Faerioll

Non mi definirei una veterana del fediverso, ma ormai credo di averne capito abbastanza da aver individuato cosa gli manca. Il fandom. Il fandom di un argomento che non sia informatica, privacy e/o politica che riguarda i due argomenti precedenti. Al di là della mia personale esperienza che è comunque molto positiva purtroppo ho un po' la sensazione che il fediverso esista solo per parlare del fediverso.

Socialnetworkianamente parlando nasco nei forum, successivamente sono passata su livejournal per finire ora stabile su Tumblr, TwitterX e AO3. Ma una cosa che ho capito dai miei cyber pellegrinaggi è che queste piattaforme sono cresciute grazie al fandom. Supernatural, Harry Potter, MCU... sono argomenti che attirano le persone sui social come mosche sul miele (o sulla me*da se si parla di fandom che detestiamo). Non ho trovato realtà simili nel fediverso durante la mia (comunque ancora breve) esperienza. Forse misskey ci si avvicina per via degli anime. E ho adocchiato qualche community furry anche se erano tutte istanze bloccate da quasi ogni altra istanza.

So che per alcunə il fandom è roba “inferiore”, argomenti frivoli e sciocchi, ma per la mia esperienza di piattaforme che crescono grazie al numero di utenti, temo sia inevitabile vendere un po' l'anima al diavolo se si vuole vedere i propri numeri aumentare. Certo questo rischia di attirare ogni sorta di creatura della rete, ma nel fediverso esiste il sistema a istanze che permetterebbe di arginare eventuali fandom wars.

Ieri sono state annunciate le candidature agli oscar. E per il film Barbie non è stata nominata né la regista Greta Gerwig né la protagonista nonché produttrice e anima del film Margot Robbie. MA! Viene nominato Ryan Goslin per il ruolo di Ken.

Robbie ha fatto un'interpretazione da oscar? Onestamente no, non lo penso * pur tenendo presente che il ruolo (quello di una bambola di plastica e dichiaratamente stereotipata) non le dava grande spazio di manovra. Goslin ha fatto un'interpretazione da oscar? Ma neanche per sbaglio. È stato mediocre, a malapena passabile * Gerwig ha diretto un film a livello da oscar? Non saprei, non me ne intendo così tanto di regia da dare un giudizio. Il film merita l'oscar? Non lo so, ma è un film che, a modo suo, ha fatto la storia del cinema. Un film fatto da donne, per le donne, che parla di problemi che riguardano solo le donne e che ha fatto incassi stellari è una cosa che non si è mai vista prima. Ridicolizzato, considerato frivolo, un filmetto... eppure ogni volta che se ne parla da qualche parte c'è un maschio cis-het che si straccia le vesti e si batte il petto strillando tutta la sua indignazione. No, non è un film innocuo: ha toccato dei nervi scoperti e io posso solo sperare che sia solo il primo di tanti a venire.

Ma tornando alla polemica: per me (come per altrə) la scelta di escludere proprio le due donne di punta dalle nomination è stata una scelta politica. Né più né meno delle 12 nomination a Maestro (inguardabile * ). Ma è ampiamente risaputo che gli oscar sono politicizzati. Quanti attori** scarsotti * sono stati nominati e premiati per motivi politici?!

Anyway, questa è stata la polemica del giorno.

Oggi ci sono le risposte e sono di questo tenore. “Ci dobbiamo davvero preoccupare di chi è stato nominato e chi no quando nel mondo ci sono le guerre, la fame, le malattie, le cimici, la pizza con l'ananas...?!” E a me girano abbondantemente le gonadi perché questa cosa del “ci sono problemi più importanti” è l'ennesima prova dell'egoismo dell'essere umano. Certo che se la confrontiamo con la fame nel mondo la questione delle nomination agli oscar scompare, ma se la mettiamo sempre su questo tono allora non dovremmo parlare mai più di nient'altro che non sia la crisi climatica perché è il problema più grave del pianeta * Ma non dovremmo parlare neanche del diritto all'aborto perché il genocidio dellə palestinesi è più grave*, non dovremmo più parlare dell'accesso alla sanità pubblica perché la salvaguardia delle foreste è più importante * ...

