kipple

Considerazioni, ricordi e altre cose inutili che si accumulano.


Ken il guerriero, l'uomo di Hokuto, torna sempre. Non se ne è mai andato, probabilmente, comunque parto da Goldrake.

Ho visto Goldrake su Rete 2, ma ero troppo piccolo e non ho ricordi sufficienti a ricavarne un qualsiasi accenno di analisi. Quando è arrivato Ken il guerriero, Hokuto no Ken, ero grande abbastanza e quei ricordi sono ancora tutti qui. Penso sia uno delle pietre miliari della storia dell'animazione giapponese in Italia, non solo per il titolo in sè, ma per un impatto che definirei totalizzante. C'erano stati i robottoni, ma erano tanti e dividevano il pubblico, anche solo tra titoli nagaiani e non. Ken il guerriero, invece, era uno solo pur nella sua divisione interna in due serie.

Breve digressione sulla seconda serie. Le parole che si sentivano più spesso: “non mi piace, doveva finire a Raoul, i personaggi sono strani, si sono messi a fare le palle di fuoco. Tutte balle, la si continuava a guardare con la stessa avidità, chiusa la digressione.

Si poteva parteggiare per questo o quel personaggio, buono o cattivo era indifferente, il catalogo era micidiale. Si ragionava sempre all'interno di Ken il guerriero, però. Qualcuno, nelle reti locali di tutta Italia, deve aver fiutato il sentore e così, a diverse latitudini, siamo finiti con tre messe in onda quotidiane, chiaramente sfalsate tra loro e, spesso, di parecchio. Mossa azzeccatissima, perché c'era una specie di necessità di Ken il guerriero, c'era da guardarne le puntate e commentarle a scuola, prima della campanella, in sala giochi, per strada. Commentare tutto, anche se Raoul era vivo la mattina, morto il pomeriggio e impegnato con Fudo la sera. Non ce ne importava nulla dello spoiler (cos'era?), della ripetizione, della cronologia impazzita. Volevamo Ken ed eccocelo, prima, dopo e durante i pasti.

Qualche anno dopo, arriva Street Fighter 2, stavolta il mezzo è il videogioco e gli schermi sono quelli della sala giochi, l'impatto culturale e sociale è il medesimo. Anche stavolta, qualcuno se ne accorge, più facilmente perché bastava guardare le code infinite. I cabinati di SF2 si moltiplicano, le schede originali non bastano, i gestori fanno quel che possono e arrivano bootleg, rainbow edition, la gente vuole, deve giocarci ora e subito. Mai visto nulla del genere, prima o dopo, anche sette cabinati dello stesso gioco nella stessa sala.

Ken il guerriero, Street Fighter 2 sono cose superflue (inutili, direbbero gli altri, gli esterni). Come tante altre, come la maggior parte delle cose. Difficilmente sarà morto qualcuno per una grave carenza di Hokuto o per una prolungata astinenza dall'hadoken. Le cose inutili, però, sono quelle che ci aiutano a rendere sopportabile la vita.


Era il 1995 e a Napoli il Supermarket del Fumetto, a via Montesanto, viveva quelli tra i suoi anni migliori. L'ultima volta che ci son passato, era tutto chiuso e impolverato, niente fumetti, dei vecchi stavano giocando a carte attorno a un banchetto scassato; ora, credo, ci sia un locale di scommesse.

Stava per uscire Neon Genesis Evangelion, ne avevamo letto sulle pubblicazioni con le anteprime. All'epoca c'erano queste pubblicazioni, magari anche corpose, distribuite gratuitamente come una sorta di cataloghi e non solo: anteprime, appunto. Sia come sia, sapevamo che sarebbe uscito Evangelion, sapevamo trattarsi di qualcosa di grosso (e diamine se lo è stato), Dynamic e fumetterie spingevano sulla sua pubblicità; nel caso specifico, parlo della proiezione di una VHS assemblata ufficialmente all'uopo, con degli estratti dalle prime due puntate.

