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La bicicletta. Per lavoro. Per svago. Per sport. Per celia.


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La Sughereta di San Vito (coordinate) è un’area naturale ai piedi del Monte Calvo, nel territorio di Monte San Biagio, piccolo comune dal caratteristico borgo medioevale, parte del comune di Fondi fino all’unità d’Italia, col nome di Monticelli. È la più estesa sughereta dell’Italia peninsulare ed è un posto perfetto per dei giri in bicicletta.

È raggiungibile, partendo dal centro di Fondi, percorrendo via San Magno prima (la strada che parte dall’ospedale e giunge fino al Monastero che dà il nome alla zona) e via Rene poi, verso Monte San Biagio; giunti all’incrocio col semaforo, svoltare a destra e andare sempre dritti.
Scendendo da Lenola, dalla SR 637, bisogna svoltare a destra e seguire via Sant’Oliva prima e Colle Troiano poi, fino a raggiungere via Rene e l’incrocio col semaforo.

La strada è pianeggiante fino all’inizio di via Vetica, poi arrivano le salite di diverse intensità, a seconda delle strade scelte. Le vie principali della zona sono via Vetica, via La Vecchia, via Limatella, via San Candido, via Amerone e Via Dupante.
Via Amerone è da evitare: pendenze molto elevate in entrambi i sensi, fondo a tratti privo di asfalto e ricoperto di rocce aguzze.

Via Dupante, subito dopo la Sughereta, è una strada senza uscita con poco asfalto e molto cemento senza uscita, lunga circa 1,5 km, salita moderata con una o due rampe; giunti quasi alla fine, possiamo ammirare uno degli alberi monumentali d’Italia.

All’incrocio con via Dupante, troviamo il proseguimento di via Vetica, ed è lì che iniziano le salite: come considerazione generale, ne incontrerete di più ardue tenendo la sinistra, ovvero percorrendo tutta via Vetica fino in cima, all’intersezione con via delle Fate, ai piedi del monte omonimo. Nel caso vogliate scegliere questa strada, affronterete una salita che solo i più allenati riusciranno a fare in un solo fiato. Io no: con le mie gambe e i miei rapporti devo fermarmi un paio di volte. I punti più difficili sono, appunto, due: il primo, un tornante micidiale poco prima della strada che porta all’Azienda Equituristica Sughereta, che spezza letteralmente il fiato ai ciclisti meno allenati; la seconda pendenza molto impegnativa è in cima, subito prima di scollinare, prima di scendere per poi risalire brevemente e, infine, scendere a velocità folle per l’altro versante via Vetica.
Il consiglio, per il ciclista della domenica, è di proseguire per via Vetica fino a imboccare via San Candido e poi scendere per via Limatella, sia imboccando la prima discesa a destra che continuando a sinistra. Attenzione: il breve tratto di via San Candido è decisamente tosto, quindi innestate una marcia sufficientemente bassa prima di affrontarlo, per non ritrovarvi a pedalare con cadenze da Tour de France del 1910 sul tratto finale della rampa, poche decine di metri ma con pendenze decisamente importanti.
Attenzione anche alla discesa: se, come me, non siete maestri nel governare il mezzo, meglio evitare di andare a briglia sciolta, specie dopo il passaggio da via Limatella a via La Vecchia. Vi aspettano, infatti, due curve, una dopo l’altra, praticamente a 180° e con pendenze attorno al 14%, almeno. Da fare con freni a disco o, in mancanza, freni a pattino in perfetto stato di manutenzione.

Alla fine di via La Vecchia, potrete svoltare a sinistra per una visita a Cascata San Vito, nello spiazzo di Fontana Villa San Vito. Si tratta di un’area con un paio di tavoli per picnic, una rastrelliera per parcheggiare le bici e tre fontane, a dire il vero sempre chiuse negli ultimi tempi, alle spalle delle quali scorre un torrente generato dalla suddetta cascatella artificiale.

Diversamente, svoltando a destra raggiungerete via località San Vito e, dopo poco, un altro bivio: sulla destra, la salita breve e intensa di via Madonna della Ripa, che porta a Monte San Biagio e, a destra, via Carro, che ci conduce all’incrocio col semaforo visto all’inizio.

Nel mio giro odierno, ho attraversato Monte San Biagio, percorrendo la discesa di viale Europa per poi immettermi, dopo il semaforo, in via Mare, una delle strade della piana di Fondi dalle parti del lago e dei suoi affluenti. Tutto pianeggiante, tutto silenzioso: la quiete del posto è movimentata solo dai versi della fauna locale, gli uccelli di varie specie e gli anfibi che gracidano nei canali.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Ce ne sono diverse. La prima, è al famoso incrocio col semaforo. Successivamente, ci sarebbero le fontanelle di Villa San Vito, ma sono solitamente chiuse, quindi la prossima è poco distante, Fontana del Vescovo, nei pressi dell’omonima traversa senza uscita. Ancora più avanti, ne troverete una all’incrocio tra via Vetica e via San Candido.
Infine, al ritorno ne troverete un’altra a Monte San Biagio, esattamente di fronte alla casa comunale.

