Super Relax

La bicicletta. Per lavoro. Per svago. Per sport. Per celia.


Ciclocomputer fotografato frontalmente e accostato a una foto rimpicciolita della confezione, con la scritta Rider 420 GPS bike computer

Il Bryton 420 è un modello economico, ma non di base, della gamma Bryton, uscito ormai nel 2020. Offre funzioni di navigazione ma non è cartografico, disponibile in tre configurazioni:

  • 420E, solo ciclocomputer;
  • 420H, con fascia cardio;
  • 420T, con fascia cardio e sensore di cadenza.

Possiedo il 420E, a cui ho collegato successivamente fascia cardio, sensore di cadenza e radar, comprato nel 2024 a 85 € circa, più o meno il prezzo attuale.

Il 420 supporta gli standard ANT+ e Bluetooth, quindi è compatibile coi sensori di altre marche. Si collega al telefonino via Bluetooth per la gestione di eventuali percorsi e una gestione molto più rapida delle impostazioni e, soprattutto, delle varie pagine dati tramite l'app Bryton Active App. Non dispone di connessione Wi-Fi, quindi per gli upgrade firmware è necessario usare l'app o collegarlo al PC col cavetto USB micro B e usare il programma apposito, Bryton Update Tool, disponibile per Windows e Mac. Sarebbe gradita anche una versione per le distro Linux più diffuse, ma non penso sia mai stata presa in considerazione. Questo modello può essere tranquillamente usato senza connessione, tutta la logica è interna; tuttavia, l'applicazione ne permette un utilizzo molto più fluido, come dicevo sopra, oltre a poter ricevere a schermo le notifiche del telefonino (chiamate in arrivo, messaggi, email o altre notifiche a nostra discrezione).

Ok, se state ancora leggendo, sarete interessati a quello che il 420 è in grado di mostrare sul suo schermo monocromatico LCD da 2,4”, piccolo ma piacevolmente contrastato e leggibile. Schermo non touch, come prevedibile in questa fascia di prezzo. Non penso sia un male, ma sull'ergonomia torniamo dopo. Sono disponibili fino a 5 pagine standard, ciascuna con fino a 8 campi personalizzabili; oltre a queste, 2 pagine per i lap, ancora una volta totalmente personalizzabili fino a 8 campi, e 2 pagine che si attivano successivamente al caricamento del percorso, entrambe con 2 campi personalizzabili.

Le informazioni offerte sono davvero tante, la lista completa è pagina 49 del manuale. Ovviamente, molte opzioni sono attive quando sono collegati i relativi sensori: cadenza della pedalata, frequenza cardiaca e zone, un'ampia selezione relativa alla pletora di dati ottenibili dai misuratori di potenza e anche i dati dell'eventuale cambio elettronico Shimano.

Nel caso non abbiate voglia di spulciare il manuale, sappiate che sono sicuramente disponibili tutte quelle necessarie ad analizzare in tempo reale le nostre uscite, che riassumo sicuramente dimenticandone qualcuna: velocità (attuale, media e massima), distanza percorsa e odometro, tempo trascorso effettivo e totale, pendenza, altitudine, guadagno altimetrico, distanza in salita e discesa, ora, temperatura ecc. Campi specifici sono disponibili per le pagine dei lap, ma sono visualizzabili anche nelle pagine generiche: velocità media del lap, distanza, tempo, tempo del giro precedente, media del giro precedente e così via.

Questa abbondanza di informazioni porterà l'utilizzatore al suo primo ciclocomputer a impostare 5+2 pagine con 8 campi attivi ciascuna: cosa molto scomoda, in quanto non è possibile navigare tra le stesse in avanti e indietro, ma solo avanzando in maniera circolare, operazione lenta e che distrae parecchio durante la pedalata. Si finisce, generalmente, con limitarsi alla schermata standard da tenere per tutto il tempo e a una riassuntiva, con le medie e altri valori non immediatamente rilevanti. Oltre a una schermata lap e quella della traccia, se attive.

È possibile il collegamento a app di terze parti: Komoot, Relive, Ride with GPS, Strava e TrainingPeaks; inserendo i relativi dati di accesso, a fine percorso il tracciato verrà caricato automaticamente sulle piattaforme di nostra scelta. Una gran comodità, specie per gli utilizzatori di più servizi.


Questa prima parte spero sia stata un'introduzione decente alle funzionalità usate in ogni uscita, ora continuo con accenni a funzioni e opzioni più specifiche.

La navigazione.

Come detto in apertura, il 420 non è cartografico, ovvero non dispone di mappe interne o della possibilità di accedere a mappe caricate sul telefonino, non permette il ricalcolo del percorso in caso di allontanamento temporaneo dal file previamente caricato. La schermata di navigazione è occupata, per buona parte, da una singola linea che indica il percorso, sovrastata da una freccia che indica il ciclista, senza mostrare incroci e strade laterali. Allontanandosi dalla linea, dopo un po' appare il messaggio “fuori rotta” e l'unica possibilità di riprendere la navigazione sta nel tornare, in qualche modo, lungo il percorso definito. Problema, questo, comune a tutti i dispositivi non cartografici.

I percorsi si gestiscono tramite app.

