Past Days and Perfect Lives: Anatomia di Due Pianti
SPOILER WARNING: andate avanti a leggere solo se avete visto entrambi i film
Che cos'hanno in comune Past Lives e Perfect Days? Oltre al fatto che sono entrambi candidati agli oscar – motivo per cui sono andato a vederli al cinema, back to back – sono connessi da un filo invisibile che si rivela solo nel finale: entrambi si concludono infatti con un pianto da parte del/la protagonista. Il significato di questi pianti è molto diverso, ma in tutti e due i casi è questo il momento in cui si nasconde la chiave di lettura dell'intero film.
Past Lives è un film che racconta l'intesa che si può creare tra due persone, destinate allo stesso tempo a stare insieme e a non incrociarsi mai. È un film delicato e intimo, che esplode emotivamente nel finale, in cui il pianto struggente e liberatorio di Nora tra le braccia del marito contiene un mondo di significati. L'ultima volta che Nora aveva pianto era bambina e al suo fianco c'era Hae Sung, l'unico con cui si fosse mai sentita veramente se stessa. Il pianto segna allo stesso tempo la fine di una relazione che non c'è mai stata e l'inizio di una nuova fase in quella tra Nora e il marito. Ci comunica che lei ora è pronta a darsi pienamente, senza nascondersi. La bellezza e l'ironia sta proprio nel fatto che il matrimonio di Nora, al posto che sfaldarsi, ne uscirà rafforzato, anche grazie all'atteggiamento del marito, che non l'ha ostacolata in questa esperienza, incoraggiandola invece a viverla fino in fondo.
Anche la trama di Perfect Days è caratterizzato proprio dall'assenza delle lacrime, in quanto ogni giornata si apre con un sorriso, che però nel corso del film evolve di significato: se all'inizio sembra essere il simbolo della serenità che il protagonista, Hirayama, ha trovato nella sua (nuova) vita, ora della fine diventa quasi un gesto forzato, un'autoimposizione, un rituale per ricreare artificialmente una felicità che si sta ormai sgretolando tra le sue mani. A differenza di Past Lives però il pianto finale, se così si può chiamare, è il contrario di liberatorio e mette in scena tutto il conflitto interiore che Hirayama sta vivendo: giornate perfette non significano per forza una vita perfetta. Questa realizzazione arriva dopo un susseguirsi climatico di coinvolgimenti emotivi “forzati” che lo costringono a confrontarsi con il rimosso della sua vita: prima il collega e la sua amica, poi la nipote e la sorella e infine la donna di cui non ha potuto fare a meno di innamorarsi riportano alla luce un vortice di sentimenti che il protagonista aveva accuratamente represso. Ed è proprio la richiesta dell'ex morente di lei che lo pone di fronte a una decisione: intraprendere una relazione con lei significherebbe cambiare totalmente vita, rimettere in gioco il suo cuore. Questi incontri gli ricordando in un crescendo di intensità il prezzo della sua solitudine, a cosa sta rinunciando per poter vivere i suoi “giorni perfetti”.