Does GLaDOS dream of electric sheeps?

Storie, sia belle che brutte

“Era dal 1968 che non mi sentivo così”, esclamò John, cercando goffamente di rimanere in piedi vicino la palizzata. “Così come? Ubriaco? O intendi felice?” Mark era in genere un ragazzo che andava dritto al dunque. “Entrambi, uno la conseguenza dell'altro!” La palizzata era un rimasuglio del recinto con il quale la vecchia e decadente cittadina di Orkaunty segnava il suo confine. Era un pezzo d'epoca, molto famoso: tanto che il primo sindaco arrivato dopo la grande guerra del Nord fece installare una placchetta metallica con scritto “Qui la cittadina di Orkaunty smette di essere circoscritta dalla Valle del Nulla ed espande le sue radici verso l'orizzonte – Russel McKolin” “Che idiota, comunque” Mark si girò di scatto e vide che John stava fissando, con equilibrio precario, la palizzata. Si avvicinò barcollando, scavalcò e si mise di fronte al suo amico. “Di chi parli?”, chiese Mark con sguardo interrogativo. “McKolin... Quel vecchio idiota, schifoso e ladro di un McKolin... McKolin...” “Forse è ora di tornare a casa, che dici?” Mark afferrò il braccio di John per tirarlo verso la strada, ma non riuscì a smuoverlo. “Voglio rimanere ancora un po'”, fece John. “Cosa vuoi fare?” “Non lo so... Sono ubriaco e sto ricordando il passato. Il minimo che posso fare è versare una lacrima per tutti coloro che ho perso durante la mia vita” “Oh, cosa mi tocca sentire alle tre di notte... John andiamo, sei stanco” “No Mark, non sono stanco, sono annoiato” “Da cosa?” “Dalla vita che conduco ogni giorno da ormai quindici anni” “Essere anziani significa questo? E io che non vedo l'ora di arrivare alla pensione!” “Sciocco, sei giovane e puoi permetterti di fare cose che un vecchio bacucco come me non può che sognare” Per diversi secondi nessuno dei due disse nulla, poi John, voltandosi, guardò prima Mark, poi di nuovo il paletto e poi ancora Mark. “Va bene, andiamo a casa” “Oh, dio, grazie! Non vedo l'ora di buttarmi sul letto e...” Ma John gli mise una mano sulla spalla e con un cenno gli intimò di fare silenzio.

La decisione che John prese molti anni prima, di andare a vivere lontano dal centro, in mezzo al deserto e alle sterpaglie, era una delle poche cose che non rimpiangeva. Camminando in silenzio poteva ascoltare il rumore dei passi di Mark, che trascinava i piedi per terra, il fruscio del vento e il canto dei grilli. Il cielo era nuvoloso, ormai lo era da anni, guardando in alto cercava di ricordarsi le stelle, piccoli puntini luminosi, alcuni più, altri meno, che invadevano il cielo dopo il calar del Sole. Neanche il Sole c'era più da molto tempo. L'alcol che aveva in corpo lo rilassava e lo scaldava. Arrivati a pochi metri dall'ingresso, si fermò di colpo: aveva voglia di stendersi da qualche parte ed osservare il cielo notturno. “Cosa succede?”, Mark sembrava preoccupato. “Niente Mark, sono solo... Sono...”, si guardarono negli occhi e Mark poté vedere che qualcosa turbava il suo anziano amico. “Sei stanco?” “No. Beh, un po' sì, ma è normale alla mia età. No, in realtà vorrei stendermi da qualche parte per osservare il cielo” “Il cielo? Ma John, mio caro vecchio John, sai meglio di me che il cielo non esiste più da ormai troppi anni” “Il cielo esiste, solo che non possiamo vederlo” “Allora cosa vorresti osservare, se il cielo non si può vedere?” John esitò. “Il mio passato” I due si fissarono e dopo un po' Mark mugolò qualcosa che assomigliava a “fai come vuoi io sono troppo sbronzo per dormire fuori” e si avviò sullo stradino di terriccio che portava alla casetta. Stare in piedi in mezzo alla strada, di notte, a quell'età, era rischioso. Certo di animale selvatico ormai non ce n'era quasi nessuno, ma qualche predone del deserto poteva approfittarsi del momento. A John non importava. Contemplando il cielo ricordò di quando stava disteso sul prato con Anna, di notte, a guardare le stelle. “Secondo te John, riusciremo mai a raggiungere almeno una di quelle stelle?”, chiese lei, osservando quella che un tempo era chiamata la costellazione di Orione. “Mio fratello dice che un giorno le stelle non esisteranno più” Anna spostò il braccio di John dietro la sua schiena e si accoccolò su di lui “Credo che sia una cosa molto triste” “In effetti lo è An, ma forse mio fratello si sbaglia” John spostò lo sguardo dal cielo sulla casetta e pensò che, in fondo, suo fratello aveva avuto ragione su tutto. Con molta pazienza (e presa di coscienza sull'ubriacarsi alla sua veneranda età), si mise a gattoni, si sollevò in piedi e si incamminò verso casa, ponendo fine alla lunga giornata.