Ma possiamo finirla con questo buttare in caciara tutte quelle questioni che non ci riguardano e/o che non capiamo?! Se non capisci perché si faccia tanto rumore su quella tal questione: stai zittə, leggi cosa dice/scrive chi ne sa e abbi l'umiltà di cercare di capire. Quel tal problema non ti riguarda? Ignoralo e parla di altro. Parla dei problemi di cui ti stai occupando tu, per esempio. Perché poi tuttə quellə che si indignano che ci sono cose più importanti di cui occuparsi sono proprio quellə che, nel 99,9% dei casi, non stanno facendo proprio niente per occuparsi nemmeno dei problemi più semplici.

* a mio parere ** uso apertamente il maschile non sovraesteso perché non mi risultano attrici che siano state premiate a prescindere della loro bravura.

«… Ogni mattina, assai prima che venisse giorno, andava in città, sulla vecchia bicicletta cigolante, fino a un grande edificio nel cui cortile attendeva, con i suoi compagni, che gli dessero una ramazza e un carretto e gli assegnassero una strada da spazzare. A Beppo piaceva quell’ora prima dell’alba, quando la città dormiva ancora. E faceva il suo dovere volentieri e a fondo. Sapeva che era un lavoro assai necessario. Quando spazzava le strade andava piano ma con ritmo costante: a ogni passo un respiro e a ogni respiro un colpo di granata. Passo, respiro, colpo di scopa. Passo, respiro, colpo di scopa. Di tanto in tanto si fermava un momento e guardava, pensieroso, davanti a se. E poi riprendeva. Passo, respiro, colpo di scopa. Mentre si muoveva, con la strada sporca davanti e quella pulita dietro, gli venivano spesso in testa grandi pensieri. Pensieri senza parole, pensieri difficili da comunicare, come un determinato profumo del quale si ha un vago ricordo o come un colore visto in un sogno. Dopo il lavoro, quando sedeva vicino a Momo, le spiegava i suoi grandi pensieri. E poiché lei ascoltava in quel suo modo speciale, gli si scioglieva la lingua e trovava le parole adatte. “Vedi, Momo”, le diceva, per esempio, “è così: certe volte si ha davanti una strada lunghissima. Si crede che è troppo lunga; che mai si potrà finire, uno pensa.” Guardò un po' in silenzio davanti a sé e poi proseguì: “E allora si comincia a fare in fretta. E sempre più in fretta. E ogni volta che alzi gli occhi vedi che la fatica non è diventata meno. E ti sforzi ancora di più e ti viene la paura, e alla fine resti senza fiato…e non ce la fai più… e la strada sta sempre là davanti. Non è così che si deve fare”. Pensò ancora un po', poi seguitò “Non si deve mai pensare alla strada tutta in una volta, tutta intera, capisci? Si deve soltanto pensare al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di scopa. Sempre soltanto al gesto che viene dopo”. Di nuovo si interruppe per riflettere, prima di aggiungere: “Allora c’è soddisfazione; questo è importante, perché allora si fa bene il lavoro. Così deve essere”. E poi, dopo una nuova lunga pausa, proseguì: “E di colpo uno si accorge che, passo dopo passo, ha fatto tutta la strada. Non si sa come… e non si è senza respiro”. Assentì, approvandosi, e disse a mò di chiusura: “Questo è importante”...»

― Michael Ende, Momo

Sailor Moon

Non so quanti potranno capire cos'ha significato e significa tutt'ora Sailor Moon per me.

