Il primo non stava mai fermo
un moscerino della frutta alimentato a pile atomiche
e finiva con un piede nell’acqua e perdeva una scarpa
sporco, sempre sorridente
con l’imperativo assoluto di non essere da meno.
Il secondo era carino
delicato come bandiera di panna sulla cima di una torta di Pisa
e intrecciava la lenza tra rami impossibili
calmo, sempre interrogativo
con l’imperativo assoluto essere alla mano.
Il terzo ero io
chiacchierone ridanciano, fabulatore, contromano
e parlavo e parlavo e parlavo e parlavo
vispo, sempre ironico
con l’imperativo assoluto di essere umano.
E poi c’era il Grande Pescatore
che ancora urla: ma non lo vedi che hai un piede in acqua?
ma come cazzo hai fatto a intreccia’ lassù?
ma tu non pigli fiato mai?
Guidare mi piace
sono un Guido mancato
in silenzio o con la musica
al volante seduto
tendente all'infinito.
Avere l'automobile a 18 anni era il coronamento della virilità
un attestato naturale per la maggiore età
la metamorfosi per il nuovo stadio dell'evoluzione
prima del tramonto e dopo il pallone.
Guidare ed avere porte di ferro con finestrini da chiudere a chiave
ed un sedile riservato alla fidanzata
al migliore amico
al bisognoso, allo sconosciuto.
Guidare per sentire di essere nella splendida giornata
spiccare dal ramo della pista di pattinaggio
per arrivare a Porto Recanati, a Rimini, alla Grecia
puntando alla Luna.
Guidare per andare a finire in un bar sotto il mare
quindi trovarsi seduto sul divano
con un libro in mano
ed un paio d'ali iridate che sembrano tanto leggere
ma ti reggono.
sia una vagabonda dello spazio alla guida di una Falchetta del Millennio alla ricerca del Diamante del Tempo.
Nella notte indefinita.
Facciamo finta che tu
sia un ballerino ammalinconicato che danza sgraziato sui fili del Fato.
Nella pioggia della vita.
Facciamo finta che la terza persona singolare
resti singolare
e nella sua matematica anomalia risplenda.
Facciamo finta che noi
inseguiti dalle Sturmtruppen dell'Impero Galattichen indossiamo solo una maglietta bianca con uno slogan volgare e per la gioia di coloro che apprezzano la natura morta quando è ancora viva: non abbiamo le mutande. Nemmeno le scarpe.
Facciamo finta che voi
avete ancora trent'anni e vi guardate l'amore negli occhi, sulla spiaggia di una vecchia fotografia
tornate indietro senza passare dal Via. E siete belli e siete forti.
Facciamo finta che loro
siano l'oro
per un'ora, perdutamente, siano di nuovo tutti bambini.
C'è stato un periodo in cui essere sociale era un'esigenza, una necessità.
Uscivo di casa appena fatto pranzo e mi piantavo alla pista di pattinaggio nel mezzo della profonda notte del primo pomeriggio maceratese. L'olfatto cerebrale lanciava i miei pensieri per centinaia di chilometri di piste di possibilità. Intanto che aspettavo.
Entusiasmo, nel freddo degli inverni che non facevano alcuna paura.
Comunicare è bello, specie per chi ama la propria voce. A volte penso che ululare alla luna sia più gratificante rispetto allo spiegare per quale motivo sia importante la diagonale difensiva oppure come si calcola il letame di scorta di una stalla.
Ululare alla luna senza altro motivo dell'esprimersi.
Cavo fuori da me segni e aggiungo qualche colore, da qualunque me.
Per te.
Sulla panchina della pista di pattinaggio, protetto dai pini e dal vento che viene a giocare. In un livello segreto del metaverso. Nella scia di nubi d'alta quota di Nettuno.
Con la stessa esigenza di spremere fuori giaggioli dai bei vividi fiori. Da qualunque me.