Era un sabato pomeriggio, solitamente il sabato prendevamo l'autobus e ce ne andavamo in fumetteria. Non sempre, ma quella volta non si poteva mancare. La sala proiezione (un videoregistratore attaccato a un vecchio, pesante televisore da 25” al massimo) era stata allestita in un locale attiguo, sempre collegato alla fumetteria ma solitamente non accessibile ai clienti. Ci presentammo col giusto anticipo, per fortuna, la saletta era già alquanto affollata, poi si sarebbe riempita. Tutti seduti a terra, tutti probabilmente abituati a Mazinga & C.; quello che stavamo vedendo, però, al netto di ispirazioni, citazioni e discendenze, era altro. Era qualcosa che veniva dopo e andava oltre. Sapete? Quella storia del prima e del dopo, eccetera. Ci esaltammo.

Credo che nessuno dei presenti abbia poi dimenticato, abbia potuto dimenticare quel momento di comunione robotica.

Intanto, il tempo passa e io, non so altri, ho iniziato un po' a conteggiare i lustri da quella data. Un nuovo anno zero, insomma. 2000, 2005, 2010... ancora troppo vicini, forse. 2015, però, attenzione: son già passati 20 anni! Poi arriva il 2020, gli anni sono 25, un traguardo simbolico ma importante, tanto da poter usare una frazione di secolo. Ora che scrivo, è passato un altro lustro, gli anni sono 30 ed è una cifra che inizia a intimidire, una fetta abbondante di vita è stata mangiata, chissà quanto resta della torta. La fetta migliore, ecco, mangiata e digerita.

Dovessi esserci ancora nel 2030 (sempre avere dubbi, le certezze non appartengono agli esseri viventi), mi ritroverò a pensare a quel sabato pomeriggio di 35 anni prima, quando ero giovane e la torta sembrava ancora tutta intera.


Discussione ritrita che si ripresenta periodicamente, con gli autori che ci si mettono d'impegno per riesumare cose che meriterebbero un oblio rasserenatore.

La mia posizione in merito era relativamente accomodante, con un limite abbastanza vago su quel che l'autore pensa fuori dalle sue opere, dai sui libri, dalle sue canzoni, dai suoi film, dai suoi videogiochi, dalle sue esternazioni pubbliche; tuttavia, il tempo ci cambia, il mondo dovrebbe cambiare e io ne ho approfittato per cambiare idee. Ho abbassato enormemente la mia soglia di sopportazione, ho capito che non è più il caso di far finta di nulla, di giustificare posizioni inconciliabili con la mia etica nel nome del genio o, semplicemente, di qualcosa che mi andava a genio.

Parto avvantaggiato dal fatto che non ho idoli viventi, non metto nessuno sui piedistalli e, se proprio devo guardare a una personalità famosa, assolutamente meglio puntare su qualcuno morto da un pezzo, di cui si è saputo quel che si doveva sapere, perché, diciamolo: all'inizio sembrano tutte brave persone e salutano sempre, poi si rivelano.

Questo non significa che non abbia modelli di riferimento o non conosca gente degna di fiducia quasi illimitata: è gente comune, però, attenzione. Persone anche con un profilo pubblico, ma naturalmente capaci di relazionarsi da pari, che non è una cosa scontata per le celebrità.

Non avendo davvero idoli viventi, non mi aspetto altre grosse delusioni. Sono legato particolarmente a Stephen King per una serie di questioni, una delle quali (materiale per un altro scritto) abbastanza estranea al fatto che i suoi libri mi piacciano o meno. Diciamo lo scrittore della vita, anche se commerciale, ripetitivo, tutto quello che gli si addebita. Non sono un lettore colto e educato.

Ebbene, dovesse svalvolare anche lui? Non mi strapperò i capelli, non avendo materiale da strappare. Non venderò con sdegno tutti i suoi libri, perché li ho già venduti: per soldi, mi servivano, non li avrei riletti, lo spazio in casa è per i ricchi, li leggeranno altri.

Riassumo: puoi produrre quel che ti pare, la più grande opera della storia dell'umanità, ma posso strappare quel contratto di complicità in qualsiasi momento, con qualche rimpianto solo temporaneo, perché il tempo passa.


