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from Racconti spontanei che attraversano l'autore

Arrivo al bordo con domande che sono poco più che sibili Questa pace incatena, è una gabbia come questa pelle Le lacrime sono il linguaggio dell’addio improvviso Prima dell’odio c’è sempre amore frainteso prima dell’amore odio perdonato Bisogna riempirsi l’anima di questo orizzonte sconfinato e di una risata fragorosa che spezza il nostro silenzio

 
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from nomadank

L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto è un poema che, dietro l’apparente celebrazione dell’eroismo guerriero, smaschera con ironia e tragicità le contraddizioni della mascolinità cavalleresca. La follia di Orlando, la violenza di Rodomonte, la gelosia di Rinaldo e la performatività di Sacripante rivelano un universo in cui l’identità maschile è costruita su un equilibrio precario: tra onore e fragilità, tra controllo e disperazione, tra amore idealizzato e possesso distruttivo. In un’epoca in cui il femminicidio è spesso l’esito estremo di una crisi dell’uomo di fronte all’autonomia femminile, il Furioso offre una riflessione anticipatoria su come la violenza di genere sia inscritta nel codice stesso della cavalleria.

Orlando: Femminicidio Mancato e Collasso dell’Io

La follia di Orlando scoppia quando scopre che Angelica, la donna che ha inseguito per tutto il poema, si è innamorata di Medoro, un umile fante saraceno. La sua reazione non è dolore, ma furia cieca: una crisi identitaria che lo trasforma in una forza distruttiva.

«Orlando, che gran tempo avea durato / invulnerabile, or sente aperto il fianco / da quel colpo mortale» (XXIII, 112)

Ariosto descrive la ferita non come fisica, ma psicologica: è il crollo di un uomo che aveva costruito la sua identità sul possesso di Angelica, simbolo del suo status di cavaliere. Orlando non la uccide—perché Angelica è già fuggita, sottraendosi al suo controllo—ma la sua violenza si riversa sul mondo circostante: sradica alberi, massacra animali, diventa una minaccia senza bersaglio. È il ritratto di una mascolinità che, privata del suo oggetto di dominio, si autodistrugge.

Se Angelica fosse rimasta nelle sue mani, sarebbe diventata una vittima? Il testo lascia intendere di sì: la logica cavalleresca non ammette il rifiuto. La follia di Orlando è la crisi di un sistema in cui l’amore è possesso, e il possesso è legittimato dall’onore.

Rodomonte: La Violenza come Fondamento dell’Identità

Rodomonte, il guerriero saraceno, incarna una mascolinità ancora più tossica: la sua forza si fonda sulla negazione di ogni vulnerabilità. Quando la principessa Doralice lo tradisce per Mandricardo, la sua reazione è immediata:

«Non la vuol udir più; tronca il parlare / con la spada crudel, che le divide / la testa dal bel collo» (XXIX, 48)

Doralice muore perché ha osato sfidare il suo controllo. Rodomonte non cade in follia come Orlando: la sua violenza è lucida, sistematica. È il femminicidio come atto di riaffermazione patriarcale, dove l’uomo, anziché affrontare la propria fragilità, elimina fisicamente la donna che lo ha “umiliato”.

Rinaldo e Sacripante: Gelosia e Performance Vuota

Anche Rinaldo, eroe cristiano, è dominato dalla gelosia quando crede che Angelica ami Orlando. La sua ossessione lo rende ridicolo, dimostrando come l’etica cavalleresca sia spesso una maschera per insicurezze profonde.

Sacripante, re di Circassia, è ancora più patetico: si vanta di essere il più grande cavaliere, ma ogni sua azione è una performance vuota, un tentativo disperato di confermare un’identità che non regge alla prova dei fatti. Quando Angelica lo manipola con falsi sorrisi, lui ci casca ogni volta, perché ha bisogno di credere al proprio mito.