Terreno e altimetria:
Questa zona è fattibile con qualsiasi bici da strada, gravel o mountain bike; il manto stradale, seppur non dei migliori, è sempre asfaltato. La gamma di pendenze è abbastanza ampia: si passa dal piano a inclinazioni di media intensità (5-6% in gener, con strappi fino al 10%), alla doppia cifra importante di alcuni tratti e dei tornanti (12-15% e oltre, seppur per pochi metri. Ricordiamo: stiamo evitando le salite importanti di via Vetica. I tratti più impegnativi, quindi, li affrontiamo in via San Candido e via Madonna della Ripa.

*Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:*
La discesa non può definirsi tecnica, ma attenzione alla velocità eccessiva prima di dei curvoni a U: ne incontreremo due scendendo da via Limatella, dopo un lungo rettilineo, quindi attenzione a frenare in tempo e gradualmente per non inchiodare e scodare. Altri curvoni a U nella discesa da Monte San Biagio: in quel caso, essendo le pendenze attorno al 4%, la velocità sarà minore, ma maggiore sarà la probabilità di incontrare automobili.
Ho incontrato, una volta, due cani aggressivi: domestici, a guardia di una villetta in cima alla salita di via Vetica, poco dopo via delle Fate. Un pastore maremmano (con quelli c’è sempre da stare attenti) e un suo compare, parimenti massiccio e pericoloso; sono stato pure inseguito per un tratto, ma la discesa mi ha permesso di distanziarli. Giusto prima di uno strappo in salita, che mi avrebbe rallentato enormemente.
Altri cani domestici, ma di piccola taglia e generalmente confinati in giardini, popolano la zona. Abbaieranno attraverso reti e cancelli o, al massimo, vi seguiranno abbaiando per una decina di metri.
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi: in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.

Variazioni del percorso:
Volendo, le strade in zona Sughereta si possono affrontare in ordine sparso: per esempio, salendo per via Limatella (più impegnativa), per poi scendere per via San Candido, iniziare la salita da via La Vecchia eccetera.
Al ritorno, nel caso vogliate passare dalle parti del lago, sono a vostra disposizione anche strade alternative, sterrate: mettete in conto la possibilità di sporcarvi di polvere e fango, nel caso abbia piovuto di recente.

Tutto il percorso è fattibile da chiunque sia un minimo allenato, con rapporti minimi attorno all’1:1; i ciclisti veri, ovviamente, non avranno problemi a terminarlo con rapporti molto più aggressivi.

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Le avrete sicuramente incrociate sulle strade che portano alla campagna. Non hanno un'età definibile, almeno 70 anni e potrebbero esserne 100.

Girano su biciclette loro coetanee, rigorosamente a rapporto singolo, con una catena che è un pezzo di ruggine unico, potrebbe stare in piedi senza afflosciarsi. Uno o più portapacchi, solitamente sormontati da cassette della frutta ricolme dei materiali più pesanti esistenti in natura. L'abbigliamento è in linea, quindi non esattamente tecnico: fazzolettone come una bandana, vestitino a fiori su maglia di cotone o lana, dipende dalla temperatura; a volte, anche un grembiule. Calze sfilacciate al ginocchio, stivali di gomma o zoccoli di legno massiccio. Quando fa freddo, calzettoni da tennis del mercato o fatti personalmente all'uncinetto.

E su questi mezzi che sfidano l'erosione del tempo, nell'uniforme di chi ha sempre lavorato sodo senza mai lamentarsene, se non per celia, affrontano qualsiasi pendenza pedalando sempre allo stesso ritmo, si tratti di una rampa paurosa da Vuelta a España o di una discesa che atleti professionisti farebbero schiacciati sul telaio.

Vanno per i fatti loro, cadenza uniforme e velocità media immutabile, con una catasta di legna per l'inverno nel cestello anteriore e una damigiana di vino da 54 litri, piena, sul portapacchi. Le leggi della fisica e i watt sono per la gente che ha tempo da perdere su Strava.


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La salita per Lenola è una costante di parecchi giri in bicicletta della zona, sia per la salita in sé che come tratto di trasferimento, per raggiungere Lenola e poi proseguire per altre mete, Pico, Castro dei Volsci e, in questo caso, Vallecorsa.

La salita vera e propria inizia all’incrocio tra la SR 637, via Provinciale per Lenola, e via Sant’Oliva, ovvero la SP 94 che inizia a Monte San Biagio, all’altezza del ristorante “Al Boschetto”.
Provenendo dalla zona di Terracina, è possibile percorrere la via Appia, SS 7, fino, appunto, a Monte San Biagio e la SP 94, oppure procedere sempre sulla statale fino a Fondi e all’intersezione con la SR 637 che, appunto, porta alla salita.
Dal centro di Fondi, oltre che dalla SR 637, è possibile iniziare dalla salita del Cocuruzzo, continuando poi per via Sagliutola e, infine, per la Provinciale per Lenola.

