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Pensieri infantili sul mio rapporto coi videogiochi.


Dicembre 2024, pare siano passati 30 anni dall'uscita della Playstation, anche se in Europa e in Italia arrivò diversi mesi dopo. Non parlerò delle solite cose, dell'impatto, della rivoluzione, di quel che si legge ovunque. Scriverò della PSX, come è erroneamente ma anche universalmente conosciuta, nel micromondo dei miei amici.

Intanto, non l'ho mai comprata, la prima iterazione come tutte quelle che verranno. Mai stato un fan delle console, mi piaceva il concetto (di allora) ma non facevano per me, il mio pane quotidiano erano gli arcade e il PC. Le mie uniche concessioni sono stati Wii e NDS: oggetti piuttosto anomali, facili da trovare usati e giochi facili da ottenere.
I miei amici, però, prima o poi l'hanno avuti tutta. Un paio, tra i più possidenti, hanno pure speso quello che all'epoca era un capitale per aggiudicarsene una d'importazione. Voglio parlare della maggioranza, però, di quelli che hanno atteso e risparmiato per potersela permettere.

L'epicentro del fenomeno Playstation, per noi, era un mitico negozietto di videogiochi di un comune confinante, conduzione familiare, padre e figlio. Il padre, compatibilmente con l'età, non ne capiva granché, ma era un appassionato venditore. “In questa confezione c'è il demóne”, diceva ai possibili clienti. Che poi non erano possibili, erano lì sapendo che l'avrebbero presa, in qualche modo. E il demóne non significava che a quella scatola dei desideri fosse da applicare un day one exorcism, era semplicemente il disco Demo One.
Era un negozietto dove era bello stare; qualche volta, erano in ritardo su qualche consegna, ma opponevano scuse sfiziose: spicca quella volta in cui tal gioco non era arrivato “per via di una festa popolare cinese”.

Non si vendevano solo giochi originali, come non si vendevano solo gli anime in VHS originali; tuttavia, anche i CD della premiata filibusta costavano parecchio, agli inizi. Non quanto gli originali, certo, altrimenti non avrebbe avuto senso... eppure, la differenza agli albori era abbastanza sottile da far sorgere il dubbio, all'inizio.

Gli amici miei con la PSX erano quanti... sei, sette? Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di spirito... non santo, era spirito imprenditoriale e quelle lingue di fuoco erano metafora di Nero Burning Rom e Alcohol 120%.

Comprare quei dischetti costosi, sei o sette volte, pesava, meglio prenderne uno solo per ciascun titolo: decisero, così, di prendere in società un masterizzatore con relativo controller SCSI, all'epoca c'erano quelli, erano lenti e costavano tanto. Qualche campana di mitologici Princo e via, tutti d'amore e d'accordo fino a quando non usciva il titolone e si accapigliavano, ognuno ne voleva la prima copia, ma non era possibile. Sia quel che sia, tempo un giorno e tutti erano accontentati, ma il primo era più contento perché, intanto, già era avanti col gioco.
Final Fantasy VII fu il titolo più problematico, per via dei diversi dischi.

Voglio chiudere ricordando l'amarezza, poi stemperata, di un amico mio unitosi tardi al treno dei 32 bit, costretto ancora al Megadrive per motivi economici. Riuscì alla fine a comprarla, lo accompagnai in macchina al solito negozietto, per poi lasciarlo sotto casa sua. Poco dopo, mi squilla il telefono ed è lui, furibondo.

“Lo sapevo, a tutti quanti è andata bene e solo a me è uscita scassata, ora chissà quando me la cambia, quando devo aspettare ancora...”

Tento di rassicurarlo, avrà messo male i cavi, sarà danneggiato il cavo stesso, non sente ragioni e vado a casa sua. La PSX funzionava benissimo, scoprimmo: aveva il televisore ostinatamente sintonizzato sul canale 36, come se il pulsante AV del telecomando non avesse alcun motivo di esistere.

#Aneddoti #Anno1995 #Playstation


Ma un gioco perfetto in generale, direi, conosciuto in Giappone come Big Tournament Golf.
In sala giochi, però, questo sentore di perfezione viene messo in dubbio in un caso specifico: dovete giocare e davanti a voi c'è qualcuno molto bravo. Aspetterete parecchio.

Giocato a casa, sul mitico sistema originale o coi poteri magici dell'emulazione, è perfetto e basta.