Il Furioso come Specchio della Crisi Maschile

Ariosto non offre soluzioni, ma mostra le crepe nel sistema. I suoi uomini—eroi sulla carta—sono fragili, violenti, ridicoli. Le donne (Angelica, Bradamante, Marfisa) spesso li superano in astuzia, coraggio e autonomia.

Oggi, in un’epoca di ridefinizione delle identità di genere, il Furioso ci ricorda che la violenza maschile non nasce dalla forza, ma dalla paura: paura di perdere controllo, paura di non essere più “eroi”. Se Orlando avesse accettato il rifiuto di Angelica, se Rodomonte avesse elaborato il tradimento invece di uccidere, forse il poema sarebbe stato meno tragico—e forse anche la nostra società lo sarebbe.

Il femminicidio non è un eccesso della mascolinità: è la sua logica estrema. Ariosto, con la sua ironia, ce lo ha mostrato cinque secoli fa. Sta a noi, oggi, smettere di riderne e cominciare a decostruirla.

 
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from Le ricette di Kenobit

Dopo avervi proposto la ricetta del ragù “di mia nonna”, vi propongo il mio. Questa ricetta è frutto di qualche anno di esperimenti, per ricreare una consistenza e un sapore il più possibile vicina a quella di un ragù di carne. Il risultato, anche a detta di onnivori non esattamente amici della causa vegana, è sbalorditivo. “Se non me l'avessi detto, avrei creduto che fosse di carne.”

Ve la scrivo, un po' per regalarvela, un po' perché è finalmente venuta come dico io e non voglio dimenticarmela. Mentre quello di mia nonna era un ragù sostanzialmente bianco, colorato dal vino rosso, questo è un più contemporaneo ragù con pomodoro.

ragù

Ingredienti
Olio d’oliva Sedano Cipolla Carota Porro Lenticchie Bocconcini di soia* Una manciata di porcini secchi Un bicchiere di bianco Salsa di soia Brodo di cottura delle lenticchie Rosmarino, salvia, alloro Gomasio** Paprika affumicata Sale Pepe

* Nella ricetta precedente ho usato il granulare. Qui ho scelto intenzionalmente la grana più grossa.
** Io lo faccio in casa, ci vogliono pochi minuti e lascia un profumo buonissimo. Tostate in un pentolino 10 cucchiaini di sesamo finché non iniziano a scoppiettare e a essere fragranti. Toglieteli dal fuoco e “tostate” un cucchiaino di sale integrale. Il sale non si tosta, ovviamente, ma perde umidità. Mettete tutto in un pestello e macinate.

PREPARAZIONE
Il nostro macinato sarà composto al 40% di lenticchie, 40% di soia e 20% di funghi. Più o meno, andate a occhio.

Cominciamo dalle lenticchie. Mettete le lenticchie in una pentola con acqua fredda, aggiungete la parte verde del porro, il sedano, una carota, una cipolla, l'alloro, la salvia e il rosmarino. Vogliamo che cuociano in un buon brodo, sia per insaporirle, sia perché quel brodo ci tornerà utile. Portate a ebollizione e cuocete fino a quando non saranno cotte (a seconda della varietà che usate, circa 30 minuti), salando il brodo circa cinque minuti prima che siano pronte, verso la fine. Togliete le lenticchie dal brodo e mettetele da parte.

Ora tocca ai bocconcini di soia. Reidratateli finché non saranno morbidi, seguendo le istruzioni sulla confezione (di solito basta qualche minuto in acqua bollente). Scolateli e strizzateli per rimuovere più acqua possibile.

Mettete i funghi porcini in ammollo. NON BUTTATE L'ACQUA. Quando saranno morbidi, toglieteli dall'acqua e conservatela. In seguito la filtreremo.