È possibile pianificarli internamente o inviare sul telefonino un .gpx o .fit creato esternamente (da Strava o Komoot, per esempio) e aprirlo nell'app Bryton. La procedura, però, non è immediatamente intuitiva: aperto il percorso, bisognerà aprire il menu in alto a destra e selezionare l'opzione per creare un nuovo percorso, con le info per le svolte. Di default, il nuovo percorso ha lo stesso nome di quello originario con l'aggiunta del suffisso “-1”: è questo il file che dobbiamo aprire per aggiungere eventuali POI, scegliendo tra sette impostazioni: Cima (predefinita), Generale, Ristoranti, Emergenza, Checkpoint, Punto di incontro, Acqua. È possibile assegnare qualsiasi nome ai POI. Sarebbe stata gradita la possibilità di modificare a posteriori i POI, invece bisogna cancellarli e rifarli in caso di errore. Preparata la traccia, selezionando l'opzione “scarica sul dispositivo”, dallo stesso menu, la si trasferisce sul Bryton, pronta per essere caricata e avviata.

È possibile impostare due biciclette.

Ancora una volta sia da dispositivo che da app, ancora una volta con la maggior praticità di quest'ultima: per ciascuna delle bici, è possibile impostare peso, diametro della ruota e valori di ODO1 e ODO2. Una precisazione sui tre odometri disponibili, perché le voci dei menu possono essere confusionarie in qualche caso. C'è un odometro generale, che mostra il totale di chilometri percorsi su entrambe le bici, nei campi delle pagine è indicato limpidamente come “odometro”. Le voci Viaggio 1 e Viaggio 2 corrispondono nell'app, nelle impostazioni della bici, a ODO1 e ODO2: sono due contachilometri separati, i cui valori possono essere modificati in app per effettuare le misurazioni che decidiamo. Esempio: possiamo azzerare il valore di ODO2 a inizio anno e usare quel contatore per tener traccia dei chilometri percorsi annualmente, così come azzerare ODO1 per tracciare le percorrenze di un viaggio cicloturistico spalmato in più tappe.

Un'altra impostazione ambigua è quella relativa all'avviso sonoro dell'eventuale radar associato: per attivarlo, l'impostazione deve essere controintuitivamente su OFF.


Prima dei pro e contro, una breve sezione sulle funzioni che non ho avuto modo o necessità di provare. È possibile impostare dei piani di allenamento, ce ne sono tre precaricati ed è possibile crearne altri dall'app o importarne da TrainingPeaks.

Live Track è una funzione che permette di condividere, in tempo reale, posizione e dati durante una sessione, con la possibilità di inviare automaticamente il link a indirizzi email prestabiliti.

Group Ride permette di condividere percorsi e dati vari tra i partecipanti di gruppi creati all'uopo, se in possesso di altri ciclocomputer Bryton.


Pro e contro

È un dispositivo relativamente economico, anche se ormai soffre la concorrenza di modelli con schermo a colori, anche touch, per poche decine di euro in più. Il rapporto prezzo/qualità è ancora soddisfacente e non credo di aver mai incontrato bug rilevanti. Lo schermo, seppur monocromatico (anzi, probabilmente per quello) è ben leggibile all'aperto, ma se siete degli -anta forse è meglio limitare il numero dei campi visibili e aumentare le pagine. La definizione non è esagerata e 2,4” sono pochini, in generale Le funzioni sono molte e le informazioni anche sovrabbondanti, specie per il ciclista comune. Le possibilità di seguire tracciati e allenamenti sono sicuramente caratteristiche gradite. La durata della batteria è soddisfacente, anche se non saprei stabilirne la durata esatta: con sensore di cadenza, fascia cardio e radar, di sicuro c'è carica sufficiente per diverse uscite, nessun rischio di trovarselo scarico in giornata. Può essere usato totalmente offline.

L'ergonomia non è ottimale a causa dei due pulsantini posizionati sul retro del dispositivo, difficilmente raggiungibili specie quando è installato su una staffa da manubrio. Staffa che, comunque, consiglio perché lascia libero l'altoparlantino interno, facendo sì che gli avvertimenti dell'eventuale radar siano decisamente più udibili. La staffa non è inclusa nella confezione, l'attacco di default è quello col supporto da fissare al manubrio o al cannotto di sterzo con l'ausilio degli anelli elastici.

I menu sono solitamente intuitivi, con qualche eccezione; come dicevo prima, per attivare i suoni del radar bisogna impostarli su OFF, mentre il fatto che si possano settare diverse altitudini, relative a diversi punti di partenza, non è di immediata comprensione: magari basterebbe rinominare “Posizione n” in “Posizione altimetrica n”.

il collegamento micro USB è figlio del suo tempo, ma ormai è stato soppiantato dal tipo C; considerata l'anno di uscita del modello, forse non è il caso di fargliene una colpa.

L'app Bryton Active, che è comune a tutti i modelli del marchio, andrebbe rivista nella gestione delle pagine. Non è possibile modificare l'ordine delle stesse: se vogliamo, per esempio, invertire le pagine 2 e 4, dobbiamo rifare manualmente tutti i campi, non possiamo semplicemente trascinare le pagine nell'ordine che vogliamo. Non c'è modo di salvare, in qualche modo e da qualche parte, la configurazione delle pagine: basterebbe un semplice .csv o anche un comunissimo file .txt, da poter esportare e importare a piacimento.


