Klaus

Non ho deciso io di cominciare a scrivere questo diario. Il curatore delle arti psichiche del battaglione mi ha consigliato di cominciare a farlo, come sfogo, per tornare a dormire la notte, per scacciare certi pensieri, che da qualche tempo mi attanagliano la mente. Mi ha dato anche un altro compito, trovarmi un passatempo, qualcosa che mi faccia concentrare sul momento presente, senza focalizzarmi troppo sul passato o su pensieri fastidiosi; vedremo se sarò in grado di crearmi questo spazio tutto per me. Ricordo che quando ero piccolo amavo costruire cose, immaginarmi avventure e ricostruirle con gli attrezzi di papà, nella sua bottega vicino al fiume; potrei riprendere quel “vizio”, in fondo là dovrei avere tutto quel che mi serve. Ormai è passato un po' di tempo, il vecchio è ancora là a creare meraviglie, magari andrò a trovarlo il prima possibile per cercare ispirazione e, perché no, mangiare lo stufato di mamma; ovviamente se prepararlo non le creerà troppo disagio, come a tutti poi sedersi a tavola e assaporare quel piatto, fissando una sedia vuota, ma ora non ho cuore per scriverne. Forse più avanti.

Sono un soldato del forte che a nord di Nemis, che tiene a bada briganti e qualche non morto; nulla di troppo emozionante, ma in quel che faccio credo di essere abbastanza bravo, e qualche gratifica me la sono guadagnata. Non solo qualche pacca sulla spalla, ma un grado rispettabile per la mia età e la possibilità, appena mi sarò deciso, di commissionare la mia arma, o compagna di venture, per il prossimo futuro, e salutare la vecchia Sparry. Le mie giornate vengono scandite dal suono dei corni la mattina e dai rintocchi del campanile del villaggio poco più a sud, ma domani sarà un giorno speciale. Per la prima volta sono stato scelto, col mio fidato compagno Leo, di addentrarmi in profondità nella foresta, a ridosso delle caverne di Las Mor; lì, da tempo, i miei superiori, pensano che un manipolo di criminali si stiano organizzando per esplorare e saccheggiare il “Tempio sommerso”. Sicuramente non devono essere molto svegli per il solo pensare di addentrarsi là dentro, ma il punto è che non vogliamo risveglino ciò che da tempo riposa tra quelle rovine paludose, rubando qualcosa o compiendo azioni sacrileghe, innescando qualcosa di cui si pentirebbero e la cui risoluzione toccherebbe a noi, ora che la situazione è abbastanza gestibile. Preparerò più tardi la bisaccia per il viaggio, approfittando di queste righe per fare mente locale. Una corda, che non deve mai mancare. Un acciarino, il fuoco coi legnetti lasciamolo fare ai ranger tanto fieri di certi trucchetti. Otre di acqua e qualche provvista, anche se cacciare non sarà un problema. Coltello da scuoiatura. Un paio di torce, sempre utili. Sperare che il mio amico Duss abbia preparato un paio di pozioni curative, e che non come l'ultima volta abbiamo fatto il loro dovere a metà. Coperta e giaciglio. Non so quanto potremmo metterci a trovarli, e a capire i loro piani effettivi, ma spero di tornare in tempo per la festa del villaggio di fine settimana prossima, mi hanno detto che Clara ci sarà, di rientro dall'addestramento montano, e questa volta dovrò farmi coraggio, senza nascondermi dietro ai boccali di birra.

Sono stato sempre attento ai preparativi per un viaggio. Da bambino adoravo avventurarmi coi miei amici in qualche boschetto, scoprire qualche caverna, simulare combattimenti e uccisioni di draghi famelici. Ma la parte che mi piaceva di più era la preparazione, tutta quella fase dove sistemavo la sacca con attrezzi e merende per la “spedizione”, che sarebbe durata qualche ora, ma per la quale il tempo in solitaria dedicatoci prima, aveva un sapore di responsabilità, una sensazione di controllo che mi stimolava molto, come se davvero avessi potuto “gestire” il fato con il contenuto della mia bisaccia.