Prepariamo il macinato! Se ne avete uno a disposizione, vi consiglio un robot da cucina, ma va bene anche un frullatore, o nel peggiore dei casi un coltello e un po' di pazienza. Frullate a rate: prima la soia, poi le lenticchie, poi i funghi. Unite tutto in una ciotola, mescolate bene e aggiungete i sapori: paprika affumicata, pepe, gomasio e un po' di salsa di soia. Se siete indecisx, ricordatevi che questo macinato non è fatto di carne cruda, e che quindi lo potete tranquillamente assaggiare. Vogliamo che sia saporito, ma non eccessivamente, perché poi prenderà altro sapore in cottura. Lasciamolo marinare un attimo mentre prepariamo il soffritto.

Normalmente farei un soffritto con sedano, cipolla e carota, ma ieri ho inavvertitamente messo l'ultimo pezzo di sedano nel brodo, quindi l'ho sostituito con il porro. Si è rivelata una scelta vincente, a sorpresa. Tritate finemente cipolla, carota e parte bianca del porro e mettete a soffriggere in abbondante olio di oliva.

Nota sull'olio: abbondate. Il ragù è una ricetta resa speciale dalla sua parte grassa, che nella carne è molto pronunciata. Nei funghi, nella soia e nelle lenticchie non ce n'è quasi, quindi compenseremo a più riprese con l'olio.

Dopo aver soffritto per cinque minuti, unite il macinato e fatelo abbrustolire a fiamma viva. Da qui in poi, faremo finta di essere alle prese con un ragù tradizionale. Fatelo dorare per una decina di minuti, girandolo regolarmente, e poi sfumate con un bicchiere di vino bianco. Una volta che sarà evaporata la parte alcolica del vino (fidatevi del vostro naso!) unite i pelati e un po' del loro succo. Schiacciateli con cura, aggiungete un paio di mestoli di brodo delle lenticchie e cuocete per circa un'ora, assaggiando di tanto in tanto. Il ragù sarà pronto quando si sarà ritirata buona parte del liquido. A circa metà cottura, assaggiate la sapidità e aggiungete un generoso giro d'olio e un po' di salsa di soia. Senza esagerare! Ricordate che la riduzione della parte acquosa intensificherà la parte sapida. A dieci minuti dalla fine, ripetete l'operazione: olio e, se necessario, altra salsa di soia.

Ho indicato come tempo di cottura un'ora, ma nulla vi vieta di tenerlo un po' di più, a fiamma bassa. L'importante è che non bruci!

Otterrete un ragù denso, perfetto anche da conservare in un vasetto. Quando lo servite, vi basterà aggiungere un po' di acqua di cottura della pasta se volete una mantecatura più cremosa. Buon appetito!

 
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from D𝕚ⓈѕⓄᶰA𝐧ℤⒺ

𝗜𝗟 𝗡𝗘𝗠𝗜𝗖𝗢 𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗢 Accusati di essere un concreto pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica. Accusati di creare disordini, violenza e abusi. Chi partecipa ad un rave party è complice di un reato! Chi lo organizza è marchiato come un criminale con pene fino a 6 anni di carcere.

Più concretamente: chi organizza una festa senza permesso rischia la stessa pena di chi sottrae un minore in affidamento, di chi causa un incendio doloso, di chi possiede armi da fuoco senza permesso o di chi causa lesioni personali gravi.

Forse bisognerebbe alzare lo sguardo dallo smartphone e guardare la realtà.

È dentro e fuori dai club e dai locali del centro città che avvengono abusi e riciclaggio. È durante le partite di calcio che migliaia di tifosi spaccano e imbrattano i centri cittadini. (e non durante rave party nelle periferie dimenticate) È lo stesso Stato che attenta alla salute pubblica guadagnando dalla vendita di alcol e sigarette. È la scuola pubblica di vostra figlia che attenta alla sua incolumità crollando a pezzi. È il vostro amico maresciallo (quello che vi toglie le multe) che da l'ordine di manganellare persone che ballano e studenti che manifestano per la pace o per il clima. (E che avrà l'avvocato pagato dallo stato per difendersi dalle accuse di eccesso di violenza.)