Siete soli sul green, il vostro alter ego è probabilmente Robert Landolt, il più grande golfista tedesco di sempre. La musica, a tratti, è come se ve la suonassero i Cassiopea a bordo campo, sovrastata solo dai suoni tipici dello sport. L'impatto della mazza con la pallina, il sibilo prodotto nel vento, il rimbalzo sui diversi terreni. Il rumore della pallina che impatta con le foglie, traiettoria sciagurata.

Siete a casa vostra o in giro, nell'intimo portatile di una retroconsole, avete quasi tutto il tempo che volete per calcolare l'impatto del vento, la necessità dell'effetto, l'altezza e la potenza del tiro.
Nessuno alle spalle che scalpiti, speranzoso di poter emanare influssi da menagramo, è solo il gioco a spingervi, con le buone prima e le cattive poi, a fare il vostro tiro.

Non avete problemi di gettoni, quindi potete sperimentare. Voglio provare a far rimbalzare la pallina su un terreno solido, su quella roccia in mezzo a uno specchio d'acqua. Voglio mandarla in buca da 30 iarde, fuori dal green, senza usare un putter. Voglio che l'effetto faccia sgommare la pallina in avanti o farla rotolare indietro. Voglio divertirmi e Neo Turf Masters me lo permette, oggi a casa come nel 1996 in sala giochi.

Diversi hole in one, nella mia carriera di golfista virtuale: sempre una grande soddisfazione.
Non ero pronto a una buca da cinque fatta in due tiri, invece, grazie a rimbalzo favorevolissimo e al colpaccio dal fairway, tipo con una mazza da 100.
Albatross? E che è?: la domanda sorta spontanea tra i presenti in fila, ero uno di quelli che giocava bene e a lungo. Non ci sono mai più riuscito, mai più vista quella scritta.

Nell'animazione iniziale del titolo, in modalità demo, si vede una pallina dirigersi verso il green. Solitamente. Rivedendola più volte di fila, nei rari momenti di inutilizzo del cabinato, si poteva assistere casualmente a un'animazione alternativa, con la pallina colpita evidentemente male, destinata a finire in una zona vietata all'uomo e, per estensione, anche ai golfisti. Ed era sempre divertente, anche dopo averla vista decine di volte.

#Anno1996 #Arcade #NeoGeo #SalaGiochi #SNK #Videogiochi


Ero disoccupato e lo sarei stato ancora per diversi mesi, quindi avevo tutto il tempo per giocare a quella meraviglia. ALl'introduzione sui binari eravamo pronti, ne avevamo avuto un assaggio col primo episodio, e pure quello fu un momento epocale della storia dei videogiochi.

Non eravamo pronti, non io, a lasciare la stazione e venire catapultati tra gli ambienti di City 17, specie gli esterni. Momenti che definiscono un prima e un dopo.

E una mattina da disoccupato, mentre giocavo sul fido CRT grigio o beige, col case grigio o beige, la tastiera... beh, all'epoca i computer erano ancora grigi e beige, come i loro accessori, mentre giocavo, citofono: è un amico mio, teoricamente dovrebbe star lavorando anche lui, di mattina.
Invece no, disoccupato temporaneamente anche lui, come per telepatia sapeva di potermi trovare a casa.

E giocavo a HL2, lui guardava senza annoiarsi, non è una cosa scontata.

Ancora oggi, penso che il Source possa tranquillamente essere usato per qualsiasi videogioco
Quell'estetica mi basta, mi appaga.

#Anno2004 #HalfLife2 #HL2 #PC #Valve #FPS #Videogiochi


Il mio primo pg, un paladino. I miei primi giorni in quel mondo fantastico e le prime professioni, di raccolta: era rilassante andare in giro a raccogliere fiorellini o picconare miniere, tranne quando non arrivava qualcuno un attimo prima di te e ti soffiava il nodo davanti agli occhi.
A quei tempi, e per diverse espansioni, la raccolta di piante e minerali era condivisa col mondo, quindi alloggiava meglio chi arrivava prima. E le miniere dovevano essere anche picconate più volte, qualche volta anche le piante necessitavano di una seconda operazione di raccolta.
Poi è diventato tutto più facile, ogni giocatore vedeva i suoi nodi e poteva usufruirne.

Non avevo un'idea precisa su come impiegare i frutti delle mie professioni di raccolta, poi col tempo avrei fatto qualche progresso. Passavo parte della notte, fino all'albeggiare perché all'epoca andava così, quando il giorno dopo non dovevo lavorare giocavo a WoW fino alle 5:00, 5:30. A far che? Niente di particolare, ma agli albori era ancora bellissimo così. Esplorare, perdersi in un altro mondo.

