Piombo e fango
“Era dal 1968 che non mi sentivo così”, esclamò John, cercando goffamente di rimanere in piedi vicino la palizzata. “Così come? Ubriaco? O intendi felice?” Mark era in genere un ragazzo che andava dritto al dunque. “Entrambi, uno la conseguenza dell'altro!” La palizzata era un rimasuglio del recinto con il quale la vecchia e decadente cittadina di Orkaunty segnava il suo confine. Era un pezzo d'epoca, molto famoso: tanto che il primo sindaco arrivato dopo la grande guerra del Nord fece installare una placchetta metallica con scritto “Qui la cittadina di Orkaunty smette di essere circoscritta dalla Valle del Nulla ed espande le sue radici verso l'orizzonte – Russel McKolin” “Che idiota, comunque” Mark si girò di scatto e vide che John stava fissando, con equilibrio precario, la palizzata. Si avvicinò barcollando, scavalcò e si mise di fronte al suo amico. “Di chi parli?”, chiese Mark con sguardo interrogativo. “McKolin... Quel vecchio idiota, schifoso e ladro di un McKolin... McKolin...” “Forse è ora di tornare a casa, che dici?” Mark afferrò il braccio di John per tirarlo verso la strada, ma non riuscì a smuoverlo. “Voglio rimanere ancora un po'”, fece John. “Cosa vuoi fare?” “Non lo so... Sono ubriaco e sto ricordando il passato. Il minimo che posso fare è versare una lacrima per tutti coloro che ho perso durante la mia vita” “Oh, cosa mi tocca sentire alle tre di notte... John andiamo, sei stanco” “No Mark, non sono stanco, sono annoiato” “Da cosa?” “Dalla vita che conduco ogni giorno da ormai quindici anni” “Essere anziani significa questo? E io che non vedo l'ora di arrivare alla pensione!” “Sciocco, sei giovane e puoi permetterti di fare cose che un vecchio bacucco come me non può che sognare” Per diversi secondi nessuno dei due disse nulla, poi John, voltandosi, guardò prima Mark, poi di nuovo il paletto e poi ancora Mark. “Va bene, andiamo a casa” “Oh, dio, grazie! Non vedo l'ora di buttarmi sul letto e...” Ma John gli mise una mano sulla spalla e con un cenno gli intimò di fare silenzio.
La decisione che John prese molti anni prima, di andare a vivere lontano dal centro, in mezzo al deserto e alle sterpaglie, era una delle poche cose che non rimpiangeva. Camminando in silenzio poteva ascoltare il rumore dei passi di Mark, che trascinava i piedi per terra, il fruscio del vento e il canto dei grilli. Il cielo era nuvoloso, ormai lo era da anni, guardando in alto cercava di ricordarsi le stelle, piccoli puntini luminosi, alcuni più, altri meno, che invadevano il cielo dopo il calar del Sole. Neanche il Sole c'era più da molto tempo. L'alcol che aveva in corpo lo rilassava e lo scaldava. Arrivati a pochi metri dall'ingresso, si fermò di colpo: aveva voglia di stendersi da qualche parte ed osservare il cielo notturno. “Cosa succede?”, Mark sembrava preoccupato. “Niente Mark, sono solo... Sono...”, si guardarono negli occhi e Mark poté vedere che qualcosa turbava il suo anziano amico. “Sei stanco?” “No. Beh, un po' sì, ma è normale alla mia età. No, in realtà vorrei stendermi da qualche parte per osservare il cielo” “Il cielo? Ma John, mio caro vecchio John, sai meglio di me che il cielo non esiste più da ormai troppi anni” “Il cielo esiste, solo che non possiamo vederlo” “Allora cosa vorresti osservare, se il cielo non si può vedere?” John esitò. “Il mio passato” I due si fissarono e dopo un po' Mark mugolò qualcosa che assomigliava a “fai come vuoi io sono troppo sbronzo per dormire fuori” e si avviò sullo stradino di terriccio che portava alla casetta. Stare in piedi in mezzo alla strada, di notte, a quell'età, era rischioso. Certo di animale selvatico ormai non ce n'era quasi nessuno, ma qualche predone del deserto poteva approfittarsi del momento. A John non importava. Contemplando il cielo ricordò di quando stava disteso sul prato con Anna, di notte, a guardare le stelle. “Secondo te John, riusciremo mai a raggiungere almeno una di quelle stelle?”, chiese lei, osservando quella che un tempo era chiamata la costellazione di Orione. “Mio fratello dice che un giorno le stelle non esisteranno più” Anna spostò il braccio di John dietro la sua schiena e si accoccolò su di lui “Credo che sia una cosa molto triste” “In effetti lo è An, ma forse mio fratello si sbaglia” John spostò lo sguardo dal cielo sulla casetta e pensò che, in fondo, suo fratello aveva avuto ragione su tutto. Con molta pazienza (e presa di coscienza sull'ubriacarsi alla sua veneranda età), si mise a gattoni, si sollevò in piedi e si incamminò verso casa, ponendo fine alla lunga giornata.
La mattina seguente, John si rese conto anche senza aprire gli occhi che la coperta era del tutto avvolta attorno a lui, ma decise di rimanere a letto ancora un po'. Verso mezzogiorno Mark bussò alla porta di camera sua.