Sin da piccola una cosa che non mi è mai andata giù è il fatto che in tutte le fiabe i personaggi femminili si dividevano in due categorie: quelle che potevano utilizzare la magia (che avevano il potere) e quelle che trovavano l'amore (che avevano il lieto fine). Come se non fosse possibile per l'eroina avere sia la magia che l'amore. Inutile dire che quasi sempre il personaggio femminile con la magia era spesso anche la cattiva. Più raramente era una simpatica vecchina ma che usava il suo potere per aiutare la principessa di turno, mai per se stessa. Perché se una donna è dotata di un grande potere lo deve mettere a servizio del prossimo, non esiste che possa usarlo per se stessa, per la proprio felicità. Anche oggi, quando una donna arriva ad avere una certa influenza sulla vita degli altri ci si aspetta che lei la usi per proporre un modello sano, positivo. Non le è mai permesso usare la sua visibilità per il solo scopo di divertirsi e conquistare i suoi obbiettivi personali. Se una donna arriva ad essere famosa o potente deve sempre pagare il pegno di dimostrare che se lo è meritato. Qualche esempio?! In Biancaneve c'è la dolce ma inerme e inerte principessa e la potente e crudele matrigna ovviamente destinata ad una triste fine. Ne La bella addormentata nel bosco abbiamo un'altra principessa che è quasi sempre passiva degli eventi, ma qui abbiamo due esempi di donna magica: la strega che usa la magia per vendetta e la fata madrina che invece la usa per proteggere. In Peter Pan c'è la benvoluta, perché servizievole Wendy, e c'è la magica, ma invidiosa, Tinkerbell.

Per una bambina affascinata dalla magia ma che voleva anche poter sognare il principe azzurro trovavo molto ingiusto che le fiabe proponessero solo queste due opzioni per il personaggio femminile.

Sailor Moon ha rivoluzionato tutto questo. Un personaggio femminile che ha sia il potere magico che l'amore era finalmente possibile. Non solo: era anche un personaggio che combatteva, che sconfiggeva i suoi nemici. E non era mascolina, rude, truce come spesso ci viene presentata una donna che vuole fare “cose da maschi”. Era allegra e le piacevano le “cose da femmine”, ma anche imperfetta e pasticciona. Qualunque ragazzina avrebbe potuto identificarsi in lei. Sailor Moon è stata una capostipite, un'apripista. È la donna che non ha dovuto scegliere tra amore e potere. Li aveva entrambi e li gestiva benissimo senza cadere nel tropo dei personaggi femminili che, quando si trovano a gestire troppo potere, finiscono per impazzire e diventare un villain a loro volta (Scarlet Witch, Daenerys, Azula...). Perché non esiste che una donna sia in grado di gestire il potere senza impazzire, giusto?! Sappiamo che la fragile mente delle donne non è adatta a gestire troppe responsabilità...

Aiutata in questo, importantissimo, da una squadra di alleate, amiche, sorelle che l'hanno sempre supportata e sostenuta. Senza mai invidie né gelosie. Ma Sailor Moon aveva anche un'altra grande risorsa: un compagno che non si è mai sentito minacciato dalla sua forza e dal fatto che fosse lei la protagonista. Mamoru (o Mylord) non ha mai cercato di impedirle di fare ciò che lei ha deciso (quante volte il maschio di turno impedisce al personaggio femminile di agire secondo la sua volontà perché “se fai questo ti farai ammazzare”?!?). E soprattutto quando lei ha avuto bisogno del suo aiuto lui c'è sempre stato senza mai sentirsi inutile o messo da parte. Anche quando l'aiuto richiesto era quello di stare a casa ad occuparsi della loro figlia.

Sailor Moon è stata una serie che all'epoca ha spaventato moltə, c'era chi temeva che proporre questo modello di personaggio femminile facesse diventare i bambini gay. Nessunə ha mai pensato che questa serie poteva far diventare i bambini degli alleati nella lotta contro il patriarcato.