Non sono un adoratore di Pino. Mi piace ascoltare le sue canzoni quando capita, alcune le reputo enormi, ma non è tra gli autori che voglio riascoltare e riascoltare. Inoltre, sono un suo conterraneo, ma con quella terra ho un rapporto più conflittuale, un conflitto che si intensifica col tempo ma che, probabilmente, giungerà alla pace prima o poi. Nel senso che mi pacificherò e rinnegherò per sempre quegli anni e quei luoghi della mia vita, perché sono storie che meritano solo questo.

Qualche volta, periodicamente, sento il bisogno di mettere per iscritto il mio rapporto, appunto, con Napoli e la sua provincia; nella mia testa sarebbe un testo di fuoco, una lunga tirata ricca di fervore e passione, poi penso (sempre periodicamente) che non ne vale la pena e che per Napoli e provincia ho già sprecato troppa della mia vita. E poi, a che pro? Pino Daniele ha già detto tutto quello che c'era da dire e meglio di come potrei farlo io in diecimila parole e diecimila anni.

NapulƏ è 'na carta sporcƏ e nisciunƏ sƏ nƏ 'mportƏ e ognunƏ aspettƏ 'a ciortƏ.

Tutto il resto è superfluo, l'unico mio contributo possibile è l'aggiunta degli schwa, perché il napoletano è il dialetto (o la lingua, distinzione di cui si occupano gli studiosi, io propendo per il primo) degli schwa e bisogna metterselo in testa e usarli.

Negli anni Novanta, facevo le superiori e c'era un amico, lui, adoratore di Pino Daniele. Aveva la macchina, in quanto pluriripetente, e in macchina aveva le cassette, chiaramente Mixed by Erry: va bene l'adorazione, ma fino a quando non deve scontrarsi col vile denaro. E una cassetta di Pino, il Pino per antonomasia, era sempre nell'autoradio. Lo stereo, quello lì.

L'amico, tuttavia, non si stancava di ripeterlo a caso nel corso dei mesi e delle discussioni: Pino Daniele non è più quello di una volta, si è commercializzato.
Non ho mai approfondito e non gliel'ho mai chiesto, ipotizzo che il punto di rottura sia stato l'album Che Dio ti benedica. Lettore di passaggio arrivato sin qui, sappi che il mio amico non era l'unico a pensarla così e, estendendo il discorso a qualsiasi musicista sulla terra, ci sarà sempre un momento, ci sarà sempre qualcuno a dire di lui “è diventato commerciale”. È il modo più immediato ed efficace per diventare esperti di musica.

Io, che esperto di musica non sono, penso che l'unico modo per non diventare commerciali sia scriversi i pezzi, arrangiarseli e ascoltarseli in cuffia, da solo, o portarli in giro gratuitamente. Diversamente, perché di qualcosa si deve campare questa presunta commercializzazione è una delle prime fasi del processo. Non è neanche scolpito nella pietra il fatto che l'artista voglia, artisticamente, morire così come è nato, ne abbia la forza o l'ispirazione; non essendo un artista, non devo preoccuparmene, una preoccupazione in meno.

Con l'amico ogni tanto ci si scrive su Whatsapp (non è il tipo da usare mezzi più sani), la prossima volta potrei chiedergli se il suo pensiero sia cambiato nel tempo. Solo quando sarà, però, perché con gli amici di scuola è, solitamente, meglio tenere una certa distanza.


Una montagna ha battuto le palpebre e in quel tempo sono nato, vissuto e morto. La montagna non si è accorta della meschinità della mia esistenza umana,come se non fossi mai esistito. Non avrò vissuto abbastanza da vedere una montagna battere una sola volta le palpebre; nessuno vive così a lungo da percepirne il movimento.


Quando ho incontrato il web, le BBS stavano già cedendo il passo e le avevo viste solo a casa di amici di amici, più ricchi, che si potevano permettere certe bollette. Non ho fatto le scuole massime, quindi non ho visto le BBS all'università.

Quando ci siamo conosciuti a vicenda, oltre alla bolletta si doveva pagare anche l'accesso alla rete, così decisi di pagare il doppio obolo appena aprì un provider nella mia cittadina. C'era Windows 95 e bisognava accedere al provider attraverso una specie di terminale. Il tizio del provider era venuto personalmente a casa, a configurare il modem, interno, per la prima connessione. A presentarci.