La mattina seguente, John si rese conto anche senza aprire gli occhi che la coperta era del tutto avvolta attorno a lui, ma decise di rimanere a letto ancora un po'. Verso mezzogiorno Mark bussò alla porta di camera sua.

“Sei vivo?” “Sì, sono solamente intrecciato nella coperta” “Se mai volessi smetterla di poltrire, il pranzo è pronto” “Sai Mark, dovrei alzarti la paga” “Forse prima dovresti cominciare a pagarmi” “Già, forse...” Entrando in cucina c'era una tavola rettangolare, lunga circa due metri, larga uno, quasi spoglia, apparecchiata con due piatti, due bicchieri, un paio di cucchiai e ogni piatto aveva una fetta di formaggio, del pane duro come una palla da baseball e dello stufato. Dello stufato? “Dello stufato? Dove hai trovato della carne?” John non vedeva dello stufato da quell'inverno in cui per sbaglio una tegola della casa era caduta sopra una lepre che passava nei dintorni. “Credo... Credo di non potertelo dire” “Sei andato in città, non è vero'?” Mark non rispose. “Allora?!”, John alzò il tono della voce. “Io...” “TU COSA?! Ti è dato di volta il cervello? Vuoi farti ammazzare?” Le urla misero Mark sulla difesa. “Ma non si rischia ad andare in centro! Sei pieno di pregiudizi! Quelle persone sono come noi! Solo perché hai deciso di fare l'eremita non vuol dire che loro siano mostri alieni!” John mantenne fisso lo sguardo su Mark e dato l'affanno, si mise a sedere. “Mangiamo, ne discuteremo dopo” Calò in silenzio, come succedeva un tempo, quando gli schermi trasmettevano dei programmi televisivi e tutti erano abbindolati dalle immagini proiettate. Mark posò il cucchiaio sul piatto e si rivolse a John. “Senti, mi dispiace, ma stavamo finendo il cibo e sinceramente cominciava a darmi la nausea mangiare tutti i giorni la stessa cosa” “Se avessero capito da dove vieni avrebbero potuto metterti in prigione e torturarti, come minimo” “Ma non è successo! Sono vivo, non mi hanno riconosciuto, ho l'accento locale da anni ormai e non possono neanche basarsi sul colore della pelle visti tutti gli schizzati che si fanno modificare il DNA al giorno d'oggi” John non lo guardò neanche. Spostò la sedia facendo rumore e andò vicino la finestra, guardando fuori. La teatralità di John colpì Mark al punto di doversi trattenere dal fare battute, non era proprio il momento. “Sai cos'è successo a mio fratello, no?” “Certo, me lo avrai raccontato un milione di volte” “Bene, ma non sai perché mi sono trasferito qui” In effetti era più una supposizione che una certezza. Il fratello di John, Albert, era morto in un campo di concentramento durante la guerra del Nord. Quelli che una volta erano gli Stati Uniti avevano dichiarato guerra al Canada e tutti coloro che non avrebbero prestato servizio in nome della difesa della propria patria, sarebbero stati considerati traditori e puniti a dovere. Un classico. Albert era un ricercatore universitario, un pacifista, un socialista, insomma una piaga, ma finché il governo poteva guadagnare dai suoi lavori sottopagandolo, andava bene. Quando ci fu la chiamata alle armi si oppose, quindi lo arrestarono e lo imprigionarono. John non fece la stessa fine, combatté quella inutile guerra e tornò a casa più povero di prima. “Perché la tua vecchia casa ti ricordava tuo fratello?” “No, non mi dispiace ricordare mio fratello, era una bravissima persona... No, il problema non era la casa, il problema erano le persone. Nonostante avessi dato tutto me stesso, il governo mi tenne sotto controllo per evitare che potessi fare qualche “follia” vendicando mio fratello. Non solo, divenni un reietto, il mio vecchio quartiere mi considerava un traditore, come Alb, e non c'era nulla che potessi dire o fare per cambiare la loro opinione. Così decisi di attuare il piano Z, quello che tenevo come soluzione alternativa per tutto: me ne andai in mezzo al niente per condurre una vita solitaria e pacifica. La prima devo dire di averla ottenuta, la seconda, invece, un po' meno” Mark non sapeva cosa dire, ma non sapeva neanche cosa c'entrasse questo con quello che aveva fatto durante la mattina. In fondo, gli Stati Uniti non esistevano più da un bel pezzo. “Non c'è più un pericolo simile, però... Capisco la tua preoccupazione, ma non c'è nessun governo totalitario a bacchettarci” “No, ma le persone non cambiano. Se vogliono odiare lo fanno, anche senza un vero motivo. E quelle persone che abitano nel centro cittadino non hanno nulla se non rabbia repressa, rinvigorita ogni giorno dalle notizie e dall'odio l'uno per l'altro e per sé stessi. La città è pericolosa, preferirei morire di fame che tornarci” Non ci fu risposta se non il rumore dei piatti e delle posate che venivano portate in cucina, pronte ad essere lavate. John continuò a guardare fuori, a scrutare la linea dell'orizzonte che divideva la terra sabbiosa e il cielo cupo. Una patina gialla ricopriva tutto quello che un paio di occhi non potenziati potevano captare e di tanto in tanto passava un uccello. Un uccello? Stupido vecchio, non era un uccello, era un drone, gli uccelli non esistono più.

