Il Mago Rosso

Fantasia e fantascienza, ma anche letteratura e videogiochi. In poche parole: tantissima passione per le storie in tutte le loro forme.

Una cosa che desideravo da tanto tempo era provare l'ebbrezza di allevare un Digimon e finalmente da poco più di un mese sono un felice possessore di Digimon X.

A conti fatti si tratta di un Tamagotchi, prodotto sempre da Bandai, con tante funzioni interessanti in più, come la possibilità di allevare fino a tre bestie digitali, farle crescere ed evolvere, nonché farle combattere in modalità storia e contro degli amici reali.

Questo ha gettato le basi per la fortunata serie a cartoni animati Digimon Adventure, che quest'anno compie venticinque anni ed è stato celebrato con un video sul canale ufficiale YouTube, e una valanga di altri prodotti, su tutti le carte collezionabili e numerosi videogiochi.

Il mio Digimon X

Il mio Digimon

All'accensione del dispositivo compare un digiuovo che dopo un minuto si schiude. Ne è uscito un grazioso Keemon. Stando alla descrizione su Wikimon è un dispettoso solitario, un'anima affine a quello che piace a me nei giochi di allevamento mostriciattoli. Infatti anche con i Pokémon ho un debole per i problematici e i bistrattati come Slowpoke, Wobbuffet, Psyduck, il sacco da pugile che io ho chiamato Boto, la sua evoluzione sumo/samurai che ho chiamato Super Boto e quel drago appiccicoso che è della quarta generazione e quindi dalla terza in poi non mi ricordo i nomi veri, ma al massimo i soprannomi che gli ho dato.

Ecco Keemon:

Odia stare in mezzo alla folla e tende a nascondersi. Da un luogo appartato gli piace infastidire gli altri, sparando con una pistola d'acqua piena di vernice.

Keemon

Adorabile, vero?

La crescita

Prendendomene cura con mooolta calma, sono riuscito a non farlo mai morire di fame, sebbene qualche batosta dalle battaglie in modalità storia l'abbia presa. Questo perché, a differenza del Tamagotchi, è possibile fermare il tempo, letteralmente chiudendo il digimon in un congelatore. Così se ci si ricorda di farlo quando si esce per qualche ora e non si può tenere costantemente d'occhio, non si rischia negligenza nel caso implorasse cibo o sporcasse il micro schermo del dispositivo con quintali di cacca.

Sì, fa la cacca.

Una costante del Tamagotchi e visto spesso anche nei cartoni e nei videogiochi.

Ecco qui il mio Keemon in tutta la sua insolenza:

Ecco qui il mio Keemon in tutta la sua insolenza

Poi ho smesso di fargli foto, non sono uno che crea interi album fotografici delle proprie bestie.

In seguito si è evoluto più volte, diventando:

Yarmon Sempre secondo Wikimon, sembrerebbe un altro simpatico disadattato, infatti:

La sua personalità è contorta e quando trova un Digimon che si diverte lo imbratta con l'inchiostro sparando dalla bocca il suo “Paint splash”. Yarmon si diverte a vedere il Digimon stupito.

Yarmon

Gomamon X

Mi piaceva molto Gomamon nel cartone, anche se all'epoca il mio preferito dei prescelti era Gabumon e la sua linea evolutiva, che diventava un dannatissimo lupo mannaro corazzato. Con la serie Adventure Tri mi sono ricreduto e sono tornato a preferire la linea di Gomamon perché dopo lo stadio evolutivo di un tartatricheco armato di martello da guerra finalmente si scopre la sua forma definitiva ed è un barboncino vichingo sotto steroidi con elmo e mazze ferrate. Dai. Perciò immaginate la mia gioia nell'aver visto che il mio digimon diventava proprio Gomamon.

Gomamon X

Poi è arrivato quel fighissimo Mantaraymon X che non avevo mai visto prima, ma mi piace moltissimo il suo design.

Mantaraymon X

Poi devo aver combinato qualche disastro, magari alcune disattenzioni, forse ha perso troppe volte in battaglia, ma ha preso una direzione oscura e malvagia, diventando uno scarafaggio gigante Okuwamon X. Ma siccome «Ogni scarrafone è bello a mamma sua», gli ho voluto bene lo stesso.

Okuwamon X

Ormai la direzione della malvagità è presa e lo scarrafone è diventato praticamente un'illustrazione di copertina per la rivista di fumetti Heavy Metal: Beel Starmon X.

Beel Starmon X

Oggi è il 1° agosto e Beel Starmon X ha raggiunto il livello 10. Significa che la sua ultima evoluzione è alle porte. Cosa diventerà?