Perché C'è ancora domani non è un film femminista, a mio parere, (mentre Barbie, invece, sì)

Ho temporeggiato per vedere C'è ancora domani perché tutte e tutti ne hanno parlato come di un film bellissimo e “femminista”. E quando sento gli uomini usare l'aggettivo femminista come una caratteristica positiva i miei sensi di femminista prudono. E a ragione. Il film parla di una donna, Delia, sposata con un uomo, Ivano. Ed è la rappresentazione didascalica e anche abbastanza pedissequa del maschilismo più becero, violento e, soprattutto, riconoscibile. Talmente riconoscibile che qualsiasi uomo può guardare a quel modello di maschilista e prenderne tranquillamente le distanze. Peccato che il modello rappresentato dal personaggio di Ivano sia solo l'1% del patriarcato, quello che abusa fisicamente, verbalmente, economicamente, sessualmente. Ivano è solo la punta dell'iceberg e il film ignora totalmente tutti quei piccoli, apparentemente innocui, atteggiamenti che costituiscono la base sommersa su cui l'uomo violento trova la cultura che lo cresce, lo legittima e lo protegge. Ogni uomo che abbia visto C'è ancora domani può tranquillamente dire “io non sono come Ivano quindi non sono parte del patriarcato. Pertanto il problema non mi tocca”. Peccato che non basti questo. La questione è che questo film non mette in scena tutti gli atteggiamenti con cui ogni uomo si può rendere parte del problema. Non si vede il catcalling, gli apprezzamenti invadenti e non richiesti, le battute sessiste, il paternalismo benevolo, le riviste, i film, i cartelli pubblicitari tappezzati di corpi femminili più o meno vestiti... tutto questo fa parte del patriarcato e ogni uomo (e anche qualche donna) lo porta avanti senza rendersi conto che anche questo è maschilismo, anche questo è misoginia. Anche questo è patriarcato. Ma questo film non punta il dito contro questi atteggiamenti che appartengono ad ogni uomo (chi più chi meno), non fa quest'opera di denuncia. Il patriarcato è rappresentato come bianco o nero (letteralmente) perciò o sei come Ivano oppure puoi considerarti una brava persona e non hai motivo di preoccuparti di niente.

Dopo averlo visto ho capito perché tanti uomini hanno dichiarato questo film femminista. È il femminismo che piace a loro, quello che li rassicura, che gli dice che loro no, non sono così. Loro sono bravi ragazzi, non stanno facendo niente di male, non hanno bisogno di rivedere i loro comportamenti, le loro parole e i comportamenti e le parole degli altri uomini che frequentano.

A differenza di Barbie. Barbie presenta il patriarcato in maniera apparentemente più chiara a didascalica, ma in realtà quello che fa è mostrare le sfumature più subdole, più sottili e, quindi, meno facilmente riconoscibili della società patriarcale. In tutto il film nessun Ken alza mai le mani su una Barbie, nessun Ken offende una Barbie, nessun Ken fa catcalling o molesta sessualmente una Barbie. Quello che fanno i Ken è togliere alle Barbie ogni loro ambizione, ogni loro sogno, la loro identità. Per farne degli oggetti da possedere ed esibire e di cui disporre a loro piacimento. Un'azione terribile, innegabilmente, e la cosa che ha scatenato le ire di (quasi) ogni uomo è che quest'azione terribile non è stata operata da un burino in canotta, ma da quello che potrebbe essere definito il classico bravo ragazzo. Ken è il prototipo di giovanotto di belle speranze che, in fondo, non ha fatto niente di male, no?! Ken è il personaggio in cui ogni uomo si identifica ma quando si vede rappresentato in tutto il male che fa a Barbie ecco che, anziché cogliere l'occasione per una riflessione e una sana autocritica, il maschio medio si straccia le vesti e frigna che “questo non è femminismo, il femminismo è quello che mi dice che io sono bravo, bello e buono”.

In conclusione C'è ancora domani è un film contro il patriarcato? Certo che sì, ma contro una percentuale minima del patriarcato. Quella frazione che è la più evidente e la più facilmente condannabile. C'è ancora domani è un film femminista? A mio parere no. Il film non è scomodo, non fa nascere una discussione, non critica la società. La protagonista non fa niente per contrastare questo status quo e l'unica cosa che fa alla fine del film non è merito suo. È un diritto per cui lei non ha lottato e lo ha esercitato in segreto, in silenzio letteralmente per non urtare la sensibilità del patriarcato.