L’ATTUALE GOVERNO AUTORITARIO REPRIME OGNI FORMA DI DISSENSO. ANCHE BALLARE SENZA PERMESSO È UN REATO PUNITO CON LA VIOLENZA.

ATTENTO A NON PENSARE TROPPO LIBERAMENTE. IL PROSSIMO RICERCATO POTRESTI ESSERE TU!

 
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from piccole cose inutili

i mostri di unlikeness

rivista erbafoglio

: potresti parlare di letteratura elettronica... –

me

: “Ho iniziato il punto croce perché sono ossessivo.”

°.)-

possibili risposte al senso senza significato

(

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metto qui ↓ una versione tipograficamente diversa da quella pubblicata da erbafoglio per mere questioni tipografiche

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la versione pubblicata da erbafoglio è comunque visibile su archive.org

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ho dimenticato un ri-ferimento (sorry!); l'ho aggiunto in questa versione postuma )


copertina rivista erbafoglio nr. 30 aprile 2025

°

i mostri di unlikeness è stato pubblicato su erbafoglio – rivista di cultura poetica – anno V, terza serie, n. 30 (aprile 2025), pp. 82-88

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la versione cartacea della rivista è disponibile da aprile 2025

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la versione digitale è disponibile da ottobre 2025

                                                                                                                              letteratura elettronica

 
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from Rob's cabinet of mboh?

Ai tempi dell'università, complice l'essere caduto nel tunnel di Final Fantasy XI con tutte le sue meccaniche assuefacenti da MMORPG, a poco a poco avevo preso l'abitudine di fare sempre più tardi la notte. Prima di cedere al sonno e andare a letto però, mi ritrovavo ad affacciarmi dalla finestra della mia stanza e guardare gli scorci del mio quartiere avvolti da un buio via via più flebile all'affacciarsi dell'aurora dal mare. A dirla tutta per lo più maledicevo il palazzo di fronte, alto giusto quel piano che bastava a tagliarmi la visuale di parte del centro storico e soprattutto della cattedrale, lasciandone scoperte giusto le punte delle guglie e della cupola. Però in quel palazzo, un paio di piani sotto al mio, c'era una per certi versi rassicurante certezza: ogni volta che tiravo fino a quell'ora, trovavo sistematicamente un uomo affacciato alla sua finestra. Abbastanza in là con gli anni, un viso da Novello Novelli un po' meno smunto, con indosso una canottiera bianca e un'immancabile sigaretta in mano, era sempre lì a compiere quello che probabilmente era il suo rito quotidiano post risveglio, anche se la sua vista sfortunatamente si limitava a un altro brutto palazzo costruito durante la speculazione edilizia degli anni '60 e alla strada sottostante. Flashforward di più di una dozzina d'anni, nel periodo post Covid. La stanza è ancora quella e io ho ripreso a fare sempre più tardi, arrivando spesso a vedere l'alba. Continuo a maledire il palazzo di fronte per la visuale di cui mi priva ma questa volta non vedo nessuno affacciarsi da quella finestra. Gli anni passati (e la pandemia) non lasciano spazio a tante spiegazioni alternative alla sua assenza.

Non ho mai interagito con lui, anche se forse in un occasione o due i nostri sguardi si sono incrociati per un istante, ma ammetto che un paio di volte sono andato a dormire chiedendomi chi fosse e immaginandomi quali storie potessero nascondersi dietro a quel volto da attore da commedia dallo sguardo malinconico. Ovviamente notte veniva fuori qualcosa di diverso e senza una conclusione, visto che il sonno rimandato troppo a lungo era lì pronto a prendermi...

All'epoca non lo sapevo ma, in senso molto lato, in qualche modo stavo anticipando lo spirito di un GDR indie che avrei scoperto molto più tardi e in cui di fatto si raccontano le vicende di una casa e della famiglia che la abita.