Originally wrote in 2020-05-12T23:57:00.002+02:00

«Lo shuttle 16996 proveniente da Neo Roma 1 e diretto a Milano 4 è stato cancellato. VolItalia si scusa per il disagio»
La voce si interruppe mentre io cominciavo già a schizzare male. 
«Cazzo, è la seconda volta in due giorni, se prendo la testa di quel porco di Augusti...», pensai ad alta voce. Persone non curanti di ciò che dicevo mi sfrecciavano di fianco, intente a badare ai fatti loro. Sferro un calcio una lattina innocente che finisce oltre la banchina, nel vuoto. La stazione sospesa a centinaia di metri da terra e comunque sotto non c'è niente, il calore del razzo in arrivo e in partenza è troppo alto per poter costruire qualcosa al di sotto. Sicuramente non è un problema di sicurezza, la morte accidentale di innocenti è solo un modo per ridurre il sovrappopolamento mondiale.
 Mentre continuo a pensare ai fatti miei, vedo due energumeni che si avvicinano. “Polizia” dice la scritta sul cromo che hanno al posto del torace.
«Ehi, tu» esclama uno dei due cinghiali.
«Mi dica, agente», rispondo con faccia angelica, mentre il mio neuralink modificato cerca il percorso più rapido per uscire. Una mod del pathfinder che include le mappe di tutta la città fa sempre comodo quando la Legge non permette di vivere rilassati.
«Sei stato avvistato da una telecamera di sorveglianza mentre davi un calcio a della spazzatura, facendola cadere nel vuoto. Come ti dichiari?»
Nel frattempo la Legge ha stabilito che il Potere Esecutivo doveva combaciare con quello Giudiziario, creando una succursale italiana del sistema americano. Ora anche qui possiamo ricreare il cyber farwest, con tanto di Sceriffo e taglie sui ricercati. Chissà com'erano i tempi dei meme e delle AI che non capivano un cazzo.
«Innocente, vostro onore»
Il neuralink mi avvisa che il percorso migliore parte dalle scale alle mie spalle, passa per i bagni, per finire all'uscita laterale della stazione, prendendo il turboascensore che sbuca nel vicolo. Ho due possibilità, una delle quali inizia con una corsa e finisce nella pattuglia pronta ad aspettarmi in fondo al turboascensore. L'altra, invece, comincia con una pisciata e finisce con una più probabile fuga nelle fogne.
«Prima che mi diciate il verdetto, agenti, vorrei appellarmi alla vostra clemenza e chiedervi di poter andare in bagno. Ovviamente potete accompagnarmi, se necessario»
I due piedicromati si guardano, probabilmente comunicando privatamente via neuralink e poi con un cenno del capo e una bella spinta mi fanno sapere che possiamo avviarci verso le latrine. Ottimo. Il bagno è più una sorta di ufficio vecchio stile, fatto di cubiculi in cui puoi lavarti o espletare le tue funzioni senza problemi di sorta. Quello che le guardie non sanno è che il mio neuralink hackerato mi permette di entrare e prendere possesso dei sistemi digitali più elementari. Dopo aver cominciato a urinare sotto lo sguardo vigile di quei porci depravati, mi connetto al sistema di porte elettronico. Lo specchio smart mi permette di vedere chi passa per il corridoio e nel momento in cui un energumeno si trova esattamente davanti il mio cubicolo, faccio scattare la porta. L'uomo, col naso sanguinante, comincia a imprecare verso i due poliziotti.
«Guardie infabi, non si buò neanghe biù bisciare in bace!» Grazie amico mio, non sai quanto hai ragione. Mentre i piedicromati si girano per placare le ire dell'energumeno, io mi dileguo nella direzione opposta, uscendo di soppiatto dalla porta.    La voce che annuncia gli arrivi rimbomba nel corridoio mentre passo attraverso un branco di persone dirette a Milano 4. Il turboascensore per il piano terra è vuoto e mi infilo dentro il più velocemente possibile. Mentre la cabina prende velocità e il rumore della carrucola sfrega sui grossi cavi, mi appoggio alla parete e mando un messaggio vocale al contatto che dovevo incontrare oggi.
«Per colpa delle guardie non sono potuto salire sul razzo. Ci riprovo domani. Bella»
Il capo non sarà contento, ma non importa. Meglio consegnare in ritardo i dati che darli in mano alla Legge. In fondo nessuno ci mette fretta. Nessuno sa che quei dati sono stati rubati e che nel momento in cui verranno rilasciati, il sistema bancario crollerà sotto il culo di quei porci borghesi. La loro ricchezza andrà in fumo e noi prenderemo il sopravvento.