La notte prima della partenza per la missione fu una notte strana, dove parecchie sensazioni si avventarono sul mio stomaco, dove alcuni pensieri si insinuarono nella mia mente, ben lieta di aprire, anzi spalancare le proprie porte a intrusi che poi da scacciare sono più ancorati di una nave relitto di Luksan. Così quella notte non riuscii facilmente a prender sonno, ma quando la stanchezza ebbe il sopravvento, rimpiansi quelle sensazioni ai sogni turbolenti che ebbi quella notte. Immagini sfocate ora, ma ben ricordo l'immagine della mia famiglia distrutta ai bordi del ruscello vicino casa. Il corno del mattino fu la mia salvezza, e mai in passato, durante il periodo di leva, avrei ringraziato tanto quel suono così presto, ancor prima del canto del gallo della cascina dei Mergot. Stravolto dalla nottata presi le mie cose e mi diressi verso il cortile centrale dove avevo appuntamento con Leo. Riconobbi subito il mio amico, da ben più lontano del poterlo riconoscere in viso; la sua spada e scudo scintillavano, quasi di luce propria, smaniosi come il loro proprietario di scagliarsi contro qualcuno o di parare un colpo, per poi fendere di ribattuta. Ero ben felice di poter affrontare questa avventura con lui, colui con la quale avevo condiviso tante nottate a chiacchierare sul nostro futuro, sulle nostre ambizioni. Ci eravamo scambiati rispettive ferite dell'animo che avrebbero abbattuto giganti,e in più di un'occasione gli avevo confessato che solo nelle sue mani avrei rimesso la mia vita. Ci dirigemmo verso gli alloggi del comandante per le ultime direttive e da lì poi ci indirizzammo verso l'uscita del forte, superammo il grande portone ferrato e imboccammo il sentiero verso Nord.

Insieme iniziammo la nostra avventura.

Varcato il portone ci fu qualche momento di silenzio tra me e il mio compagno, come se ognuno di noi volesse assaporare quei primi istanti di responsabilità, di consapevolezza dell'essere importanti e degni, e perché no, anche di preoccupazione. Il sentiero verso nord è una piccola strada poco trafficata, proprio per la sua destinazione finale, una foresta dove solo avventurieri, briganti o taglialegna si addentrano. La peculiarità di questa foresta, chiamata “Foresta di legnoferro”, è appunto che alcuni dei suoi alberi nascono sopra ad un giacimento di minerale ferroso, e per questo motivo i suoi rami sono estremamente resistenti e al contempo flessibili. C'è un' altro motivo per cui questo luogo è famoso, la presenza al suo interno, nella parte più remota e selvaggia, di un luogo un tempo di culto, ora in rovina, e soprannominato da coloro che lo hanno visto, e da qualche bardo che lo ha inserito nelle proprie ballate, il “Tempio sommerso”. Il primo giorno del nostro viaggio andava concludendosi, dopo aver lasciato il sentiero ed esserci addentrati nella parte esterna della foresta, quella che già in passato avevamo esplorato durante le nostre ronde. Qui ormai la zona era priva di pericoli, se non qualche cinghiale, che per la loro grazia non avremmo cacciato in quei momenti, non potendo poi riportare velocemente al forte la sua carne. Quella sera ci saremmo accontentati delle razioni da poco preparate, zuppa e del pane, per la quale sarebbe bastato un semplice fuocherello; senza fatica sulle spalle, la prima serata passò tranquilla, piacevole al chiaro delle stelle che senza le luci della caserma, brillavano ancor più, suscitando in noi qualche brivido al cospetto di così tanta vastità. Il sonno prese alla svelta il sopravvento, probabilmente dovuto alla stanchezza della passata nottataccia, e tranquilli del fatto che il glifo posizionato all' ingresso del nostro accampamento avrebbero dissuaso animali e mal intenzionati. Prima di chiudere gli occhi diedi un' ultima occhiata a Leo, e sorrisi nel vedere la sua mano destra sull'elsa della spada a fianco a lui.