Perché invece vorresti dire che Barbie è un film femminista?! Sì, perché racconta il patriarcato come un potere strisciante che penalizza entrambi i generi (anche se in modo molto diverso). Che viene esercitato nel quotidiano, da ogni singolo uomo, anche quello “bravo, bello e buono”. Non a caso Barbie ha fatto arrabbiare molti maschi medi che ancora oggi ne parlano come di un film frivolo, superficiale e innocuo. Però... come si spiega che un film così insignificante abbia fatto arrabbiare così tanti maschi?

Buoni propositi per l'anno (non-social) nuovo: 1. niente più challenge di lettura su Lore. Leggo se e quando ho voglia, e stica##i ai conteggi di libri letti durante l'anno. 2. proseguire con il digiuno. Sta andando bene nonostante un paio di battute di arresto (che non sono state del tutto colpa mia, però). So che proseguire un progetto è mille volte più difficile che iniziarlo, ma ho trovato la mia dimensione quando ho smesso di stabilire degli obbiettivi e ho iniziato a programmare delle routine. E niente più alcol. So che è un tradimento delle mie origini venete, ma con l'emicrania e i farmaci che sto prendendo sarebbe sconsigliato. E siccome non è che io ne sia un'estimatrice posso anche farne tranquillamente a meno*. 3. più minimalismo. Che è un ossimoro, lo so, ma non saprei dirlo in modo migliore di così. La sintesi richiede sempre uno sforzo di comprensione.

*mi concederò giusto il brindisi di inizio anno.

Buoni propositi per l'anno (social) nuovo: 1. fare una cernita critica e ragionata dei social dove sono iscritta e procedere ad eliminare tutti quelli che non uso/mi interessano/mi piacciono 2. iniziare ad usare il tasto “blocca” e non perdere più tempo coi troll 3. scrivere di più, usare questo spazio come diario/sfogatoio. Mastodon va benissimo per le interazioni ma a volte ho voglia di parlare di un argomento che mi sta a cuore o di commentare un evento di attualità e quasi sempre mi blocco perché sui social “tradizionalmente” intesi non è facile parlare (c'entra anche il limite di caratteri). Qui però ho campo libero, tutti i caratteri che voglio e nessunə a cui mi sento in dovere di rispondere e/o spiegare.

Arrivata una certa età, e soprattutto ad una certa consapevolezza, mi sono resa conto che cercare di convertire alla causa chi ha un pensiero totalmente opposto è un lavoro senza speranze. Non serve a niente, è solo una perdita di tempo. E, onestamente, una fonte di arrabbiatura. Perché mi fa proprio arrabbiare sentire discorsi di persone che non solo non vogliono capire ma insistono a portare avanti un pensiero, una cultura, che ha dimostrato più e più volte di essere totalmente sbagliato, dannoso. Per lə altrə e anche per loro stessi. Ma nessuno vuole fare quello sforzo per cambiare prospettiva, per vedere tutte le altre possibilità. Arrivata a questo punto ho deciso che devo scegliere le mie battaglie. Devo lavorare dove c'è margine di miglioramento. Discutere, informare, conversare con le persone che hanno già dimostrato sensibilità all'argomento. Che hanno già dimostrato l'intenzione di imparare, di capire e, soprattutto, l'intenzione di voler fare una critica di questa società e anche di se stessi. Io non perdo più il mio tempo con gli ottusi, con quelli che sono convinti che esista un complotto delle donne che detengono il reale potere, che è il potere di quello che hanno tra le gambe. Perché quello è che ciò vogliono gli uomini. Non voglio più sentirli certi discorsi, non mi fanno neanche più ridere. Una volta almeno mi facevano ridere. Adesso basta. Il mio tempo è troppo importante. Preferisco dedicarmi a chi dimostra di meritarlo. In fondo anche questo è un gesto di amor proprio e rispetto per se stesse. Non sono la maestra di nessuno. Se vuoi sapere “cosa vogliono le femministe” ti basta una connessione a internet e la licenza di scuola primaria e le tue ricerche te le puoi fare benissimo da solo.

