiono ogni giorno anche per meno, perché le èlite con le possibilità che hanno non dovrebbero attuare quei sacrifici? Magari in una pizzeria di Washington dove si è nascosti in bella vista? Viviamo in una società poco umana? Beh, ovvio, perché chi la governa non è umano! Non c’è prova della non esistenza degli alieni, fuori come dentro la terra; quindi perché non potrebbe essere così? La censura esiste ed è sempre esistita, quindi perché certi messaggi non dovrebbero passare attraverso i programmi di intrattenimento? Sia messaggi volti al risveglio, sia volti a tenere le coscienze addormentate. Se ci sono così tanti personaggi omosessuali lo si deve probabilmente alla “lobby gay” e non a un cambio dei costumi e a una maggiore apertura della società verso forme diverse di amore. Queste che avete letto sono le opposizioni più forti e ricorrenti nell’ambiente complottista, che fanno tutte affidamento al meccanismo di sospensione della realtà. I complottisti accuseranno sempre le narrazioni immaginarie che trattano temi a loro sgraditi di avere “un’agenda” nascosta (Ad esempio Durante il governo nazista, l’idea che una propaganda contraria al governo fosse inserita anche in romanzi e prodotti di intrattenimento non approvati dal ministero della propaganda, ha portato al rogo e in molti casi anche alla perdita di molti libri di narrativa come il romanzo “Bambi, vita di un capriolo”, dello scrittore austriaco Felix Salten, pubblicato nel 1923 e interpretato come una forma di propaganda antinazista: https://www.hollywoodreporter.it/film/film-stranieri/la-vera-storia-di-bambi-cacciato-e-bruciato-in-piazza-dai-nazisti/1938/ )… mentre a loro volta porteranno avanti la loro stessa agenda usando le storie immaginarie come strategia. In una società dove l’intrattenimento è diventato parte integrante della vita degli individui, oltre che ingranaggio economico consistente, chi vuole diffondere la sua visione del mondo non si farà scrupolo a pescare al suo interno alla ricerca di nuovi simboli da utilizzare. Anche nelle storie più lontane e improbabili. E badate bene: ho usato il termine “simboli” non a caso. Riprendendo il termine dall’enciclopedia Treccani (https://www.treccani.it/enciclopedia/simbolo/ ):

“Qualsiasi cosa (segno, gesto, oggetto, animale, persona), la cui percezione susciti un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile. L’originaria funzione pratica, prevalente ma non esclusiva, è sostituita dalla funzione rappresentativa e s. si identifica con segno.”

Quando si parla di simboli dunque, si crea un coinvolgimento collettivo, un collante importante, che fa sentire il fruitore parte della comunità e al tempo stesso protagonista diretto. Una persona normale, quando parla di un’opera immaginaria, fa sempre riferimento a se stessa, anche quando sente di aver letto l’intenzione dell’autore, in realtà proietta parti di sé nell’esposizione. Un complottista parlerà delle opere sempre in termini onnicomprensivi e propagandistici. Non sarà più “questo per me significa”, ma “questo significa”. E ogni opera sarà perfettamente adattabile alla teoria del complotto di riferimento, e alla dottrina che la stessa porta avanti. E se non si adatta, allora vuol dire che fa parte della parte “opposta”, quella dei “poteri forti”, quella che vuole tenere basse le coscienze e nascondere la verità. Nell’oscurità della tana dove i conigli a volte si incastrano, storie e fantasie, così familiari e semplici da capire, sono un collante e uno strumento importante per consolidare i membri e trattenerli giù; diventano la prova che “fuori qualcuno sa, ma non può dire”; e se anche poi la teoria dovesse saltare o fallire, si può sempre tornare sui propri passi e cambiare storia di riferimento. Noi esseri umani abbiamo bisogno di fantasie e narrazioni, a livello personale e collettivo, come valvola di sfogo, come promemoria, come riferimento dei valori collettivi (o del loro superamento). Io stessa ho iniziato questa serie di capitoli raccontando, nell’introduzione una storiella inventata. Bisogna quindi aspettarsi che chi ha degli interessi di dominio faccia delle storie un suo strumento. Sia egli un esponente politico in un palazzo del potere, un padrone di un’industria esperto della tecnica di marketing nota come “storytelling”, o un semplice influencer della sfera complottista. C’è poi un gradino ulteriore che non ho ancora toccato: quello del legame tra inconscio (collettivo e personale) con le figure e le strutture narrative più comuni. Questo passo però avverrà nel prossimo capitolo, quando scenderemo nei meandri della psiche.

Legenda: Racconto = Racconto di fantasia ( se vicino c'è “– fanfiction” : racconto di fantasia che utilizza personaggi creati da altri autori)

Opinione personale = espressione di un parere sul quale si può essere d'accordo oppure no a puro scopo di stimolo riflessivo

Aneddoto personale = Storia reale ma con il punto di vista esclusivo della sottoscritta

Storia vera = storia vera esterna alla sottoscritta, che si limita a illustrare i fatti e le fonti

Autopromozione = Blogpost dedicato all'autopromozione di qualcosa di mio