Originally wrote in 2023-11-09T17:16:00.000+01:00

Ferro. Alluminio. Zolfo. Cosa c’è nelle profondità di Neo Roma 3? Carcasse di anime di metallo buttate negli angoli sporchi di stagno. C’è puzza di silicio andato a male. I neuro impianti fritti dalle cyber droghe dei mutanti umani cyborg. Cosa vuoi fare? Preferisci ricevere iniezioni gratuite di dopamina al costo di un semplice post sulla rete? O trastullarti con un massaggio neurale apposta per venirti nelle mutande nel tragitto casa lavoro? Dove vuoi abitare? Qual è la differenza tra un cubicolo nel centro storico e una stanza vuota nello sprawl? Quanta terra bruciata. Quanta terra sprecata, ecco un edificio di bianco cemento che si erge in mezzo alle lande desolate delle borgate. Lo vedi quello? È il prezzo da pagare per poterti sollazzare con i social, quando metti like pensa che hai regalato un centimetro cubo in più di terra a quel mastodontico palazzo che come Gengis Khan non fa più crescere l’erba. Il gigante dei tera byte della conoscenza umana. Il mostro finale dell’umanità stessa, l’uomo che progetta e porta avanti il suo ordigno finale. Accenditi una sigaretta virtuale, per della nicotina direttamente iniettata nel cervello dal tuo neuralink. Vuoi provare una sniffata digitale? Quanto pagheresti per vivere più veloce senza doverti muovere? Ricordati che la filmografia è gratuita, devi solo dire allɜ amicɜ quanto la nostra azienda sostenga la loro causa. Transumanesimo? Ecco una maglia. Cyberpropaganda comunista? Abbiamo una bandana come quella di Cyber-Guevara. 

Sono sul treno per il quartiere cyborg, vedo un vecchio seduto che si spara l’aria condizionata per evitare di sorbirsi il caldo infernale del deserto che si stende fuori dai binari. Le arterie stradali abbandonate, la spazzatura mai raccolta, gli zombi del verano che vagano in cerca di cyber K. Il vagone sussulta. I sedili sono più vecchi di quell'uomo con le protesi robotiche. I polmoni di un anziano, le gambe di un ragazzino. La fermata della metro è piena, la puzza di marcio non ci lascia mai, l’aria condizionata non fa altro che ributtarci addosso lo stesso schifo che sputiamo fuori dalle bocche. Fiumi di carcasse che non sanno di essere morte si riversano per le strade di Neo Roma dirette a produrre, a consumare, a vivere gli ultimi anni rimasti alla Terra. Un grigio sole che filtra attraverso la cupola di contenimento illumina gli alberi di metallo e i pannelli solari si muovono come girasoli robot. Respiro a pieno, il filtro della mascherina sa di medicinale. Eccomi, per una nuova giornata, pronto a lavorare per sopravvivere, fino all’imminente fine. 