Sto leggendo “L'attenzione rubata” e ho deciso che devo dare un taglio alle distrazioni della rete. Il punto è che ragionando su questa possibilità mi sono resa conto che se anche cancellassi i miei profili e i miei account probabilmente nessuno se ne accorgerebbe.

Quando ho scoperto il Fediverse ero estasiata. Mi sembrava tutto bello, tutto attraente e ho voluto iscrivermi praticamente ovunque. E ora ho una miriade di account che guardo una volta a settimana solo per rendermi conto che non c'è niente che mi interessi... o quasi. La cosa che ho dimenticato (e sì che l'avevo imparato bene dopo l'esperienza con i social “tradizionali”) è che l'esperienza online non la fanno le piattaforme, ma le persone con cui interagisci. È il motivo per cui, nonostante il mio odio profondo, rimango su TwiX, ci sono quelle tre persone che mi interessano davvero e che non si vogliono schiodare da lì anche se io vorrei scappare da quel manicomio.

E ora sto seriamente valutando che fare degli account creati e mai aggiornati. Da una parte vorrei liberarmene, cancellarli. Ho già detto che non amo lasciarmi dietro contatti aperti se la questione è chiusa. Dall'altra parte c'è la mia più grande paura ovvero “e se un giorno cambio idea?! Non potrò più usare il nome che è mio, che ho creato io per me”.

E ora sono in crisi. Voglio davvero liberarmi di questi account persi nel Fediverse (e non solo), ma questa forma di fomo che mi lega al mio nome mi blocca.

Però il mio animo minimalista mi sta richiamando all'ordine e mi ricorda il mio bisogno di avere solo lo stretto indispensabile. E allora penso che sia giusto eliminare. Che se una cosa non mi è tornata utile per settimane o mesi la situazione non cambierà di certo nell'immediato.

Ho pensato di adottare la tecnica del trasloco. Presto la mia mail ufficiale verrà cambiata e allora cambierò la mail di accesso solo a quei profili che uso, che mi piacciono, che voglio tenere. E terrò davvero solo quello che uso perché mi piace.

Nuova riflessione sul Minimalismo. E sì, ho scritto Minimalismo con la M maiuscola perché probabilmente di minimalismo avrete già sentito parlare in rete. Quasi sicuramente lo avrete trovato associato a foto di case beige, vuote, asettiche. O magari con giovani donne bianchissime, magrissime, “acqua e sapone” (tra virgolette perché lo stile acqua e sapone non esiste, mettetevela via, è solo un sapiente uso del make-up), con una crocchia di capelli biondo platino elegantemente disordinata...

Ebbene dimenticatevi di tutto questo.

L'estetica minimalista può piacere (non nascondo che a me piace molto) ma non è questo il Minimalismo.

Minimalismo vuol dire prendere coscienza del potere che le cose, e l'immagine di noi che vogliamo trasmettere grazie a quelle cose, hanno su di noi. Vuol dire fermarsi, guardarsi intorno e capire quanto quello che possediamo possiede noi. Quanto della nostra vita, del nostro tempo, della nostra serenità abbiamo sacrificato per avere ciò che abbiamo oggi e se ne sia o meno valsa la pena.