La strada di elezione, comunque, è quella che inizia dall’incrocio con via Sant’Oliva, ed è pure il tratto ufficialmente contemplato su Strava. Ci troviamo su una classica strada provinciale del Centro-Sud, piuttosto larga, in questo caso, solitamente sempre con un lato esposto al sole fino a Lenola. Qualche curvone e poche curve, nessuna delle quali realmente chiusa, ci conducono senza possibilità di errore fino alla fine della salita, all’incrocio di Lenola.

Prendendo la strada a sinistra, inizia la via che ci avvicina a Vallecorsa, dopo aver attraversato l’intero abitato di Lenola. Poco dopo il cartello che annuncia la fine del territorio comunale, c’è un incrocio che a destra conduce prima a loc. Ambrifi e poi, eventualmente, a Pastena.
Per seguire il nostro percorso, invece, si tratta, semplicemente, di seguire la strada principale, la SR 637, fino a destinazione.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Una, di sicuro, all’ingresso del centro abitato di Vallecorsa. Dovrebbero essercene nella parte urbanizzata di Lenola, non ci ho ancora fatto caso.

Terreno e altimetria:
Il piatto forte del percorso è, ovviamente, la salita di Lenola: 7,5 km a una pendenza media del 4,4%, secondo Strava. Le percentuali più frequenti oscillano dal 4 al 6%, con qualche impennata in prossimità dei tornanti, attorno al 7-8% per qualche decina di metri.
Dopo l’incrocio che immette nel centro di Lenola, la salita continua, con pendenze massime attorno al 4%, fino a località Quercia del Monaco, superata la quale inizia la discesa per Vallecorsa, con brevi tratti in salita al 2-4%.
Approssimativamente, sono queste le pendenze che affronteremo lungo tutto il percorso, quindi non sono richiesti rapporti particolarmente agili. Bici da strada, gravel o mountain bike, tutto fa brodo.
L’asfalto non è dei peggiorni, ma neanche dei migliori.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi e, in particolar modo, dopo aver oltrepassato lenola: anche decine e decine; in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.
Il tratto tra Lenola e Vallecorsa è desolato.
Non ho mai incontrato cani aggressivi o anche solo fastidiosi, ma attenzione a eventuali attraversamenti di volpi o cinghiali.
Il pericolo vero sono i motociclisti, che sfrecciano a velocità da ritiro della patente.

Variazioni del percorso:
Nessuna rilevante, se volete percorrere il tratto classico; tuttavia, è possibile raggiungere Lenola seguendo percorsi alternativi, come per esempio da via delle Fate, via Vignolo o dalla contrada di Passignano. Sono strade sicuramente meno trafficate, con maggiori possibilità di incontrare animali vaganti e con uno o più tratti in forte pendenza.

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Gli o le smartband? Suona più naturale al femminile, ma credo il maschile sia la forma esatta.
In ogni caso, ne ho avuti due: il primo, Mi Smart Band 6: dovrebbe essere la sesta iterazione, perché la precedente, quasi indistinguibile, non aveva il saturimetro.

Mi ha accompagnato, all'inizio con soddisfazione, nelle prime uscite per diletto in bicicletta: GPS per tracciare i percorsi, velocità, lunghezza di salite e discese, battiti cardiaci, risoluzione sufficiente per le notifiche del telefonino ecc., insomma il necessario per viaggiare informati. Questi sono i pro: dei contro ne parlerò a breve, avendo molti punti in comune con l'altro modello.

Poi, ho avuto, per brevissimo tempo un Mi Band 4C: una versione di fascia molto bassa, roba da una dozzina di euro con le offerte. Pro? Nessuno, a parte il costo, ma non me ne faccio niente, alla luce di quel che è successo poco dopo l'acquisto.

Entrambi i dispositivi vanno incontro a fragilità che ne compromettono l'utilizzo, anche irrimediabilmente, dopo poco o pochissimo tempo.

Lo schermo OLED del modello più lussuoso, il 6, ha iniziato ad affievolirsi già dopo circa sei mesi, diventando poi progressivamente illeggibile alla luce del sole (cosa già difficile da nuovo, anche la luminosità massima è decisamente fioca) nel corso dei mesi successivi, fino a renderne difficile l'utilizzo anche nel buio completo. Attenzione: all'epoca mi informai, non era un problema del mio esemplare, dalle numerose lamentele sembrava fosse proprio la norma per quel pannello. Il cinturino si spezzò dopo qualche tempo, ma potremmo definirlo come un problema minore, vista l'economicità dei rimpiazzi. In ogni caso, sicuramente un altro fastidio.

Per il 4C, tutto è andato storto dopo poche settimane: anche questo sembra essere un problema universale, si è spaccata la cassa all'altezza dell'attacco USB. Per chi, fortunatamente, non avesse mai avuto a che fare con questo modello, la ricarica avviene in un modo abbastanza bizzarro: parte del cinturino si sfila dall'orologio, rivelando una protuberanza da inserire in un qualsiasi ingresso USB, per la ricarica. Tempo un paio di ricariche e si è spaccato tutto, irrimediabilmente.

