Il Respiro del Selvaggio – Una recensione di Zelda BOTW di un non appassionato di Zelda
Parte 1 – Disclaimer
Scrivere di videogiochi è difficile, specialmente se non sei uno scrittore professionista. È difficile farlo anche quando sei uno scrittore professionista, perché in quel caso non puoi scrivere ciò che vorresti. Scrivere di videogiochi universalmente acclamati è doppiamente più difficile.
Pertanto, prima di iniziare a scrivere, devo mettere un paio di avvertimenti:
1) Nel momento in cui sto scrivendo, non ho ancora finito Breath of the Wild
2) Sto giocando Breath of the Wild su Steam Deck, non su Switch
3) Sto giocando Breath of the Wild nel 2023
4) Qualsiasi opinione espressa è mia personale, e non è da considerarsi come un giudizio sul gioco. Piuttosto, su come io ho percepito il gioco
5) Ci saranno alcuni spoiler
Parte 2 – Background
Chi scrive è un giocatore PC. Non mi ritengo membro della “PC Master Race” ma riconosco molti meriti del PC che non trovo su altre piattaforme.
I videogiochi sono parte della mia vita da quando ho memoria. Il mio primo ricordo è guardare mio fratello che gioca col Commodore 64 (che ancora custodisco come una delle cose più care).
La mia prima console, però, è stata una Playstation 2 (orrenda colorazione argentata, ma era in sconto), perché da piccolo/adolescente ho sempre appunto giocato soltanto su PC. I miei genitori non mi avrebbero mai comprato una console, e nel paesino dove sono nato e cresciuto non c'erano le sale giochi (gli unici cabinati erano in un bar dove non avevo il permesso di andare).
Non ho quindi mai vissuto, se non da adulto, il gioco su console, e tanto meno i titoli Nintendo. Li conoscevo, ovviamente, ma non avevo mai giocato da piccolo a Super Mario, a Sonic, a Final Fantasy, a Street Fighter. E nemmeno a Zelda.
Per me, i videogiochi erano le avventure Lucas Arts, erano Wolfenstein e soprattutto Doom, Duke Nukem, Half Life, giusto per dirne un paio.
La saga di Zelda non mi ha mai attirato, vuoi un po' per la grafica pucciosa (penso più che altro a Link to the Past), vuoi perché cercavo di paragonarla a un action RPG e non vedevo le meccaniche che mi piacevano (farsi una build, accumulare punti esperienza, cose che amavo nella trasposizione videoludica dei giochi di ruolo pen&paper, altra cosa che mi accompagna fin da tenera età), vuoi perché comunque non c'era niente del genere su PC e allora automaticamente entrava in gioco la dinamica della volpe e dell'uva.
Da grande, ho recuperato molto. Non saprei (né ritengo necessario) quantificare la mia “cultura videoludica”, anche perché più che altro a me piace giocare, più che dire che conosco questo o quest'altro titolo.
Da appassionato di videogiochi, ritengo che non debba esistere una distinzione tra retrogame e videogioco moderno, e credo che questo provenga dal fatto che ho sempre giocato su PC: spesso, cercando di definire la parola “retrogame” si parla di “generazioni di console”: se un gioco è uscito per una console di due generazioni fa, è retrogame, sennò no. Però, nel mondo PC, questa definizione non ha senso, perché non è mai esistito un PC2.
Per questo motivo, non ho avuto problemi ad approcciarmi alla saga di Zelda senza considerare i vari titoli come parte del passato, ma bensì cercando di contestualizzarli nell'epoca in cui uscirono per capirne le caratteristiche e l'impatto che avessero avuto, ma soprattutto per capire quanto e se fossero ancora divertenti oggi.
Nel tempo, ho stabilito una preferenza verso i titoli 2D della saga di Zelda. Il mio preferito è Oracle of Ages/Seasons (ma più Ages), seguito a ruota da A Link Between Worlds e Link's Awakening.
Ho giocato anche i 3D, stancandomi molto presto.
Trovo che il focus principale di Zelda, ciò che differenzia gli Zelda da qualsiasi altro gioco, sia l'armonia con cui l'azione si alterna col puzzle solving, e ho sempre trovato i puzzle delle versioni 3D meno affascinanti dei capitoli con vista dall'alto. Anche il combattimento, non certo il focus principale di questi giochi, l'ho sempre trovato più affascinante, più puro nella sua semplicità, nei titoli 2D.