Originally wrote in 2022-05-29T20:27:00.005+02:00

Dieci rintocchi. Dieci rintocchi servirono per far alzare dal letto il signor Carlo. Forse “alzare” non sarebbe il termine corretto, diremmo più che servirono per fargli aprire gli occhi e provare, dopo vari tentativi, a mettersi seduto. Dopo tutto, erano molti anni che il signor Carlo calcava questa terra. Molte lune e molti soli erano sorti e tramontati. Quella mattina, il Sole splendeva sul piccolo borgo di montagna chiamato Montemerlino, e assieme al cinguettio degli uccellini, il signor Carlo fece scricchiolare le imposte, trovando davanti a sé una splendida giornata. Il brusio del mercato veniva dalla piazza centrale, poco lontano da casa sua, e il torrente che attraversava il piccolo borgo solleticava l'orecchio con un lieve rumore d'acqua gorgogliante. La stanza era piena di foto e di mobili piuttosto antichi, nonostante la casa fosse in realtà come nuova. Era stata ristrutturata da poco, un regalo della figlia per il suo ottantesimo compleanno. Senza alcuna fretta, i piedi si indirizzarono verso la porta, poiché Irene, la donna che Carlo sposò ormai troppi anni fa, lo stava chiamando per dirgli di sbrigarsi. Scese le scale con altrettanta calma e si ritrovò Irene in piedi davanti a lui. “Cosa c'è? Cos'è tutto questo chiasso?”, le chiese. Lei continuò a squadrarlo senza rispondere. Poi chiuse gli occhi e quando li riaprí disse, con tono seccato “ti sei scordato che dovevi chiamare l'elettricista? Io come lo cuocio il coniglio per pranzo, senza il forno?”. Carlo provò a balbettare di chiamarlo in quel momento, ma Irene lo zittì ricordandogli che era domenica, auguri a trovarlo. Così Carlo disse solamente “va bene, vado a comprare qualcosa in rosticceria”. Infilò dei vecchi scarponi, una giacca non troppo pesante e indossò il cappello. Prese anche il bastone, nonostante non gli servisse la maggior parte del tempo, e varcata la soglia di casa cominciò a camminare nel paese. Le vie erano per la maggior parte strette da farci passare una sola auto. Fortunatamente nei dintorni della piazza non potevano circolare. Passeggiare nel 2005 significava ancora non trovare nessuno con la faccia rivolta verso il terreno a fissare uno schermo luminoso grande quanto un blocco note. Carlo si stava godendo il calore del sole che lo faceva sentire coccolato, un po' come le coperte qualche minuto prima. Passati vari negozi, la piazza e la chiesa, era arrivato in una via imboscata e che dall'odore sembrava essere frequentata solo da senza tetto e mai dalla nettezza urbana. Ma a Carlo non interessava, lui era lì per del coniglio al forno. “Buongiorno”, fece Carlo con voce roca, spostando le tendine all'entrata. Il negoziante lo salutò di rimando e gli chiese cosa volesse quel mattino. “Coniglio. Al forno. E mettici anche delle patate e delle verdure. Ho dei nipoti che mangiano come un esercito.” “D'accordo”, rispose il negoziante, “ma dovrai tornare per mezzogiorno.” Quindi Carlo pagò, uscì e tornò sui suoi passi. Una volta a casa, toltosi giacca e scarponi, si sedette sulla poltrona e accese la radio. Poco dopo il suono della radio svanì, così come tutto davanti a lui, mentre si addormentava. Quando riaprì gli occhi era in mezzo alla nebbia. Ai lati si intravedevano delle case. Non c'era nessuno. Camminando si avvicinava al confine del piccolo paese e in lontananza si intravedeva una sagoma. Sembrava un uomo, alto, ben piazzato. Più avanzava, più la sagoma si faceva definita, ma non diventava mai una persona, quasi come se il corpo non ci fosse proprio. Intanto dei cani abbaiavano e dei passi si facevano vicini. Sempre più vicini, quando il suono del campanello svegliò Carlo. Spalancò gli occhi e sussultò sulla poltrona. La voce roca di Irene arrivava dalla cucina e chiedeva con molta poca gentilezza di aprire la porta, invece di starsene lì ad oziare. Mai un minuto di riposo, pensò mentre arrancava verso la porta ancora un po' sconvolto. Quando la aprì si trovò davanti un giovane di diciotto anni, una ragazza di tredici e una signora sui 45, riccia e alta. La famiglia salutò il nonno, entrando e lasciando le giacche sull'attaccapanni. “Giovanna, vieni in cucina a dare una mano a tua madre”, disse Irene. Nel frattempo Carlo era tornato verso la poltrona e si era seduto quasi lasciandosi cadere a peso morto. Invece i due nipoti si erano accomodati sul divano. Guardando l'orlogio appeso sopra la televisione si accorse che non era affatto ora di pranzo, come sperava, erano passati solo 20 minuti da quando era tornato a casa. Intanto la tv era stata accesa da Marco, in onda c'era un programma di cucina. Carlo sbuffò, “che noia, ormai fanno solo spazzatura”. Marco gli chiese cosa volesse guardare, ma Carlo non seppe cosa rispondere. Così Anna prese il telecomando e mise su un programma di incontri. “Lo vuole guardare solamente perché le piace uno dei concorrenti” e Anna si fece rossa in volto. “Oh signore, sei già a quell'età? Vuol dire che io sono davvero vecchio”, disse Carlo ridendo. Poi aggiunse, “non c'è nulla di male nel provare attrazione per qualcuno. Ai miei tempi avrei pagato oro per vedere vostra nonna anche solo dallo schermo di una televisione. Non che avessimo una televisione in casa, ma insomma, avete capito. In montagna ci bastava anche una foto sbiadita in bianco e nero”. I due giovani sembravano stranamente interessati, così Carlo chiese loro se volessero ascoltare qualche storia sulla guerra, così, per passare il tempo prima di pranzo. Quindi iniziò a raccontare, a partire da quella volta in cui lui e Irene ancora non si conoscevano e lui doveva partire. Aveva l'età di Marco e gli americani erano appena sbarcati in Sicilia, stravolgendo le sorti della guerra...

Originally wrote in 2020-11-01T23:36:00.003+01:00

Ho scritto questo pezzo ormai molto tempo fa e non era mai stato finito. Ho cercato di dargli una chiusura perché onestamente non penso volessi arrivare da qualche parte, ma semplicemente scrivere qualcosa su Darth Vader.