Oltre alle rispettive fragilità, un altro contro in comune sono le relative app, ne parlo al plurale perché sono differenti per i due modelli. Più funzionale quella del 6, molto spartana quella del 4C, entrambe poco promettenti dal lato privacy. Difficile capire dove finiscano i dati raccolti, facile immaginare cosa se ne facciano. Ho provato, così, a collegare il Mi Band 6 a Gadgetbridge, app open disponibile su F-Droid.

Niente da fare. Ho buttato tutto, perché non sapevo cosa farmene. Non so quanto siano affidabili i modelli successivi, posso immaginare non siano stati fatti grandi passi avanti lato privacy.


Non era proprio un orologio, era uno smartband Xiaomi, marca che mi ha dato solo delusioni con questi aggeggi, esperienze di cui parlerò in un altro momento.

Un sabato mattina, inforco la bici e vado a esplorare una viuzza secondaria, che credo di aver capito asfaltata fino a un certo punto, appena prima di diventare un percorso che è meglio fare a piedi. Mi ci avventuro, alla fine c'è anche una salitella breve ma intensa e, come previsto, con uno strettissimo tornante l'asfalto lascia il passo alla zona off limits. Mi avvio a rifare la strada al contrario, precisazione: non sono molto bravo coi tornanti stretti in discesa. Sono pessimo, tanto che alcuni preferisco farli scendendo alla bici, perché la sicurezza non è mai troppa.

Quella volta, invece, no: era una delle mie prime uscite e, da perfetto inesperto, non conoscevo i miei limiti, ero ancora pericolosamente spavaldo. Fatto sta che azzardo questo tornante e, non chiedetemene il come e il perché, riesco a cadere sulle spalle, in discesa. Caduta attutita dallo zaino, giro sempre con uno zainetto più o meno imbottito di rosa; nessun danno, neanche alla bici, riparto.

A qualche chilometro da casa, controllo l'orario, o è quel che tento di fare: ohibò, che fine ha fatto lo smartband, quello che vedo è un nudo polso! Intuisco si sia slacciato nella caduta, non ho voglia di tornare indietro e rifare la salita, ci tornerò la settimana prossima.

È quello che faccio e, effettivamente, ritrovo l'aggeggio nell'erba, ignaro di tutto, che ancora monitorava l'attività... una pedalata durata una settimana, come no! Lo ripulisco dall'umidità e dal terriccio, lo rimetto al polso e torno a casa, abbastanza di buonumore.


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Siamo a Valle Marina, una delle frazioni di Monte San Biagio. Una zona di campagna, senza attrazioni particolari ma dove è molto piacevole pedalare, affrontando pendenze poco impegnative (generalmente), circondati da una natura non eccessivamente antropizzata, con pochi agglomerati veri e propri di abitazioni che cedono presto il passo alle singole abitazioni.

Che si provenga da Fondi, Terracina o Monte San Biagio, l’accesso principale è sempre lo stesso: l’incrocio che dalla SS 7 Appia immette in via Macchioni, all’altezza del cimitero di Monte San Biagio. Volendo, da Terracina è possibile accedere sia da via Epitaffio, strada non asfaltata, che da via di Mezzo, 500 metri più avanti. Provenendo da Fondi, è possibile evitare la maggior parte del tratto sulla statale seguendo due percorsi: il primo, consiste nella sequenza via San Magno, via Rene, via Provinciale San Magno, viale Europa e, infine, 2,7 km di statale, fino a via Macchioni.
L’altra strada passa per le vie parallele ai binari: via della Ferrovia, via Sotto Ferrovia, via Parallela della Stazione e, infine, via Bufalari per immettersi sulla SS 7, tornare indietro di circa 300 metri e poi inserirsi in via Macchioni.
Ahinoi, questa opzione prevede possibili incontri con cani, mi è capitato di imbattermi in due maremmani: uno tranquillo e disinteressato, l’altro scappato da una recinzione e molto aggressivo, che ha tentato di aggredirmi nonostante fosse presente il proprietario, che cercava di calmarlo senza alcun risultato.

Il tratto iniziale, via Macchioni, è sostanzialmente pianeggiante, con qualche salita e discesa di lieve entità. Arrivati alla rotonda, per avvicinarci alla destinazione di oggi dobbiamo girare a sinistra, oltrepassare il ponticello della ferrovia, girare ancora a sinistra e procedere fino all’incrocio con via Chivi e seguire questa strada fino a raggiungere, appunto, via Epitaffio.

