Super Relax

La bicicletta. Per lavoro. Per svago. Per sport. Per celia.


Nella zona in cui sono nato, per il commerciante di biciclette/meccanico si usa, a sproposito, il termine ciclista: il malinteso scatta sicuro, all'esterno della mia bolla che fu. Il ciclista è quello che pedala, meglio se a livello professionale o amatoriale avanzato: sono alcuni anni che vado in bici, pochissimi purtroppo, e fatico a definirmi tale, mi sembra una definizione al di sopra del mio essere.

Torno, quindi, al generico negozio di biciclette e alla figura che lo gestisce, spesso sia venditore che meccanico. Dovrebbe essercene almeno uno in ogni centro abitato di una certa grandezza, ma non è detto; vivo in una zona che offre molte possibilità ai ciclisti (per nulla sfruttate dall'amministrazione), quindi di negozi ce ne sono ben sei, che divido a metà tra popolari e di lusso.

Non intendo fare alcuna discriminazione, è un dato di fatto: ci sono negozi da centinaia di metri quadri, lindi e pinti, con sfilze di Pinarello in vetrina, e officine piccole e buie, con gli odori imperanti di grasso e ferro. Avevo un amico alle superiori che collaborava nel negozietto di famiglia, della seconda categoria. Non l'ho più visto e anche il negozio è chiuso, chissà da quanto tempo. Sono attività solitamente gestite da gente pratica, più sostanza che forma, persone che ti riparano una bicicletta scassata a martellate, sapienti ma pur sempre martellate. E la bici torna ad andare.

Poi c'è l'altra categoria, quella dei negozi di lusso e, avendo vissuto l'epoca dei negozi di videogiochi, non fatico a trovare diverse similitudini: sono dei negozi felici, come le pasticcerie, i negozi di bomboniere eccetera. Posti dove si va per occasioni belle, potendo spendere per beni slegati dalla pura sopravvivenza, roba di cui potenzialmente potremmo fare a meno. Dico potenzialmente perché non sempre è vero e non si può vivere sempre e spòp dell'indispensabile.

Un buon venditore di videogiochi/ciclist... pardon, venditore di bici/meccanico sa che deve instaurare un certo rapporto coi clienti, quasi di amicizia. Devono sentirsi a proprio agio, poter discutere degli acquisti fatti e di quelli non fatti, delle ultime novità, del settore, delle tendenze. Anche se ne capiscono poco o nulla. Anche quando non hanno nulla da comprare e vanno lì solo per perder tempo. Il commerciante intelligente non li scaccia: discute amabilmente, sa che torneranno, per spendere.

Ho sempre voluto una bici, ma questa è storia per un altro articolo, quindi riassumo: dopo un trasloco in un'altra regione, ne ho comprata una economica, ho iniziato a fare il rider (purtroppo) e, dopo aver stretto la cinghia TANTO, per qualche anno, ho finalmente preso una bicicletta costosa per i miei standard. Costa comunque meno del più economico cambio elettronico, o di una coppia importante di ruote in carbonio. Una bicicletta del genere va oltre gli intenti dei negozi più popolari, così sono entrato per la prima volta in un negozio di lusso.

Ci son tornato, poi, nel corso dei mesi per alcuni upgrade, per la manutenzione e sì, anche io perché in quel momento non avevo nulla di meglio da fare. Sono entrato in contatto con la fauna locale: anche persone alle prese con una semplice camera d'aria da sostituire sulla bici usata per andare a lavoro, ma il grosso è costituito dagli amatori evoluti e disposti a spendere.
Attenzione: dico disposti a spendere perché non è detto che siano necessariamente dei ricconi dal budget illimitato, per quanto una buona fetta sia costituita da quelli che devono aver per forza l'ultimo modello disponibile. C'è anche gente che non ha vizi particolari o altre spese, gira in una Fiat Uno Fire con l'impianto a gas, ma dirotta tutto sulla bicicletta.
L'amatore evoluto, comunque, si identifica immediatamente perché viene in negozio vestito come per la Milano-Sanremo, anche solo per chiedere qualcosa o comprare un portaborraccia. Esce da casa coi calzettoni aerodinamici e la fascia cardio.