Potrei scoprirlo seguendo Digitama Hatchery, che diventa il manuale d'uso (assente nella confezione) e un'utilissima guida alla crescita dei digimon, che però ho volutamente ignorato perché volevo godermi i risultati del mio impegno. Magari per il secondo digimon gli darò un'occhiata più approfondita.

Piccolo spoiler. La mia recente ricaduta nel mondo dei digimon non è fine a se stessa, ma di questo se ne parlerà prossimamente.


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The Orville racconta temi importanti sotto uno strato di umorismo. Non tratterà grosse riflessioni filosofiche come accade in altre produzioni fantascientifiche ma le situazioni mostrate in un modo o nell'altro sanno parlare a tutti, perché fanno emergere le nostre stesse debolezze e paure, ma anche il modo per affrontarle grazie alle nostre qualità. Ovviamente è ambientata nel futuro, ma l'occhio è sempre rivolto alla nostra epoca. Infatti i rimandi alla nostra cultura attuale sono molteplici: dal pupazzetto di Kermit la rana sulla scrivania del capitano Mercer ai film che guardano e alla musica che ascoltano, “Che la Forza sia con te” compreso. La famiglia, gli affetti, il coraggio di conoscere se stessi più in profondità, nonché la xenofobia, qui elevata all'ennesima potenza perché rivolta anche a culture aliene, ma con chiarissimi riferimenti alla nostra, fino al valore della vita e della morte sono temi affrontati con inaspettata convinzione.

The Orville, poster promozionale di Disney+

Pur essendo ambientata nel futuro denuncia tante storture del nostro tempo. In un episodio che strizza l'occhio a Black Mirror, per esempio, uno smartphone dei nostri giorni trovato dall'equipaggio della Orville contiene tutti i dati personali di una ragazza tra contatti, note, video e foto. Un sofisticato software di ologrammi ha creato una simulazione perfetta della sua vita, portando un membro dell'equipaggio a innamorarsi di lei. Non so quanto fosse di denuncia e quanto un mero spunto narrativo, fatto sta che permette di far riflettere sulla tematica della privacy e di quanto i dispositivi elettronici che usiamo tutti i giorni sappiano su di noi.

Nonostante un inizio cosparso di ridondanze umoristiche eccessive al limite del fatidioso, la serie nel tempo ha preso una propria direzione, bilanciando tematiche profonde alla leggerezza. La ripetitività dell'evento che porta il capitano a separarsi dalla moglie, ricordato a più riprese, in realtà è una spinta per raccontare un'altra tematica importante più avanti. Devo ammettere che alla prima visione dei primi episodi non ero del tutto convinto se The Orville facesse per me, perché il protagonista nonché creatore della serie è Seth McFarlane, che ha ideato anche I Griffin che non riesco proprio a sopportare. Tra questa punta di pregiudizio e situazioni che davvero spesso erano condite di comportamenti assurdamente sciocchi ero a un passo dal bollare la serie come un divertissement eccessivamente costoso. Sono stati la dichiarazione d'amore verso Star Trek, pura e cristallina, e l'umorismo che pian piano si è più raffinato (restando spesso sciocco, ma va bene così), misto ai temi così importanti trattati con disinvoltura in mezzo al tono leggero degli episodi a farmi gradualmente innamorare dei personaggi, tutti. La spinta verso l'epica sul finale della seconda stagione ha poi offerto la nuova rotta intrapresa dalla terza, che ha ottenuto il sottotitolo New Horizons, probabilmente proprio per rimarcare il sapore più fantascientifico e intimista. L'umorismo rimane un importante marchio di fabbrica, ma ora si può dire che la serie sia veramente maturata.

#TheOrville #Fantascienza #SerieTv


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Heavenly Sword è uno dei giochi pubblicati nei primi anni di vita di PlayStation 3 e può tranquillamente essere considerato il perfetto biglietto da visita per la console, nonostante sia poco conosciuto dai giocatori “di oggi”, tra i quali sono incluso a mia volta. Fortunatamente ho ascoltato il consiglio di un amico e l'ho comprato. Ebbene, sì. All'epoca io non possedevo ancora alcuna console PlayStation. Le ho recuperate tutte gradualmente negli anni. In quel periodo seguivo soprattutto Nintendo e in minima parte il PC, soprattutto per Star Wars e The Elder Scrolls. Non era una questione di fedeltà, bensì semplice praticità: le serie che amavo maggiormente erano Nintendo, così mi ero orientato in quella direzione, per questioni economiche e di tempo.