La torre dell’epitaffio è la nostra meta; vi troviamo una piccola area di ristoro con un paio di tavoli e una panchina, a pochi metri da una stradina nel bosco che fa parte della via Francigena.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Terreno e altimetria:
Il breve tratto che ci interessa non è adatto alle bici da strada: almeno una gravel, meglio una MTB. Si pedala sulla ghiaia per buona parte del tempo, ma alcuni tratti sono abbastanza critici per la presenza di ciottoli di dimensioni importanti, uniti alla velocità sostenuta offerta gratuitamente dalle discesine pepate.
Molto facile cadere, se non si è abbastanza padroni del mezzo: solo per puro caso non son caduto più volte e, quando qualcosa mi ha detto che sarei rovinato a terra di sicuro, mi son fermato bruscamente per mettere i piedi a terra, la qual cosa è avvenuta contemporaneamente a un salto di catena.
Col senno di poi, ho rifatto quelle parti, al ritorno, spingendo a mano la bicicletta. Non sono un esperto e non ho voluto fare l’eroe.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Niente di particolare da segnalare, oltre alle difficoltà già descritte.
Non incontrerete gruppi di ciclisti, probabilmente non ne incontrerete neanche uno, se non dopo esser tornati sulla SS 7; in ogni caso, non si è in mezzo al nulla e ci sono case abitate lungo tutto il tragitto.
Cani aggressivi non ne ho mai incontrati, anzi: fate attenzione a eventuali gatti e cani di piccola sdraiati in mezzo alla strada, intenti a godersi la tranquillità del posto.

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È una domenica sera e mi capita una consegna fuori dal centro, in una tranquilla zona di campagna attraversata da una strada principale su cui si affacciano traverse che portano a casette sparse, poggiate ai piedi della montagna. Non so se avete presente: sono quei viottoli, spesso in forte pendenza, altrettanto spesso non asfaltati, ma ricoperti di pietre irregolari, da cui spuntano polvere e vegetazione, e cemento malament posato. È proprio uno di quei viottoli e qualcosa mi dice di scendere dalla bici e spingerla fin su, per non sforzarmi troppo e non far ondeggiare troppo il contenuto dello zaino.

E in queste traverse, a mancare non sono neanche i cani, spesso di piccola taglia. Non mancano, decisamente: ne sbucano cinque o sei, per 25 kg complessivi, e mi circondano, facendo il baccano infernale che i cani di piccola taglia sanno fare. Una strana processione, con me che spingo una bici al centro e questi cani che mi odiano, sulla fiducia, a corrermi attorno, abbaiando come al più grave dei pericoli. Escono i proprietari allertati, mi vedono e cercano di richiamarli: al solito, questi cani da guardia in miniatura hanno la testa dura come il cemento della salita, richiamarli non ha alcun effetto. ANZI.

C'è anche la cliente, che mi vede arrivare con una bicicletta “muscolare” (una volta era una bicicletta e basta, oggi bisogna specificare) e si dichiara, più volte, sconvolta del fatto che l'impero dei panini e della frittura mi abbia mandato fin lì, nel buio, pedalando. La rassicuro, dicendo che non è mica la consegna più lontana che mi sia capitata; lei ancora sconvolta, ritira l'ordine e entra in casa per uscirne dopo poco. Penso sia andata a prendere qualche spicciolo per la mancia, invece chiede soltanto “allora c'è tutto?” Sì, c'è tutto e me ne vado.

Si ripete la scena di prima, coi cani urlanti che mi vorticano attorno, è la mia ultima consegna del giorno.
Il mattino dopo, trovo la bicicletta con una ruota tutta sgonfia, ho evidentemente bucato su quella salita o lungo la strada del ritorno. Si scoprirà essere una spina di dimensioni ridicole, lunga appena abbastanza da forare il copertone e aggredire la camera d'aria.


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È stato così ribattezzato, non ufficialmente, il passo Le Crocette, nel territorio di Campodimele, raggiungibile principalmente da Lenola e Fondi, sempre in provincia di Latina, in onore di Marco Pantani, idolo del ciclismo italiano (e non solo) di fine anni Novanta, la cui esistenza è terminata in maniera tragica, lasciando ancora molti interrogativi. Non è questa la sede per parlare di quegli anni particolarmente bui del ciclismo, sia a livello di atleti che dello sport in sé.
La salita gli è stata dedicata perché, per diversi anni e in via ufficiosa, se ne era parlato come di uno dei suoi percorsi di allenamento, durante le sue permanenze in Centro Italia: quella che appariva come una specie di leggenda, sembra sia stata poi confermata, in un’intervista, da Stefano Garzelli, all’epoca suo compagno di squadra e oggi direttore sportivo.

Come anticipato, il passo è raggiungibile anche da Lenola, passando per via Pozzavelli e Camposerianni: si inizia con una breve discesa per proseguire, poi, con una salita costante, con alcuni tratti abbastanza impegnativi, con pendenze a due cifre che fanno capolino per diversi metri.
Non è questo, però, il versante che ci interessa, se non facendolo in discesa: ci torneremo dopo.
La salita che interessa ai ciclisti che vogliano sentirsi partecipi, in qualche modo, della sua leggenda, inizia nel territorio di Fondi, più precisamente in zona Querce.
Si parte dal centro di Fondi, da via Arnale Rosso per poi immettersi in via Querce; inizio alternativo in via Vetrine, con immissione in via Querce all’altezza dell’incrocio di via Valle Rocco. Dopo 500 metri abbondanti, sulla sinistra appare la Chiesa di S. Antonio e, proseguendo a destra inizia la salita, moderata ma con qualche strappetto, fino all’incrocio tra via dell’Ape regina e la SP 154, in località Camposerianni, dove inizia il segmento di Strava.