Ingresso del forte di Nemis

Ingresso forte Nemis

ingresso fase 2

ingresso fase 3

ingresso fase 4

Ci svegliammo alle prime luci. Una rapida colazione con bacche e miele, un sorso di infuso di erbe caldo e rimettemmo in bisaccia le nostre cose, pronti per proseguire verso la parte ignota, che mai avevamo affrontato, di quella foresta. Fu subito chiaro che il solo orientamento sarebbe stato cosa non di poco conto, l'attenzione al terreno difficile anche. La posizione del muschio sugli alberi e rocce, la posizione del sole quando visibile, aiutarono a darci una direzione; per quanto riguarda il terreno difficile, non ci fu altro modo che far leva sui nostri muscoli e atletica, ringraziando il consiglio del comandante di non indossare le nostre canoniche armature pesanti, ma di avvalerci di quelle più leggere ,“Farvi uccidere dal terreno, sarebbe da stupidi no?” ci disse con un sorriso prima di partire. Proseguendo, facendoci largo tra la vegetazione, cercavamo di stare in silenzio per non attirare su di noi attenzioni indesiderate, quando ad un tratto sentii un gemito provenire dalle mie spalle. Voltandomi vidi Leo a penzoloni, trattenuto alla gola da un serpente che gli si avvinghiava, proteso da un ramo. Impugnai ancor più salda la mia spada e mi avventai contro la creatura, colpendola sopra la testa di Leo, che cadde a terra col fiato strozzato. Nel momento in cui mi voltai per assicurarmi le sue condizioni, lo vidi imbracciare la sua arma e scagliarsi dietro di me, contro quello che sarebbe stato il vero problema della giornata. Un serpente gigante ci stava per attaccare, fauci spalancate e denti grossi come una lama di spada. Leo con la prontezza che lo aveva contraddistinto tra le reclute anni prima, intercettò il morso della bestia frapponendo il suo scudo, ma nulla poté contro il colpo di coda che lo scagliò a terra. Distratto dal mio compagno, l'immondo accusò il mio fendente, che lo colpì facendolo sanguinare copiosamente, a cui segui un secondo attacco in affondo. Da una parte Leo, dall'altra io, e nel mezzo quello che sarebbe diventata da li a poco la nostra prima tacca. Colpimmo duramente e con sincronia, tale che la creatura accusò i colpi e morì. Leo si accasciò a terra dolorante. La creatura, che ormai giaceva a suolo inerme, lo aveva ferito al fianco destro; non una ferita grave, ma in quel contesto, poteva esserlo, e seppur contro la sua volontà, decisi di utilizzare una delle fiale che mi erano state donate. Aprii la boccetta che conteneva un liquido denso e dal color rubino, l'odore era pungente, e la passai al mio compagno, che dispiaciuto per il dover appropriarsene così presto, la trangugiò d'un sorso. Il liquido divenne luminescente nel percorrere dapprima la gola, poi il petto e subito dopo dirigersi verso il costato, pulsando ad ogni respiro, ed infine giunto alla ferita, illuminarla e ricostituendola, facendo sospirare Leo. Di nuovo in marcia, percorremmo la foresta più attenti e cauti, per qualche ora, fino a quando non udimmo voci umane provenire da un'abitazione nascosta nella fitta vegetazione. Ci avvicinammo in silenzio, ringraziando ancora una volta di non indossare le nostre classiche rumorose armature, e giunti ad una finestra vidi due uomini darsi le ultime istruzioni sul raggiungere i propri compagni, già all'ingresso del tempio. “Quindi ce ne sono altri, ma quanti? E come raggiungerli?” pensai. La risposta fu subito ovvia, pedinare questi, trovare gli altri e l'ingresso del tempio, e in qualche modo, fermarli. Come due spettri, in silenzio e grazie al corso ranger del secondo anno di accademia, inseguimmo per un giorno intero le nostre “guide”, fino all'ingresso di una caverna, il cui interno era illuminato da una qualche fonte di luce.

caverna

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L'esterno della caverna non era ben visibile ma si capiva che non era sorvegliato e subito i due si intrufolarono senza esitare. Aspettammo qualche istante per avvicinarci, e arrivati anche noi all'ingresso che ora pareva da vicino maestoso e terrificante alla luce delle torce, ci rendemmo conto che il suo interno altro non era che una caverna con una pozza di d'acqua al centro. Guardai Leo e con un cenno di intesa, presi un bel respiro e ci gettammo in acqua, fredda e limpida, costellata di funghi luminescenti che ci guidavano verso l'uscita. Col fiato corto, e nella speranza che al nostro riemergere nessuno ci notasse, riaffiorammo piano, con da prima gli occhi, e una volta controllato rapidamente l'intorno, anche col capo, respirando nuovamente. Dovetti sgranare più volte gli occhi e strofinarmeli con le mani, per credere a quel che vedevo, le rovine di un tempio parzialmente emerso all'interno di una caverna gigantesca, illuminato da alcune feritoie nella roccia e dalle torce dei criminali.

tempio

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Non ci fu il tempo per porsi troppe domande, o per gongolarsi nello stupore e meraviglia; i due briganti che avevamo pedinato si erano riuniti con il resto della loro banda e dalla nostra posizione potevamo vedere come si addentravano furtivi e veloci tra le rovine. Non avremmo mai avuto tempo di tornare ad avvisare i nostri superiori o di cercare rinforzi, dovevamo intervenire e fermarli prima che compissero qualche azione per la quale poi molti altri avrebbero pagato il prezzo. Uscimmo dall'acqua e di soppiatto raggiungemmo il gruppo al completo, sempre tenendoci nell'ombra. Erano otto uomini, tutti ben armati, che come voraci animali si avventavano su tutto ciò che di valore trovavano, da vasi d'oro, a scrigni colmi di pietre preziose, fino a che uno di loro non venne attaccato proprio da uno dei forzieri che stava tentando di aprire; enormi fauci fecero brandelli della carne del malcapitato, mentre gli altri tentavano di colpire l'essere mostruoso, noi ne approfittammo per sferrare il nostro attacco di sorpresa, scagliandoci come furie sul resto del gruppo che colto alla sprovvista si trovò del tutto impreparato. Due di loro caddero subito sotto i nostri colpi precisi, combattendo spalla a spalla avevamo pochi punti ciechi e la nostra tattica sembrava aver sorbito un ottimo risultato. Nel frattempo un altro di loro divenne pasto per il forziere animato, e noi subendo l'attacco di un paio di loro avevamo bisogno di allontanarci dall'essere per non rischiare di diventare i prossimi ad essere divorati; ci spostammo su una zona rialzata del tempio, e da lì vedemmo l'unico che poteva essere il capo della banda che stavamo assaltando, colpire con la propria ascia bipenne lo squartatore dei suoi uomini, squartandolo a metà. Si voltò e con sguardo ricolmo di rabbia gridò “Ora, tocca a voi!”. Era un uomo alto, senza armatura o altre protezioni, solo tatuaggi sul corpo a ricoprire la massa di muscoli che pulsavano. Non era la prima volta che affrontavamo qualcuno di quella stazza, ma eravamo stanchi dal combattimento e avevamo terminato le nostre pozioni, ma dovevamo portare a termine la missione e mai saremmo fuggiti, così incrociammo i nostri sguardi e con un cenno di intesa ci portammo al livello del nostro nemico, uno da un lato e uno dall'altro. Lo scontro finale stava per cominciare.