Sì, alla fine questo treno di pensieri nato dalla notizia di un lutto e dell'inevitabile sensazione di spaesamento per il tempo che passa è stato dirottato verso una stazione più comoda e familiare rispetto al riversare su internet un'intera catena di ricordi intimi, e quindi anche questo post è diventato un pretesto per parlare nuovamente di un gioco, come temo accadrà spesso. Se l'argomento non vi interessa potete saltare tutta la parte che segue e non vi perderete niente 😅

La casa sul confine dei ricordi...

House of Reeds di Sam Kabo Ashwell, di cui trovate qui la traduzione italiana fatta da Antonio Amato, è un gioco che potrebbe risultare decisamente atipico per chi da questo medium si aspetta avventure, combattimenti, punti esperienza, ecc. Quanto atipico? Giusto per fare un esempio, ɜ giocatorɜ non avranno un personaggio di loro “proprietà” ma sceglieranno di volta in volta quali personaggi vogliono in scena.

E il resto come funziona? Sintetizzando il più possibile un regolamento già breve, per cominciare le persone al tavolo stabiliranno assieme i cardini dell'ambientazione, dopo di che a turno contribuiranno a creare prima una mappa/planimetria della casa e infine il cast dei personaggi che la abitano. Una volta creata l'ambientazione si può cominciare a giocare: chi è di turno pescherà una carta con sopra uno spunto narrativo che dovrà essere portato in scena, quindi dirà in che stagione e in quale stanza ci troviamo, descrivendo anche un particolare che la rende diversa dal solito (e segnandolo nella planimetria se si tratta di qualcosa di sufficientemente importante e duraturo), chi è presente al suo interno e infine procederà con la narrazione.

Immagine di una carta spunto con scritto: Supporto - Mostra come i membri della famiglia si supportano a vicenda nelle avversità.

Una carta che idealmente dovrebbe spuntare nel “mazzo” di ogni famiglia

Quando tuttɜ ɜ giocatorɜ avranno narrato una scena, nella fiction sarà passato un anno; si aggiorneranno le età dei vari personaggi e si procederà a ricominciare il giro da capo e così via fino alla conclusione della giocata, che avverrà quando vorranno i giocatori (un buon momento per chiudere è dopo aver pescato carta Trasloco).

Fondamentalmente questo è tutto. Rispetto ad altri giochi senza GM però qui c'è un'ulteriore particolarità: anche se l'autore nelle 8 pagine scarse del manuale lo dà per scontato non specificandolo da nessuna parte, sarà solamente lə giocatorə di turno a narrare la scena senza assegnare personaggi ad altrɜ giocatorɜ o coinvolgerli per farli dialogare; l'interazione sta nel prendere quanto hanno già creato lɜ altrɜ ed espanderlo scena dopo scena.

...la stessa sempre, come tu la sai

Una cosa da tenere a mente è che la costante indiscussa di tutto il gioco è la casa. Grazie alle carte pescate potrebbe accadere che la famiglia si espanda o che perda qualche componente, o perfino che a un certo punto traslochi in blocco, ma qualsiasi cosa succeda, la casa sarà sempre lì, pronta ad accogliere ogni nuova famiglia che eventualmente la abiterà.

Va anche detto che in House of Reeds casa e famiglia sono concetti molto laschi: la casa può essere qualunque luogo vogliamo e la famiglia qualsiasi gruppo di persone che vive al suo interno. Una caverna e un gruppo di Neanderthal sono casa e famiglia? Certo che sì. Un laboratorio di ricerca sottomarino pieno di personale scientifico? Altrettanto. L'ultimo avamposto dell'umanità al confine con il Nulla e ɜ Guardianɜ che devono impedire che si espanda in quel che resta del mondo? E chi sono io per dirvi no?