Riassumendo.

Il Bryton 420 è un ciclocomputer non più recente, come testimoniato anche dallo standard USB utilizzato, dal rapporto prezzo/qualità favorevole, destinato all'amatore che non vuole spendere troppo e non ne ha alcuna necessità, o anche al ciclista più evoluto che predilige strumenti semplici, ma non semplicistici, che può contare comunque su una disponibilità di rilevazioni e funzionalità molto ampia.

L'ergonomia sarebbe stata migliore disponendo tutti i pulsanti lateralmente o frontalmente; i menu non sempre sono concettualmente cristallini.

Inizia a soffrire la concorrenza nell'ambito dei dispositivi monocromatici nella stessa fascia di prezzo e dei dispositivi a colori, ormai accessibili per poche decine di euro in più. Concorrenza anche interna, vedi il Bryton 460: ergonomia migliore, schermo più ampio, Climb Challenge 1.0, ma supporto per una sola bicicletta e solo per i sensori ANT+. Per le mie esigenze, probabilmente oggi, nel 2025, prendere il 460.


Domenica di inizio maggio, faccio il mio lungo settimanale, che lungo non è perché non posso concedermi troppe ore e non avrei neanche chissà quanta energia da spendere. Bel tempo, temperatura perfetta per pedalare, vento ininfluente. Le sensazioni, sulle pendenze più importanti (7-8% e strappi a due cifre, questa l'entità della mia importanza) sono molto positive. Mi sembra di essere più forte del solito, meno preoccupato delle cifre sul ciclocomputer. Torno a casa, controllo i tempi su Strava e confermano le sensazioni positive di prima: ho limato diverse decine di secondi in diversi tratti, addirittura un paio di minuti su un tratto di cinque chilometri abbondanti, caratterizzato da salite poco rilevanti all'inizio e alla fine.

Parentesi Strava: sono un maniaco delle cifre, inseguo le prestazioni, voglio confrontarmi con gli altri? Niente di tutto questo: l'unico confronto è col me stesso delle uscite precedenti, voglio giusto capire se il mio corpo sia capace di reggere i ritmi degli anni passati (pochi in verità, ho iniziato tardissimo e solo qualche anno fa) senza venir schiacciato eccessivamente dall'età che avanza. In qualche modo, non posso lamentarmi: sembra tutto stabile, non miglioro ma neanche peggioro. Ecco che questa uscita particolarmente piacevole mi insospettisce, voglio capire cosa sia successo.

La bicicletta è sempre quella, non ho comprato abbigliamento tecnico (giro sempre conciato pressapoco come Hammerin' Harry), non ho goduto di vento a favore, non son partito col serbatoio pieno (non faccio colazione)... senza tirarla troppo per le lunghe, la conclusione più probabile è stata una notte di sonno decente.

Dormo poco e male quasi sempre, pochissimo e malissimo in estate. Mi giro e mi rigiro, mi sveglio spesso e sveglio resto anche per ore, insomma: un disastro. Stavolta, invece, son riuscito a farmi quelle poche ore di sonno tranquille, tutte di fila, senza incubi, sussulti.

Penso sia questo l'unico scenario possibile.


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Siamo a Valle Marina, una delle frazioni di Monte San Biagio. Una zona di campagna, senza attrazioni particolari ma dove è molto piacevole pedalare, affrontando pendenze poco impegnative (generalmente), circondati da una natura non eccessivamente antropizzata, con pochi agglomerati veri e propri di abitazioni che cedono presto il passo alle singole abitazioni.

Che si provenga da Fondi, Terracina o Monte San Biagio, l’accesso principale è sempre lo stesso: l’incrocio che dalla SS 7 Appia immette in via Macchioni, all’altezza del cimitero di Monte San Biagio. Volendo, da Terracina è possibile accedere sia da via Epitaffio, strada non asfaltata, che da via di Mezzo, 500 metri più avanti. Provenendo da Fondi, è possibile evitare la maggior parte del tratto sulla statale seguendo due percorsi: il primo, consiste nella sequenza via San Magno, via Rene, via Provinciale San Magno, viale Europa e, infine, 2,7 km di statale, fino a via Macchioni.
L’altra strada passa per le vie parallele ai binari: via della Ferrovia, via Sotto Ferrovia, via Parallela della Stazione e, infine, via Bufalari per immettersi sulla SS 7, tornare indietro di circa 300 metri e poi inserirsi in via Macchioni.
Ahinoi, questa opzione prevede possibili incontri con cani, mi è capitato di imbattermi in due maremmani: uno tranquillo e disinteressato, l’altro scappato da una recinzione e molto aggressivo, che ha tentato di aggredirmi nonostante fosse presente il proprietario, che cercava di calmarlo senza alcun risultato.

Il tratto iniziale, via Macchioni, è sostanzialmente pianeggiante, con qualche salita e discesa di lieve entità. Arrivati alla rotonda, per avvicinarci alla destinazione di oggi dobbiamo girare a sinistra, oltrepassare il ponticello della ferrovia, girare ancora a sinistra e procedere fino all’incrocio con via Chivi e seguire questa strada fino a raggiungere, appunto, via Epitaffio.