Uno sguardo del nostro avversario fulminò prima Leo e poi me, strinse con le sue mani possenti l'ascia e mi si scagliò contro ed io feci lo stesso, impugnando la mia spada a due mani. L'impatto fu violento tra le nostre armi, ed il suono forte e impetuoso di lame che si scontrano echeggiò nella caverna. Il mio compagno si avventò sul nostro nemico, applicando alla lettera gli insegnamenti di Gor, “fiancheggiando”, quasi fosse la mia immagine riflessa in uno specchio, il barbaro che con tanta tenacia e forza ci stava tenendo testa. Ad un tratto, con un colpo incredibilmente potente scagliò lontano Leo, facendolo cadere rovinosamente a terra, e girando in un attimo l'arma, facendola roteare, mi colpì con altrettanta forza, gridando come un folle e scoprendo un punto debole nella mi difesa, ferendomi ad una gamba e subito dopo ad una spalla. Mi accasciai a terra, devastato dalla potenza di quei colpi, reggendomi in ginocchio aiutandomi con la spada. Era pronto a sferrare un altro attacco, quando Leo, ripreso, lo colpi alle spalle con due fendenti rapidi, innescando una giravolta dell'energumeno che lo attaccò a sua volta facendo roteare l'ascia e colpendolo in pieno petto, ferendo Leo in modo grave. Il barbaro si stava avvicinando al mio amico per il colpo di grazia, con passo lento questa volta, sicuro che ormai lo scontro lo avrebbe visto come vincitore. Mi guardai attorno, affannato, cercando sostegno in qualcuno o qualcosa e strappai dalle mani di uno dei miei precedenti nemici una balestra; la impugnai rapidamente e inserii il dardo, mirai quasi alla cieca e scoccai. Non sapevo se avevo colpito quella montagna, ma subito ricaricai e di nuovo feci partire il colpo, rendendomi conto che lo avevo preso con entrambi i tiri, uno alla schiena, bersaglio enorme, e l'altro alla testa, trafitta. L'uomo cadde con tutto il suo peso in avanti causando un tonfo che fece tremare il terreno. Non c'era tempo da perdere, Leo stava morendo dissanguato, e quando avvicinandomi lo vidi da vicino, per un istante crebbi che oramai nulla avrebbe potuto salvarlo. Lo strinsi a me forte, sperando quasi di donargli parte della mia vita, quando lo sguardo, colmo di lacrime, mi cadde su una bisaccia di uno dei criminali e subito cominciai a ravanare in tutte quelle che trovavo, ed infine, per volontà degli dei o per fortuna, trovai quello che cercavo e che fortunatamente uno dei caduti non aveva fatto in tempo ad usare, una pozione curativa. La raccolsi con cautela, dopo essermi strofinato le mani bagnate di sangue sui pantaloni, e ne feci scivolare il contenuto tra le labbra di Leo. Rimasi scosso nel vedere come il liquido andava a ricostruire tessuti e membra , andando quasi alla ricerca di ogni brandello, illuminando la ferita di una luce cremisi che mi ipnotizzò. Una volta rinvenuto, non ci curammo dei cadaveri lì attorno, anzi, pensai che sarebbero serviti come monito, e raccolte le nostre cose ci immergemmo nuovamente per risalire all'ingresso della grotta nella foresta. Avevamo perso la cognizione del tempo ed era quasi notte, decidemmo quindi di riposare per recuperare le forze; Leo, visibilmente in condizioni migliori delle mie, procurò la cena, un coniglio selvatico che soddisfò a pieno il nostro appetito. Poi si mise di guardia. Quella notte, ferito, affaticato, al chiaro di funghi magici che illuminavano la foresta come fossero stelle nel cielo, ringraziai gli dei per aver trovato un amico come Leo, per avermi donato qualcuno che avrei potuto chiamare un' altra volta “fratello”.