Mi sono approcciato a Breath of the Wild in varie occasioni, più che altro per “vedere come gira” nei vari emulatori. Adesso che ho uno Steam Deck, ho pensato di provarlo anche “in portabilità”, e complice il fatto che per lo meno su Steam Deck ho tempo e modo di giocare (maledetto lavoro, maledetti impegni, vojo tornà bambino) stavolta lo sto continuando.
Parte 3 – Problemi e (parziali) soluzioni
La prima volta che provai a giocare BOTW venni immediatamente colpito da tre cose, che mi fecero passare sostanzialmente subito la voglia di andare avanti:
1) le armi si spezzano dopo pochi colpi
2) la grafica è “strana”, i colori sono quasi desaturati, è tutto troppo luminoso al punto da risultarmi sgradevole
3) la storia inizia con una delle tecniche narrative che più mi stanno antipatiche (ma ne parlo meglio dopo)
Fortunatamente, per i punti 1 e 2 mi è venuto in aiuto CEMU, l'emulatore che sto usando.
Ho abilitato un cheat che rende ogni arma indistruttibile. Si, lo so, così facendo mi sto negando una delle meccaniche distintive di BOTW, però è la mia partita, e fortunatamente l'emulazione mi permette di giocarci come voglio. So che volendo posso disabilitare questo cheat quando mi pare per avere un'esperienza più autentica, ma scelgo di non farlo, perché secondo me si tratta di una pessima idea di game design (mi piace invece come la fragilità delle armi sia, in Tears of the Kingdom, un elemento ben armonizzato con le altre meccaniche del gioco in modo sinceramente geniale).
Relativamente alla grafica, CEMU permette di modificare l'aspetto dei giochi con una funzione che si chiama Clarity. Ho abilitato il preset “Hexae's clear preset” che scurisce i toni e mi risulta molto gradevole (tranne in certe zone dove tutto diventa letteralmente nero, e lo devo disabilitare, fortunatamente sono due click).
Rimane il punto 3. Personalmente, io detesto i giochi che senza spiegarti nulla ti lanciano nel mondo ad esplorare. Lo so, lo so, in tanti la pensano diversamente, ma vi rimando al quarto disclaimer scritto all'inizio. L'ho odiato in Dark Souls, l'ho odiato in Hollow Knight, l'ho odiato in Zelda BOTW. Per lo meno, in BOTW neanche il protagonista sa chi sia e cosa ci faccia in un sarcofago e come mai un vecchio appassionato di parapendio si prenda a cuore la sua condizione, quindi ho fatto un sospirone, ho resistito, mi sono fatto i primi sacrari e ho ingoiato il rospo quando mi sono sentito dire “devi salvare il mondo, e mo' so' cazzi tua, stacce, vai in giro e salva il mondo”.
La storia è, in ogni Zelda, ciò che mi piace meno. In BOTW, all'inizio, mi è piaciuta ancora meno del solito, e uno dei motivi per cui ho sempre fino a ora mollato BOTW è proprio che non sono riuscito a ingoiare questo rospo. Stavolta mi sono davvero dovuto forzare. E in parte, sono stato premiato.
Parte 4 – Un gioco omeopatico
Ben presto, ho percepito la vastità del mondo di BOTW. Hyrule è grandissima, e la direzione artistica insiste, giustamente, tantissimo sul farti apprezzare quanto grande e maestosa sia la mappa. Pochi giochi mi hanno fatto sentire così piccolo, così sperduto. Forse solo Elden Ring ci è riuscito. Tralaltro, Elden Ring e BOTW iniziano nello stesso identico preciso modo, manca il vecchio col parapendio, ma poi sono quasi le stesse inquadrature. Ma non divaghiamo.
Io ho un rapporto strano con gli open world, mi piacciono e mi piace esplorare, ma solo se l'esplorazione viene in qualche modo premiata. In BOTW, l'esplorazione viene ripagata nella maggior parte dei casi con un sacrario, o forse con una fonte di materiali per il crafting. Non sono il tipo che si ferma a osservare il panorama in un videogioco, apprezzo le belle inquadrature e le belle scene, ma non è questo che mi aspetto come premio di essermi fatto 10 minuti a piedi circondato dal niente. L'esplorazione in BOTW poi è anche, secondo me, svantaggiosa nel senso che combattere è svantaggioso, quasi sempre. Io lo sto giocando con le armi infrangibili, ma se non lo facessi penso che scapperei da quasi tutti i combattimenti, pena perdere l'uso delle mie armi preferite, per ottenere materiali che probabilmente non mi servono.