“Sei vivo?” “Sì, sono solamente intrecciato nella coperta” “Se mai volessi smetterla di poltrire, il pranzo è pronto” “Sai Mark, dovrei alzarti la paga” “Forse prima dovresti cominciare a pagarmi” “Già, forse...” Entrando in cucina c'era una tavola rettangolare, lunga circa due metri, larga uno, quasi spoglia, apparecchiata con due piatti, due bicchieri, un paio di cucchiai e ogni piatto aveva una fetta di formaggio, del pane duro come una palla da baseball e dello stufato. Dello stufato? “Dello stufato? Dove hai trovato della carne?” John non vedeva dello stufato da quell'inverno in cui per sbaglio una tegola della casa era caduta sopra una lepre che passava nei dintorni. “Credo... Credo di non potertelo dire” “Sei andato in città, non è vero'?” Mark non rispose. “Allora?!”, John alzò il tono della voce. “Io...” “TU COSA?! Ti è dato di volta il cervello? Vuoi farti ammazzare?” Le urla misero Mark sulla difesa. “Ma non si rischia ad andare in centro! Sei pieno di pregiudizi! Quelle persone sono come noi! Solo perché hai deciso di fare l'eremita non vuol dire che loro siano mostri alieni!” John mantenne fisso lo sguardo su Mark e dato l'affanno, si mise a sedere. “Mangiamo, ne discuteremo dopo” Calò in silenzio, come succedeva un tempo, quando gli schermi trasmettevano dei programmi televisivi e tutti erano abbindolati dalle immagini proiettate. Mark posò il cucchiaio sul piatto e si rivolse a John. “Senti, mi dispiace, ma stavamo finendo il cibo e sinceramente cominciava a darmi la nausea mangiare tutti i giorni la stessa cosa” “Se avessero capito da dove vieni avrebbero potuto metterti in prigione e torturarti, come minimo” “Ma non è successo! Sono vivo, non mi hanno riconosciuto, ho l'accento locale da anni ormai e non possono neanche basarsi sul colore della pelle visti tutti gli schizzati che si fanno modificare il DNA al giorno d'oggi” John non lo guardò neanche. Spostò la sedia facendo rumore e andò vicino la finestra, guardando fuori. La teatralità di John colpì Mark al punto di doversi trattenere dal fare battute, non era proprio il momento. “Sai cos'è successo a mio fratello, no?” “Certo, me lo avrai raccontato un milione di volte” “Bene, ma non sai perché mi sono trasferito qui” In effetti era più una supposizione che una certezza. Il fratello di John, Albert, era morto in un campo di concentramento durante la guerra del Nord. Quelli che una volta erano gli Stati Uniti avevano dichiarato guerra al Canada e tutti coloro che non avrebbero prestato servizio in nome della difesa della propria patria, sarebbero stati considerati traditori e puniti a dovere. Un classico. Albert era un ricercatore universitario, un pacifista, un socialista, insomma una piaga, ma finché il governo poteva guadagnare dai suoi lavori sottopagandolo, andava bene. Quando ci fu la chiamata alle armi si oppose, quindi lo arrestarono e lo imprigionarono. John non fece la stessa fine, combatté quella inutile guerra e tornò a casa più povero di prima. “Perché la tua vecchia casa ti ricordava tuo fratello?” “No, non mi dispiace ricordare mio fratello, era una bravissima persona... No, il problema non era la casa, il problema erano le persone. Nonostante avessi dato tutto me stesso, il governo mi tenne sotto controllo per evitare che potessi fare qualche “follia” vendicando mio fratello. Non solo, divenni un reietto, il mio vecchio quartiere mi considerava un traditore, come Alb, e non c'era nulla che potessi dire o fare per cambiare la loro opinione. Così decisi di attuare il piano Z, quello che tenevo come soluzione alternativa per tutto: me ne andai in mezzo al niente per condurre una vita solitaria e pacifica. La prima devo dire di averla ottenuta, la seconda, invece, un po' meno” Mark non sapeva cosa dire, ma non sapeva neanche cosa c'entrasse questo con quello che aveva fatto durante la mattina. In fondo, gli Stati Uniti non esistevano più da un bel pezzo. “Non c'è più un pericolo simile, però... Capisco la tua preoccupazione, ma non c'è nessun governo totalitario a bacchettarci” “No, ma le persone non cambiano. Se vogliono odiare lo fanno, anche senza un vero motivo. E quelle persone che abitano nel centro cittadino non hanno nulla se non rabbia repressa, rinvigorita ogni giorno dalle notizie e dall'odio l'uno per l'altro e per sé stessi. La città è pericolosa, preferirei morire di fame che tornarci” Non ci fu risposta se non il rumore dei piatti e delle posate che venivano portate in cucina, pronte ad essere lavate. John continuò a guardare fuori, a scrutare la linea dell'orizzonte che divideva la terra sabbiosa e il cielo cupo. Una patina gialla ricopriva tutto quello che un paio di occhi non potenziati potevano captare e di tanto in tanto passava un uccello. Un uccello? Stupido vecchio, non era un uccello, era un drone, gli uccelli non esistono più.
Originally wrote in 2020-05-12T23:57:00.002+02:00