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Di ritorno verso il forte, incontrammo qualche taglialegna, intento a brontolare per quanto fosse faticoso quel lavoro, e alle porte che avevamo varcato qualche giorno prima, fummo accolti dal comandante, che volle sincerarsi subito della situazione e delle nostre condizioni, invitandoci a far visita dai curatori per poi concederci qualche giorno di licenza. Sapevo benissimo cosa fare, sarei andato a trovare la mia famiglia, giù al fiume.

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Quando arrivai davanti alla porta di casa, che affiancava quella del laboratorio di mio padre, sapevo che a quell'ora non li avrei trovati lì, ma controllai comunque l'integrità del meccanismo anti intrusione che il vecchio aveva installato. Proseguii verso il fiume, poco distante, e li vidi di fronte della lapide di mio fratello Karl. I miei genitori, in piedi, si sorreggevano a vicenda, tenendosi la mano, in silenzio. Solo il vento tra me foglie si permetteva di disturbare quel momento così intimo, tale che anche io, loro figlio, attesi qualche istante prima di giungere al loro fianco. Erano passati un paio d'anni ormai dalla morte di mio fratello, ma le interiora si contorcevano ancora come fosse accaduto il giorno prima. Ci sedemmo lì davanti, sulla panchina che era stata ricavata da un tronco, ed ognuno di noi si raccolse a suo modo; io vagai per i ricordi d'infanzia, ricordando poi l'avventura appena trascorsa.

Mio padre fu il primo ad alzarsi. Poco dopo tornammo a casa, e durante il breve tragitto ci furono solo sospiri, nessuna domanda, e solo dopo aver varcato la porta di casa, mi abbracciarono, felici di non aver perso un altro figlio. Mia madre, Gaia, si mise ai fornelli, sapeva come conquistarmi il palato e, durante i preparativi, volle sapere se mi sarei fermato solo per pranzo, ben felice dopo la mia risposta di apprendere che mi sarei trattenuto per qualche giorno. “Vado a preparare la tua camera” mi disse, come se non sapessi che in realtà era sempre pronta, pulita, e con le lenzuola fresche. Ma facevo finta di niente tutte le volte. La porta nel piccolo salotto dava direttamente sul laboratorio di papà.

Lab

Cedric era un maestro nell'arte della lavorazione del legno, un inventore, e veniva spesso commissionato da persone di ogni rango e ceto sociale per semplicemente aggiustare una sedia, per costruire qualche marchingegno, o per creare meraviglie tecnologiche. “Non aver paura di osare” diceva, “Dagli sbagli nascono le cose migliori”. Attraversai la porta del laboratorio e fui pervaso dall'odore del legno, dal calore della piccola forgia in fondo alla stanza, e meravigliato dai tanti progetti appesi alle pareti. Tutto era molto ordinato, ogni cassetto aveva inciso cosa avrebbe dovuto contenere, gli scaffali ben organizzati e gli attrezzi appesi mai a caso. Al momento mio padre era di spalle nei pressi della fornace, intento a lavorare proprio uno dei rami che avevo visto pochi giorni prima nella foresta, al fine di scaldarne le venature per poterlo modellare con più facilità. Interruppe quello che stava facendo solo un istante, quando sentì la porta chiudersi, ma non si voltò, “Ciao ragazzo” disse e proseguì nelle sue faccende. Era un brav'uomo, un buon padre, un tempo ricolmo di gioia e calore per i suoi figli, ma la ferita era ancora aperta, e il tempo che tanto ci aspetti risolva ogni male, non bastava. Ricordando le parole del curatore, chiesi a mio padre se potessi usare alcuni dei suoi attrezzi e materiali per occuparmi del mio vecchio passatempo, “costruire avventure”, così lo chiamavo da bambino. Mio padre interruppe le sue faccende, si voltò, e sorrise.

Il giorno della festa del villaggio giunse, e con lui anche le mie insicurezze. Sapevo che l'avrei vista. I preparativi per i festeggiamenti avevano interessato gran parte degli abitanti, tra chi addobbava le strade, le case, chi organizzava la cucina che avrebbe dovuto sfamare chiunque avesse voluto assaporare la cucina tipica del nord, tra stufati, carne allo spiedo e dolci di ogni sorta, e la varietà di birre scure artigianali. Anche la caserma era stata richiamata dal sentimento di appartenenza di quelle terre, ed ingaggiati i migliori soldati per sfoggiare le proprie armature scintillanti, gli apprendisti maghi per stupire grandi e piccoli con qualche trucchetto, e i bardi da battaglia con i loro tamburi e cornamuse per intrattenere la gente. Io come altri miei compagni eravamo stati chiamati per controllare che non ci fossero disordini, ma quella volta Leo ed io godevamo di una licenza e quindi avremmo potuto goderci la festa senza troppi pensieri.