È rarissimo imbattersi in qualcosa che non sia un combattimento o una fonte di materiali. Non c'è “vita” nel mondo di BOTW, non come ad esempio in Red Dead Redemption 1 e 2 (altri giochi su cui avrei tanto da dire ma chiaramente non in questa sede). Pretendo troppo? Si, sicuramente. Ma perché fare un open world con un mondo gigante, quando per buona parte non c'è niente da fare se non camminare verso la prossima destinazione? BOTW ha tantissimi momenti interessanti e divertenti, ma non posso che ritenerli davvero tanto diluiti, al punto di farmi parlare di “omeopatia” videoludica. Non fa ridere? Ok, scusate.
Ripeto: magari sono io che non capisco. Ma a me, vagare senza meta, non diverte. Non aggiunge nulla, non aumenta il divertimento, aumenta solo il tempo che impiego a raggiungere la destinazione dove mi sto recando, se nel tragitto non incontro niente che carpisca il mio interesse. Certo, ci sono i sacrari. Ne parlo dopo.
Altra cosa: la ripetizione. Questo è un tratto distintivo non di Zelda, ma di Nintendo. Potrei fare migliaia di esempi, dico quelli che mi vengono in mente: potenziare le armature. Bisogna selezionare un pezzo alla volta, consegnarlo alla fatona, dirle che siamo sicuri, guardare l'animazione, ricevere il pezzo. Poi, tocca farlo col prossimo pezzo. Idem ricevere i cuori o le barre di stamina in cambio delle pallette che si ricevono in premio dai sacrari: la statua della dea ci chiede cosa vogliamo in cambio del pegno del nostro valore, scegliamo, guardiamo l'animazione, e così avanti per il prossimo premio. Idem aumentare l'inventario delle armi/scudi/armature.
È tutto tempo “sprecato” che alla lunga non fa che diluire la narrazione, spezza il ritmo. Ma a Nintendo sono fatti così, prendere o lasciare.
Parte 5 – Ricordare la storia
Dopo un incipit narrativo che, come ho spiegato sopra, mi ha soddisfatto pochissimo, ho accolto con felicità il momento in cui l'iPad di Link riconquista la funzione “Galleria Fotografica”, e mi è stato affidato l'obiettivo di andare a visitare i luoghi dove sono state scattate le fotografie che Link si è ritrovato nel suddetto iPad.
I vari flashback che queste immagini triggerano, insieme a quelli che avvengono ogni volta che si entra in contatto con gli spiriti dei campioni ormai vincolati alle bestie meccaniche e soggiogati dalla calamità, e soprattutto quello scatenato dal ritrovamento della Master Sword sono per me i momenti più alti di Breath of the Wild, caratterizzano benissimo i personaggi e aggiungono note di lore in un universo vastissimo ma forse mai fino a oggi definito con questa chiarezza e dovizia di dettagli.
Questa è la narrazione che avrei sempre voluto in uno Zelda, questa è la trama che cercavo invano in una saga che (nel bene e nel male) ho sempre percepito essere focalizzata più sul gameplay.
La storia di Breath of the Wild è bellissima, i personaggi sono ben delineati, e il premio della “fatica” investita nell'andare a ricercare i vari luoghi è proprio la comprensione a 360 del mondo e dell'epoca dove le nostre imprese sono ambientate.
Non è un caso, però, che tutto ciò sia totalmente e assolutamente opzionale. È possibile iniziare e finire Breath ignorando completamente la storia, lasciando le foto nell'iPad, e andare avanti come un rullo compressore. Nessuno ce lo vieta, perché il focus degli Zelda non è la storia. Però, caspita, almeno stavolta la storia se la vuoi c'e! Eccome se c'è!
Questo modo di raccontare gli avvenimenti pregressi non è affatto nuovo, e non fa gridare al miracolo, ma è importante perché stiamo parlando di Zelda. Ha la stessa importanza del salto in Elden Ring: si lo so che i salti nei videogiochi ci sono da 40 anni, ma il fatto di averli in un Souls è importante.
Il fatto di avere la possibilità di approfondire, in modo esplicito e “cinematografico” tutti gli eventi successi fino al (ennesimo) risveglio di Link, come questi eventi abbiano cambiato i personaggi, come soprattutto abbiano cambiato Zelda, cosa abbia portato alla sua disperazione e poi determinazione a combattere mi ha dato modo di apprezzare il mondo di Zelda sotto una luce nuova, una dimensione di cui da sempre ho sentito la mancanza in questa saga.