Era un'alba di un sabato o di una domenica, giravo senza meta per le Wetlands, probabilmente una zona compatibile col mio livello; non che ci badassi più di tanto, al limite scappavo dai dinosauri che popolavano la zona, fino a quando perdevano interesse per il mio paladino. Raccolsi un peacebloom, ancora all'epoca non c'era la localizzazione italiana, che non ho mai usato. Aveva un'icona bellina, questo fiorellino bianco. Lo mandai a una persona, pensando che a questo servissero queste simpatiche piantine: fare un pensierino, come regalare un mazzetto di fiori.

I frutti delle miniere non li ho mai mandati, non tutta la saggezza viene con l'età, già allora ero abbastanza saggio da capire che sassi e minerali non sono granché come regali. Se non per geologhe e geologi, o appassionati della mineralogia, professionisti o amatori.

#Anno2006 #PC #Videogiochi #WorldOfWarcraft #WoW


Testa di limone era il nipote di un gestore di una sala avversaria a quella che frequentavamo solitamente: non che non trascorressimo ore e ore in altre sale, ma ne avevamo una nostra, quella del cuore. Avversaria, forse, un termine azzardato: i rapporti erano di sana rivalità, ecco, sulla qualità dei giochi e sul numero di gettoni corrispondenti alle classiche mille lire; sulla guerra dei gettoni, ritornerò.

Testa di limone, chiamato così sia per la sua chioma bionda (sicuramente rara da quelle parti), sia per evocare una sorta di similitudine tra la sua stupidità e il suddetto frutto. Non so neanche perché certi vegetali, tra cui limoni e cetrioli, siano considerati stupidi, ma tanto era e tanto è. Di certo, i limoni non contano balle a ogni pie' sospinto, a differenza del protagonista di questo scritto: appena si metteva a parlare di videogiochi, ne saltavan fuori di tutti i colori. Schede rarissime arrivate con voli privati da località tecnoesotiche, tipo “l'America” o il Giappone; titoli inesistenti, prestazioni videoludiche oltre le capacità umane e le possibilità degli stessi videogiochi e così via.

Ebbene, assuefatti alle sue narrazioni alternative, alla sua voglia di stupire, data per scontata la sua stupidità, pari solo a quella di un limone (?!), una volta l'abbiamo sottovalutato. Lui guardava oltre, noi miseri ci accontentavamo di un orizzonte temporale di due o tre giorni al massimo.

Siamo in questa sala avversaria, è un pomeriggio qualsiasi in un orario in cui i coetanei, solitamente, studiano. Non essendo studenti particolarmente convinti, stavamo giocando a Mortal Kombat, il primo, versione non censurata: erano i primi tempi del gioco, la versione censurata era ancora quella più diffusa, estinguendosi dopo poco per la voglia di brutalità innata nell'essere umano. Mortal Kombat era già abbastanza noto, per due semplici motivi: il primo, i personaggi digitalizzati come in Pit-Fighter, un gioco che da noi ricordato solo per la particolare grafica e mai amato davvero, probabilmente per la legnosità del tutto. Il secondo, ovviamente, era la violenza barocca delle fatality, il sangue, un pavimento trapunto di lame eccetera. Nessuno, tuttavia, poteva immaginarne l'uscita di innumerevoli seguiti, nel corso dei decenni: era, semplicemente, ancora troppo presto.

Arriva Testa di limone, dal nulla, parla senza un vero interlocutore, quindi a tutti: “a mio zio tra poco arriva la scheda dall'America di Mortal Kombat 3, è una scheda particolare, si mettono dei dischi piccoli, una specie di CD musicali, con dentro altri personaggi, coi colori diversi, con altri quadri e altre mosse, questa scheda nessuno ce l'ha, poi vi faccio vedere la settimana prossima”.

Neanche Mortal Kombat 2, direttamente il 3. Dopo qualche secondo di silenzio, si scatena l'ilarità generale. Tutti noi, stolti, ne ridevamo. Testa di limone ci indicava i DLC e il futuro dei videogiochi, noi guardavamo il dito.

#Arcade #MortalKombat #SalaGiochi #Videogiochi


Cantonate corali prese nel corso, principalmente, degli anni Novanta: quei malintesi, più o meno colossali, sui nomi di mosse, personaggi e tutto il resto.