Quello che una volta era un uomo, mise un piede fuori dal TIE Fighter. L'aria irrespirabile veniva filtrata dal respiratore incorporato nel casco nero, che rifletteva la luce del pallido sole rosso. Il pianeta Honrora era pieno di distese di nulla che si estendevano per chilometri e chilometri. Solo terra rossiccia e qualche cratere qua e la. Vader mosse qualche passo in avanti. La mente era disturbata. La solitudine provoca pensieri irrequieti, lontani, dolorosi. Il dolore viene assorbito ed espanso. Il cuore batte più forte e la cassa toracica è come se fosse in fiamme. Il tradimento. L'amore. L'odio. Arriva il segnale dal nulla. La direzione è segnata e la marcia ha inizio. Un passo dopo l'altro, Vader seguì le indicazioni della Forza e si mosse spostando un polverone che nessuno poteva vedere. Di ricordi riaffiorarono dal passato. Anakin teneva in mano una chiave multifase e la stava usando per collegare parti del reattore. Shmi era uscita dalla porta sul retro e aveva messo in testa ad Anakin un cappello. “Ti prenderai un'insolazione se non stai attento”. “Grazie, mamma”. Notte. Dei predoni Tusken agitavano i fucili laser in aria. Stavano portando via Shmi. Anakin urlava, impotente, mentre veniva portata via. Vader spostò lo sguardo sulla lama rossa della sua spada. Era fermo in mezzo al nulla. Ritrasse la spada e la fece svolazzare agganciandola alla sicura. Riprese a camminare guidato dalla Forza. I suoi passi si interruppero sull'orlo di un grosso cratere, largo almeno quaranta metri e profondo dieci. Con un balzo atterrò sul fondo, ai piedi di quello che aveva tutta l'aria di essere un altare. Molte persone sono morte su quella pietra. C'era traccia d'odio. C'era anche traccia d'amore. Quell'altare era sporco di sentimenti profondi. Vader appoggiò una mano su di esso e chiuse gli occhi. Padme stava accarezzando Anakin e gli sorrideva. Lo aveva preso per mano e portato sul balcone. Anakin non era mai stato così in alto a Coruscant. Gli speeder e altre navi sfrecciavano in ogni direzione, il cielo era illuminato dalle luci dei mega palazzi, come da un sole, e la mano di Padme era calda e morbida. Lui gliel'aveva stretta e lei si era avvicinata di più, portando il corpo a contatto col suo. Dall'altare fuoriuscì una nuvola di fumo quando le pietre cominciarono a muoversi e a rivelare un passaggio. Vader scese le scale un gradino alla volta, immergendosi nell'oscurità. La Forza lo guidava e non aveva bisogno di luce. In fondo attraversò un passaggio stretto per poi ritrovarsi in una grossa sala, con un altare al centro. Le torce appese alla parete erano accese e illuminavano l'antro. Alle pareti, tra una torcia e l'altra, spuntavano delle librerie piene di libri impolverati. Dopo essersi guardato intorno, Vader si avvicinò all'altare, dove c'era un libro rivolto con la faccia verso il basso. Con un gesto della mano lo mise dal verso giusto e girò le prime pagine. Le parole erano scritte in un linguaggio diverso dal basic, ma c'erano anche delle illustrazioni. Continuando a sfogliare trovò delle strane creature che assomigliavano a degli exogorth, ma con un'armatura di squame e con la facoltà di sputare fiamme. “Prendi solo i libri che riguardano plasmare creature, il resto non serve”, così aveva ordinato l'Imperatore. Vader fece un altro cenno e il libro si chiuse, volando dietro le sue spalle e rimasea mezz'aria, poi fece qualche passo per avvicinarsi alle librerie. Il rumore del respiratore era l'unica cosa che andava a mischiarsi con i passi pesanti della macchia nera che si aggirava per la stanza. Alchimia, arte del combattimento, arte della guerra: gli scaffali raccoglievano grossi tomi, conservati lì da chissà quanti secoli. Risalendo le scale ecco di nuovo riaffiorare i ricordi di una vita precedente, ricordi dell'amore, dell'odio e della paura. Alcuni non sembravano neanche echi del passato, ma suoni distanti, come premonizioni. Il calore del proprio figlio, la furia cieca verso il maestro. In cima alle scale c'era ad attenderlo il nulla cosmico. Il deserto rossiccio attendeva i suoi passi a ritroso verso il caccia spaziale. Il tomo, nero pece, dalle pagine ingiallite e una copertina tutt'altro che esaustiva, lo accompagnò per tutto il viaggio, fin dentro la nave. Vader era ancora scosso dalla valanga di ricordi e di sensazioni da cui era stato travolto e non poteva presentarsi dal suo maestro in quello stato, cosa avrebbe pensato di lui? Il problema, però, era che Sidious era sempre in ascolto, sempre vigile per controllare i pensieri e le azioni del suo allievo.

