Racconti spontanei che attraversano l'autore

Cammina veloce, cammina, non c’è tempo da perdere, stai perdendo il volo, ti stanno chiamando dall’altoparlante rumoroso proprio te essere vivente, cadi adesso e cresci e crea una montagna umana di macerie umane. Essere vivente sei eccitante, dovrebbe essere sentito e non lo è, è un gioco portato al limite, è un gioco con troppe regole, ne servirebbe solo una, è solo biologia riproduttiva, è solo chiedersi perché sia così difficile stare da soli perché sia così bello odiare e non volere scendere a compromessi e smettere di mangiare piatti sofisticati e mangiare solo pesce appena pescato e mangiarlo mentre ancora si contorce e smettere di ascoltare musica che l’udito serve solo per avvertici dei pericoli, altri esseri umani che blaterano e non riescono che compiere l’azione del contraddirsi. I vetri sono decisamente troppo puliti per essere veri vetri ma è sicuramente la miopia che rende tutto più bello e non c’è sguardo esterno che trafigga, non c’è sguardo essere vivente, non c’è che il sogno. No, non sono io quello che si è perso il volo, non sono io che ha bisogno degli sconosciuti per sopravvivere vai rapido, vai rapido figlio di tempi dove la violenza era molto più tollerata e anzi era un valore tra i più importati. Sì è colpa di questa velocità se soffri, è colpa di una necessità morbosa di essere sempre più ricchi e potenti, quello che stupisce è quello che manca, non è stato ancora capito, però si continua a trovare nonostante questa estrema consolazione nella strada battuta, nel ruscello di acqua calda termale e nell’odio profondo e nella gioia dopo l’odio come un dolce unguento e odore di camomilla. Hai scelto di investire nella tua bellezza e ancora ora dico, cattivo investimento essere vivente, è facile quando hai poche lune alle spalle quando il movimento non è deciso ma come fai dopo come potrai salvare Venezia ma è questo credere nell’irrazionale che disarma e però lo lascio a voi, credo, almeno ora ma adorerò contraddirmi. E’ questo bisogno di voler dare, questo racconto cristiano che sembra non volersi mai fermare e muta e prende varie forme forse sì, sei tu pianeta terra, sei tu tempio, togliere serve per dare di più dopo perché per quanto mi piaccia l’idea con un valore prettamente legato alle storie a destini ridotti in frantumi, non ci sarà mai la fine del volere dare e non ricevere nulla e sarà nella sua rarità il potere ispiratrice ma anche farmi desistere dal pensare che è solo esclusivamente bisogno di non essere soli, non sarà facile e qua adorerò ancora di più contraddirmi. Cosa può essere un essere vivente che vale la pena essere raccontato, deve poter trasmettere qualcosa, deve poter ispirare suscitare emozioni, sono qui guardami, sono qui ti prego ascoltami, vite su vite ma è davvero possibile siano tutti così banali e pieni di errori che siano così tolleranti della noia e perché alla fine chi forse si è distinto e ha capito qualcosa si è ammazzato. Perché le vite straordinarie non hanno resistito un giorno di più, che sia solo lo smettere di voler tollerare che distingue gli straordinari dagli altri che l’unica cosa straordinaria è non farcela più, in fondo non ne vale più la pena, si sta combattendo per qualcosa senza valore, una volta compresa la vita finisce tutto il divertimento, è bello giocare quando le regole ancora sono poco chiare, quando si ride tutti insieme sui reciproci sbagli ma cosa accade quando le regole sono chiare e quando non si commettono più errori, c’è davvero qualcuno così ottuso stupido da continuare a giocare a questo solitario dove si vince tutte le volte, dove perdere è impossibile che dopo aezakmi sì magari si va avanti per un po’ ma poi basta. Sono gli errori che tengono vivi quindi, interessante, ma che accade quando gli errori sono troppo grandi come riuscirai a convivere con il senso di colpa come farai invece, molto bene, è lo spirito di sopravvivenza, è volere sopravvivere alla glaciazione e quindi nell’abbondanza e nella stagnazione non si può che pregare nella