Leo ed io ci saremmo visti al calar del sole all'ingresso della porta Sud del villaggio, quindi avevo a disposizione tutto il giorno per rilassarmi col mio passatempo, il che comprendeva passare anche del tempo coi miei genitori, e ne fui davvero felice. Sembrava quasi che quei giorni stessero in qualche modo mitigando le afflizioni dei mesi passati.

Quel giorno mi cimentai in creazioni che avevo sentito solo in storie raccontatemi dai miei superiori, o alla taverna e fu molto liberatorio. Davvero.

La leggenda del tesoro degli elementali leggenda tesoro elementali La leggenda narra di un luogo ai confini del Piano, dove i quattro elementi si uniscono. Qui un portale porterebbe ad una stanza segreta, contenente un tesoro ricco di artefatti antichi quanto il mondo stesso.

L'Abissale del Mare del Nord mito abissale Essere che infesta i mari del Nord, e che solo in pochi hanno avuto la fortuna di poter descrivere. Io ho sentito una storia di un marinaio della flotta di Luksan sopravvissuto ad un attacco della bestia.

La sera sopraggiunse e mi incamminai pensieroso verso il punto d'incontro con Leo. Sapevo già quali sarebbero state le sue intenzioni, spingermi tra le braccia di colei per la quale il mio cuore risuonava più forte dei tamburi di una carica. Venni travolto sin da subito dall'ondata di profumi di cibo e ovviamente ne approfittammo, ordinando dello stinco con patate e della buona birra scura, al tendone fuori dalla taverna “Il settimo boccale”, allestito per la festa per soddisfare più gente possibile. Ed eccola là, dietro al bancone a spillare birra e ricevere le persone che preferivano stare all'interno del locale. Clara è una ragazza con un paio di anni più di me, era alta, dai capelli biondi e occhi scuri, con la pelle chiara e una voglia sotto l'occhio sinistro, simile alla forma di una lacrima. Era rientrata un paio di giorni prima dall'addestramento sui monti a Nord, ed il suo obiettivo era quello di conseguire il titolo di ranger, ma per quei giorni di festa, aveva deciso, anziché sfruttare i giorni di licenza per riposare, di aiutare il padre alla taverna.

taverna

Non era la classica ragazza di osteria, affabile e “piaciona” con i clienti, ma al contrario era molto professionale, distaccata coi clienti che provavano ad avere un atteggiamento troppo amichevole, ed invece accomodante con le persone che le mostravano rispetto e gentilezza. Di fronte a persone che osavano disturbare il locale, o creare disordini, nonché i più villani che tentavano di metterle le mani addosso, sapeva come reagire, grazie agli insegnamenti del padre Gustavo, veterano del mestiere, e ovviamente all'addestramento militare. Per mia fortuna i miei genitori erano stati di quella categoria che non ammette maleducazione.

Quella sera l'ordine del cibo e bevande lo facemmo alla sorella più giovane di Clara, Bea, che non perdeva occasione per punzecchiarmi, invitandomi ad entrare ad ordinare “Signore”, schernendomi, “Le devo chiedere di proseguire le sue ordinazioni all'interno”, o a vedere come aveva allestito la stanza “Ehi, voi due, non ho ancora ricevuto i complimenti per come ho sistemato tutto!”, o semplicemente a fare due parole con colei che mi toglieva letteralmente il fiato “Rubacuori, non entri?”. Non eravamo nuovi del posto, era tranquillo, la birra era ottima e non si avevano mai problemi, e quindi capitava di tanto in tanto di bazzicarlo, conoscevamo sia Gustavo, che Bea e pure Clara, con la quale però non avevo mai parlato, singhiozzato qualcosa di incomprensibile forse. La serata stava proseguendo come mi aspettavo, tra un boccale di birra e l'altro, qualche chiacchiera con Leo e altri che poi si unirono a noi, volgendo appena potevo lo sguardo verso la finestrella che dava proprio sul bancone, sperando di vederla, e il più delle volte era così. Le ore passarono e pian piano la gente rientrò nelle proprie case, i bardi smisero di suonare, i locandieri si apprestarono a pulire, per poter tornare a casa esausti. In pochi rimanemmo lì, solo io e Leo e qualche reduce che ormai sonnecchiava con la testa appoggiata al tavolo; ci stavamo godendo quel silenzio, e forse stavamo un po' prendendo fiato, riempiendoci di quella normalità che nei giorni passati era mancata. Ad un tratto, dall'interno della taverna, poco illuminata ormai, sentimmo dei rumori di passi veloci calpestare le vecchie assi di legno del pavimento, subito dopo un mormorio e una voce strozzata tentare di gridare “Aiu....!”. In un attimo fummo all'ingresso e spiando l'interno non vedemmo nessuno, solo si sentivano delle voci di sottofondo provenire dalla cucina. Cercando di non far rumore entrammo e giunti alla porta spalancata vidi tre uomini minacciare Gustavo, che giaceva a terra ferito alla testa, e Clara tenuta per il collo da un uomo alle sue spalle, che con una mano le teneva serrata la bocca. I tre che accerchiavano Gustavo lo stavano malmenando, intimandogli di dargli l'incasso della giornata, colpendolo ripetutamente anche se questo ormai giaceva a terra, quasi privo di sensi. Feci cenno a Leo di portarsi all'ingresso sul retro della cucina, e pochi istanti dopo fissando la piccola feritoia sopra quella porta vidi un ombra, era lui che si appostava. Riuscii a farmi notare da Clara, che mi vide per un attimo solo e in quel frangente notai i suoi occhi colmi di gioia; sapeva che qualsiasi cosa fosse avvenuta sarebbe accaduta da lì a poco, e sapeva che doveva creare un diversivo alla svelta. Cominciò a dimenarsi in modo energico, ed uno dei tre di fronte al padre le si avvicinò “Stai zitta, lurida puttana!”. Il mio cuore sobbalzò. Subito dopo un colpo al suo viso, facendola sanguinare, dato l'anello che portava l'uomo. Il mio cuore sobbalzò nuovamente. Ma lei, con le gambe libere, sferrò un calcio preciso tra quelle del suo aguzzino, ed io e Leo entrammo in scena.

