ordinariafollia

brevi fabulazioni di chi tende a dare realtà alle creazioni della propria fantasia.

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Facciamo finta che io

sia una vagabonda dello spazio alla guida di una Falchetta del Millennio alla ricerca del Diamante del Tempo.

Nella notte indefinita.

Facciamo finta che tu

sia un ballerino ammalinconicato che danza sgraziato sui fili del Fato.

Nella pioggia della vita.

Facciamo finta che la terza persona singolare

resti singolare

e nella sua matematica anomalia risplenda.

Facciamo finta che noi

inseguiti dalle Sturmtruppen dell'Impero Galattichen indossiamo solo una maglietta bianca con uno slogan volgare e per la gioia di coloro che apprezzano la natura morta quando è ancora viva: non abbiamo le mutande. Nemmeno le scarpe.

Facciamo finta che voi

avete ancora trent'anni e vi guardate l'amore negli occhi, sulla spiaggia di una vecchia fotografia

tornate indietro senza passare dal Via. E siete belli e siete forti.

Facciamo finta che loro

siano l'oro

per un'ora, perdutamente, siano di nuovo tutti bambini.

i testi e i disegni sono di Saio Giampaolettiordinariafollia.net

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Se nasci gatto prima o poi una donna bellissima ti trova e 11 volte su 10 ti trasforma in uomo.

Quando sei uomo satollo sul divano nell’ammollo superpomeridiano 11 volte su 10 stai in silenzio.

Quando stai in silenzio una piccola parte dei tuoi pensieri si avvia scodinzolando indolente e 11 volte su 10 arriva in un giardino segreto.

Quando sei nel giardino segreto non puoi fare a meno di toccare tutto e 11 volte su 10 fai una collana.

Quando fai una bella collana dopo averla ammirata con compiacimento 11 volte su 10 ne fai dono alla donna che ti ha fatto uomo.

i testi e i disegni sono di Saio Giampaolettiordinariafollia.net

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C'è stato un periodo in cui essere sociale era un'esigenza, una necessità.

Uscivo di casa appena fatto pranzo e mi piantavo alla pista di pattinaggio nel mezzo della profonda notte del primo pomeriggio maceratese. L'olfatto cerebrale lanciava i miei pensieri per centinaia di chilometri di piste di possibilità. Intanto che aspettavo.

Entusiasmo, nel freddo degli inverni che non facevano alcuna paura.

Comunicare è bello, specie per chi ama la propria voce. A volte penso che ululare alla luna sia più gratificante rispetto allo spiegare per quale motivo sia importante la diagonale difensiva oppure come si calcola il letame di scorta di una stalla.

Ululare alla luna senza altro motivo dell'esprimersi.

Cavo fuori da me segni e aggiungo qualche colore, da qualunque me.

Per te.

Sulla panchina della pista di pattinaggio, protetto dai pini e dal vento che viene a giocare. In un livello segreto del metaverso. Nella scia di nubi d'alta quota di Nettuno.

Con la stessa esigenza di spremere fuori giaggioli dai bei vividi fiori. Da qualunque me.

Per qualunque te.

i testi e i disegni sono di Saio Giampaolettiordinariafollia.net

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L'amore è un anello incorruttibile qualcosa che afferma all'universo che non importa aver ragione

una musicassetta pirata fatta per...

per chi ti pare.

Anche per te.

L'amore è un anello ma non importa che sia proprio di metallo

qualcosa che fa perdere la strada e poi ride di te

una musicassetta pirata per la ragazza più bella

di tutta l'Italia

centrale.

L'amore è un anello dove infilare il dito anche se ti hanno tagliato tutte le dita

qualcosa che non sta scritto da nessuna parte

una musicassetta pirata fatta per un nuovo amico

fico

di cui presto non ricorderai il nome.

L'amore è un anello al cuore a cui legare una corda

qualcosa che continua a farti star bene nonostante.

Una musicassetta pirata fatta per la cuginetta

che va in gita scolastica

per la prima volta.

i testi e i disegni sono di Saio Giampaolettiordinariafollia.net

ordinariafollia-log_004-2024. Riempivamo fogli su fogli su fogli di schemi ripetuti, geroglifici

che ai nostri occhi erano avvincenti campionati di calcio internazionali.

Nomi curiosi ed affascinanti, crocette e numeri. Decine ogni pagina,

centinaia, migliaia ogni quaderno.

Quel ragazzo che scarabocchiava

aveva una matita

aveva un quaderno

aveva un amico

e nulla era impossibile.

Non c'era l'urlo abissale del vuoto

né sorrisi di ragazze della parte orientale dell'Appennino

non soldi

ma capelli

ed il Pianeta spendeva.

Quel ragazzo che beveva noia e pisciava giocattoli

di matita, di carta ritagliata, di cartone scotchato.

E' come quando ti siedi al tavolo per il pranzo di matrimonio di tua cugina

e sai che potresti mangiare tutto con gli occhi.

i testi e i disegni sono di Saio Giampaolettiordinariafollia.net

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Andare a mangiare in pizzeria era un evento straordinario, a quei tempi. Qualcosa per cui bisognava lavarsi pure dietro le orecchie ed essere educati. Si andava sempre con qualcuno, per stare assieme; con gli zii.

