Porte che si chiudono...
Capitolo precedente: Come sempre la festa di chi è
Il telefono segnava le otto e mi avvertiva di sei chiamate non risposte di Marco, tutte tra la mezzanotte e le quattro del mattino. Cosa avevo combinato? Le strade erano deserte e questo mi tranquillizzava molto, guido male col mal di testa. Due ciambelle e un caffellatte al McDonut's per colazione ed ero di nuovo a casa. Dovevo ricostruire la notte. Forse qualcuno che era alla festa poteva dirmi qualcosa. Prima di tutto dovevo chiamare Marco. Il bip del telefono penetrava nel timpano. “Dove sei? Stai bene?” “Sì bello, sto bene. Sono a casa” “Per fortuna! Ieri sera sei sparito da casa di Alice dopo che ti sei messo a parlare con quella biondina” “Io avrei fatto cosa?” “Non te lo ricordi? Bionda, bassina, occhialuta” “Non ricordo molto onestamente” “Almeno lei dovresti cercare di ricordartela” Bionda, bassa, con gli occhiali. Mi ricorda... “Sofia?” “E io che ne so, non me l'hai mica presentata. Anzi, a dire il vero non hai più parlato con nessun altro” Possibile fosse Sofia? Perché il passato doveva ricominciare a tormentarmi? “Senti grazie Marco e scusa, ma non ero in me... Ti richiamo più tardi” Probabilmente la risposta era arrivata dopo che avevo attaccato e cominciato a cercare il numero di Sofia in rubrica. Il bip del telefono martellava di nuovo nel cranio, a quanto pare non aveva più cambiato numero dopo tutti questi anni. “Pronto?” una voce dolce e calma spuntava dall'altoparlante e io ero di nuovo un ragazzino timido. “Sofia?” “Sì, chi parla?” “Sono... Sono... Dispiaciuto, credo di aver sbagliato numero” Stavo per chiudere quando “Francesco aspetta” “Oh, ehi, hai riconosciuto la voce?” “Veramente sui cellulari compare il nome della persona che sta chiamando” “Oh” Davvero? Un “oh” secco? Era tutto quello che sapevi fare? “Senti... Ehm, per caso ieri eri da Alice?” “La tua memoria non cambia mai eh? Ti sei già scordato di quel fantastico quarto d'ora passato in bagno?” Lei non poteva vederlo, ma sapeva benissimo che la mia mascella era appena arrivata a terra. “Eh...” “Sei stato molto carino ad aiutarmi a vomitare” “Ah” Sei diventato Monosillabo-Boy? “Ti sento deluso, che ti aspettavi?” “Io... Beh... No, niente” “Senti io ho ancora il tuo cappello...” “Mi fa piacere” “Sicuro che non lo rivuoi?” “No, sta meglio a te. Hai la testa più piccola della mia e a me non copre le orecchie” Una risata dolce e il mio cervello s'era liquefatto. “Va bene, va bene” “Comunque avevo chiamato per sapere di più su cosa fosse successo ieri notte” “...” “Qualcosa non va?” “Te lo dico se ci troviamo per un caffè” “Sai che non dico mai di no ad un caffè” “Per quello te l'ho proposto” “Facciamo alle 15, al Bios Cafè” Dopo quella telefonata il mondo sembrava diverso, il tempo sembrava scorrere più lentamente e le 15 sembravano non arrivare mai. Alla fine erano arrivate e il Bios Cafè era vuoto, come sempre. Spuntava da una sedia una giacchetta nera in pelle e una cuffia invernale con la fantasia simile al “nessun segnale” delle vecchie tv analogiche. Ero imbarazzato e agitato. “Ciao Sof” Sorrideva. “Allora non ti ricordi proprio nulla?” “Nulla di nulla” “Io sono arrivata da Alice che tu avevi già bevuto abbastanza” “...” “Ma tranquillo, era anche il mio intento. Infatti quando mi hai vista e mi hai offerto da bere non ho rifiutato” “Io? Io ti ho offerto da bere?” “Le magie che fa l'alcol, eh? Comunque me ne hai offerti tanti di bicchieri, così tanti che ti ho trascinato in bagno con me in fretta e furia” “Chissà cos'avranno pensato gli altri” “Nulla, dato che si sentiva da fuori che stavo rigettando anche l'intestino” “E dopo?” “Dopo siamo andati via perché insistevi a volermi riportare a casa” “Ma non avevo l'auto” “Te l'ho detto anche io, ma volevi comunque andare” “E cosa ho fatto? Ho rubato un'auto?” Sorseggiava il suo caffellatte guardandomi dritto negli occhia con un sopracciglio alzato. “Ho davvero rubato un'auto?!” “Secondo te? Di chi era l'auto in cui ti sei svegliato?” Sa che ho dormito fuori, fino a che ora siamo stati insieme? “Come sai che ho dormito in auto?” “Perché ti ci ho lasciato” “Hai guidato la mia auto?” “Solo dopo essermi ripresa, camminando fino a casa tua” Da casa mia a casa di Alice erano più di quattro chilometri, normalmente una persona con la mente funzionante ci impiegherebbe circa un'ora e mezza, noi eravamo in stato pietoso quindi ci avevamo impiegato... “Due