Spade già alla mano, ci avventammo sui due di fronte al padre, ferendoli in modo grave e lasciandoli a terra, per poi scagliarci contro l'uomo che ormai aveva lasciato libera la presa al collo di Clara, probabilmente spaventato. Lo mettemmo fuori combattimento in pochissimi secondi. Quello a terra, che si stava rialzando dopo il duro colpo della ragazza, tentò di dileguarsi, sfruttando il momento, ma Clara accortasi del tentativo di fuga, raccolse la prima cosa che gli capitò sottomano, una padella , e la scaraventò contro l'individuo, colpendolo alla testa e facendolo cadere rovinosamente a terra. Ero ufficialmente innamorato. Poi accorse verso il padre per soccorrerlo, Leo si occupò dei malviventi legandoli, aiutato da altri che nel frattempo avevano sentito il frastuono ed erano entrati, ed io mi affiancai a Clara, per prestare le prime cure a Gustavo. Lei si voltò verso di me, “Grazie!” e mi abbracciò. Ancora una volta non ebbi il fiato per rispondere.

Ma la strinsi forte a me.

Quando eravamo piccoli, mio fratello Karl ed io, ci nascondevamo spesso nel piccolo magazzino nel laboratorio di nostro padre. Dai racconti di alcuni clienti che eravamo riusciti ad origliare, avevamo sentito in più occasioni che, durante i loro viaggi, avevano riposato all'interno di una capanna, e tutti facevano riferimento alla “Capanna di Leomund”, ma ci stupiva come questo luogo venisse menzionato in viaggi verso nord, in altri verso sud, in luoghi dai nomi esotici e in profondità nelle miniere naniche. Capimmo col tempo, che si trattava di un luogo magico, dove chiunque avesse avuto il permesso, poteva riposare in un luogo sicuro, lontano dai pericoli, in compagnia solo di persone fidate ed amiche. Decidemmo, a ridosso del fiume, di costruire la nostra “Capanna”, un luogo dove potevamo entrare solo noi, un posto magico dove, ci piaceva pensare fosse così, nessuno poteva sentirci, solo nostro. La costruimmo con mezzi di fortuna, qualche asse di legno trafugata, qualche chiodo rubato a nostro padre, e col passare degli anni la migliorammo, rendendola sempre più confortevole. In quel luogo, da bambini, nascondevamo i dolci che arraffavamo di nascosto al mercato, nascondevamo “tesori” trovati nella foresta, mentre da più grandi, semplicemente, ci rilassavamo, sfuggendo alla monotonia del villaggio o dai lavoretti imposti dai nostri genitori, o più tardi davamo sfogo ai nostri pensieri, alcune volte semplici altre più profondi. Era nostro. Volevo bene a mio fratello.