Per evento straordinario intendo dire tanto che era raro, diciamo una volta all’anno? E che era eccitante; ed io leggevo la lista del menù fino agli articoli di coda, fino all’aiuto regista, fino ai ringraziamenti, fino agli affini.

Già sapendo che avrei scelto la pizza Quattro Stagioni.

Attraverso eliminatorie, dopo attente valutazioni, dibattiti, sondaggi. Ogni me stesso alzava la mano per dire la sua.

La pizza Quattro Stagioni ha tanti ingredienti nel condimento e sono disposti nei relativi settori. Prosciutto cotto e carciofini, per una primavera troppo veloce.

Acciughe per l’estate.

Funghi e nostalgia per l’autunno.

Cosa rimane? Baci per l’inverno.

Anche nel mangiare la pizza seguivo un criterio seppure ordinatorio. Cominciavo con la parte che meno preferivo e mi tenevo per la fine quella che ritenevo la migliore.

Forse perché il dolce arriva a fine pranzo?

Questo mi faceva mangiare i carciofini caldi e la salsiccia fredda.

E poteva capitare che arrivato alla parte migliore, quella tenuta per la fine, che non avevo più fame.

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C'erano due neuroni o forse tre nella mia testa dopo la consegna delle chiavi.

Uno era maschio, per così dire. L'altro no, per contraddire.

Venne loro data una consegna, un foglio nel quale c'era scritto come lavorare. E lessero. Il primo disse: ho capito, bene! si farà così e cosà, facile. L'altro rimase sul divano.

Intanto la macchina attendeva a folle. Motore caldo, carrozzeria fiammante, due dadi di peluche che non avevano mai rotolato pendenti sotto allo specchietto. Il primo neurone disse al secondo: alzati, dobbiamo lavorare. Il secondo gli rispose: sì, ma prima giochiamo a nascondino.

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Aspetto sdraiato sul cofano all'autosalone e taglio erba nella speranza che ricresca. Aspetto te, camminando avanti e indietro. A volte immaginando che ogni mattonella sia come la sola cosa reale ed io un equilibrista sul tetto del mondo.

Aspetto seduto su una sdraio avvelenata, sul ciglio della collina da dove si vede il mare. Sotto gli ulivi. Pieno di zanzare. Aspetto contando i petali dei fiori in un valzer americano dove sono sia cowboy sia indiano. Dove sono vestito con un abito leggero ed ho sempre una pistola nascosta e pronta.

Aspetto in piedi tra gli altri pilastri minerali intanto che una palla rimbalza e la figura di una giovane donna cammina sulla sabbia. Aspetto la mano di mia madre che venga a carezzarmi mentre non prendo sonno.

Aspetto e sono forse quello che sta ancora nascosto. Aspetto e sono forse quella che è rimasta.

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Passavo pomeriggi ad ascoltare dischi. Un angolo dell'immenso salone di marmo dove c'era l'impianto di alta fedeltà nel suo autoritario mobiletto; il divano, due poltrone e sopra al tappeto di pelle di vacca il tavolino di vetro infrangibile.

Passavo pomeriggi interi seduto ad ascoltare dischi e sognare. Era il vinile. Segnali dal futuro, su microsolchi passati.

Prima del vinile c'era il pallone. Prima del vinile c'era la bicicletta.

Prima del vinile la noia era una cantilena insistente. Oh ma' che posso fa'? (non penso sia necessario tradurre). Oh ma', che posso fa'? Che posso fa'? Oh ma'! Che posso fa'? Dopo il vinile la noia ha indossato un velo tessuto con fili di esuberanza, entusiasmo, benzina, mutande, umidità, correre correre correre, birra. Luoghi comuni.

Quando il velo è caduto, ormai liso, svilito e polveroso, ho visto di nuovo per bene i lineamenti della noia, le irregolarità del suo viso così simile al mio. Me la ricordavo più brutta. Più alta.

Sapevo leggere, sapevo disegnare, sapevo pure scrivere. Sapevo ascoltare. Sapev osserv. Sap asp. Sa.

Oggi disegno e ripensando ai tempi prima del vinile, mettendoli con la matita su un quadernone, mi accorgo di sentirli come se appartenessero anche ad ogni personaggio che esce dalle traiettorie della punta della mia matita, che vedo comparire in danze di pixel. Mi pare che le storie inventate e quelle vissute hanno infine lo stesso sapore nella bocca del mio cuore. O altro organo interno in sua vece.

Forse è un'esigenza, quella di comunicare. Esigenza di esprimere, piuttosto. Bucatini all'Avvelenata.

Non ricordo il primo libro che ho letto per intero, alle scuole elementari ero tra quelli che sperava di cavarsela imbrogliando all'interrogazione.

Non ricordo neppure il primo disegno che ho fatto (e mi piace utilizzare questo verbo in questa frase). Forse un autoritratto dentro la pancia di mia madre.

La prima storia che ho scritto riguardava un coccodrillo che finiva, per lo meno buona parte della sua pelle, in un negozio di moda.

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Potrei anticipare che sono ciò che dalla mia immaginazione traggo e riesco ad esprimere per poi comunicare. Sarebbe riduttivo parlare di mitomania. Preferisco ordinaria follia.

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