La strada provinciale si presenta subito con decisione: un doppio tornante molto stretto, con pendenze attorno al 15% circa, ci introduce a quelle che saranno le pendenze tipiche della salita.
Siamo subito nella natura e nel silenzio (a dire il vero, ci eravamo già da un po’): a farci compagnia, i suoni della natura, il passaggio di altri ciclisti o podisti, qualche rara automobile; è possibile anche non incontrarne nessuna durante tutto il percorso, ma non bisogna mai distrarsi, specie percorrendo il tragitto in discesa, inebriati dalla velocità e dal sibilo del vento.
Si alternano tratti di strada esposta da un lato al sole a altri in cui l’ombra la farà da padrona, proiettata dagli alberi a entrambi i lati della strada.
Lungo l’asfalto, i tifosi hanno lasciato con le bombolette testimonianze del loro affetto per il Pirata, con delle scritte che inneggiano al suo ricordo.
Si prosegue lungo una strada povera di curve, per la maggior parte piuttosto aperte, a parte un altro paio di tornanti a U: ancora una volta, da percorrere con cautela in discesa.
Ed è proprio all’altezza dell’ultimo tornante, a 4 km dall’inizio della salita e 600 metri all’arrivo, sulla destra appare un cartello ligneo con varie indicazioni, tra cui a destra la strada sterrata che porta alla foresta di S. Arcangelo e, al suo interno, l’orto botanico, raggiungibile dopo un tratto di circa 3 km, a piedi o in mountain bike/gravel.
L’arrivo è quasi in vista, ci aspetta un ultimo tratto piuttosto intenso e ci siamo. Ad accoglierci, posata tra due alberi sempreverdi di alto fusto, la stele dedicata a Pantani (inaugurata in presenza della madre), con incisi la sua firma e la sua figura stilizzata. Nelle immediate vicinanze, sulla destra, oltrepassando una sbarra è possibile inoltrarsi in un percorso sassoso, aperto a coloro che vogliano percorrerlo a piedi o in mountain bike, conoscendo i sentieri. Da evitare, nel caso non si sia pratici della zona.

Poco distanti, una cornice per i selfie e un cartello che illustra la storia della salita, nei pressi di un incrocio che ci permette di proseguire in varie direzioni.
Partiamo da quella meno utile, per così dire: accedendo alla stradina più a destra, si percorre una strada che finisce, dopo circa 1,5 km, in una proprietà privata, quindi di scarsissima rilevanza.

La via intermedia, SP 99, funge da collegamento a via Civita Farnese, SR 82. Una bella discesa, da affrontare con cautela per i sette tornanti, più o meno aperti, che la contraddistinguono. Giunti all’incrocio con Taverna, si può proseguire verso Pico o girare a destra, in direzione Campodimele o Itri.
Scegliendo la strada a sinistra, procedendo praticamente dritti, ci si imbatte prima in un’area attrezzata per i picnic, con tavoli, braci e una rastrelliera per le biciclette. L’area verde, ahimè, non è accessibile ai disabili e a chi abbia problemi rilevanti di deambulazione: è vero, si tratta di una zona in pendenza tra alberi e rocce, ma mancano, in ogni caso, sia una rampa che una semplice successione di gradini degni di tal nome.
Proseguendo ancora dritto, si giunge fino a Lenola: nella traccia allegata, ho seguito la strada per Campodimele-Taverna, ma il modo più rapido è semplicemente quello di proseguire per Camposerianni, SP 154.
A una breve, ma intensa, salita iniziale, segue una lunga discesa (attenzione a non lasciarsi andare troppo, ci sono dei piccoli centri abitati in corrispondenza di un restringimento della carreggiata) che passa anche per loc. Madonna del Latte. Rampa finale e si è nel territorio di Lenola, di cui allego qualche foto del Santuario di Madonna del Colle e qualche panorama.

Nel caso vogliate scegliere la via più lunga, all’incrocio di passo Le Crocette potete seguire la freccia per Campodimele, proseguire in direzione Taverna e poi sempre dritti, fino all’incrocio, sulla sinistra, con l’indicazione per Lenola (diversamente, raggiungerete Pico).
In loc. Taverna inconterete un distributore di benzina, ma a noi ciclisti i motori a scoppio interessano poco: più interessanti i punti di ristoro, tra cui la trattoria/bar/b&b La Taverna, il ristorante Lo Stuzzichino, il bar/trattoria La Clessidra e la fontanella.