Dico anni Novanta sostanzialmente per l'introduzione del “sonoro” negli arcade, per essere più precisi i campionamenti vocali, principalmente nei picchiaduro: quei mondi alternativi, proprio come gli anime, dove la gente sente il bisogno di anticipare vocalmente le proprie mosse. L'audio in questione era quel che era: lo spazio a disposizione era ancora poco, pochissimo, non lo si poteva sprecare in vocalizzi cristallini. Sulla qualità dei cassoni pure, spesso, non ci si poteva fare affidamento: casse bucate o spompate, collegate fisicamente con saldature traballanti; poi, c'era la questione culturale.

L'inglese non era ancora arrivato: certo, ancora oggi è ben lungi da essere una seconda lingua in Italia, ma l'orecchio a certe sonorità ormai l'abbiamo svezzato, dopo anni di film e serie e, appunto, videogiochi non doppiati o doppiati così malamente da far preferire una qualsiasi altra lingua. E il giapponese? Peggio ancora, ovviamente: pure i manga ancora non erano arrivati, o stavano arrivando, degli anime conoscevamo i fantasiosi doppiaggi italiani e di certe parole e del loro suono non avevamo neanche idea. “Tutta roba cinese, diranno CIN CIUN CIAN”. Noi sapevamo sin dagli albori che fossero giapponesi, ma questo è il sentore comune odierno: se hanno gli occhi a mandorla, sono tutti cinesi. Sto divagando.

Successivamente, l'audio è migliorato, grazie a chip più efficaci e supporti più capaci (Max 330 Mega Pro-Gear Spec, The 100 mega shock!). Pure la nostra comprensione era migliorata, scolarizzata nel tempo; c'erano pure le riviste coi nomi delle mosse, ormai.

Prima dei cartuccioni e delle riviste c'era, comunque, Strit Faier 2: una ricca opportunità di storpiare tutto, non ce la lasciammo sfuggire. Un personaggio alla volta (a parte Ryu e Ken, praticamente sovrapponibili), nomi propri e mosse immaginate, quello che ricordo: mi riservo di aggiornare questo articolo, e quelli analoghi, in futuro, in caso di rigurgiti di memoria. Cerco di riportare le pronunce come si scrivono in italiano, non aspettatevi l'alfabeto fonetico internazionale, alla forma esatta segue la dizione imperfetta; in grassetto, la versione più diffusa

Ryu e Ken: Riù, Rìu, Rèiu, Ràiu. Con Ken non si poteva sbagliare. – Hadoken: aduche, adoche, aduchen, auche, palla di fuoco. – Shoryuken: 'o riuchen, oriuuuche, 'o riucheee, . “'O riuchen” in napoletano, quindi 'o è l'articolo. Il riuchen, in pratica. – Tatsumaki senpukyaku: attattasplughe, 'o ttatta splughen, 'o ttatta, il vortice, la giostra (rarissimo). 'O ttatta era per i frettolosi.

E. Honda: Onda, Enzuccio Onda, Enzuccio. La prima è la versione quasi universalmente accettata, le seguenti solo per gli amici più stretti. – Sumo headbutt: la capata. – Hundred hand slap: mille mani, cento mani. Si esagerava parecchio. – Esclamazione di vittoria: iu gui.

Blanka – Electric thunder: la corrente, la scossa. – Rolling attack: la rotella, la ruota.

Guile: Guile, Gail, Giule, Giuilie. Per di più, a ciascuno di questi nomi poteva essere aggiunto il grado, solitamente colonnello o sergente, più raramente capitano. – Sonic boom: aleppu. – Somersault strike: la parabola. – Flying buster chop: lo spezzaschiena.

Chun-Li: Ciunlì, Cianlì. – Spinning bird kick: spinni-bor-chi, qua ci si avvicinava. – Lightning kicks: mille calci, qua erano mille e basta.

Zangief: qua nulla da aggiungere, pronunciato esattamente come si scrive, per tutti. Sono di quell'avviso e mi batto per questa causa, non esiste alcun Zenghiv, non esistono pronunce americaneggianti. Era usato pochissimo, i vocalizzi erano grugniti e sulle prese non ci si impegnava troppo.

Dhalsim: Dalsìm, Dalamascin, l'indiano. – Yoga fire: ioga fai. – Yoga flame: **ioga fei”. Cambiava una vocale. Citazione speciale per lo “scivoletto”, non è una mossa speciale ma avrete capito di cosa si tratti.

Balrog: Balròg, Barlòg. Nessuna menzione particolare per le mosse: anche quando divenne selezionabile dalla CE in poi, non fu mai molto amato dalle mie parti e, comunque, erano sostanzialmente grugniti.

