ordinariafollia

brevi fabulazioni di chi tende a dare realtà alle creazioni della propria fantasia.

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è stato subito chiaro che questa intima scatola d'acciaio avrebbe fatto di me un uomo o una donna più dei baffi o della gonna più della cravatta e della valigetta, più delle rose, del bancomat o della fretta.

è stato subito chiaro che questa amante a scoppio avrebbe fatto di me un albero libero o una roccia libera più della carta di identità più delle processioni e delle lavanderie a gettoni, più dei colori delle bandiere o del pin.

i testi e i disegni sono di Saio Giampaolettiordinariafollia.net

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fine linea spazio input, la combinazione delle nostre particelle elementari if

nella solitudine di questa confusione, incessante load, on, wait cerco la tua mano nella notte, save goto

verify, list e mi pare come quando eravamo bambini e ci pareva di essere next, restore, smenettare, la la la la soprattutto run, run, run, run tab, return e read, read, return e gosub... sub sub sub then

nuovi linguaggi per passeggiare navigando mano nella mano print, stop tutto l'universo dietro la tastiera sulla punta delle dita, run tu, io. tu tu tu io tu tu io tu tu tu tu io io tu

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segni sulla carta o dove capita, traiettorie intime che precedono il pensiero e lo sorpassano, e si ammucchiano e si perdono e ritornano.

segni sulla carta e dove capita, movimenti meccanici dell'indimostrabile che fa capolino, e cambiano e si travestono e ritornano.

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Io immagino di avere una chitarra e danzo solo con essa come fossi sul palco più buio investito dalla luce di un assolo.

Quindi se mi vedete in questa scimmiosa animazione sappiate che sono immerso nell'eleganza di una febbre elettrica nel posto più buio che possiate immaginare, oltre la vergogna e il dolore con una chitarra invisibile che inesorabile suono con tutta la mia anima.

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Era più dei pelo sotto al naso era più di un maglione costoso era più di una copertina inglese e stava tra le dita e stava tra le labbra sapeva di vita puzzava di rabbia.

Ma da bambino quell'acre velo da sposa non bianca mi pizzicava gli occhi e mi faceva tossire, e mi dicevano vai fuori.

Con le dita ingiallite sul terrazzo di casa guardo la pioggia e sono ancora fuori perché agli altri pizzicano gli occhi e tossiscono.

E sono pieno di peli in viso indosso maglioni da sposo in una copertina di un disco inglese, senza più rabbia né gusto.

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opinioni.

Nuvole passeggere si ammassano nel cielo fino ad oscurare il sole, satelliti artificiali di riflessa arroganza...

e par non se ne possa fare senza.

Per quanto possa farti male non è quello pensi che ti farà volare quando non avrai più ali a cui poterti attaccare.

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Mi fa ridere, bestemmiare.

Trovare la soluzione di un mistero attraverso l’ironia a scorrimento orizzontale di pagine che nascondono interazioni nel fascino di personaggi ridicoli ed irripetibili.

Mi fa sudare. Annientare tutti i nemici che arrivano sempre in maggiore numero nell’irrefrenabile scorrimento verticale che affolla figure che devono scoppiare e sparire fino al boss, e poi si ricomincia.

Mi fa scordare.

Incastrare mattoncini infiniti che cadono incessabilmente dall’alto accelerando mentre il pavimento si alza se non viene spazzato da combinazioni di righe perfette.

In punta di dita videogames o la vita.

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Il primo non stava mai fermo un moscerino della frutta alimentato a pile atomiche e finiva con un piede nell’acqua e perdeva una scarpa sporco, sempre sorridente con l’imperativo assoluto di non essere da meno.

Il secondo era carino delicato come bandiera di panna sulla cima di una torta di Pisa e intrecciava la lenza tra rami impossibili calmo, sempre interrogativo con l’imperativo assoluto essere alla mano.

Il terzo ero io chiacchierone ridanciano, fabulatore, contromano e parlavo e parlavo e parlavo e parlavo vispo, sempre ironico con l’imperativo assoluto di essere umano.

E poi c’era il Grande Pescatore che ancora urla: ma non lo vedi che hai un piede in acqua? ma come cazzo hai fatto a intreccia’ lassù? ma tu non pigli fiato mai?

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Mangiava vinile, Eraldo il lunedì mattina e sapeva che non avevamo una lira.

Adolescentrici maceratesi figli del borgocentrismo, appesi ad un campanile muto.

Mangiava vinile, Mario il venerdì sera e sapeva che non avevamo una lira.

Adolescettanti maceratesi nipoti dei fiori, illesi da una rivoluzione sconosciuta.

Qualche volta facevo colletta durante lo struscio del corso perché non potevo proprio fare a meno di vinile.

Mario lo sa, ci ha visto passare tutti occhi innamorati e saccocce vuote. Anche Eraldo lo sapeva.

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Guidare mi piace sono un Guido mancato in silenzio o con la musica al volante seduto tendente all'infinito.

Avere l'automobile a 18 anni era il coronamento della virilità un attestato naturale per la maggiore età la metamorfosi per il nuovo stadio dell'evoluzione prima del tramonto e dopo il pallone.

Guidare ed avere porte di ferro con finestrini da chiudere a chiave ed un sedile riservato alla fidanzata al migliore amico al bisognoso, allo sconosciuto.

Guidare per sentire di essere nella splendida giornata spiccare dal ramo della pista di pattinaggio per arrivare a Porto Recanati, a Rimini, alla Grecia puntando alla Luna.

Guidare per andare a finire in un bar sotto il mare quindi trovarsi seduto sul divano con un libro in mano ed un paio d'ali iridate che sembrano tanto leggere ma ti reggono.

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