Heavenly Sword

Perché ritengo ancora oggi Heavenly Sword così straordinario? Per il fatto che sfrutta veramente al massimo le potenzialità offerte dalla console. L'azione in principio sembra macchinosa, con la videocamera che non si muove liberamente e le inquadrature sono quasi fisse. Ma quando ho scoperto che i dardi, gli oggetti e qualsiasi altra cosa possa essere scoccata o lanciata viene controllata muovendo fisicamente il controller nello spazio, sfruttando la tecnologia del Sixaxis, il cervello è esploso ed è arrivato il vero divertimento. Persino gli scudi possono essere lanciati come novelli Capitan America, sia per colpire più nemici, sia facendoli rimbalzare sulle superfici e interruttori per sbloccare alcune aree.

I combattimenti sono veloci e divertentissimi. Come tanti giochi di combattimento richiedono di mandare a memoria moltissime combinazioni di tasti. Siccome i miei neuroni hanno la consistenza di una mozzarella ne ho imparati giusto quattro o cinque che uso a ripetizione in base alla necessità e quando mi serve qualcosa di maggiormente sofisticato apro il menù per fare un bel ripasso. Come mai, però, nonostante il mio limite cerebrale, ho trovato divertente il sistema di combattimento? Perché è studiato con vera cura. I nemici assumono un'aura colorata quando stanno per assestare un colpo, quindi diventa semplice capire come controbattere, se con un attacco veloce, a distanza o potente. Il passaggio da una modalità all'altra passa semplicemente dalla pressione dei tasti dorsali. E c'è di più: una mossa particolarmente potente di un nemico sbalza Nariko lontano o per aria? Dando uno scossone al controller lei si aggancerà al nemico usando la speciale catena inclusa nella spada e risponderà con un colpo a sua volta senza perdere nemmeno un momento di recupero. Si possono anche raccogliere le armi perdute dei nemici, parti di arredo distrutte, oppure afferrare i nemici stessi e lanciarli contro gli avversari. La modalità a distanza, poi, che comprende una lunga catena che esce dalla spada, può essere usata per deviare dardi e frecce. Ho già detto che è divertente, sì?

I nemici sono tutti grotteschi e spaventosi. Oltre alla grandissima cura infusa a livello artistico nel character design, ci pensano anche le interpretazioni degli attori che danno loro le movenze attraverso la motion capture. Parliamo di attori del calibro di Anna Torv a interpretare Nariko, protagonista di Fringe, e Andy Serkis, straordinario attore sotto decine di personaggi in computer grafica, che è anche il direttore del cast nonché il nemico principale. Un nemico ha letteralmente delle spade sulla schiena che si aprono come ali! Il gioco è anche doppiato interamente in italiano decisamente buono. Posso considerarlo un acquisto più che valido.

La direzione artistica è incredibile e prende chiaramente ispirazione dall'estetica orientale. Riesce a donare un'identità propria al gioco perché non segue pedissequamente nulla che si sia già visto altrove. Peccato solo per la videocamera non del tutto libera e per la poca liberà di esplorazione, perché io mi perderei nell'osservazione delle ambientazioni ricche di dettagli. Urge trovare un artbook, nonostante i disegni sbloccati all'interno del gioco siano comunque ottimi.

Heavenly Sword, concept art.

Riguardo i disegni sbloccabili, infatti, compiendo alcune azioni nel gioco si guadagna un punteggio che permette di sbloccare interessantissimi contenuti speciali. È proprio questo il modo per gratificare il giocatore completista; in mancanza di trofei, si guadagnano contenuti come interviste e filmati dietro le quinte, disegni e un cartone animato a capitoli dallo stile grafico decisamente azzeccato.

Non entro nel merito della trama, appassionante e raccontata tramite poche cutscene molto ben realizzate e dialoghi “da fantasy” ma non banali. Lo sfruttamento del medium videoludico passa anche dalla narrazione in-game. Capiterà infatti che durante alcune azioni o dialoghi compaia un insert panel come nei fumetti in cui si svolge un'altra azione. Questo permette di avere una panoramica maggiore di quello che accade intorno ai personaggi durante un dialogo, oppure aggiunge drammaticità alle azioni da compiere. Esiste anche un vero e proprio montaggio delle fasi di gioco. Nariko, infatti, non è l'unico personaggio controllabile e si passa spesso da un punto di vista all'altro per dare maggior dinamismo, come avviene nelle due linee narrative parallele delle serie TV.

Ecco, mi è venuta voglia di rivedere Xena. E anche Fringe.

#Videogiochi #HeavenlySword #PlayStation


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Nella mia testa la primavera e l'estate sono stagioni da dedicare al genere fantasy. Sarà stata “colpa” della mia insegnante di italiano delle scuole medie, così lungimirante da aver inserito Lo Hobbit tra i consigli di letture estive. Verso la fine degli anni Novanta, quando il grande pubblico non aveva minimamente idea che si stessero preparando dei film sul Signore degli Anelli, ero andato a cercare i libri proposti in una libreria vecchio stampo, con una gentilissima libraia vecchio stile. Quando le ho proposto la lista mi ha sorriso:

Credo che questo ti piacerà.