Parte 6 – Darsele di santa ragione
Al netto di quanto già detto circa la fragilità delle armi e degli scudi, c'è da dire che i combattimenti in Breath sono interessanti, nella misura in cui si vede un chiaro tentativo di renderli più entusiasmanti di quanto lo fossero stati prima.
In Zelda, combattere significava grosso modo premere ripetutamente un tasto. Al limite, significava smanacciare col wiimote o col joycon in Skyward Sword (di cui ho giocato la remastered per Switch e rimpiango molto le ore che avrei potuto investire diversamente). In Breath, sembra quasi di giocare a un Souls. Ci sono le parry, ci sono le schivate tattiche, ci sono diversi moveset.
Molto importante è anche l'arco, con le diverse frecce che fanno cose diverse, tutte situazionali, che possono interagire con l'ambiente.
Decente la gestione dello stealth, nel senso che molte situazioni si possono affrontare agendo di soppiatto e piantando una pugnalata tra le scapole del malcapitato di turno oppure facendo saltare in aria l'omnipresente barile esplosivo oppure facendo franare qualche roccia, o chissà cos'altro. Non è implementata benissimo e non approfonditamente, ma c'è, esiste, vive e lotta insieme a noi.
Le boss fight sono ben strutturate e affascinanti, perché i boss non sono soltanto mostri più grossi che reggono più colpi e fanno più danni. Ci sono nemici su cui dobbiamo arrampicarci, nemici che dobbiamo schivare in un certo modo, nemici che diventano vulnerabili solo in certe circostanze. Altro trademark degli Zelda, ma fa piacere vedere come ogni volta riescano a fare qualcosa di nuovo e di armonico col resto del gioco.
Semmai, è vero che non essendoci scaling dei danni e progressione del personaggio, la difficoltà rimane costante dall'inizio alla fine del gioco, il ché non è necessariamente un male. Il problema forse è passare da una parte della mappa con nemici one-shottabili a una parte dove i nemici reggono il quadruplo e one-shottano te, ma d'altronde, il mondo è grande, e comunque l'importante è...
Parte 7 – Arrivare preparati
Ovvero, agire d'anticipo e avere sempre a disposizione una carriola piena di elisir e cibo con effetti particolari, per aumentare l'attacco, la difesa, gli HP temporanei, la silenziosità, ma anche banalmente avere abbastanza cure a disposizione. Questo rende gradevole e interessante il tempo trascorso a cucinare, cosa che avviene con una dinamica di gioco che sinceramente trovo un po' tanto macchinosa: trova pentolone, accendi fuoco, apri inventario, seleziona ingrediente, aggiungi altri ingredienti, premi tasto per tenere in mano, posizionati vicino a pentolone, lascia cadere, guarda animazione, ammira la roba che hai cucinato.
Altra meccanica interessante, le armature, con le loro caratteristiche situazionali. Quella per sembrare una ragazza e introdursi di soppiatto a Gerudo City e essere considerati un'icona gay come ho letto in un articolo su non ricordo quale sito ma che mi ha fatto molto ridere, quella per nuotare, quella per resistere al fuoco, quella per resistere al freddo.
Non c'è un setup definitivo, sia nella difesa che nell'attacco (specialmente se consideriamo che le armi hanno una durata e poi vanno in mille pezzi, meccanica che come ho detto io ho disabilitato), e tutto va sempre ricalcolato. L'ultima volta che mi sono ritrovato a fare i conti con qualcosa del genere è stato in The Witcher, specialmente nel 3, e lo considero uno dei migliori giochi della storia.
Parte 8 – Aguzzare l'ingegno
Il combattimento, però, come dicevo secondo me non è il motivo per giocare Breath. Non è il motivo per giocare uno Zelda. Il motivo sono i puzzle, o meglio il modo in cui gli Zelda riescono a incastonare i puzzle insieme al resto.
Breath secondo me ha i migliori puzzle di tutti gli Zelda. Si, anche di quelli in 2D. Oh, l'ho detto, e lo penso, e credo sia vero.
I sacrari sono al 100% ciò che più mi piace di Breath, insieme naturalmente alle bestie meccaniche, sia per quanto riguarda l'approccio ad esse sia per quanto riguarda il loro interno. Ogni enigma è una piccola grande lezione di level design, di come dare al giocatore l'illusione del controllo, l'illusione della libertà, ma comunque vincolare la soluzione a una e una sola cosa, senza incappare in circostanze dove il giocatore può “rompere” l'enigma. O per lo meno, non facilmente, o non in un modo in cui io ci sia riuscito pur provandoci.