Screenshot di un tavolo di Tabletop Simulator con su disegnata una planimetria di una stazione spaziale

E una roba ispirata a Star Trek ce l'abbiamo? (disegnata malissimo su Tabletop Simulator ma toccava accontentarsi)

Questa ampiezza delle due definizioni mi ha portato a osservare un curioso fenomeno in tutte le partite che ho giocato finora: l'approccio Out There ha sempre prevalso sul Down Here, cioè nessuna delle persone coinvolte ha scelto di ambientare la giocata nel mondo “reale” raccontando davvero la storia di una famiglia “normale”, ma piuttosto ha scelto sempre elementi fantastici o il più lontano possibile dalla quotidianità, e la cosa un po' mi dispiace.

Non fraintendetemi, anche “là fuori” sono venute fuori delle belle storie condivise; ricordo ancora con molto piacere la giocata in cui la casa era una nave pirata e la famiglia la sua ciurma, solo che più andavamo avanti più emergeva che quella nave era qualcosa di fuori dal tempo, destinata a navigare in mare aperto da e per chissà quanto, e che invece di trovare un approdo incontrava man mano navi sempre più moderne e potenti, ma anche se terrorizzata la ciurma veniva spinta a combattere dalla tonante voce di un capitano sempre chiuso nella sua cabina e che nessuno ricorda di aver mai visto di persona. La giocata si è conclusa col Trasloco, che in questo caso è stato il tanto agognato avvistamento della terra. Solo che una volta scesi si sono trovati di fronte a un'isola con uno strano fenomeno: due soli in direzione opposta, uno ormai al tramonto e l'altro al principio dell'alba. La ciurma sceglie di andare verso l'alba, tranne il nostromo che di ricominciare da capo non ha voglia e si incammina verso ovest, sperando di trovare la pace mentre osserva la nave ormai priva di equipaggio salpare verso chissà dove.

Capisco perfettamente perché in moltɜ preferiscano provare nel gioco di ruolo qualcosa di totalmente estraneo alla propria vita quotidiana, ma imho House of Reeds è il gioco giusto per lasciarsi andare e provare a giocare una storia che coinvolga anche un uomo attempato che inizia le sue giornate fumando affacciato a una finestra mentre guarda con espressione imperscrutabile la strada sottostante, che a volte c'è bisogno anche di toccare quelle corde ed è un peccato rinunciarci, un po' per partito preso, un po' per non uscire dalla propria comfort zone.

In ogni caso questo è un GDR che merita a prescindere dall'approccio con cui lo volete giocare; dategli una chance se potete e scoprite che storie verranno fuori dalle vostre case.

Hashtag rilevanti: #RobsCabinetOfMemories, #RobsCabinetOfGDR, #GDRSegreto

 
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from piccole cose inutili

ergon logos di molleindustria su twine

versione statica, no musica, ita

solo...

quelle ()

SONO UN EROE SONO IL TUO EROE NEMICI PREVEDIBILI E MINACCE PREVEDIBILI TUTTO INTORNO A ME

A fast paced interactive storytelling piece that tries to be a meta-platform game based on the stream of consciousness of [...]

[...] it fails miserably [...]

[...] becomes a piece [...]

[...] non-linear kinetic visual [...]

VERTIGINE UN DILEMMA MORALE RIPRODUCIBILE MECCANICAMENTE

unidentified game object


versione twine che si può provare online https://piccole-cose-inutili.github.io/ergon-logos-twine/ergon_logos.html

il sito di molleindustria dove scaricare l'originale https://www.molleindustria.org/ergon_logos/ergon_logos.html

video dell'originale caricato da molleindustria 1 https://youtu.be/E0jWkF-TyWw

pagina archivio blog con breve descrizione e link https://www.molleindustria.org/node/283/

una versione dell'originale che si può provare online https://flashmuseum.org/ergon-logos/

versione twine zip su archive.org 2 https://archive.org/details/ergon_logos

su 2 anche screenshot, schemi (che avevo fatto tempo fa, infatti alcune cose sono cambiate rispetto a quello che si vede nel 1) e il video riportato sopra

} ... {

traduzioni

(bifo legge una code poem)

fetish font

                                                                                                                                                                letteratura elettronica

 
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from Not My World

There are moments when you stop to think about what you’re doing. Yes, when you're young it happens, often even, but at fifty it’s either a misfortune or a luxury.