catastrofe più atroce così da sperare nuovamente nel benessere e volerlo rincorrere sarà la gioia più grande. “Sbaglia, sbaglia, sbaglia!” questo si ripeteva B. dopo aver riflettuto a lungo e per la prima volta si convinse. Era depresso B., lo capì da solo come quando si capisce che si ha la febbre alta, la testa è un enorme palla riempita di un materiale soffice al tatto come il cotone ma pensate come il piombo. Non sarebbe mai andato a farselo certificare che quella pratica psicanalitica, era solo una ridicola imitazione di un prete che vuole confessarti e assegnarti preghiere da recitare. “Avanti B. dimmi i tuoi peccati, confessati” disse il prete-psicologo-santone-attivista per l’ambiente “Beh ho peccato, sì padre molto” e così via e è colpa di troppe cose che non ti sono chiare maledetto che vuoi leggermi ma non puoi capirmi. Era depresso perché già in tenera età, raggiunti i sei anni, capì che i suoi genitori erano praticamente dei bambini suoi coetanei che era la paura a muoverli e il voler essere accettati. E da questa consapevolezza all’età di sei anni e non verso i quaranta come di solito accade accettò gli errori dei propri genitori, le loro fragilità e il peso che questo comportava. Fu la morte della madre di suo padre a farglielo capire, che lui si rinchiuse in un totale e assoluto isolamento che la sua forza era scomparsa, che poco dopo si uccise pure lui e non prima di essersi svelato. Doveva sbagliare, commettere un atto che andasse contro il suo intelletto, contro la razionalità che era convinto lo stava portando al suicidio; sì perché aveva capito troppo. Pensò a lungo su cosa fare e l’elenco diventava sempre più lungo. Si fermò per diverso tempo sull’omicidio, certamente questo fatto avrebbe portato B. in svariate situazioni a lui sconosciute tra cui il dover capire come farlo, magari informandosi sull’ampia documentazione fornitagli dalla cronaca nera, film, serie televisive, romanzi; era pieno di spunti a riguardo e questo gli fece capire quanto è così dentro di noi questo pensiero e che alcuni ne scrivono solo e ne partecipano all’atto immaginario, tanti invece non ne sono sufficientemente soddisfatti e devono praticare ciò che a lungo hanno studiato. E poi c’è il fatto in se, non è per nulla scontata come azione, deve necessariamente crearsi un rapporto con il soggetto, come quando si sceglie l’amante da corteggiare, l’amante da rapire dalla sua vita che procede, sì ma c’è quell’alone di dubbio, farò bene a fidarmi questa volta, sarà disposta a seguirmi nei miei pensieri folli ad accettare consensualmente di essere uccisa, sì questo è folle pensò B. davvero folle, pensarlo fu strano per lui si sentì perdere appigli come sbilanciato però in verità per B. il terreno era morbido soffice, un prato sopra della sabbia finissima, un miraggio e un ombra freschissima dopo una giornata torrida e un sole violento che brucia. B. andò a comprare le sigarette, l’uomo al bancone fu gentile e pretese di dargli indietro il resto “Ecco il resto” B. sentì una voce decisa raggiungere il timpano, va bene grazie uomo, vedo sei incisivo, vedo non ti sfugge nulla, vedo sei così attento ai bisogni dei tuoi affezionati clienti, sì affezionato a vederli morire uno dopo l’altro, eh poverino è caduto in depressione dopo la morte della madre, ma cosa dici era malato da tempo a causa di questo veleno che continui a vendere, eh ma me l’hanno dato in eredità, sì certo continua a ripetertelo, continua a ripeterlo mentre gli incubi delle scelte sbagliate della vita ti assalgono. “Grazie, arrivederci” rispose B., uscì fuori, tolse la plastica protettiva dalle sigarette tirando una piccola sporgenza di plastica sul lato corto del parallelepipedo, prese un sigaretta, chiese a un passante un accendino, si accese la sigaretta, fumò giusto un paio di tiri finché non lo colse il disgusto, buttò la sigaretta in uno di quei cestini per mozziconi di sigarette sempre così banalmente sporchi e in un cestino buttò tutto il pacchetto, tranne la plastica protettiva che aveva così profumatamente pagato.