La torre dell’epitaffio è la nostra meta; vi troviamo una piccola area di ristoro con un paio di tavoli e una panchina, a pochi metri da una stradina nel bosco che fa parte della via Francigena.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Terreno e altimetria:
Il breve tratto che ci interessa non è adatto alle bici da strada: almeno una gravel, meglio una MTB. Si pedala sulla ghiaia per buona parte del tempo, ma alcuni tratti sono abbastanza critici per la presenza di ciottoli di dimensioni importanti, uniti alla velocità sostenuta offerta gratuitamente dalle discesine pepate.
Molto facile cadere, se non si è abbastanza padroni del mezzo: solo per puro caso non son caduto più volte e, quando qualcosa mi ha detto che sarei rovinato a terra di sicuro, mi son fermato bruscamente per mettere i piedi a terra, la qual cosa è avvenuta contemporaneamente a un salto di catena.
Col senno di poi, ho rifatto quelle parti, al ritorno, spingendo a mano la bicicletta. Non sono un esperto e non ho voluto fare l’eroe.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Niente di particolare da segnalare, oltre alle difficoltà già descritte.
Non incontrerete gruppi di ciclisti, probabilmente non ne incontrerete neanche uno, se non dopo esser tornati sulla SS 7; in ogni caso, non si è in mezzo al nulla e ci sono case abitate lungo tutto il tragitto.
Cani aggressivi non ne ho mai incontrati, anzi: fate attenzione a eventuali gatti e cani di piccola sdraiati in mezzo alla strada, intenti a godersi la tranquillità del posto.

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La salita per Lenola è una costante di parecchi giri in bicicletta della zona, sia per la salita in sé che come tratto di trasferimento, per raggiungere Lenola e poi proseguire per altre mete, come Vallecorsa, Castro dei Volsci e, in questo caso, Pico.

La salita vera e propria inizia all’incrocio tra la SR 637, via Provinciale per Lenola, e via Sant’Oliva, ovvero la SP 94 che inizia a Monte San Biagio, all’altezza del ristorante “Al Boschetto”.
Provenendo dalla zona di Terracina, è possibile percorrere la via Appia, SS 7, fino, appunto, a Monte San Biagio e la SP 94, oppure procedere sempre sulla statale fino a Fondi e all’intersezione con la SR 637 che, appunto, porta alla salita.
Dal centro di Fondi, oltre che dalla SR 637, è possibile iniziare dalla salita del Cocuruzzo, continuando poi per via Sagliutola e, infine, per la Provinciale per Lenola.

La strada di elezione, comunque, è quella che inizia dall’incrocio con via Sant’Oliva, ed è pure il tratto ufficialmente contemplato su Strava. Ci troviamo su una classica strada provinciale del Centro-Sud, piuttosto larga, in questo caso, solitamente sempre con un lato esposto al sole fino a Lenola. Qualche curvone e poche curve, nessuna delle quali realmente chiusa, ci conducono senza possibilità di errore fino alla fine della salita, all’incrocio di Lenola. Prendendo la strada a destra, inizia la via che ci avvicina a Pico, sostanzialmente una lunga discesa inframezzata da tratti in salita, fino all’incrocio nel punto dove la provincia di Latina cede il passo a quella di Frosinone. A destra, Campodimele e Itri; a sinistra, Pico, ed è li che continuiamo.
La ricetta è invariata: discese, salite, ancora discese, poi l’ultimo tratto in salita ci porta in paese.

Dopo aver oltrepassato la parte più recente, possiamo svoltare a destra e avventurarci nel borgo vero e proprio, ma è un itinerario che merita sicuramente di essere percorso a piedi. Proseguendo a sinistra, invece, ci ritroviamo dopo poco alla fine del comune, sulla strada per San Giovanni Incarico; io, invece, ho percorso la strada al contrario e son tornato a casa.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Dovrebbero essercene diverse a Pico, ho conoscenza diretta solo di quella in cima alla salita dopo la casa comunale. Ce ne saranno anche nella parte urbanizzata di Lenola, zona non toccata da questo giro.

Terreno e altimetria:
Il piatto forte del percorso è, ovviamente, la salita di Lenola: 7,5 km a una pendenza media del 4,4%, secondo Strava. Le percentuali più frequenti oscillano dal 4 al 6%, con qualche impennata in prossimità dei tornanti, attorno al 7-8% per qualche decina di metri.
Approssimativamente, sono queste le pendenze che affronteremo lungo tutto il percorso, quindi non sono richiesti rapporti particolarmente agili. Bici da strada, gravel o mountain bike, tutto fa brodo.
L’asfalto, anche stavolta, non è dei migliori, specie nel tratto tra Lenola e Pico: crepe, rattoppi su rattoppi, preparatevi a qualche sobbalzo di troppo.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi: in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.
Molte zone antropizzate nel percorso, non si pedala in una landa desolata.
Non ho mai incontrato cani aggressivi o anche solo fastidiosi, ma attenzione a eventuali attraversamenti di volpi o cinghiali.