I have always worked in the internet/communication/web field, first as a technician, then as head of digital, digital marketer, digital strategist, all that stuff, you know.

Like many others, I believed in the value of communication, including commercial communication, made from the bottom up, by users for users, through a medium developed to be a level playing field, capable of fostering connections.

Over the course of these almost 30 years I have experienced a whirlwind of announcements, technologies, buzz words, from the very first e-commerce sites to sites built in Flash, from newsgroups to social networks, from permission marketing to the invasion of memes.

With each turn of the wheel, everything became faster, and more difficult. The dream of a distributed media, of everyone and no one, shattered with the emergence of large platforms first, and then with algorithmization.

These changes were all made in the name of efficiency and ROI, and have claimed many victims: art directors, copywriters and designers have been replaced – and not supported – by hordes of tireless number crunchers, analysts, specialists in some very private ADV platform, social media managers and SEO experts.

Over the years I believed, or told myself, a pathetic lie, that marketing in this century could be the means to create a dialog between brands and people, to help companies sell their products, but also help users find the answers that best suit their needs, maybe even amaze them, entertain them, making them feel part of the journey.

It was a lie, like that of capitalism with a human face of Google’s “don’t be evil”. It was all smoke and mirrors, and I clearly got fooled.

Many things happened, including Covid, the war in Ukraine, the floods in Romagna and, on a personal note, also a very patient wife and a daughter who is about 13 years old. We can certainly say that it was an intense time, during which I ended up working on the organization and promotion of large events in the field of digital innovation.

Innovation that is no longer what I had hoped it would be. But even the world does not resemble what I had somehow imagined it could become. All in all, between one stomach ache and the next, I was just getting by. The hype for blockchain, web 3.0, NFTs passed, and luckily also rather quickly.

Then one fine day ChatGPT arrived. I am and remain a nerd and a geek, with a good technical background, so obviously this novelty initially galvanized me. I mean, as an old fan of Star Trek and Asimov, being able to finally talk to a computer in a natural way is a big deal.

From that moment on it’s been a wild ride, which has started to overwhelm everything and everyone and is taking us to places I sincerely wish I didn’t know about. Before anyone gets upset, yes, I’m talking about LLMs and generative AI and no, I’m not talking about expert systems used in medicine, aerospace, science.

I don’t want to beat around the bush: Generative AI is bad, it’s useless, it’s immoral and should be heavily restricted, if not completely banned.

I won’t go into an anti-capitalist analysis here, although it would be important to do so, because I don’t even think that's the real point of the matter.

Recently, OpenAI released a model that is particularly good with images, coherence, lettering and other technical marvels, which are certainly admirable. It consciously did this by removing many of the façade filters that prevented you from creating images in the style of a particular author or franchise. I would be lying if I didn’t admit that seeing social media, already full of AI Slobs, completely invaded by images in the Studio Ghibli style, literally made me sick to my stomach.

To paraphrase Miyazaki, who in unsuspecting times said “this technology is an insult to life itself”, the misappropriation of the incredible craftsmanship of Studio Ghibli’s works, only to be remixed into horrible memes for the use of the social media manager or content creator on duty, is an insult to intellectual honesty and morality, and a real crime.

The ongoing farce of the democratization of creativity is simply ridiculous, a statement that simply doesn’t make any sense.

As a former colleague of mine, a very talented illustrator, used to say, why focus efforts and investments on deliberately attacking creative work? This applies to images, but also to music and text; what sense does it make, what concrete and real need does it respond to?