Originally wrote in 2022-03-22T23:49:00.007+01:00

Salì fino in cima al monte, sfruttando tutte le sue capacità per arrampicarsi, facendo attenzione a dove mettere i piedi. Era in cima, ce l’aveva fatta. Mentre osservava il paesaggio sotto di sé ripensò all’inizio, quando era ancora a valle, quando era solo uno dei tanti che camminava a casaccio senza uno scopo. E ora – pensò – guardatemi cavolo, sono in cima, ce l’ho fatta! Ho superato le aspettative di tutti e ho raggiunto il mio scopo! Si guardò intorno, vide solo qualche sparuto ciuffo d’erba, un paio di massi ricoperti di muschi e una panchina con una targhetta placcata d’oro su di un lato. Avvicinandosi lentamente alla panchina sentì una leggera brezza accarezzargli la faccia e le braccia; era una bella giornata di fine primavera, una di quelle che ti puoi godere a pieno solo quando te ne stai fermo a non fare niente. Osservò la panchina da vicino, era piuttosto vecchia e sembrava che se qualcuno ci si fosse seduto sarebbe sicuramente caduta a pezzi.Ma la parte interessante era la targhetta d’oro, così si avvicinò al lato destro della panchina. La targhetta aveva incise le parole “Mi spiace, ritenta”. Mentre si stava dirigendo di nuovo verso il dirupo che dava sul panorama, il vento cominciò ad alzarsi, il Sole scomparve dietro cupe e pesanti nuvole color plumbeo e la temperatura scese istantaneamente. Voltandosi di scatto notò che la panchina era scomparsa, al suo posto era comparsa una grossa freccia gialla che puntava verso di lui. Girandosi verso valle, avvertì una spinta da dietro che lo fece precipitare giù per il dirupo. Mentre precipitava verso la grigia montagna rocciosa echeggiò un suono che pressappoco assomigliava a “Sarai più fortunato”.

Originally wrote in 2014-03-11T23:40:00.000+01:00

Robert Lask era una persona squisita, un filantropo, un precursore dei tempi. Così dicevano tutti quando parlavano dell'uomo più ricco del mondo. Come faceva ad essere contemporaneamente filantropo e il più ricco è una buona domanda, per un altro momento. Il signor Lask, un cinquantenne dall'aria sbarazzina e dal sorriso enigmatico, era riuscito ad acquisire molte aziende in diversi settori della ricerca e sviluppo: dalle automobili alla robotica, dalla biotecnologia all'aerospaziale. In un decennio era riuscito a fare passi da gigante e a spingere la tecnologie verso nuove frontiere, là dove nessuno era mai giunto prima. Razzi che atterrano da soli, auto che si guidano da sole, robot canini che controllano il perimetro e impianti cibernetici sottocutanei per la trasmissione di impulsi cerebrali. Nel 2021 aveva raggiunto l'apice della sua carriera diventando l'uomo più ricco del mondo. Un sogno che lo accompagnava da sempre. Finalmente qualcuno aveva preso per mano l'umanità, accompagnandoci a gran velocità verso il futuro. Il prossimo passo: l'uomo su Marte. Quello dopo: l'uomo aumenta le capacità neurologiche grazie a impianti sottocutanei. E quello dopo ancora? Solo Lask lo poteva sapere. 
Un giorno, l'11 Settembre 2022 secondo le fonti ufficiali, Lask viene dato per disperso. Nessuno sapeva dove si trovasse, né se avesse lasciato scritto qualcosa. Sua moglie rimane con un figlio a cui badare e una casa troppo grande per viverci da sola. La settimana successiva viene ritrovato il corpo nel bunker personale sotto il lago Okoboji. Morto. Liquido cerebrale colato fuori dalle orecchie fino a terra. Le foto non sono mai state trapelate. C'è chi dice che si sia ucciso, chi invece che sia stato ucciso da forme di vita aliene. Forse era in contatto con esse? Forse tutta la scienza è stata portata avanti da extraterrestri per tutto questo tempo? Queste sono le teorie del complotto più in voga. Ma io, che vi porto questa storia per amore di cronaca e della verità, so come sono andate le cose. Potrete non credermi, potrete pensare che io sia solo un'altra persona con il cappellino di carta stagnola in testa o che in passato mi sia calato troppi acidi. Pensatela come vi pare e piace, ma quella che state per leggere è la verità.
Quello che non sapete del signor Lask, è che da tempo soffriva di depersonalizzazione. Spesso se ne stava in casa, steso sul letto a fissare sé stesso e a non percepire più lo scorrere del tempo. Dietro quella facciata sorridente e spavalda c'era una persona lasciata sola persino da sé stessa, non riusciva più a capire quando finiva lui e quando iniziava il resto del mondo. Così un giorno ebbe un'idea. La sua più grande idea, che tenne nascosta al mondo intero, se non per una piccola quantità di ingegneri e neuropsichiatri. Gli impianti sottocutanei regalati al mondo e spacciati come progresso erano, già all'epoca, tecnologia arretrata per i suoi scopi. Quel bunker dove è stato ritrovato era in realtà un laboratorio segreto in cui venivano fatti esperimenti per raggiungere un solo obiettivo, il trucco finale del signor Lask. Ci sono voluti anni di prototipi e di sperimentazione, nonché di algoritmi di intelligenza artificiale donati gentilmente da tutti coloro che utilizzavano la piattaforma open source che lo stesso Lask aveva messo in piedi. Utilizzando tutti quegli algoritmi e tutti i dati comprati dalle grandi industrie di social media, alla fine c'era riuscito. Il 10 Settembre 2022, il signor Lask ha premuto il tasto "invio" sul pc del laboratorio, compiendo il passo più grande che l'essere umano abbia mai fatto nell'intera storia, superiore persino all'allunaggio e alla creazione di una rete di comunicazione mondiale (comunemente conosciuta come internet). Attraverso gli impianti sottocutanei che ormai tappezzavano le sue pareti cerebrali, il signor Lask ha dato il via al trasferimento della sua materia grigia in quello che potremmo definire il primo ed unico cervello positronico. Nessun utilizzo di algoritmi, quel cervello era una copia perfetta di quello umano, adattato per comandare un corpo fatto non di carne, ma di metallo e silicio. Lo stesso corpo che si è svegliato e ha ripulito tutta la stanza, lasciandola esattamente come da istruzioni trovate sul tavolo dove era posto il pc.
Un suicidio? Un omicidio? Nessuno lo saprà mai, l'impeccabile perfezione del robot, o forse dovrei chiamarlo cyborg, ha fatto sì che nemmeno gli investigatori più esperti potessero risolvere il caso e lasciarlo irrisolto. Nessuno sa dove sia finito quel cyborg, ma se stai leggendo questo, vuol dire che sono ancora vivo da qualche parte, in qualche luogo noto solo al signor Lask.

