pop e memorie

Scritti di una persona pop, del popolino, una persona che non ce la può fare. Memorie agrodolci. Memorie pop, pop memorie.


Scrivo nell'ultimo giorno di ottobre, ieri al sole pareva il 1° maggio, fuori la bougainvillea esplode di un rosso che sfuma nel violetto, direi che non va proprio bene.

Quando ero bambino, questi quattro giorni erano una piccola vacanza dopo poche settimane di scuola, erano ancora festivi 2 e 4 novembre. Non si festeggiava ancora Halloween: non sono contro alle festività percepite come importate, non vedo perché sia accettabile e consigliato riempire l'italiano scritto e parlato di itanglese e poi scagliarsi contro queste festività che ci sostituiscono etnicamente, in spregio totale ai patrioti e alle radici cristiane. All'epoca, il 1° novembre “erano i morti”: proprio così si diceva dalle mie parti, sono i morti.

Mio padre lavorava al Comune e, in quel periodo, si occupava di servizi cimiteriali accessori, quindi lavorava e a casa c'eravamo io con la mia piccola dose di ferie e mia mamma, ero ancora figlio unico. Mi agghindava coi vestiti buoni, i nostri vestiti buoni erano quelli non usati presi al mercato, ma roba di qualche stock di abbigliamento, ultrascontata. Le polacchine ai piedi. Scendevamo, con la carrozzina al seguito, casomai dovessi stancarmi, in genere ce la portavamo dietro inutilmente. Erano un paio di chilometri, ma da bambino mi sembrava chissà quale viaggio, da bambini tutto sembra troppo grande. Quante volte iniziavo a lagnarmi per la sete, mia mamma bussava con le nocche a una qualche finestra al piano terra, quella si apriva e una signora ci allungava un bicchiere d'acqua.

Quel percorso infinito mi sembrava una specie di festa sparpagliata, nonostante sapessi il motivo per il quale si va al cimitero. Man mano che ci si avvicinava, aumentavano le bancarelle coi giocattoli (scuole chiuse, tanti bambini) e i dolciumi, ovviamente dominava il torrone, storicamente il dolce dei morti in quella zona. Ne compravamo un pochino, assieme ai melograni, sicuramente l'elemento più caratteristico di quelle giornate. Non che ci piacessero particolarmente, pure fastidiosi da preparare, ma era la tradizione.

Sempre per una sorta di tradizione, quel giorno il cielo era di un bellissimo azzurro. Pulito, striato di poche nuvole candide. C'era un freddo pungente, da maglioncino, sostenuto da un vento più che frizzante, vere e proprie fitte di gelo, brevi e intense.

Era sempre così, non ci si poteva sbagliare: il 1° novembre era un limpidissimo giorno di freddo, anticipo d'inverno. Sono anni che non è più così, stavolta con le maniche corte è caduto l'ultimo tabù. Per troppa gente ancora va bene così, non c'è da preoccuparsi. E invece non va bene per nulla.


Quell'italiano non sono io, non mi sento italiano come non mi sento finlandese, polacco, cileno, maltese e così via, ma di questo parlerò un'altra volta.

L'italiano medio di cui parlo, italiano brava gente, non ha pronunciato quella frase, sentita parecchio in questi giorni di famosa rassegna cinematografica (scrivo nei primi giorni di settembre 2023), ma il fasciometro riporta approssimativamente gli stessi valori. Frase legata a un film che, diversamente, sarebbe passato del tutto in sordina, interpretato da uno dei 5 o 6 (cinque o sei) attori che interpretano tutti i film italiani da diversi anni a questa parte e si lamentano pure; di questo non parlerò, perché non meritano neanche questa attenzione.

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Antichi scrittori statunitensi, per identificarli con un aggettivo a loro caro e, da loro stessi, usato allo stremo.

Parlo di H.P. Lovecraft e Robert E. Howard, in particolare: conosciamo tutti il primo, il secondo pure. Indirettamente, per opera della sua creatura più famosa: Conan il barbaro, protagonista del suo ciclo più fortunato e, azzardo, avendo letto ampia parte della sua produzione, anche il migliore. Tutti lo conoscono, anche per i muscolacci di Schwarzenegger. Non sappiamo chi ne abbia scritto i libri, o non ne ricordiamo immediatamente il nome, ma due braccia possenti, costantemente impegnate a mulinare uno spadone, le ricordiamo tutti.

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Sì, ci ho messo del tempo a recuperare la serie. 30 e più anni fa l’avevo mancata clamorosamente. Mi sentivo ancora troppo duro, per badare a questi due che si sposeranno, perché è chiaro sin dalla prima puntata, forse dalla sigla. La prima sigla è bellissima, a differenza di tutte quelle di apertura di Lamù: non penso ce ne sia una che mi piaccia davvero. Non me ne vogliano i puristi (o me ne vogliano, non cambia), ma la sigla italiana è perfetta

Maison Ikkoku è un seinen, intanto: potrà sfuggire a qualcuno, era sfuggito a me di sicuro, fin quando non ho iniziato a vederlo. Ha la struttura superficiale di un’ottima commedia leggera, di una comicità difficilmente sopra le righe, con momenti di tristezza e emozioni che preferiremmo non provare. Scavando giusto un pochettino, si rivela una serie assolutamente ancorata agli anni della sua pubblicazione in Giappone, negli anni intermedi tra la fine del boom economico e l’inizio della crisi dei ‘90.