Quando, insieme al tizio, abbiamo immesso una stringa in un primordiale motore di ricerca, non ricordo quale, nel testo c'erano tre xxx di fila. Sua iniziativa: era il suo modo di meravigliarmi, mostrandomi la causa primigenia della creazione del web. Il motore di ricerca, credo, fosse Hotbot. Dopo diversi secondi, ecco apparire uno di quei tipici siti dell'epoca, con la griglia di immagini di anteprima, cliccando sulle quali si accedeva a versioni di risoluzione solo leggermente più alta.

Quando sono arrivati gli abbonamenti per l'accesso a internet, nei negozi, ho abbandonato il tizio. Penso di aver acquistato una scatolaccia della TIM con dentro solo un CD e qualche credendiale per l'accesso. Poi abbandonai anche la scatolaccia, quando l'accesso divenne gratuito con le offerte di diversi gestori: Tiscali, Infostrada, SuperEva e altri nomi persi per strada.

Quando ho scoperto che c'erano tanti appassionati di manga e anime, grazie ai webring e ai link lasciati nei guestbook, ho deciso che un sito volevo averlo anche io. All'epoca, Geocities era sinonimo di siti amatoriali, pessimo html, gif animate, effettacci in Java per chi volesse proprio stupire. Penso alla classica immagine riflessa in movimento e altri effettui ingenui e spensierati, come il web di allora.

Quando ho scoperto che firmare un guestbook non mi bastava più, mi sono attrezzato per IRC, il client dominante era mIRC rigorosamente piratato. Con quegli appassionati di manga e anime mi sono incontrato più volte, nonostante la timidezza e l'incapacità di prendere confidenza con gli altri in tempi umani. Siamo stati alle fiere del fumetto quando erano ancora poche, ci si beccava a Roma.

Quando ho iniziato a interessarmi agli MP3, scoperti a una fiera a Roma grazie al leggendario CD del Progetto Prometeo, ho iniziato a cercarli su WinMX. Lo preferivo a tutti gli altri, scomparsi nel tempo (Limewire, Bearshare) o meno (eMule/aMule).

Quando la messaggistica istantanea è iniziata a diffondersi, parlo di ICQ (35128028, aggiungetemi!), le possibilità di comunicare in tempo reale sono aumentate e le chat si sono divise. IRC era ancora vivissimo e pimpante quando, per qualche motivo, a volte ci appartavamo nelle chat private, prima in due, poi si finiva con l'invitare tutti quelli che ancora stavano su IRC, operando questo spostamento di massa senza un motivo reale.
Poi ci si è spostati praticamente su ICQ (e Messenger poi), abitando comunque le vecchie chat su irc.azzurra.org, perché poteva capitare la persona di passaggio e dovevamo accoglierla.

Quando giocava l'Italia, nei mondiali 1998, la connessione era velocissima. Certo, quanto poteva esserlo una connessione analogica di quasi 30 anni fa. Tutti a guardare la partita, a me non me ne è mai fregato nulla degli sport da miliardari della lira e milionari dell'euro.

Quando è uscito libero@sogno, la prima tariffa semiflat (prima dalle 16 alle 8, poi dalle 18.30, poi dalle 21...), è stata la rivoluzione/liberazione che tutti aspettavano. Basta con le ore di connessione contare, era il momento di far girare i file.

Quando abbiamo appurato, collettivamente, che ICQ era molto più pratico per le discussioni più raccolte, per spedirsi file di grandi dimensioni (le grandi dimensioni dell'epoca), per il semplice fatto di non dover badare ai comandi per la gestione dei canali e degli operatori, per la registrazione dei nick e tutto il resto, ci siamo spostati definitivamente su ICQ, tanto i contatti ce li avevamo e, ormai, la gente era quella. Non si poteva fare /slap, però.

Quando serviva qualche file particolare, lo cercava e, probabilmente, trovavo su Astalavista.

Quando è uscita l'ADSL a prezzi umani, ho aspettato ancora diverso tempo, ancorato a libero@sogno che era ancora parecchio più economico. Poi ho ceduto, come tutti, e eMule ha scalzato WinMX dal trono.