Poi c'è l'insospettabile. È una persona che non identificheresti mai come ciclista, viene in negozio coi vestiti da lavoro, probabilmente dopo aver smontato un lavandino o tinteggiato una parete. È bello che ci sia questa categoria. A prima vista, pensi siano venuti per chiedere di cambiare le pastiglie dei freni rim o una catena arrugginita, poi iniziano a parlare e sanno tutto dell'ambiente.
Discussioni su cuscinetti in ceramica e ruote a profilo alto si intrecciano con l'esito dell'ultima grande tappa di montagna del Tour, il podio della Parigi-Roubaix, le ultime regole introdotte dall'UCI. Parlano dell'andamento della stagione agonistica, tutte le specialità, e dei campioni stranieri, con pronunce ruspanti: Pogascià, Everpul, gli eroi del momento.
C'è il signore anziano, capelli bianchi e pancia importante, che aspetta che montino sulla sua mountain bike un nuovo pacco pignoni, proprio quella lì sul banco da lavoro, quella tanto bella e tanto prevedibilmente costosa da far girare la testa. Nel frattempo parla, e scopri che quel signore con la pancia importante ha pure una stradale in carbonio. Gli insospettabili sono i più affascinanti e pericolosi, non indossano uniformi, sono ossi duri. Chiunque potrebbe essere un insospettabile.

Seguono quelli che, legittimamente, chiedono interventi di routine per le bici operaie, non sapendo o fregandosene delle decine di migliaia di euro che li circondano. Il meccanico onesto non si tira indietro, sa che quella bicicletta appartiene a una persona che non può permettersi un SUV per andare a lavoro. Magari, potrebbe permettersi una macchinina, ma a che pro, pensa? Il crollo della dittatura dell'automobile dovrà pur iniziare da una crepa.

Per chiudere, e sicuramente avrò dimenticato qualcuno, ci sono io. Ci vado per una manutenzione, per comprare un accessorio, perché in quel momento non ho niente da fare e mi piace l'ambiente amichevole. Mi sento come in una specie di paese dei balocchi, con quei bolidi lucenti che mi affascinano, ma non ne sento alcun bisogno, in realtà: la mia bicicletta ideale ce l'ho già, è la mia bicicletta.


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

Il collezionismo, in ogni ambito, è bello, per chi se lo può permettere e ha spazio. Se state leggendo questo articolo, difficilmente sarete collezionisti senza limiti di soldi e spazio.

Per il ciclista che ama girare per sport, allenamento o per il solo gusto di farlo, senza arrivare agli estremi delle categorie e dei terreni: la bicicletta da corsa non serve ed è possibile coprire qualsiasi percorso (ripeto, non estremo), con una gravel/endurance e una mountain bike front, monocorona col rapporto più leggero possibile.

La bici da corsa, ovviamente, è il mezzo migliore per percorrere grandi distanze, su asfalto, alla massima velocità possibile: considerate le sue caratteristiche estreme (geometria, rapportatura), sarà sfruttata al massimo da ciclisti allenati e flessibili.
Le stesse distanze, tuttavia, si possono percorrere tranquillamente con una gravel/endurance, in maniera più comoda, seppur sacrificando parte della velocità. Geometrie più rilassate che non impongono posture estreme, rapporti più leggeri per gambe meno potenti e cuori meno efficienti. Con la gravel, poi, sarà ancora più piacevole affrontare strade bianche, sterrati o, semplicemente, le strade scarsamente manutenute che si trovano in Italia, specialmente in determinate zone. La possibilità di montare gomme anche abbastanza ampie, poi, permette di togliersi qualche sfizio anche dove solitamente osano le mountain bike.
Ancora, sono mezzi decisamente adatti al cicloturismo, avendone la possibilità.

Certe possibilità, quindi, sono comuni ai due mondi, ma le mountain bike arrivano dove le gravel devono fermarsi, grazie alle ruote larghe, l'ammortizzazione e la possibilità di rapporti molto leggeri, per le salite più ardue e/o le gambe meno allenate.
Ho parlato di front perché sono le più adatte alla salita, non hanno la sospensione posteriore e meno c'è, meno si rompe, possono anche affrontare decentemente qualche discesa poco tecnica, senza megasalti, radici enormi e sassi aguzzi. A saperle guidare.
Volendo, potete sostituire la front con una full, meglio se con la sospensiore posteriore bloccabile. Proprio se pensate di dover affrontare qualche discesa in più.
Il monocorona è ancora per semplificare, i rapporti molto agili per potersi permettere diversi gradi di pendenza in più senza morire per lo sforzo e senza scendere a spingere (cosa degnissima, comunque).


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

I professionisti della bici usano tutti i tubeless, tanto della manutenzione se ne occupano i meccanici. Se state leggendo, sicuramente saprete come è strutturato il sistema tubeless, ma riassumo ugualmente in grandi linee.