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Ho un’edizione del 2000 di “Stagioni diverse”, antologia di quattro racconti di uno dei miei scrittori contemporanei preferiti, autore di libri che fanno parte di me. Il ciclo delle Torre Nera in particolare, per motivi che non spiego. Parlo di Stephen King, ovviamente. Le stagioni, è il caso di dirlo, sono andate e tornate un buon numero di volte, ora che sto rileggendo questo titolo, un epub caricato su un tablet. con la versione in carta e ossa che ancora svetta in soggiorno.

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Se non siete troppo giovani o troppo vecchi, se avete l’età giusta, conoscete Ken il guerriero. Se avete l’età giustissima, lo venerate: l’abbiamo conosciuto prima col cartone animato leggendario, poi in molti hanno voluto leggere il parimenti leggendario manga, per fare i confronti e perché sì; perché nel fumetto tizio aveva un nome diverso, mancava un pezzo del cartone o c’era qualcosa in più. E perché ci sentivamo in dovere di comprarlo, visto lo you wa shock provocato da quelle immagini di violenza, devastazione, abbrutimento, speranza in un futuro impossibilmente luminoso, amicizia maschile.

Uno shock speculare a quello prodotto dal cartone dei cartoni: Conan, il ragazzo del futuro. Se non siete d’accordo sul suo status di re dei re, siete liberi di sbagliare. Non è la sede per parlarne, quindi ve lo lascio come tema da svolgere a casa: “Perché Ken il guerriero è l’esatto contrario di Conan, il ragazzo del futuro.”

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Preziosa serie di libri scritta (e non tradotta, ma in un inglese tutt’altro che ostico) da John Szczepaniak, giornalista che ha all’attivo collaborazioni con numerose testate videoludiche, tra cui Hardcore Gaming 101, Gamasutra, The Escapit, Tom’s Hardware Guide ecc., presenta numerose interviste (36 nel primo volume, 30 nel secondo e 35 nell’ultimo) a personaggi chiave della allora nascente industria videoludica giapponese.

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Reinterpretazione fantasiosa della storia dietro l’anime di Cyberpunk 2077.

I tizi della CD Project si sono rivolti allo stimato Studio Trigger, o quel che ne resta, presentando le loro richieste e spiegando i loro obiettivi.

Lo Studio Trigger deve aver risposto qualcosa del tipo: “abbiamo fatto qualcosa di simile, diversi anni fa, che ne dite di dare un’occhiata?”. Sbattono sul tavolo 26 puntate, da una dozzina di minuti al netto delle sigle, di “Ninja Slayer From Animation¨. Il tavolo va in frantumi, non riuscendo a reggere il peso e l’impatto di una libertà creativa così sfrenata.

I piani alti della CD Project raccolgono i file e li ammirano: ne sono impressionati, l’atmosfera elettrica, l’euforia palpabile.

“Perfetto, dobbiamo solo fare delle modifiche infinitesimali. Inezie. Il budget sarà molto più alto, ma dobbiamo togliere tutto il divertimento, l’originalità, l’ironia, la parodia. Dobbiamo rifare Ninja Slayer, stavolta senza anima.”

Deve essere andata così.


Avrei potuto usare altri termini, ma così fa più scena.
Per tornare, prima bisogna andarsene, e Lamù (con tutta l'adorabile banda di cialtroni al seguito), di sicuro per me non se n'è mai andata.
Facciamo, quindi, che sia tornata. La nuova serie, con una prima stagione di 23 episodi, è finita nei primi mesi del 2023.

Essendo stato folgorato dalla prima serie, all'epoca d'oro dei cartoni su TeleCapri e altre reti locali minori, voglio dire telegraficamente la mia. Giusto per mettere le cose in chiaro, Lamù originale è la massima espressione della commedia nell'animazione giapponese, così come Maison Ikkoku lo è per la commedia romantica. Dico Lamù perché sono vecchio, infatti dico anche Guerre stellari e Uomo ragno.

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Confronto semiserio: zappare dà più soddisfazione. Parola di un ex grafico, scarso ma comunque grafico, ora novello zappatore.

Ho la possibilità di curare un orticello: quest'anno, di sicuro non ne otterrò nulla, l'obiettivo: portare il terreno a uno stato migliore di quello iniziale, alquanto pessimo. Inoltre, della coltivazione non so nulla.

Della grafica, invece, so poco più di nulla; facevo il lavoro sporco e molto velocemente, quindi un minimo di senso nel mondo del lavoro l'avevo anche io. Ora sono disoccupato, fuori mercato per l'età, non mi spetta alcun sussidio, non ho competenze particolari. Il mondo della grafica, poi l'ho schifato, grazie alla grande “imprenditoria” del Sud e ai clienti, brutta gente. Per quanto mi interessa, che il mondo sprofondi in un abisso di Comic Sans e Papyrus.

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