Quando ho giocato per la prima volta online, era Final Fight sul Mame, una delle più grandi invenzioni della storia. Assieme al Progetto Prometeo. Anni dopo, però, è uscito World of Warcraft, che è un pezzo della mia vita e merita uno scritto tutto suo. Lungo. Lo farò mai? Chissà.

Quando i telefonini hanno iniziato a connettersi alla rete (i famosi mega prima e giga dopo), ho capito presto che il giocattolo stava iniziando a rompersi. Da allora, è tutto un eternal september: se avete letto fin qui, non devo spiegarvi cosa sia, aggiungo solo che non ho trattato specificamente il tema Usenet/newsgroup perché non ho molto da dire. È un mezzo forse parallelo ai forum, per certi versi; in ogni caso, sia i forum che i newsgroup non sarebbero dovuti morire, ma tempo e società fanno le selezioni.

Quando è uscito Facebook, era un posto bellissimo, un mezzo bellissimo, e lo è stato per qualche anno. Lo vivevo, tuttavia, con la tristezza dentro: anche stavolta avevo capito presto. Penso sia stata la più grande disgrazia degli ultimi decenni, l'inizio della fine, un qualcosa in grado di cambiare in peggio la società nei secoli dei secoli, minandola alle basi. Una deflagrazione incontrollata a livello sociale, politico, culturale prima di tutto. C'è un prima e un dopo, e del dopo dovranno occuparsi gli storici del futuro, quale che sia la forma del futuro che ci sopravvivrà.
Tutto allo sfascio e potrà solo peggiorare, ormai per una serie di fattori, ma so chi sia stato ad accendere la miccia, me ne sono accorto prestissimo.

Quando ho scoperto il Fediverso, è stata una specie di epifania, un ritorno al passato: una riscoperta, quindi, di certe situazioni e sensazioni. Un ritorno a precise concezioni della propria esistenza nella rete, a quello che dalla rete esigiamo e che alla rete sentiamo di dovere. Non è più qualcosa di nuovo, è una giostra che gira da diversi anni, ormai. Chissà cosa succederà tra un anno, cinque, dieci.


A meno di cambi di paradigma totali, avanzamenti di diversi ordini di grandezza. Balzi prigoginici, si diceva una volta, nella tecnologia di archiviazione; tecnologiche che non si vedono sbucare concretamente all'orizzonte, nonostante i periodici proclami di miliardi di miliardi di bit salvati su un'elica di DNA, un granello di sabbia, un cubo di vetro da 2 nanometri di lato.

Certo, in medicina e tecnologia possono passare anni o decenni tra scoperta e realizzazione massificata; capita che passi un tempo infinito, quando i proclami si scontrano con la realtà, che va avanti a testa bassa e di certe cose proprio non vuol saperne. Intanto, siamo legati a supporti, solitamente magnetici, di qualche tipo: nastri, HDD e SSD, nelle varie declinazioni.

Intanto, in attesa del vetro, della sabbia e del DNA, la gente continua a caricare migliaia di ore, ogni secondo, di video: come se ci fosse un domani. L'espressione solita, “come se non ci fosse un domani”, per me non ha davvero gran senso: appurata, certificata la mancanza di un futuro, un'altra certezza è quella che l'essere umano smetterà di fare quello che stava facendo. Se non c'è un domani, chi me lo fa fare?

Youtube, la piattaforma regina dei video venuti dal basso (e dall'alto e di lato), ci lascia ancora fare. Evidentemente, la monetizzazione dei nostri dati copre ancora i costi dell'archiviazione; avanza pure, guardandone gli introiti. Quelli di Google sono enormi, vero, ma quanto? Non infinitamente.

Ho diversi account Youtube, per l'appunto, oltre a quello su Dailymotion: è il canale di backup/emergenza, per video che altrove rischiano la cancellazione o la chiusura del canale. Sì, anche io sono tra i fortunati che si son visti chiudere un canale per qualche motivo, mi è capitato molto tempo fa, quando ancora la creazione di un account Google comportava automaticamente l'apertura di un canale Youtube. Tre reclami dallo Studio Ghibli, dal suo braccio armato legale più precisamente: grazie mille, Miyazaki-sensei, da allora gli introiti dello studio sono al sicuro. È solo grazie alla chiusura del mio canale, per tre video innocui, se i capolavori successivi sono stati economicamente sostenibili.