Cosa portarsi dietro:
– Una o più borracce, non ci sono fontanelle in zona;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Ahimé, nessuna dopo l’inizio della salita, dopo aver lasciato loc. Querce. La prima disponibile è quella di cui ho parlato, in loc. Taverna, sulla strada che porta a Campodimele, di sicuro non immediatamente raggiungibile per fare rifornimento.

Terreno e altimetria:
Come anticipato, ai due tornanti abbastanza impegnativi seguono pendenze impegnative ma umane, 7-8% con qualche strappetto attorno al 10% qua e là. Secondo Strava, il segmento in questione è lungo 4,59 km, il guadagno altimetrico è di 372 metri e la pendenza media è dell’8,1%.
L’asfalto è liscio e non presenta buche/crepe, anzi la parte iniziale è stata rifatta in tempi relativamente brevi e presenta un manto ancora molto compatto, visto il traffico in prevalenza di ciclisti.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Mai incontrati di randagi, c’è qualche cane di piccola-media taglia in zona Querce, nelle villette che precedono la salita. Abbaiano, al massimo.
Vi capiterà di sicuro di incontrare un numero variabile di ciclisti, quasi sicuramente diversi nei giorni festivi: in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.

Variazioni del percorso:
Non ve ne sono, sostanzialmente: se vi interessa la salita Pantani, dovete accedere dalle Querce e proseguire fino in cima.

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Nella zona in cui sono nato, per il commerciante di biciclette/meccanico si usa, a sproposito, il termine ciclista: il malinteso scatta sicuro, all'esterno della mia bolla che fu. Il ciclista è quello che pedala, meglio se a livello professionale o amatoriale avanzato: sono alcuni anni che vado in bici, pochissimi purtroppo, e fatico a definirmi tale, mi sembra una definizione al di sopra del mio essere.

Torno, quindi, al generico negozio di biciclette e alla figura che lo gestisce, spesso sia venditore che meccanico. Dovrebbe essercene almeno uno in ogni centro abitato di una certa grandezza, ma non è detto; vivo in una zona che offre molte possibilità ai ciclisti (per nulla sfruttate dall'amministrazione), quindi di negozi ce ne sono ben sei, che divido a metà tra popolari e di lusso.

Non intendo fare alcuna discriminazione, è un dato di fatto: ci sono negozi da centinaia di metri quadri, lindi e pinti, con sfilze di Pinarello in vetrina, e officine piccole e buie, con gli odori imperanti di grasso e ferro. Avevo un amico alle superiori che collaborava nel negozietto di famiglia, della seconda categoria. Non l'ho più visto e anche il negozio è chiuso, chissà da quanto tempo. Sono attività solitamente gestite da gente pratica, più sostanza che forma, persone che ti riparano una bicicletta scassata a martellate, sapienti ma pur sempre martellate. E la bici torna ad andare.

Poi c'è l'altra categoria, quella dei negozi di lusso e, avendo vissuto l'epoca dei negozi di videogiochi, non fatico a trovare diverse similitudini: sono dei negozi felici, come le pasticcerie, i negozi di bomboniere eccetera. Posti dove si va per occasioni belle, potendo spendere per beni slegati dalla pura sopravvivenza, roba di cui potenzialmente potremmo fare a meno. Dico potenzialmente perché non sempre è vero e non si può vivere sempre e spòp dell'indispensabile.

Un buon venditore di videogiochi/ciclist... pardon, venditore di bici/meccanico sa che deve instaurare un certo rapporto coi clienti, quasi di amicizia. Devono sentirsi a proprio agio, poter discutere degli acquisti fatti e di quelli non fatti, delle ultime novità, del settore, delle tendenze. Anche se ne capiscono poco o nulla. Anche quando non hanno nulla da comprare e vanno lì solo per perder tempo. Il commerciante intelligente non li scaccia: discute amabilmente, sa che torneranno, per spendere.

Ho sempre voluto una bici, ma questa è storia per un altro articolo, quindi riassumo: dopo un trasloco in un'altra regione, ne ho comprata una economica, ho iniziato a fare il rider (purtroppo) e, dopo aver stretto la cinghia TANTO, per qualche anno, ho finalmente preso una bicicletta costosa per i miei standard. Costa comunque meno del più economico cambio elettronico, o di una coppia importante di ruote in carbonio. Una bicicletta del genere va oltre gli intenti dei negozi più popolari, così sono entrato per la prima volta in un negozio di lusso.

Ci son tornato, poi, nel corso dei mesi per alcuni upgrade, per la manutenzione e sì, anche io perché in quel momento non avevo nulla di meglio da fare. Sono entrato in contatto con la fauna locale: anche persone alle prese con una semplice camera d'aria da sostituire sulla bici usata per andare a lavoro, ma il grosso è costituito dagli amatori evoluti e disposti a spendere.
Attenzione: dico disposti a spendere perché non è detto che siano necessariamente dei ricconi dal budget illimitato, per quanto una buona fetta sia costituita da quelli che devono aver per forza l'ultimo modello disponibile. C'è anche gente che non ha vizi particolari o altre spese, gira in una Fiat Uno Fire con l'impianto a gas, ma dirotta tutto sulla bicicletta.
L'amatore evoluto, comunque, si identifica immediatamente perché viene in negozio vestito come per la Milano-Sanremo, anche solo per chiedere qualcosa o comprare un portaborraccia. Esce da casa coi calzettoni aerodinamici e la fascia cardio.

