Super Relax

La bicicletta. Per lavoro. Per svago. Per sport. Per celia.


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

Il collezionismo, in ogni ambito, è bello, per chi se lo può permettere e ha spazio. Se state leggendo questo articolo, difficilmente sarete collezionisti senza limiti di soldi e spazio.

Per il ciclista che ama girare per sport, allenamento o per il solo gusto di farlo, senza arrivare agli estremi delle categorie e dei terreni: la bicicletta da corsa non serve ed è possibile coprire qualsiasi percorso (ripeto, non estremo), con una gravel/endurance e una mountain bike front, monocorona col rapporto più leggero possibile.

La bici da corsa, ovviamente, è il mezzo migliore per percorrere grandi distanze, su asfalto, alla massima velocità possibile: considerate le sue caratteristiche estreme (geometria, rapportatura), sarà sfruttata al massimo da ciclisti allenati e flessibili.
Le stesse distanze, tuttavia, si possono percorrere tranquillamente con una gravel/endurance, in maniera più comoda, seppur sacrificando parte della velocità. Geometrie più rilassate che non impongono posture estreme, rapporti più leggeri per gambe meno potenti e cuori meno efficienti. Con la gravel, poi, sarà ancora più piacevole affrontare strade bianche, sterrati o, semplicemente, le strade scarsamente manutenute che si trovano in Italia, specialmente in determinate zone. La possibilità di montare gomme anche abbastanza ampie, poi, permette di togliersi qualche sfizio anche dove solitamente osano le mountain bike.
Ancora, sono mezzi decisamente adatti al cicloturismo, avendone la possibilità.

Certe possibilità, quindi, sono comuni ai due mondi, ma le mountain bike arrivano dove le gravel devono fermarsi, grazie alle ruote larghe, l'ammortizzazione e la possibilità di rapporti molto leggeri, per le salite più ardue e/o le gambe meno allenate.
Ho parlato di front perché sono le più adatte alla salita, non hanno la sospensione posteriore e meno c'è, meno si rompe, possono anche affrontare decentemente qualche discesa poco tecnica, senza megasalti, radici enormi e sassi aguzzi. A saperle guidare.
Volendo, potete sostituire la front con una full, meglio se con la sospensiore posteriore bloccabile. Proprio se pensate di dover affrontare qualche discesa in più.
Il monocorona è ancora per semplificare, i rapporti molto agili per potersi permettere diversi gradi di pendenza in più senza morire per lo sforzo e senza scendere a spingere (cosa degnissima, comunque).


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

I professionisti della bici usano tutti i tubeless, tanto della manutenzione se ne occupano i meccanici. Se state leggendo, sicuramente saprete come è strutturato il sistema tubeless, ma riassumo ugualmente in grandi linee.

Lo pneumatico, che sia tubeless o tubeless ready, è montato su un cerchio specifico, anch'esso per tubeless e/o tubeless ready. Non specifico le differenze tra i due tipi, non avendone le competenze: tuttavia, se siete degli amatori non troppo estremi, è probabile che disponiate di una bicicletta tubeless ready, ovvero col cerchio forato per i raggi, da ricoprire con del nastro apposito nel caso vogliate disfarvi della camera d'aria.
Quindi, sul cerchio specifico e nastrato, viene montato questo pneumatico, con la sua valvola specifica, con dentro del lattice che si occupa di sigillare le porosità della gomma e riparare automaticamente le forature più leggere.
Per maggiore sicurezza, si possono usare anche gli air-liner, comunemente “salsicciotti”, ovvero dei tubi di materiale leggero e poroso che permettono pedalare per una certa distanza (20-25 km) anche con gomme bucate totalmente sgonfie.
Ancora, in caso di forature troppo invadenti, è possibile inserire la classica camera d'aria all'interno dello pneumatico e proseguire.

Il beneficio principale di questo sistema è la possibilità di usare pressioni più basse, aumentando trazione e comodità. Nulla vieterebbe di abbassare la pressione anche montando le camere d'aria, a parte il fatto che si finirebbe col bucarle facilmente su rocce, gradini e asperità varie: data la maggior morbidezza del tutto, le gomme hanno vita facile nel pizzicare le camere d'aria sul cerchio, danneggiandole facilmente.

Contro: i tubeless tendono a sgonfiarsi fisiologicamente in una certa misura e la manutenzione richiesta è sicuramente maggiore e sporca. Il lattice deve essere cambiato periodicamente, così come il nastro, e la bici deve essere usata almeno una volta a settimana, affinché il liquido non si accumuli nel punto più basso, solidificando e vanificando, quindi, la sua azione riparatrice. La manutenzione è più sporca perché il lattice è appiccicoso e... sporca, appunto.
Problema relativo, quando della manutenzione se ne occupa il vostro meccanico; un po' meno, quando volete farlo voi.

Personalmente, ho da poco fatto montare i tubeless con gli air-liner e sono alquanto indeciso sul tenere o meno questa configurazione per sempre. Il mio negozio di bici è a un chilometro circa di distanza, quindi i problemi sono più psicologici che reali.
Tuttavia, credo che la strada più serena per chi non abbia meccanici nelle immediate vicinanze e faccia poche uscite mensili, sia quella della ruota classica, con una bella scorta di camere d'aria e gli attrezzi e la capacità di effettuare la sostituzione.


Perché mi fa star bene, psicologicamente di sicuro e il movimento è necessario.

Perché posso esplorare, allontanarmi, più di quanto non possa fare a piedi. Più lontano a parità di tempo, in meno tempo a parità di distanza.

Perché coinvolge tutti i sensi. La vista, perché non sono chiuso in un carro armato con le finestre, vedo tutto, anche il cielo, l'unico limite è l'orizzonte. L'udito, perché posso ascoltare i suoni della natura, senza barriere e filtri. Il tatto, perché stringendo il manubrio partecipo alle vicissitudini del terreno. L'olfatto: giro per campagne, colline e montagne, fatelo anche voi e non avrà bisogno di spiegare nulla. E il gusto? Questo mi manca, al momento, perché non posso fare uscite lunghe come vorrei, non ho bisogno di fermarmi in un bar, in una pasticceria. O in una taverna, un ristorantino, come fanno i cicloturisti, beati loro.

Perché sono libero di andare dove voglio e dove posso, coi tempi che posso e voglio.
Perché non inquino, non appesto l'aria che respiro e non l'appesto per gli altri, incolpevoli; sono io a produrre l'energia.

Perché l'unico limite vero è il mio corpo, ed è bello anche scoprire fin dove arriva questo limite e provare a spostarlo un po' più in là, un passettino alla volta.
Perché poi imparo a conoscere i miei limiti del momento e a rispettarli, capisco quando rallentare, so quando fermarmi.

Perché quando vado in bici, da solo, non devo dar retta a nessuno. Non devo dar retta ai valori del ciclocomputer, non ho record da stabilire, non ho velocità medie e massime da raggiungere, non ho distanze stabilite da percorrere.

Perché, fin quando è possibile (e faccio in modo che sia la regola più che l'eccezione), evito di rinchiudermi in quel carro armato con le finestre che ricopre le nostre città, si nutre di denaro e guerre e poi sputa calore, veleno e morte.

Perché no?