Variazioni del percorso:
Nessuna rilevante, se volete percorrere il tratto classico; tuttavia, è possibile raggiungere Lenola seguendo percorsi alternativi, come per esempio da via delle Fate, via Vignolo o dalla contrada di Passignano. Sono strade sicuramente meno trafficate, con maggiori possibilità di incontrare animali vaganti e con uno o più tratti in forte pendenza.

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La zona di San Vito, nel territorio di Monte San Biagio, è ottima per pedalare nella natura, con percorsi in grado di soddisfare più tipologie di ciclisti.
Nel giro odierno, ho raggiunto la celebre Sughereta, proseguendo per via San Candido (attenzione alla breve rampa finale, con pendenze superiori al 17%), via Limatella e via Durante, la strada che conduce a uno degli alberi monumentali del Lazio, un leccio dalle dimensioni davvero ragguardevoli per la sua specie.

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Alcuni clienti sanno di abitare in posti difficili da raggiungere o da identificare: vialetti privati, numerazioni fantasiose e simili. Bontà loro, aggiungono delle indicazioni specifiche per la consegna e, ovviamente, il corriere di turno non può che esserne lieto.

Ma. Avete presente gli anglosassoni, quando dicono “BUT” e si fermano un'ora e mezza, per sottolineare l'importanza della rivelazione seguente? Niente di così teatrale, è una cosa che mi infastidisce pure notevolmente. Teatro o no, alcuni clienti aggiungono precisazioni difficili da interpretare, superflue o, semplicemente, depistanti. Il caso di stasera.

Edificio grosso di mattoni: questa l'indicazione, l'aiutino. Arrivo nelle vicinanze, cerco di leggere le targhette dei civici in una strada, come tante, mal servita dall'illuminazione stradale, cerco questo grosso edificio di mattoni. Da una casetta piccola intonacata esce un tizio è urla “qui, qui!”: non sono un architetto o un ingegnere, non lavoro nell'edilizia, ma saprei distinguere un edificio grosso di mattoni da una casetta intonacata al piano terra. Comunque, consegna effettuata.

Come dice il detto: “Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri un edificio grande in mattoni.”


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È la strada che conduce alla parte più alta di Vallemarina, una delle frazioni di Monte San Biagio. Una zona di campagna, senza attrazioni particolari ma dove è molto piacevole pedalare, affrontando pendenze poco impegnative (generalmente), circondati da una natura non eccessivamente antropizzata, con pochi agglomerati veri e propri di abitazioni che cedono presto il passo alle singole abitazioni.

Che si provenga da Fondi, Terracina o Monte San Biagio, l’accesso principale è sempre lo stesso: l’incrocio che dalla SS 7 Appia immette in via Macchioni, all’altezza del cimitero di Monte San Biagio. Volendo, da Terracina è possibile accedere sia da via Epitaffio, strada non asfaltata, che da via di Mezzo, 500 metri più avanti. Provenendo da Fondi, è possibile evitare la maggior parte del tratto sulla statale seguendo due percorsi: il primo, consiste nella sequenza via San Magno, via Rene, via Provinciale San Magno, viale Europa e, infine, 2,7 km di statale, fino a via Macchioni.
L’altra strada passa per le vie parallele ai binari: via della Ferrovia, via Sotto Ferrovia, via Parallela della Stazione e, infine, via Bufalari per immettersi sulla SS 7, tornare indietro di circa 300 metri e poi inserirsi in via Macchioni.
Ahinoi, questa opzione prevede possibili incontri con cani, mi è capitato di imbattermi in due maremmani: uno tranquillo e disinteressato, l’altro scappato da una recinzione e molto aggressivo, che ha tentato di aggredirmi nonostante fosse presente il proprietario, che cercava di calmarlo senza alcun risultato.

Il tratto iniziale, via Macchioni, è sostanzialmente pianeggiante, con qualche salita e discesa di lieve entità. Dopo 1 km abbondante, c’è il primo incrocio e, volendo, potete andare a destra per percorrere qualche stradina secondaria, per il gusto di farlo.
Per arrivare in via Viola, invece, dovete semplicemente proseguire sempre dritto, seguendo quella che sembrerebbe una strada principale. Lo è.
A un certo punto, ci si imbatte nell’incrocio con via Cervelloni o Cervellone: la toponomastica ufficiale dovrebbe essere al plurale, ma l’indicazione è al singolare, quindi chissà; in ogni caso, svoltando a sinistra si raggiunge uno spiazzo dominato da una fontanella, appunto Fontana di Cervellone.
Proseguendo dritti, invece, siamo finalmente in via Valle Viola, dove la salita vera e propria inizia.

Finite le salitone, brevi ma intensissime nella parte conclusiva, si giunge all’incrocio con via Pozzo Cipolla ed è lì che termina questo itinerario. A destra, via Valle Viola prosegue ancora per un po’, finendo nei cortili di alcune abitazioni; continuando a sinistra, ci imbattiamo in una sbarra con divieto di accesso ai veicoli. Eppure, sembra che non tutti i ciclisti rispettino il segnale, probabilmente usufruendo del cancelletto pedonale alla destra della sbarra, superato il quale ci si dovrebbe immettere su una strada sterrata per poi raggiungere il pozzo che dà il nome alla via, evidentemente locato in una proprietà privata.