Poi c'è l'insospettabile. È una persona che non identificheresti mai come ciclista, viene in negozio coi vestiti da lavoro, probabilmente dopo aver smontato un lavandino o tinteggiato una parete. È bello che ci sia questa categoria. A prima vista, pensi siano venuti per chiedere di cambiare le pastiglie dei freni rim o una catena arrugginita, poi iniziano a parlare e sanno tutto dell'ambiente.
Discussioni su cuscinetti in ceramica e ruote a profilo alto si intrecciano con l'esito dell'ultima grande tappa di montagna del Tour, il podio della Parigi-Roubaix, le ultime regole introdotte dall'UCI. Parlano dell'andamento della stagione agonistica, tutte le specialità, e dei campioni stranieri, con pronunce ruspanti: Pogascià, Everpul, gli eroi del momento.
C'è il signore anziano, capelli bianchi e pancia importante, che aspetta che montino sulla sua mountain bike un nuovo pacco pignoni, proprio quella lì sul banco da lavoro, quella tanto bella e tanto prevedibilmente costosa da far girare la testa. Nel frattempo parla, e scopri che quel signore con la pancia importante ha pure una stradale in carbonio. Gli insospettabili sono i più affascinanti e pericolosi, non indossano uniformi, sono ossi duri. Chiunque potrebbe essere un insospettabile.

Seguono quelli che, legittimamente, chiedono interventi di routine per le bici operaie, non sapendo o fregandosene delle decine di migliaia di euro che li circondano. Il meccanico onesto non si tira indietro, sa che quella bicicletta appartiene a una persona che non può permettersi un SUV per andare a lavoro. Magari, potrebbe permettersi una macchinina, ma a che pro, pensa? Il crollo della dittatura dell'automobile dovrà pur iniziare da una crepa.

Per chiudere, e sicuramente avrò dimenticato qualcuno, ci sono io. Ci vado per una manutenzione, per comprare un accessorio, perché in quel momento non ho niente da fare e mi piace l'ambiente amichevole. Mi sento come in una specie di paese dei balocchi, con quei bolidi lucenti che mi affascinano, ma non ne sento alcun bisogno, in realtà: la mia bicicletta ideale ce l'ho già, è la mia bicicletta.


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

Il collezionismo, in ogni ambito, è bello, per chi se lo può permettere e ha spazio. Se state leggendo questo articolo, difficilmente sarete collezionisti senza limiti di soldi e spazio.

Per il ciclista che ama girare per sport, allenamento o per il solo gusto di farlo, senza arrivare agli estremi delle categorie e dei terreni: la bicicletta da corsa non serve ed è possibile coprire qualsiasi percorso (ripeto, non estremo), con una gravel/endurance e una mountain bike front, monocorona col rapporto più leggero possibile.

La bici da corsa, ovviamente, è il mezzo migliore per percorrere grandi distanze, su asfalto, alla massima velocità possibile: considerate le sue caratteristiche estreme (geometria, rapportatura), sarà sfruttata al massimo da ciclisti allenati e flessibili.
Le stesse distanze, tuttavia, si possono percorrere tranquillamente con una gravel/endurance, in maniera più comoda, seppur sacrificando parte della velocità. Geometrie più rilassate che non impongono posture estreme, rapporti più leggeri per gambe meno potenti e cuori meno efficienti. Con la gravel, poi, sarà ancora più piacevole affrontare strade bianche, sterrati o, semplicemente, le strade scarsamente manutenute che si trovano in Italia, specialmente in determinate zone. La possibilità di montare gomme anche abbastanza ampie, poi, permette di togliersi qualche sfizio anche dove solitamente osano le mountain bike.
Ancora, sono mezzi decisamente adatti al cicloturismo, avendone la possibilità.

Certe possibilità, quindi, sono comuni ai due mondi, ma le mountain bike arrivano dove le gravel devono fermarsi, grazie alle ruote larghe, l'ammortizzazione e la possibilità di rapporti molto leggeri, per le salite più ardue e/o le gambe meno allenate.
Ho parlato di front perché sono le più adatte alla salita, non hanno la sospensione posteriore e meno c'è, meno si rompe, possono anche affrontare decentemente qualche discesa poco tecnica, senza megasalti, radici enormi e sassi aguzzi. A saperle guidare.
Volendo, potete sostituire la front con una full, meglio se con la sospensiore posteriore bloccabile. Proprio se pensate di dover affrontare qualche discesa in più.
Il monocorona è ancora per semplificare, i rapporti molto agili per potersi permettere diversi gradi di pendenza in più senza morire per lo sforzo e senza scendere a spingere (cosa degnissima, comunque).