Un altro canale, sempre Youtube, mi è stato invece chiuso di recente. Per un video di due minuti scarsi di Ballarò, online dal 2010. Su reclamo della RAI. La RAI per i reclami usa un indirizzo Gmail, sappiatelo. Come una persona qualunque per l'account del suo telefonino con Android. Questo video, intanto, è ancora online su Dailymotion.

Ma (pausa inutilmente lunga, come gli anglosassoni quando dicono “but”). Qualche giorno fa, o magari settimane, mi è arrivata un'email di Dailymotion, i video inattivi saranno archiviati tra tre mesi e cancellati dopo sei.
I video inattivi sono quelli ignorati nei dodici mesi precedenti, probabilmente oltre il 99% dei miei caricamento. Ebbene, la prima reazione è stata quella di visualizzare tutti i video del mio canale, per sottrarli all'inattività e all'oblio finale, come anticipavo ci sono video anche di quindici anni fa.

Quanto è durata questa prima reazione? Penso una decina di secondi, poi ho realizzato che non me ne importava niente, facciano pure. Se nessuno li ha cercati e guardati, qualche motivo ci sarà. Sopravvivrò io, sopravvivrà il resto del mondo. Dailymotion, fai la tua cosa, fai spazio. Prima o poi, dovranno farlo anche gli altri che, per quanto grandi, non sono infiniti.

Chiudo questa lunga e innecessaria considerazione ricordando che i nostri cosiddetti “contenuti” hanno valore per i giganti del web fino a quando possono cavarne sangue. E che questi “contenuti”, una volta affidati alle loro capaci mani, non sono più nostri.

Il web vero, persistente, personale, non deve essere un enorme accentramento; il web vero deve essere frammentato, interoperante, nostro.


L'unica possibilità per abbassare l'età media di paesi obsoleti, come Italia e Giappone, è l'immigrazione: chiarito questo, posso andare avanti. Altre formule non ne ho, non sono stato in grado di salvare me stesso, non posso salvare l'Italia e neanche il Giappone, che è così lontano.

Quali sono gli incentivi reali messi sul piatto da questo Governo? Non dico proposte fantasiose, fesserie ideologiche, costrizioni spacciate per suggerimenti e altre mosse assolutamente ininfluenti: parlo proprio di come convincere una giovane coppia a generare una nuova creatura, che sia la prima, la seconda e così via. Qualcosa di solido, efficace, concepito come concreto. Qualcosa che non esiste e non esisterà.

Ne faccio un discorso molto pratico: una mancetta una tantum, dal terzo figlio in poi, non serve a nulla, poteva andare bene 150 anni fa. In linea con questi politici, bloccati a 100 anni fa su posizioni che, lasciatemelo dire, hanno avuto un secolo intero per rivelarsi come il capolavoro che sono.

Continuo dal punto di vista pratico, livello terra terra, parlo proprio il vile denaro che, ahimè, è indispensabile nel regime capitalistico che ci soffoca.

In una coppia, oggi un solo lavoro non basta, o basta per mangiare tra uno stipendio e l'altro. Servendosi dei discount. È un boom di occupati, ma sottopagati, soccorsi dai genitori: con gli stipendi della percentuale di occupazione più alta dai tempi di Garibaldi, ci si pagano affitto e utenze. Forse. Poi bisogna mangiare, pagarsi la sanità. Poi servirebbero i soldi per i figli, chiaramente al plurale perché al Governo brillano gli occhi quando si leggono quelle storielle sulla famiglia felice con 10 figli e un parto quadrigemellare quasi a compimento. Per una semplice questione matematica, quei soldi non ci sono.

Serve un'altra fonte di reddito, servono entrambi i coniugi. I genitori possono portare i figli a lavoro, in Italia? Ne dubito, dubito sia la norma. Come non è la norma la presenza di asili nido e strutture scolastiche adeguate, non è la norma perché ce ne saranno al Nord, ma al Sud è la desolazione. Il risultato: a questi ipotetici bambini deve badarci la mamma (siamo in Italia), mentre spolvera la cristalliera e prepara la cena per il maritino. Un quadretto che qualcuno trova edificante.