Dopo aver percorso il tragitto al contrario, ci si ritrova all’incrocio di via Macchioni con la SS 7 Appia, dove scegliere di proseguire per Terracina, Monte San Biagio o Fondi (rifacendo il percorso inverso o passando per le zone del lago).

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Percorrendo via Provinciale San Magno, ci imbattimo alla solita fontanella al semaforo. Come anticipato, nello spiazzo di via Cervelloni ne troviamo un’altra, non so se sia potabile o no. Dovrebbe: non ci sono indicazioni contrarie, comunque non me ne sono mai servito.

Terreno e altimetria:
Secondo Strava, via Valle Viola è una salita di 4,14 km, pendenza media del 5,6%: non ho particolare motivo di dubitarne, ma questo valore può trarre in inganno sulla difficoltà complessiva. Le pendenze sono moderatamente dolci per buona parte del tempo, con qualche breve rampa all’8-10% e un po’ di saliscendi.
Il tratto più difficile ci attende alla fine, con pendenze a due cifre in alcune rampe, anche del 15%: non nego di essermi fermato, una volta, per abbassare il ritmo cardiaco, prima di ripartire per le ultime centinaia di metri. Per i ciclisti meno allenati, come me, consigliati rapporti molto agili, da mountain bike.
L’asfalto è molto buono all’inizio, in via Macchioni, poi diventa progressivamente meno curato, con un numero di solchi e rattoppi crescente. Vista la scarsità di traffico, difficilmente il manto stradale sarà rifatto a breve.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
In salita, poco da segnalare, a parte l’asfalto poco curato di prima. La discesa è da affrontare con cautela nella parte iniziale, per via delle pendenze elevate che vi catapultano velocemente a circa 50 kmh: ci sono alcuni incroci, curve su carreggiate strette con scarsa visibilità e tratti di strada con della ghiaia di troppo, quindi meglio procedere con cautela e evitare inchiodate coi freni, perdite di aderenza o incontri troppo ravvicinati coi pochi automezzi in circolazione.
Non incontrerete gruppi di ciclisti, probabilmente non ne incontrerete neanche uno, se non dopo esser tornati sulla SS 7; in ogni caso, non si è in mezzo al nulla e ci sono case abitate lungo tutto il tragitto.
Cani aggressivi non ne ho mai incontrati, anzi: fate attenzione a eventuali gatti e cani di piccola sdraiati in mezzo alla strada, intenti a godersi la tranquillità del posto.

Variazioni del percorso:
La salita di via Valle Viola presenta un solo versante e non c’è altro modo di percorrerla; tuttavia, siete liberi di perdervi nelle stradine laterali che la precedono, quelle senza via d’uscita sono poche.

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La Sughereta di San Vito (coordinate) è un’area naturale ai piedi del Monte Calvo, nel territorio di Monte San Biagio, piccolo comune dal caratteristico borgo medioevale, parte del comune di Fondi fino all’unità d’Italia, col nome di Monticelli. È la più estesa sughereta dell’Italia peninsulare ed è un posto perfetto per dei giri in bicicletta.

È raggiungibile, partendo dal centro di Fondi, percorrendo via San Magno prima (la strada che parte dall’ospedale e giunge fino al Monastero che dà il nome alla zona) e via Rene poi, verso Monte San Biagio; giunti all’incrocio col semaforo, svoltare a destra e andare sempre dritti.
Scendendo da Lenola, dalla SR 637, bisogna svoltare a destra e seguire via Sant’Oliva prima e Colle Troiano poi, fino a raggiungere via Rene e l’incrocio col semaforo.

La strada è pianeggiante fino all’inizio di via Vetica, poi arrivano le salite di diverse intensità, a seconda delle strade scelte. Le vie principali della zona sono via Vetica, via La Vecchia, via Limatella, via San Candido, via Amerone e Via Dupante.
Via Amerone è da evitare: pendenze molto elevate in entrambi i sensi, fondo a tratti privo di asfalto e ricoperto di rocce aguzze.

Via Dupante, subito dopo la Sughereta, è una strada senza uscita con poco asfalto e molto cemento senza uscita, lunga circa 1,5 km, salita moderata con una o due rampe; giunti quasi alla fine, possiamo ammirare uno degli alberi monumentali d’Italia.