ore e mezza, se te lo stessi chiedendo” “E non mi sono ripreso in due ore e mezza?” “Comunque hai provato a guidare, ma non riuscivi a trovare le chiavi della macchina per accendere e così hai deciso di provare a dormire sul volante. Dopodiché ti ho spostato sul sedile accanto, con molta fatica, e ho lasciato la macchina vicino casa” Vicino casa? Quindi abita vicino Roberta! “Conosci per caso una ragazza chiamata Roberta? Bassa, capelli castani, un po' timida...” “Certo, ha fatto scout con me per anni” Ma certo, stessa parrocchia. “Come mai lo chiedi?” “Era una mia compagna delle elementari, ci siamo rivisti da poco ad un funerale di una nostra insegnante” “Oh... Mi dispiace...” Il mio caffè era quasi finito e ne bevevo poco alla volta per farlo durare di più. Lei continuava a sorseggiarlo e a guardare fuori dalla finestra. “Comunque so che sta andando via, a Parigi credo” “Uh... Sì” Avanti chiediglielo, non sprecare questa occasione. “Sai se...” Ora mi guardava e aveva un po' lo sguardo perso nel vuoto. “Sì?” “Sai se, per caso, sia... Ecco... Se sia occupata” “Intendi...” “Sentimentalmente, sì” “Non lo so. Quindi ti interessa?” “Non so se voglio parlarne con te” Il silenzio che si era creato veniva interrotto ogni tanto solo dai suoni provenienti dalla cucina e da qualche sporadica macchina che passava di fuori. “Pensavo fossimo tornati amici” “Solo perché ci siamo presi una sbronza insieme?” “No, perché pensavo mi avessi perdonato dopo tutto questo tempo!” “Mi serviva per metabolizzare quello che mi hai fatto” “Sono passati otto anni Francesco, quanto tempo ti serve?” “Io ci tenevo, sei stata forse l'unica ragazza per cui non ho pensato 'forse è meglio così'. Volevo andare insieme a te nei musei d'arte e farmi spiegare tutto quello che non sapevo o andare al cinema e farti vedere dei film bellissimi e pesantissimi. Ma a quanto pare non provavi quello che pensavi dovesse essere'vero amore'” Mentre finivo di parlare aveva preso a fissare la tazza. “Ero piccola ed ingenua. Credevo ancora che l'amore fosse quello che vedi nei film, che ti innamori al primo sguardo... Mi dispiace, ma pure tu sei scomparso quando, avevi detto che saresti rimasto” “Certo che sono scomparso, io provavo davvero qualcosa per te. Dovevo dimenticarmene, come avrei potuto continuando uscire con te e gli altri?” Ora era tornata a guardarmi in faccia. “Mi sei sempre mancata in questi anni, anche se sono stato con altre” “E non potevi chiamarmi?” “Ma scherzi? Chiamarti? Per dirti che? 'Ehy ciao, sono Francesco, quello che hai mollato quel giorno al parco perché non avevi ancora capito se ti piacesse o meno il tuo migliore amico o se quello che provavi per me era il vero amore. Ti ricordi? Sì? Beh mi manchi e preferirei che questa chiamata fosse per dirti di andare a qualche mostra, ma non stiamo insieme perciò niente, buona vita, me ne torno a stare da solo'” “...” “Che c'è?” “Niente, io... Mi dispiace” “Anche a me” “Non credi che sia passato sufficientemente tempo per potermi perdonare?” “Ma io ti ho perdonata! Nn accetto il fatto che saremmo potuti essere felici insieme” Il mio caffè era diventato freddo e imbevibile, lei aveva la tazza vuota. Nessuno ci era venuto ad offrire altro perché non siamo in una tavola calda americana e se vuoi altro ti alzi e lo chiedi. Non disprezzo i silenzi, ma questo era davvero imbarazzante. E io non sono bravo a districarmi dalle situazioni imbarazzanti. “Sei sicuro che non vuoi il cappello?” “Ti ha stufato?” “No, ma magari... Non lo so...” “Tienilo, mi fa piacere che tu lo abbia” Guardando fuori continuavano a passare pochissime auto, le nuvole si raggruppavano minacciose, probabilmente a breve sarebbe piovuto. “Vuoi andare?” “Mmh?” “Fissavi fuori, pensavo volessi andartene” “No, guardavo... Niente. Forse però è ora che vada. Grazie per aver fatto luce su ciò che ho fatto mentre non ero in me” “Figurati, è stato carino riparlarti” “Sì, immagino di sì” Pagarle il caffellatte mi sembrava il minimo. Salendo in macchina pensavo che sarei dovuto andare al cinema, era da un po' che non ci andavo. La lista di orari che compariva sullo schermo del cellulare mi avvertiva che non c'era nulla di interessante, tranne un vecchio film uscito quando ero più giovane. Non c'era pericolo di incontrare troppe persone a quella proiezione, quindi per pensare sarebbe andato benissimo.
Capitolo successivo: Necessità
Originally wrote in 2017-02-15T00:34:00.000+01:00