Vega. Vale quanto scritto per Balrog.

M. Bison: Bison, Baison. – Psycho crusher: la torpedine, saico, saico crascia.

#Anno1991 #Arcade #Capcom #SalaGiochi #StreetFighter2 #Videogiochi


O il primo gioco di Bud Spencer e Terence Hill, questo è il vero nome con cui lo si chiama per davvero.

Picchiaduro a scorrimento vecchio stile, coi più grandi supereroi di sempre. I livelli si rifanno alle ambientazioni dei loro film immortali e sono presenti alcuni minigiochi, solitamente non riuscitissimi. La grafica, fortunatamente pixelloni in 2d, rende bene ma di sicuro non è un Metal Slug: palese, come è palese che le cifre in ballo sono sproporzionatamente minori e senza denari non si cantano messe.

Ci sono Bud Spencer e Terence Hill, le musiche sono quelle leggendarie dei film, quelle che portiamo incise direttamente nel cervello.
L'atmosfera è quella giusta, i dialoghi sono quelli che ci si aspetta e li si immagina recitati dai doppiatori originali; ci sono, ovviamente, citazioni dai loro film, ma non solo.

Dopo aver finito il gioco, o anche prima, ci si rende chiaramente conto che è quella la parte a cui sono state dedicate le coccole e le attenzioni, a discapito del gioco in sè.
Gioco molto legnoso, coi minigiochi, dicevo, potenzialmente simpatici ma non abbastanza divertenti da sembrare necessari. Spezzano la monotonia del picchiaduro, ma allo scopo funzionano meglio i siparietti tra i due protagonisti e gli eventuali cattivoni. Ancora una volta, qualcosa di più legato alla componente emotiva che al gioco vero e proprio, fatto di pulsanti da premere con la massima forza possibile. Anche i comandi non sono granché, personalmente avrei usato al massimo tre pulsanti, croce direzionale a parte.
Premere come forsennati A+X, per scatenare la tempesta di schiaffoni è, tuttavia, la meccanica di gioco più raffinata e soddisfacente degli ultimi tot anni.

Tempesta di schiaffi > tutti i soulslike della storia messi insieme.

Il primo gioco di Bud Spencer e Terence Hill è per chi li ha vissuti, da qualunque parte del mondo provenga: lo testimonia anche l'ampio numero di lingue disponibili. Effetti sonori, musiche, ambientazioni e tono generale copriranno discretamente quello che è un gioco poco divertente nella sua componente più fisica.

Non è un gioco per chi non abbia avuto la fortuna di incontrarli, in quel momento storico.

P.S: Questo primo titolo si chiude con una chicca che sicuramente avremmo potuto vedere in qualche loro film.

#Anno2017 #PC #Videogiochi


È un arcade molto raro, tanto che non ne esiste neanche la scheda sulla Killer List Of Videogames, e mi sento di confermare: l'ho visto in una sola sala, per qualche mese, poi è scomparso per sempre.
La maggior parte dei videogiocatori italiani non l'avrà mai visto e, più probabilmente, l'avrà conosciuto grazie all'emulazione, nello specifico della versione MSX. Versione, che poi, dovrebbe essere l'unica esistente, almeno fino alla Konami Antiques MSX Collection su Playstation e Sega Saturn e, infine, su mobile e Virtual Console.

Invece, con certezza assoluta, vi confermo l'esistenza della versione arcade, sempre che non fosse un qualche accrocco con un MSX inserito in un cassone.
Viene citato come primo gioco in cui abbia lavorato Hideo Kojima, che dovrebbe aver personalmente dichiarato di esser stato presente solo brevemente in fase di progettazione, suggerendo la slot machine e le meccaniche dei boss.
Dovrebbe comparire in un easter egg di Metal Gear Solid 4.

Sia quel che sia, di sicuro ci ho giocato in sala giochi ed ero forte, molto. Una partita mi durava tantissimo, tanto che i giocatori in fila spesso lasciavan perdere e giocavano solo nei pomeriggi in cui mi dedicavo a altro, nello specifico a Mexico 86 (bootleg di Kick and Run).

Forse è anche questo il motivo della prematura uscita di scena? Può darsi.