All’incrocio con via Dupante, troviamo il proseguimento di via Vetica, ed è lì che iniziano le salite: come considerazione generale, ne incontrerete di più ardue tenendo la sinistra, ovvero percorrendo tutta via Vetica fino in cima, all’intersezione con via delle Fate, ai piedi del monte omonimo. Nel caso vogliate scegliere questa strada, affronterete una salita che solo i più allenati riusciranno a fare in un solo fiato. Io no: con le mie gambe e i miei rapporti devo fermarmi un paio di volte. I punti più difficili sono, appunto, due: il primo, un tornante micidiale poco prima della strada che porta all’Azienda Equituristica Sughereta, che spezza letteralmente il fiato ai ciclisti meno allenati; la seconda pendenza molto impegnativa è in cima, subito prima di scollinare, prima di scendere per poi risalire brevemente e, infine, scendere a velocità folle per l’altro versante via Vetica.
Il consiglio, per il ciclista della domenica, è di proseguire per via Vetica fino a imboccare via San Candido e poi scendere per via Limatella, sia imboccando la prima discesa a destra che continuando a sinistra. Attenzione: il breve tratto di via San Candido è decisamente tosto, quindi innestate una marcia sufficientemente bassa prima di affrontarlo, per non ritrovarvi a pedalare con cadenze da Tour de France del 1910 sul tratto finale della rampa, poche decine di metri ma con pendenze decisamente importanti.
Attenzione anche alla discesa: se, come me, non siete maestri nel governare il mezzo, meglio evitare di andare a briglia sciolta, specie dopo il passaggio da via Limatella a via La Vecchia. Vi aspettano, infatti, due curve, una dopo l’altra, praticamente a 180° e con pendenze attorno al 14%, almeno. Da fare con freni a disco o, in mancanza, freni a pattino in perfetto stato di manutenzione.

Alla fine di via La Vecchia, potrete svoltare a sinistra per una visita a Cascata San Vito, nello spiazzo di Fontana Villa San Vito. Si tratta di un’area con un paio di tavoli per picnic, una rastrelliera per parcheggiare le bici e tre fontane, a dire il vero sempre chiuse negli ultimi tempi, alle spalle delle quali scorre un torrente generato dalla suddetta cascatella artificiale.

Diversamente, svoltando a destra raggiungerete via località San Vito e, dopo poco, un altro bivio: sulla destra, la salita breve e intensa di via Madonna della Ripa, che porta a Monte San Biagio e, a destra, via Carro, che ci conduce all’incrocio col semaforo visto all’inizio.

Nel mio giro odierno, ho attraversato Monte San Biagio, percorrendo la discesa di viale Europa per poi immettermi, dopo il semaforo, in via Mare, una delle strade della piana di Fondi dalle parti del lago e dei suoi affluenti. Tutto pianeggiante, tutto silenzioso: la quiete del posto è movimentata solo dai versi della fauna locale, gli uccelli di varie specie e gli anfibi che gracidano nei canali.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Ce ne sono diverse. La prima, è al famoso incrocio col semaforo. Successivamente, ci sarebbero le fontanelle di Villa San Vito, ma sono solitamente chiuse, quindi la prossima è poco distante, Fontana del Vescovo, nei pressi dell’omonima traversa senza uscita. Ancora più avanti, ne troverete una all’incrocio tra via Vetica e via San Candido.
Infine, al ritorno ne troverete un’altra a Monte San Biagio, esattamente di fronte alla casa comunale.

Terreno e altimetria:
Questa zona è fattibile con qualsiasi bici da strada, gravel o mountain bike; il manto stradale, seppur non dei migliori, è sempre asfaltato. La gamma di pendenze è abbastanza ampia: si passa dal piano a inclinazioni di media intensità (5-6% in gener, con strappi fino al 10%), alla doppia cifra importante di alcuni tratti e dei tornanti (12-15% e oltre, seppur per pochi metri. Ricordiamo: stiamo evitando le salite importanti di via Vetica. I tratti più impegnativi, quindi, li affrontiamo in via San Candido e via Madonna della Ripa.

*Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:*
La discesa non può definirsi tecnica, ma attenzione alla velocità eccessiva prima di dei curvoni a U: ne incontreremo due scendendo da via Limatella, dopo un lungo rettilineo, quindi attenzione a frenare in tempo e gradualmente per non inchiodare e scodare. Altri curvoni a U nella discesa da Monte San Biagio: in quel caso, essendo le pendenze attorno al 4%, la velocità sarà minore, ma maggiore sarà la probabilità di incontrare automobili.
Ho incontrato, una volta, due cani aggressivi: domestici, a guardia di una villetta in cima alla salita di via Vetica, poco dopo via delle Fate. Un pastore maremmano (con quelli c’è sempre da stare attenti) e un suo compare, parimenti massiccio e pericoloso; sono stato pure inseguito per un tratto, ma la discesa mi ha permesso di distanziarli. Giusto prima di uno strappo in salita, che mi avrebbe rallentato enormemente.
Altri cani domestici, ma di piccola taglia e generalmente confinati in giardini, popolano la zona. Abbaieranno attraverso reti e cancelli o, al massimo, vi seguiranno abbaiando per una decina di metri.
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi: in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.

Variazioni del percorso:
Volendo, le strade in zona Sughereta si possono affrontare in ordine sparso: per esempio, salendo per via Limatella (più impegnativa), per poi scendere per via San Candido, iniziare la salita da via La Vecchia eccetera.
Al ritorno, nel caso vogliate passare dalle parti del lago, sono a vostra disposizione anche strade alternative, sterrate: mettete in conto la possibilità di sporcarvi di polvere e fango, nel caso abbia piovuto di recente.

Tutto il percorso è fattibile da chiunque sia un minimo allenato, con rapporti minimi attorno all’1:1; i ciclisti veri, ovviamente, non avranno problemi a terminarlo con rapporti molto più aggressivi.