Specialmente i 4 “dungeon” principali, ovvero le bestie meccaniche da strappare al giogo di Ganon, sono un concentrato di genio creativo che non mi aspettavo affatto, nemmeno da una saga che fa di questi enigmi giustamente il proprio punto di vanto, o per lo meno così è come io l'ho sempre percepito.
Le varie funzioni della tavoletta (sto faticando tanto a non continuare a chiamarla iPad), a prima vista così potenti e potenzialmente game-breaking vengono imbrigliate in modo da rendere ogni enigma diverso dal precedente, ma comunque risolvibile entrando nel giusto ordine di idee.
Come un brano musicale sarà diverso da qualsiasi altro, seppur fatto con le stesse note nello stesso pentagramma.
Ci sono decine e decine e decine di sacrari, e mi ci fiondo dentro appena ne vedo uno, non per il premio, ma per la soddisfazione di aver risolto un altro enigma. Questo elemento di auto-gratificazione è ciò che rende “eccezionale” un gioco “buono”.
Potrebbe non esserci alcun potenziamento come premio, i sacrari li vorrei fare lo stesso.
Gli enigmi, poi, sono tutt'altro che semplici, specialmente quelli dei 4 dungeon principali. Vorrei solo fossero più lunghi, ma poi si rischierebbe la diluizione anche qui, e temo sarebbe peggio.
Parte 9 – Conclusione?
Punto interrogativo d'ordinanza. Non ho, come dicevo all'inizio, ancora finito Breath. Lo sto facendo durare, perché voglio vedere tutti i sacrari e tutti gli enigmi, voglio scoprire tutta la storia, voglio che il gioco mi dia ciò che io voglio da esso, visto che finalmente c'è uno Zelda disposto a darmelo.
Ci sono pochissimi giochi che nella mia vita mi hanno spinto a scriverne, soprattutto un papiro così lungo. Qualcosa vorrà pur dire, soprattutto se si tratta di un capitolo di una saga che, personalmente, non amo.
Eppure, scrivere aiuta a capire, ad analizzare, e Breath of the Wild merita riflessione, analisi, quasi introspezione.
È un gioco che mi obbliga a rivedere il mio rapporto coi giochi, con le mie convinzioni, con i miei preconcetti.
Non è un gioco per tutti, ma tutti dovrebbero provare a giocarlo, soprattutto coloro che sospettano di non gradirlo.
Parte 10 – Conclusione!
Scrivo questa parte a distanza di molto tempo. Ormai ho finito Breath, ho anche finito un paio di altri giochi (Yakuza 7!!!) e mi sono voluto prendere del tempo per riflettere.
Ho portato a termine anche i DLC (usando un cheat per potenziare al massimo la Master Sword, lo ammetto. Dopo due pomeriggi di tentativi, non ne potevo veramente più) col principale obiettivo di scoprire il passato degli amici di Link i cui spiriti mi avevano accompagnato per tutta quanta l'avventura.
Sinceramente, ho trovato i DLC come la parte più debole e innecessaria di tutto il playthrough. Il grado di sfida è decisamente altissimo, forse sproporzionato rispetto al resto, e il premio è piuttosto misero, sia come espansione della lore sia come “bonus in gioco”. Evitabili, sicuramente.
Non so cosa pensare dell'ultimo dungeon, il castello di Hyrule. Da una parte, è il più grande e il più inquietante, e vedere in quelle condizioni di corruzione la meta più celebre di tutti quanti gli Zelda mi ha colpito molto. D'altro canto però ciò che più mi era piaciuto degli altri dungeon era la possibilità di interagire col dungeon stesso cambiandone la struttura, cosa che col castello di Hyrule non si può fare (e, per quanto ho visto per ora, neanche in Tears of the Kingdom, peccato).
Il boss finale non mi è dispiaciuto, ma concordo con l'opinione comune stavolta: è troppo semplice. A livello narrativo, ci sta: d'altronde, è stato indebolito dalle 4 macchine leggendarie. Avrei voluto più interazioni con tutte quante le abilità speciali di Link, ma vabbè. Campo lo stesso.
La scena finale invece l'ho proprio adorata, è stata la culminazione del messaggio che il gioco stava cercando di comunicarmi dall'inizio: non smettere di esplorare, di viaggiare, di osservare. C'è tanto da vedere, e tanto di cui stupirsi.
È ciò di cui avevo bisogno in questo momento della mia vita videoludica.
Sono molto, molto contento di aver dato una chance a questo Zelda. Sono un giocatore dai gusti complicati, ma il gioco è riuscito a prendermi per mano e mostrarmi cose che non avrei altrimenti notato.
Grazie.