Userò come esempio il guardaroba perché è il più semplice (e spesso l'unica cosa che accomuna ogni essere umano di quello che definiremmo il mondo occidentale). Ci troviamo spesso ad avere miriadi di capi che teniamo pur non usandoli per i più disparati motivi: perché è un regalo, perché è carino anche se non mi sta, perché l'ho pagato tanto... spesso perché non mi ricordavo neanche di averlo. Ma tutto ciò che non indossiamo è solo ingombro. Conosco persone che hanno armadi stracolmi di vestiti, al punto da non avere spazio per metterne di nuovi. E poi indossano sempre le solite cose. Due o tre maglie che alternano con due paia di pantaloni. E spesso sono anche cose di scarso valore, trasandate. Magari hanno nell'armadio cose graziose, che gli starebbero meglio, e che valgono di più, ma vanno sempre “sul sicuro” coi soliti capi. Io ero una di queste persone.

Il punto è che tutto ciò crea una condizione di frustrazione, anche se inconscia, perché sentiamo di avere il nostro spazio (e di conseguenza la nostra mente) ingombro di cose che sfuggono al nostro controllo.

È scientificamente dimostrato che uno spazio ingombro e disordinato è fonte di stress. L'armadio è un luogo fisico che apriamo ogni giorno (più o meno), vogliamo davvero che quello che vediamo sia caos, oggetti alla rinfusa, uno spazio ingombro?! Le nostre case (o stanze se viviamo con la nostra famiglia) sono lo specchio della nostra personalità. Che immagine vogliamo vedere ogni volta che apriamo l'armadio? Che immagine vogliamo che le nostre scelte ci rimandino?!

Oltre al benessere psico-fisico il minimalismo porta con se anche l'evidente benessere dovuto al risparmio di soldi. Ma anche al risparmio di materiali (spazzatura) che mettiamo in circolo.

Vi consiglio di vedere, se non lo avete già fatto, The true cost. Si trova anche su invidious cercando il titolo

Quando è successo che l'essere umano ha sviluppato il “bisogno” di possedere 10 (quando è parsimoniosə) maglioni? 50 magliette? 10 paia di jeans?!?

Il consumismo è ciò che ha creato quel mostro ingoia-pianeta che è la fast fashion. Non farò nomi di aziende ma sappiamo tuttə quali sono. E se non lo sapete vi faccio un po' di conti spicci.

Una T-shirt non può costare 5,99 euro. Non è matematicamente possibile. A meno che non si tagli pesantemente sui materiali e sui costi di produzione. Tagliare i costi di produzione vuol dire che da qualche parte nel mondo (quasi sicuramente in Bangladesh) c'è un uomo, una donna o unə ragazzinə che lavora dalle 12 alle 15 ore al giorno per 2 o 3 dollari alla settimana in un edificio privo delle più basilari norme di sicurezza e benessere. Persone che muoiono giovanissime per tumori sviluppati a causa dei vapori degli agenti chimici usati per lavorare tessuti scadenti, pieni di micro-plastiche, che finiranno a inquinare il pianeta.

E no, non sono i “rischi del mestiere”. Perché l'alternativa sicura c'è. È solo che costa troppo per chi vuole vendere T-shirt a 5,99 euro guadagnandoci l'80%.

Io penso spesso a quello che resterà di me dopo che avrò lasciato questo pianeta.

Mi riferisco sia alle cose più stupide (tra cui la mia cronologia di internet) ma anche all'impatto che avrò, pur nel mio piccolo, nell'ambiente. E quando parlo di ambiente mi riferisco sia alla natura, sia alle vite di coloro che verranno dopo di me. Che non sono per forza i miei figli (che non ho), ma chiunque dovrà ripulire dopo che me ne sarò andata. Siamo su questo pianeta per pochi anni e io voglio lasciare il minimo di immondizia possibile.

Tanto niente di quello che possiedo verrà con me nella bara.

Mi rendo conto che forse ne è uscito un discorso un po' nichilistico, dopotutto alcunə aspirano giustamente a lasciare aə propriə eredi una casa, dei possedimenti materiali che rendano loro la vita più semplice. Ma vogliamo che ə nostrə eredi trovino un piccolo scrigno di tesori, magari gioielli e investimenti, o un armadio pieno di stracci che dovranno preoccuparsi di smaltire?!