Ok, uno o più pargoli vedono la luce, infine, facciamo che uno dei genitori abbia la possibilità di dedicargli tutta la giornata, risparmiando i soldi per gli asili privati. Gli alimenti per i bambini, i pannolini, tutto quel che serve ai più piccoli costa una fucilata. Non sono pratico, non so cosa serva davvero, ma non ho dubbi sui costi eccessivi e sull'incapacità (e la volontà) governativa di incidere in tal senso.

Poi ci sono le scuole, ovviamente ancora una volta si spinge al privato, piuttosto che potenziare i servizi pubblici. Con l'attrezzatura, i libri. Le gite che non ci si può più permettere.

Infine, a questa nuova generazione vogliamo imporre la stessa povertà che, generalmente, ha afflitto quell precedenti? Perché sì, con gli standard odierni, quella che ho vissuto io (come milioni di miei coetanei), oggi è povertà. E qua chiudo la parte più materiale del discorso.

Come il presente, il futuro è un'enorme fonte di preoccupazione; tuttavia, è probabile che si percepisca il presente come qualcosa di personale e il futuro come un'eredità. Le eredità contemplano anche i debiti. Il futuro è un pagherò che trasmettiamo ai nostri successori, tanto noi nel frattempo saremo morti. Questo discorso non vale per me e non vale per tantissima altra gente.

L'eredità collettiva che ci stiamo preparando a lasciare è quella dei fascismi che ritornano, una malattia che non va mai in recidiva. Stanno apparecchiando un futuro di sconquasso climatico, col mondo che è già cambiato in tal senso e sembra proprio si voglia far finta, perniciosamente, che non stia accadendo nulla.

Stanno cercando di normalizzare il fascismo e la gente, che sostanzialmente nasce di destra, sembrava non aspettasse altro. Dico che la gente nasce di destra perché, semplicemente, è più facile vivere così: non ci si fanno troppe domande, per propria debolezza si delega la propria esistenza all'uomo forte, a ogni problema si oppone la soluzione più semplice e immediata, che è sempre quella sbagliata.

L'oligarchia sta spuntando anche in occidente.

Una parte enorme della ricchezza degli Stati finisce in armamenti, non si sa perché (cioè, si sa ma sarebbe meglio il contrario).

La potenza dei social, la più grande disgrazia degli ultimi decenni, è al culmine: l'opera di disumanizzazione della gente è completa. Lo affermo da tempi non sospetti, non mi son svegliato stamattina con questa idea.

Tutto è orientato alla privatizzazione, sanità e scuola pubblica andranno avanti non si sa per quanto tempo, non si sa in quale forma.

Si studiano e promulgano leggi liberticide per sopprimere la protesta, in tutte le sue forme, anche quelle date per scontate da sempre: gli studenti, i lavoratori, le categorie dimenticate o apertamente, furiosamente osteggiate.

Piuttosto che celebrare e riconoscere la diversità per quel che è, un bene prezioso, nonché la normalità mondata da sovrastrutture religiose e ideologiche, si fa di tutto per schiacciarla e tornare a una presunta epoca d'oro di immobilismo e pietrificazione culturale.

Stanno creando un mondo mezzo bruciato e mezzo allagato, spostando la ricchezza quanto più possibile verso chi non ne ha già alcun bisogno, tentando di creare un esercito di soldatini poveri a cui è vietato qualsiasi cenno di insofferenza.

Con queste prospettive, io non contribuirei mai a mettere una nuova creatura al mondo. Mi sentirei di averla condannata.

Intanto, vi dicono di fare figli. Ma. Ma non potete adottarli e non possono farli altri per voi, perché la gestazione per altri è un reato universale sotto una certa soglia ISEE: oltre i 200 miliardi di dollari non è reato, anzi.


Sentita stamattina da una persona nata in un podere, ricompensa per il nonno, partecipe dell'impresa abissina. Partecipe suo malgrado, come molti altri soldatini.