Capanna 1

Capanna 2

I ricordi di quel giorno sono impressi nella mia mente, incisi come un solco di scalpello, netto, preciso, e credo che rimarranno lì a farmi compagnia per il resto della mia esistenza. Era un giorno come tanti altri e mio fratello Karl ed io, eravamo al fiume, e concentrati stavamo studiando, per prepararci all'esame che pochi giorni dopo avremmo dovuto sostenere. Io, per entrare nell'esercito dell' Alleanza, lui per ottenere una promozione e salire di rango. Avrei dovuto sostenere una parte teorica, su geografia, sopravvivenza, storia, tattiche e tecniche militari, e dopo una parte pratica, per la quale mi sarei allenato con mio fratello. Lui aveva qualche anno più di me, era molto intelligente ed aveva un'agilità fuori dal comune; aveva perfezionato tecniche e tattiche di attacco a distanza, con la sua fidata balestra, per la quale era stato notato dai suoi superiori, e avuto accesso all'esame per diventare ufficiale. La casa dove siamo cresciuti e dove vivono e lavorano i nostri genitori, è poco distante dal forte, dove si trova la caserma militare, e dista poco più dal villaggio. Il fiume, dove ci piaceva passare parte delle nostre giornate, delimitava la zona civilizzata, da quella più selvaggia, ricoperta da una fitta vegetazione e dove nostro padre si riforniva delle materie per lavorare. Appoggiati con la schiena allo stesso albero, con i libri in mano, del cibo preparatoci da nostra madre in una sacca appesa ad un ramo, eravamo tranquilli, con le nostre armi sempre a portata di mano, data la vicinanza di luoghi dove animali feroci o esseri poco amichevoli avrebbero potuto fare la loro comparsa.

Era un momento di pausa, e stavamo terminando il piccolo pasto che ci era stato preparato. Mio fratello, nemmeno il tempo di buttar giù l'ultimo boccone, aveva già imbracciato la sua fidata balestra; lo vidi dirigersi verso alcuni punti sparsi attorno a noi, in altri a ridosso del fiume e anche al di là passando dove l'acqua bagnava a malapena le caviglie. Posizionò dei bersagli a ridosso degli alberi, alcuni in posizioni difficili da raggiungere. Poi con aria soddisfatta tornò da me, “Bene, possiamo cominciare!”

Proprio in quel momento udii la voce di quell'uomo. “Bene, bene, bene...lontani dal forte eh! ragazzi!?!” Non dimenticherò mai il suo viso e quello dei suoi compagni, briganti pronti a tutto e desiderosi solo di sangue e vendetta. Era la banda dei fratelli Brescott, dediti a rapine, rapimenti e violenze di ogni genere. Da tempo non si vedevano da quelle parti, ma precisamente da quando si diedero alla fuga dopo che mio fratello Karl riuscì a far incarcerare uno dei due fratelli delle malefatte, Jester, che fu successivamente giustiziato. Ma ora a reclamare la loro giustizia era tornata il resto della banda, e il superstite del duo, Nomer, a voler la sua vendetta. Erano tanti, troppi. Ci rifugiammo subito nella “nostra capanna”, Karl caricò la balestra, mentre il rumore dei passi degli uomini fuori si faceva sempre più vicino. Poi si affacciò per un attimo dalla piccola finestrella sulla sinistra ed io a quella di destra e subito tesi la corda del mio arco, un ultimo sguardo e cenno di intesa tra di noi, e scoccammo trafiggendo un paio di loro. I passi fuori si fecero più veloci, consci del fatto che dovevamo perdere qualche attimo a ricaricare le armi. Riuscimmo a colpirne un altro paio, ma in quel frangente fecero irruzione nella capanna. Venni atterrato da una freccia alla gamba e successivamente tramortito da un colpo alla nuca, l'unica cosa che sentii prima di svenire fu il suono deciso del corno di Karl, che chiamava soccorsi. Caddi poi privo di sensi, e quando poco dopo ripresi conoscenza con un colpo di stivale allo stomaco, vidi il loro capo che agitando un coltello al collo di Karl, rideva e mostrava il suo viso fiero di fronte a quello tumefatto di mio fratello, stremato. Un colpo di rabbia prese in me il controllo e con uno scatto riuscii ad avvicinarmi, ma venni subito placcato da due di loro e riportato con la testa a terra, uno stivale sopra la mia tempia, solo per permettermi l'ultima macabra, triste visione della lama che passava da parte a parte sul collo teso di Karl. Un ultimo sguardo tra di noi, un accenno suo di sorriso. Tutti gioivano, tutti ridevano. Un monito poi mi venne rivolto “Ecco cosa accade a chi si mette contro di noi! Dillo a tutti, dillo ai tuoi capi!”. Venni nuovamente colpito e vidi solo mio fratello cadere al suolo, privo di vita. Poi, uno di loro si caricò il corpo sulle spalle e sempre il capobanda sghignazzando “Non sia mai che vi venga in mente di riportarlo tra noi”. Ricordo la terra che tremava per gli zoccoli dei cavalli che sopraggiungevano dal forte, troppo tardi. Ricordo le mie lacrime miste al sangue. Ricordo la rabbia. Sento la rabbia.