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Le avrete sicuramente incrociate sulle strade che portano alla campagna. Non hanno un'età definibile, almeno 70 anni e potrebbero esserne 100.

Girano su biciclette loro coetanee, rigorosamente a rapporto singolo, con una catena che è un pezzo di ruggine unico, potrebbe stare in piedi senza afflosciarsi. Uno o più portapacchi, solitamente sormontati da cassette della frutta ricolme dei materiali più pesanti esistenti in natura. L'abbigliamento è in linea, quindi non esattamente tecnico: fazzolettone come una bandana, vestitino a fiori su maglia di cotone o lana, dipende dalla temperatura; a volte, anche un grembiule. Calze sfilacciate al ginocchio, stivali di gomma o zoccoli di legno massiccio. Quando fa freddo, calzettoni da tennis del mercato o fatti personalmente all'uncinetto.

E su questi mezzi che sfidano l'erosione del tempo, nell'uniforme di chi ha sempre lavorato sodo senza mai lamentarsene, se non per celia, affrontano qualsiasi pendenza pedalando sempre allo stesso ritmo, si tratti di una rampa paurosa da Vuelta a España o di una discesa che atleti professionisti farebbero schiacciati sul telaio.

Vanno per i fatti loro, cadenza uniforme e velocità media immutabile, con una catasta di legna per l'inverno nel cestello anteriore e una damigiana di vino da 54 litri, piena, sul portapacchi. Le leggi della fisica e i watt sono per la gente che ha tempo da perdere su Strava.


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La salita per Lenola è una costante di parecchi giri in bicicletta della zona, sia per la salita in sé che come tratto di trasferimento, per raggiungere Lenola e poi proseguire per altre mete, Pico, Castro dei Volsci e, in questo caso, Vallecorsa.

La salita vera e propria inizia all’incrocio tra la SR 637, via Provinciale per Lenola, e via Sant’Oliva, ovvero la SP 94 che inizia a Monte San Biagio, all’altezza del ristorante “Al Boschetto”.
Provenendo dalla zona di Terracina, è possibile percorrere la via Appia, SS 7, fino, appunto, a Monte San Biagio e la SP 94, oppure procedere sempre sulla statale fino a Fondi e all’intersezione con la SR 637 che, appunto, porta alla salita.
Dal centro di Fondi, oltre che dalla SR 637, è possibile iniziare dalla salita del Cocuruzzo, continuando poi per via Sagliutola e, infine, per la Provinciale per Lenola.

La strada di elezione, comunque, è quella che inizia dall’incrocio con via Sant’Oliva, ed è pure il tratto ufficialmente contemplato su Strava. Ci troviamo su una classica strada provinciale del Centro-Sud, piuttosto larga, in questo caso, solitamente sempre con un lato esposto al sole fino a Lenola. Qualche curvone e poche curve, nessuna delle quali realmente chiusa, ci conducono senza possibilità di errore fino alla fine della salita, all’incrocio di Lenola.

Prendendo la strada a sinistra, inizia la via che ci avvicina a Vallecorsa, dopo aver attraversato l’intero abitato di Lenola. Poco dopo il cartello che annuncia la fine del territorio comunale, c’è un incrocio che a destra conduce prima a loc. Ambrifi e poi, eventualmente, a Pastena.
Per seguire il nostro percorso, invece, si tratta, semplicemente, di seguire la strada principale, la SR 637, fino a destinazione.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Una, di sicuro, all’ingresso del centro abitato di Vallecorsa. Dovrebbero essercene nella parte urbanizzata di Lenola, non ci ho ancora fatto caso.

Terreno e altimetria:
Il piatto forte del percorso è, ovviamente, la salita di Lenola: 7,5 km a una pendenza media del 4,4%, secondo Strava. Le percentuali più frequenti oscillano dal 4 al 6%, con qualche impennata in prossimità dei tornanti, attorno al 7-8% per qualche decina di metri.
Dopo l’incrocio che immette nel centro di Lenola, la salita continua, con pendenze massime attorno al 4%, fino a località Quercia del Monaco, superata la quale inizia la discesa per Vallecorsa, con brevi tratti in salita al 2-4%.
Approssimativamente, sono queste le pendenze che affronteremo lungo tutto il percorso, quindi non sono richiesti rapporti particolarmente agili. Bici da strada, gravel o mountain bike, tutto fa brodo.
L’asfalto non è dei peggiorni, ma neanche dei migliori.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi e, in particolar modo, dopo aver oltrepassato lenola: anche decine e decine; in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.
Il tratto tra Lenola e Vallecorsa è desolato.
Non ho mai incontrato cani aggressivi o anche solo fastidiosi, ma attenzione a eventuali attraversamenti di volpi o cinghiali.
Il pericolo vero sono i motociclisti, che sfrecciano a velocità da ritiro della patente.

Variazioni del percorso:
Nessuna rilevante, se volete percorrere il tratto classico; tuttavia, è possibile raggiungere Lenola seguendo percorsi alternativi, come per esempio da via delle Fate, via Vignolo o dalla contrada di Passignano. Sono strade sicuramente meno trafficate, con maggiori possibilità di incontrare animali vaganti e con uno o più tratti in forte pendenza.

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