#Anno1986 #Arcade #Konami #SalaGiochi #Videogiochi


Perdonate il titolo clickbait: in realtà, questo mio amico ne distrusse solo il vetro protettivo. Nessuna prestazione videoludica da record, solo la pura applicazione di forze fisiche e caso.
La nostra sala di fiducia, collegata a un bar, era a conduzione familiare: un fratello si occupava del bar, un altro fratello e il padre badavano ai videogiochi. Considerando il percorso formativo di quest'ultimo, precedentemente fruttivendolo e gestore di cinema, c'era da aspettarsi che non fosse proprio un esperto della materia: non lo era, ma era orgoglioso dei suoi cassoni e sapeva quando riusciva a procurarsene uno di pregio. Probabilmente, anche dalla fattura.

Nel solito giorno a caso, entriamo in sala e vediamo questa meraviglia, appena finita di montare: Super Street Fighter 2 Turbo in un cabinato di lusso, con audio poderoso e, addirittura, monitor widescreen. Una meraviglia, poi era Street Fighter negli anni della sua leggenda.

Il gestore, giustamente tutto tronfio, ci illustra le qualità della scheda e del cabinato. Noi ascoltiamo con rispetto, all'epoca i ragazzi sapevano ancora essere disciplinati (e poi, volenti o nolenti, quelle erano brave persone, ma sapevano anche disciplinare). Vogliamo solo giocare a quella meraviglia, le caratteristiche le scopriremo strada facendo. Un amico, dal nulla, ci sussurra “Volete vedere? Ora tocco il punto critico del vetro e spacco tutto”. Ok, avrete già fatto 2+2, ma voglio continuare.

Col gestore ancora presente, l'amico poggia il dito su un punto a caso del vetro, in alto a sinistra: va in frantumi, ancora prima che qualcuno abbia avuto la possibilità di inserire le prime 500 lire. Sì, perché un sistema hardware/software premium, il solito gettone non bastava. Lo stupore, davvero, è stato generale: pure il gestore è rimasto attonito, perché davvero nessuno avrebbe mai immaginato un epilogo simile, con un tocco così delicato. Non ci siamo guadagnati neanche una lavata di capo.

Il vetro fu sostituito in tempo record.

#Anno1994 #Arcade #Capcom #SalaGiochi #StreetFighter2 #Videogiochi


Primo articolo di ricordi, quelli che ancora sopravvivono al tempo e alla memoria, legati all'irripetibile magia delle sale giochi. Trovo logico iniziare col mio primo contatto coi cabinati, da ora in poi in cassoni. Così si chiamavano, dalle mie parti.

Siamo agli inizi degli anni Ottanta, l'estate ha scalzato la primavera e il sole non vuol saperne di tramontare. Mia sorella ha pochi mesi, mio padre spinge il carrozzino. Un po' mi ci aggrappo, un po' mio padre mi tiene la mano, un po' vado da solo, le macchine in giro erano ancora poche in quella zona. La zona della pineta comunale, piena di alberi, circondati a gruppi da basse recinzioni metalliche. Quelle recinzioni ora si sono trasformate in cemento e degli alberi quasi non c'è più ombra, in tutti i sensi: abbattuti senza pietà dopo alcune giornate di vento intenso, per evitare rami spezzati e cadute.

All'ingresso, un bar: mio padre mi ci portava per il gelato, solitamente prendevo un ghiacciolo a limone o fragola. Nel bar, un cassone con un gioco in bianco e nero: Space Invaders, probabilmente. Il mio protagonista del nostro giretto pomeridiano, viene prima del gelato, anche se mio padre non elargisce la 100 lire. Ma ci gioco lo stesso, con la fantasia, anche se joystick e pulsanti non ne vogliono sapere, senza aver prima pagato.

Era scattato qualcosa, diciamo una sorta di imprinting, se vogliamo prenderci qualche libertà sul significato vero della parola. Il danno era fatto ed è stato l'unico danno buono della mia vita.

Non era, comunque, ancora una sala giochi: era un bar con uno o due cassoni, all'inizio si pensava potessero bastare. Dopo poco, però, si capì che un paio di cassoni non avrebbe soddisfatto la fame nascente di videogioco, così il magazzino alla sua destra si trasformò in una vera, gloriosa sala giochi.

E nelle sale giochi ci son rimasto da quando ho conquistato un minimo di autonomia fino a quando le hanno chiuse o trasformate in locali per VLT e strumenti del diavolo analoghi.

Chi ha ucciso le sale giochi? Io dico la PS2, quando il texture filtering è diventato davvero popolare. A livello domestico, le Voodoo per PC erano arrivate prima, ma non direi fossero davvero popolari.

Le sale giochi sono morte nelle texture sfumate di un parallelepipedo nero.

#Arcade #SalaGiochi #Videogiochi