Mi ha accompagnato tra gli scaffali e ha estratto questo libercolo grigio con un drago in copertina.

L'inizio di una grande avventura!

Inutile dire che ci abbia azzeccato. Mi è piaciuto moltissimo. L'ho divorato comodamente accovacciato su una sdraio sul balcone, prima a Sanremo, dove ho acquistato il libro, poi a casa mia. Comunque ho seguito tutta l'avventura di Bilbo Baggins all'aria aperta, una sensazione che mi piace provare ancora oggi quando mi immergo nei mondi fantastici, ancora meglio in un ambiente di montagna.

Lo Hobbit in versione tre volumi

Voglio un gran bene a questa edizione, perché era così come la vedete fin dal principio. Questo difetto mi ha fatto innamorare del libro perché sapeva di avventura. Lo ritengo un'edizione più che unica proprio perché mi ha dato questa sensazione.

Quando è uscito il film de La compagnia dell'Anello dal trailer non avevo mica capito al primo colpo che quella fosse una storia connessa a Lo Hobbit. C'era già Frodo che scompariva indossando l'anello, ma visto il tono molto più cupo non avevo fatto 1+1. Per la serie: “sveglia, Mauri.” Solo più avanti, guardando il film in DVD da un amico, mi sono reso conto che Il Signore degli Anelli fosse un sequel de Lo Hobbit e mi è esploso il cervello. Inutile dire che l'opera di Tolkien sia un pezzo importantissimo della mia adolescenza.


  • L'intervista a Wu Ming 4 sulla nuova traduzione del 2024 de Lo Hobbit, su Movieplayer.it

#Hobbit #Tolkien #Fantasy #Letture


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Questo è precisamente il libro che avrei regalato a un Mauri diecenne. Sono proprio le avventure che avrei voluto vivere io all'età dei protagonisti.

Il piccolo regno

I libri per ragazzi mi sono sempre piaciuti perché sanno cogliere lo spirito avventuroso che conservo. Sarà anche per questo che ho fatto lo Scout, ma di questo parlerò un'altra volta.

Ecco la sinossi:

Il quartier generale di noi Gente Bassa era la casa-albero. Era stata costruita da Saul e da zio Albie intorno alla base di un grosso olmo cavo che sorgeva in fondo al cortile. Era dove ci rintanavamo per discutere il da farsi, dove progettavamo le nostre spedizioni, dove raccoglievamo il bottino. Il pavimento era in assi di legno e si potevano stenderci sopra le coperte. Le finestre erano tonde come gli oblò delle navi, ed erano tre, grandi abbastanza per far entrare la luce. Dentro avevamo arredato l'ambiente con qualche vecchio cuscino e un tavolo da tè. Appesi alla parete campeggiavano il binocolo militare di zio Albie, che aveva sull'impugnatura il graffio di un proiettile tedesco, e una mappa della zona disegnata da Ariadne. Lì dentro ci sentivamo come conigli nella tana. Nessuno ci avrebbe mai sloggiati.

Wu Ming 4 è riuscito a raccontare con semplicità i pensieri e la curiosità di un gruppo di bambini che hanno tutto il tempo del mondo durante le vacanze estive. Ricordiamo tutti che le vacanze sembravano infinite quando eravamo piccoli, vero? Se aggiungiamo una casa in campagna dove trascorrere tutto questo tempo, ecco garantite le avventure quotidiane. Il periodo in cui si svolge è uno dei più incerti nella storia recente: gli anni Trenta, a cavallo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. In questa parentesi estiva i bambini, tra un gioco e l'altro, troveranno modo di riflettere anche su argomenti importanti, dopo aver scoperto un'antica tomba. Ci sono problemi che affliggono la famiglia ma questi non vengono direttamente palesati, probabilmente per immedesimare ulteriormente i lettori nella vicenda vista dal punto di vista dei ragazzi: gli adulti fanno discorsi complicati e noiosi, quindi degni di scarsa attenzione.

Il piccolo regno è uno di quei libri che ho tirato su in libreria senza pensarci troppo. Sia chiaro, non faccio mai acquisti di impulso, ma talvolta riesco a capire al volo quando qualcosa mi potrà piacere, che sia libro, fumetto, film o videogioco, un po' come avviene col quinto senso e mezzo di Dylan Dog. Trovare soddisfatte le aspettative è una delle sensazioni più belle quando si azzarda in questo modo.


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