Lo pneumatico, che sia tubeless o tubeless ready, è montato su un cerchio specifico, anch'esso per tubeless e/o tubeless ready. Non specifico le differenze tra i due tipi, non avendone le competenze: tuttavia, se siete degli amatori non troppo estremi, è probabile che disponiate di una bicicletta tubeless ready, ovvero col cerchio forato per i raggi, da ricoprire con del nastro apposito nel caso vogliate disfarvi della camera d'aria.
Quindi, sul cerchio specifico e nastrato, viene montato questo pneumatico, con la sua valvola specifica, con dentro del lattice che si occupa di sigillare le porosità della gomma e riparare automaticamente le forature più leggere.
Per maggiore sicurezza, si possono usare anche gli air-liner, comunemente “salsicciotti”, ovvero dei tubi di materiale leggero e poroso che permettono pedalare per una certa distanza (20-25 km) anche con gomme bucate totalmente sgonfie.
Ancora, in caso di forature troppo invadenti, è possibile inserire la classica camera d'aria all'interno dello pneumatico e proseguire.

Il beneficio principale di questo sistema è la possibilità di usare pressioni più basse, aumentando trazione e comodità. Nulla vieterebbe di abbassare la pressione anche montando le camere d'aria, a parte il fatto che si finirebbe col bucarle facilmente su rocce, gradini e asperità varie: data la maggior morbidezza del tutto, le gomme hanno vita facile nel pizzicare le camere d'aria sul cerchio, danneggiandole facilmente.

Contro: i tubeless tendono a sgonfiarsi fisiologicamente in una certa misura e la manutenzione richiesta è sicuramente maggiore e sporca. Il lattice deve essere cambiato periodicamente, così come il nastro, e la bici deve essere usata almeno una volta a settimana, affinché il liquido non si accumuli nel punto più basso, solidificando e vanificando, quindi, la sua azione riparatrice. La manutenzione è più sporca perché il lattice è appiccicoso e... sporca, appunto.
Problema relativo, quando della manutenzione se ne occupa il vostro meccanico; un po' meno, quando volete farlo voi.

Personalmente, ho da poco fatto montare i tubeless con gli air-liner e sono alquanto indeciso sul tenere o meno questa configurazione per sempre. Il mio negozio di bici è a un chilometro circa di distanza, quindi i problemi sono più psicologici che reali.
Tuttavia, credo che la strada più serena per chi non abbia meccanici nelle immediate vicinanze e faccia poche uscite mensili, sia quella della ruota classica, con una bella scorta di camere d'aria e gli attrezzi e la capacità di effettuare la sostituzione.


Perché mi fa star bene, psicologicamente di sicuro e il movimento è necessario.

Perché posso esplorare, allontanarmi, più di quanto non possa fare a piedi. Più lontano a parità di tempo, in meno tempo a parità di distanza.

Perché coinvolge tutti i sensi. La vista, perché non sono chiuso in un carro armato con le finestre, vedo tutto, anche il cielo, l'unico limite è l'orizzonte. L'udito, perché posso ascoltare i suoni della natura, senza barriere e filtri. Il tatto, perché stringendo il manubrio partecipo alle vicissitudini del terreno. L'olfatto: giro per campagne, colline e montagne, fatelo anche voi e non avrà bisogno di spiegare nulla. E il gusto? Questo mi manca, al momento, perché non posso fare uscite lunghe come vorrei, non ho bisogno di fermarmi in un bar, in una pasticceria. O in una taverna, un ristorantino, come fanno i cicloturisti, beati loro.

Perché sono libero di andare dove voglio e dove posso, coi tempi che posso e voglio.
Perché non inquino, non appesto l'aria che respiro e non l'appesto per gli altri, incolpevoli; sono io a produrre l'energia.

Perché l'unico limite vero è il mio corpo, ed è bello anche scoprire fin dove arriva questo limite e provare a spostarlo un po' più in là, un passettino alla volta.
Perché poi imparo a conoscere i miei limiti del momento e a rispettarli, capisco quando rallentare, so quando fermarmi.

Perché quando vado in bici, da solo, non devo dar retta a nessuno. Non devo dar retta ai valori del ciclocomputer, non ho record da stabilire, non ho velocità medie e massime da raggiungere, non ho distanze stabilite da percorrere.

Perché, fin quando è possibile (e faccio in modo che sia la regola più che l'eccezione), evito di rinchiudermi in quel carro armato con le finestre che ricopre le nostre città, si nutre di denaro e guerre e poi sputa calore, veleno e morte.

Perché no?