Radunavano persone in un posto e le tritavano con le mitragliatrici, questa sarebbe una guerra, questa è la guerra. Al ritorno, il nonno inizio a bere, fino all'alcolismo e l'alcolismo fu la sua fine. Lasciando quel podere a chi non aveva avuto la fortuna di partecipare all'impresa.

Ho sentito della prossima introduzione della storia d'Italia come materia alle scuole medie, chissà se storie come questa saranno raccontate. Più probabilmente, si inventerà dell'impresa.


Non era proprio la Saltafoss originale, ma uno dei suoi cloni più diffusi: Super Cross, forse? Quella con la leva del cambio che sembrava una manopola del Daitarn, insomma; il modello più diffuso, dalle mie parti, era quello nero coi finimenti gialli. E nera, coi finimenti gialli, era quella di un mio amico alle medie, il secondo di quattro fratelli.

Da bambino, ho avuto un paio di biciclette per un periodo brevissimo, ho davvero imparato ad andarci sul balcone di casa, tre metri in tutto e stretto abbastanza da non poter neanche fare inversione di marcia, a patto di non sollevare la bici sulla ruota posteriore e farla ruotare. Ci facevo i tre metri del balcone e poi tornavo indietro spingendomi coi piedi, una, dieci, cento volte, fino a imparare. Non mi portarono mai in un parco, niente.

Diversi anni dopo, bontà loro, ricevetti una Graziella di quelle pieghevoli, col freno a contropedale: nessuno dei miei amici ne aveva una del genere, quindi fui sempre ostile a quella soluzione. L'ostilità, però, durò poco: un giorno tornai da scuola e seppi che la bici era stata venduta. Stavolta, però, per qualche sabato mi avevano accompagnato al Centro Direzionale di Napoli, allora ancora in costruzione, per qualche giretto nei viali già completati, mentre intorno sorgevano quei palazzi che sembravano del futuro.

Nei film statunitensi, quelli che ci hanno indottrinati e plasmati, le BMX accompagnavano i ragazzi in avventure fantastiche, o anche solo da casa a scuola. Quelle case brutte tutte uguali, col giardinetto e il garage. E la cameretta al piano di sopra, con la finestra da cui scappare di soppiatto per le avventure notturne. Tipo sfuggire ai poliziotti, prima coi fucili e poi coi walkie-talkie, per salvare l'alieno nel cestello della bici, diventando una silhouette contro la Luna. Tante altre avventure, forse più terrestri ma non meno esaltanti.

Noi, invece, abitavamo in case brutte tutte scassate, la cameretta solo per i più ricchi, in un palazzo o in una palazzina. Le avventure altrui (mi escludo, essendo sempre stato appiedato) consistevano, al massimo, nell'andare con la bici nei posti ancora risparmiati dalla cementificazione, a sfrecciare, saltare e cadere sulle cuneette di terreno. In periferia, quando la periferia era più vasta. La mia unica avventura in bici, quindi, fu su quella lunga sella strana delle Saltafoss e delle loro imitazioni, questi chopper a pedali che invogliavano a girare con un passeggero.

E passeggero ero quella volta che, in un pomeriggio di strade ancora poco trafficate, stavamo andando a casa di un altro amico, sfrecciando davanti a un venditore di sigarette di contrabbando. Nell'ebbrezza della velocità, posseduti dalla libertà e dall'anarchia, gli urlammo qualcosa contro, non ricordo precisamente ma nulla di sconvolgente. Quello, per tutta risposta, abbandona il banchetto delle sigarette, salta in sella a un Ciao scassato parcheggiato alle sue spalle e fa per avviarlo e, presumibilmente, per insegurci. Iniziamo a ridere, incoscienti, l'amico spinge sui pedali, per quanto possibile, ma impossibile lasciarcelo alle spalle: era una di quelle cose che si fanno stupidamente, come se si potesse evitare l'ineluttabile. Un centinaio di metri, considerato il nostro vantaggio iniziale, ci raggiunge e ci becchiamo uno schiaffo sul coppino a testa. Senza neanche una parola a commento.

Proseguiamo fintamente mesti, intanto il contrabbandiere si allontana e, appena riteniamo di essere ormai a distanza di sicurezza, scoppiamo a ridere. Questa è stata la mia più grande unica avventura in bici, nei tanto celebrati Anni Ottanta.