Originally wrote in 2021-02-07T12:04:00.005+01:00

452 chilometri. Questa è la distanza che devo percorrere per andare da Ancona a Trento. Trenitalia è il mio autista. La durata del viaggio è all'incirca di quattro ore e mezza, compresa di cambio e salvo imprevisti. I famosi disagi di Trenitalia. Questa volta, però, il disagio me lo sono creato da solo. Certo, potrei incolpare il sito di Trenitalia che è fatto da programmatori-scimmia che scrivono senza braccia e sotto l'effetto di droghe psichedeliche, ma sarebbe solo una mezza verità. La verità è che questa volta a fare la cazzata sono stato io, e quando me ne sono accorto ho capito cosa possa aver provato un turista in visita a New York in un afoso pomeriggio, l'11 Settembre del 2001. Partiamo dall'inizio.

Esco di casa con mio padre alle 16:42, pronto a farmi portare in stazione. Durante il viaggio mi viene chiesto se il treno parte da Ancona o se è già in viaggio. Questo mi ricorda che devo scaricarmi i biglietti sul cellulare. Così vado nelle email e già che ci sono guardo il numero del primo treno che devo prendere: 8886. “Strano”, penso “non lo avevo mai visto”. Su viaggiatreno scopro che il treno che cerco non è disponibile. Comincio ad insospettirmi. Googlo il numero del treno e scopro che il treno esiste, ma il tracciamento non è disponibile. Penso che avranno qualche problema, d'altronde quando mai non succede?

Alle 17:10 sono in stazione, mio padre mi ha lasciato senza parcheggiare, per comodità. Tra esattamente 16 minuti dovrebbe partire il treno. Alzo la testa per leggere il tabellone delle partenze e cerco il mio treno. Non c'è. Al suo posto c'è un treno col numero simile: 8826. Prendo il biglietto e controllo di nuovo il numero, magari mi sono sbagliato. “Otto otto otto sei, è giusto”. Mentre l'occhio vaga per lo schermo del cellulare, in cerca di punti di appoggio da cui apprendere informazioni (amici biologi/gente che conosce il funzionamento dell'occhio meglio di me, mi scuso) si posa su una serie di numeri divisa da una barra obliqua che pende verso destra: “16/06/2018”.

Il cuore si ferma, il sangue pure. Il sudore esce dai miei pori come l'acqua da una spugna imbevuta e strizzata. Cerco la data odierna per essere sicuro di tornare coi piedi sulla Terra. Oggi è il 9 Giugno. Il nove. Mi maledico mentre respiro affannosamente. Raggiungo l'app per chiamare e mi faccio consigliare da mio padre di vedere se c'è un treno che posso prendere da un'altra città. Questo mi ricorda che posso provare a vedere se alla biglietteria automatica c'è qualcosa di veloce. Scopro che posso ancora comprare il biglietto per il treno giusto. A questo punto vorrei fare una digressione su quanto sia sadico chi fa i software per Trenitalia. Ho cercato di mantenere la calma il più possibile, senza premere pulsanti a caso. Ad ogni domanda entravo in crisi.

“Attenzione, stai acquistando il biglietto di un treno che arriverà tra meno di 5 minuti, sei sicuro di voler continuare?”“Mancano esattamente tre minuti alla partenza del treno, sei sicuro di volerlo acquistare?” Sì, dannazione, dammi quel maledettissimo biglietto e lasciami in pace. Trenitalia riesce persino a farmi preferire l'interazione con le persone piuttosto che con le macchine. Comunque il biglietto viene stampato, ma con una lentezza tale che probabilmente il processo di emissione del biglietto parte dalla creazione della cartoncino stesso. Il treno è in perfetto orario. Il mio biglietto è convalidato. I miei soldi sono gettati al vento.

Originally wrote in 2018-06-09T18:24:00.001+02:00