Ripudio l’arte in ogni sua forma; mi distrae dalla mediocrità che mi sono costruito con tremenda fatica, lottando costantemente il naturale slancio di espormi, aprirmi, liberarmi. Ripudio i maestri che sono tanti, forse troppi, venditori di sogni borghesi per borghesi annoiati; la ricchezza in ogni sua forma è il più grande male. Che la temperatura terrestre salga fino alla temperatura con cui brucia la carta e il silicio. Tornare infine al pane caldo, la frutta scaldata dal sole e nuotare in acque termali durante rigidi inverni e niente da rappresentare, niente ontologia e ancora maestri, spettri, che possiate sparire che qua c’è una vita fatta di ozio, l’ozio rende liberi e smettere di sapere che ora è, in quale giorno della settimana siamo, il mese dell’anno, quanti anni sono passati, l’arte non salva, l’arte rende tristi e fa crogiolare nella tristezza; tenetevela voi la tristezza, figli di ricchi proprietari terrieri che qua c’è da coltivare terra cattiva, serve ottimismo per far piovere e per scavare pozzi, servono abbracci così lunghi da far sincronizzare i battiti, e cantare solo per il buon raccolto. Non c’è niente da capire, basta il fiume che si immerge nel mare e non c’è niente da ascoltare, bastano gli uccelli nelle foreste; c’è un irrazionale a cui cedere. Questo pensava B., molto più spesso di quanto avrebbe voluto, gli ritornava alla mente come torna un crampo sempre lì nella spalla destra dopo aver alzato il braccio destro ad un'angolazione insolita. Ma come per i crampi, dopo i primi dolori lancinanti, un mattino, dopo qualche giorno, inaspettatamente spariscono, e la vita di B. procedeva come sempre, con i tormenti quotidiani e la felicità, che risulta sempre banale e inefficace. L’ardore che lo aveva colto ora era sparito, il suo piano per la sua salvezza era sfumato anch’esso e si ritrovava ancora senza risposte e una linea chiara da seguire. La madre di B. non era più la stessa, cambiò e passò alla fase di vecchia madre sola, con bisogno di compagnia e una collezione di sogni non suoi mai realizzati. Fumava così tanto che la casa era completamente invasa di cenere e veniva distribuita omogeneamente nel pavimento da un ventilatore perennemente acceso. Ovviamente nessuno dei due avrebbe mai pulito quella casa che per chiunque fosse entrato sarebbe stata più simile ad un incubo che ad una casa abitata. Ma questo è il destino delle case abitate da persone né vive né morte che almeno nella morte vermi e piante iniziano il percorso della rinascita e dell’accumulo di terra su terra e infine una dolce collina.

Fantine, vorrei dirti di aspettare, di sperare, un giorno l’umanità costruirà una macchina per prenderti e attraverso il non considerabile e il non percepibile, attraverso l’indecisione e gli infiniti modi per sbagliare, errare, infine salvarti e portarti nel presente ipotetico e prometterti che da quel momento in poi tutto sarà un dolce abbraccio, vapore oltre l’orizzonte, brezza fresca, ma non esisterà mai quel presente. Forse è presto per dirtelo, forse una speranza ancora rimane nel reciproco futuro, ma purtroppo ho smesso da tempo con la speranza. Vogliono sminuirci, mortificarci, siamo impermeabili, la nostra pace è idrorepellente di fronte al loro mare di odio e inadeguatezza. Gli esseri umani sono feroci e il destino, che è la somma di tutte le loro malvagità, non può che investirti, cara Fantine, non può che prenderti, ecco la malvagità sì può, oltre tutto e oltre ogni bene, essa muove e muoverà. Ho visto più dittatori malvagi, pieni di pregiudizio, superbia, altezzosità altalenante mista a ilare sfogo bagnato dal vino, come i direttori in teatri dove si professa l’arte che libera, tutto questo non è per noi, che in centri specializzati di ordigni, dove il senso di colpa è un masso sul fianco di una collina e basta un temporale, ne basta uno solo ancora, per staccarlo e distruggere il villaggio là a valle, un villaggio di buoni agricoltori, buoni a pestare i figli con rami duri di alberi duri. E tu Fantine lo sai bene, il mondo è così semplice ma loro hanno imboccato la strada sbagliata. E vorrei sussurrarti dolci parole, resuscitarti, rinascere insieme, spostare delicatamente i fili d’erba per i nuovi percorsi dimenticati, non far riconoscere il nostro passaggio, accarezzare le ali delle libellule e volare con loro e spingerci sempre più lontano e abbracciare, vogliamo solo un caldo abbraccio. Fantine, rimane così poco alla fine dell’umanità, non c’è che il sogno collettivo, noi siamo svegli, lucidi, pragmatici, l’umanità ha sbagliato tutto, e come sempre siamo solo noi ad averlo capito.

Domenico