LLMs are elaborate stochastic machines that could have fantastic uses, for example to make the lives of the visually impaired and disabled easier, or to automate “low” tasks to really free up time to dedicate to creative thinking. And yet, no. We create machines that can continuously regurgitate texts, music, newsletters, visuals, press releases, videos, social posts, to literally fill the entire internet with shit, with deleterious effects on the public and on the perception of reality.

What’s more, this stuff pollutes the brain to such an extent that, in my personal experience, rather than valuing the work of an expert and competent team, at the first iteration you take for granted any block of tokens vomited up by the LLM at hand.

It’s no longer my world, it’s not what I wanted and imagined, and it’s not what I want for my daughter, who at this moment is a volcano of creativity, and to whom I MUST tell, a moral duty, that this creativity must be cultivated, cared for and trained with effort, and that this path, made up of ups and downs, frustration and enlightenment, represents the value of what she creates.

For this reason, I have decided that, from now on, also and above all at work, I will refuse to use Generative AI tools and, within the scope of my responsibilities, I will never endorse the use of these tools to generate content of any kind.

I could be accused of Luddism, or of being an idiot who can’t keep up with the times. It may be so, but this doesn’t change the substance: Generative AI is a danger to humanity.

ADSR adsr@distruzione.org

P.S. Here are some links to dig deeper, I’ve put some of them throughout the text, but I’ll summarize them all below, for convenience:

https://tante.cc/2025/03/28/vulgar-display-of-power/ https://www.404media.co/ai-slop-is-a-brute-force-attack-on-the-algorithms-that-control-reality/ https://thelibre.news/foss-infrastructure-is-under-attack-by-ai-companies/ https://www.theatlantic.com/technology/archive/2025/03/libgen-meta-openai/682093/ https://www.theverge.com/news/630079/openai-google-copyright-fair-use-exception https://attivissimo.me/2025/03/24/podcast-rsi-con-lia-la-teoria-dellinternet-morta-si-sta-avverando/ https://affordance.framasoft.org/2025/03/dans-le-retroviseur-doverton-casser-vite-et-bouger-des-trucs/ https://aial.ie/pages/aiparis/

P.P.S. I would have wanted to sign this post. But it’s not an easy thing.

 
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from D𝕚ⓈѕⓄᶰA𝐧ℤⒺ

𝗙𝗔𝗞𝗘 𝗡𝗘𝗪𝗦

Il potere distruttivo, rivelatore, caustico, ironico delle fake news.

Prima di Internet, prima che diventassero strumento di disinformazione di massa nel mare delle notizie che navigano in rete senza controllo; venne utilizzato abilmente negli anni 90, come strumento artistico e politico, per beffarsi di stampa, televisioni e tutto il sistema dell' informazione. In nome di una cultura del sabotaggio, si contestavano i media e l'invasività delle pubblicità.

Da persone scomparse, a culti demoniaci e violenze mai esistite, che crearono un vero e proprio fenomeno di isteria di massa, prima di essere svelati di fronte all'indignazione dei più. Dimostrando al tempo stesso quanto la sete di notizie dei media è tale da divulgare qualsiasi informazione senza la minima certezza.

Tra le azioni più incredibili che riguardano il culture jamming c'è sicuramente la copia del sito Vaticano nel 1998 che coinvolse 200.000 visitatori per un totale di 4 milioni di accessi.

“Abbiamo acquistato il nome di dominio Vaticano.org e fatto una copia del sito web ufficiale della Santa Sede. Il nuovo sito web era visivamente identico a quello ufficiale, ma conteneva piccole ma significative modifiche nascoste tra i testi sacri, che ci hanno permesso di satireggiare e correggere l'identità della Santa Sede, esaltando l'amore libero, le droghe leggere e l'attivismo online.[...] Il tutto inserito tra le righe di encicliche papali, citate con precisione.

Dal momento in cui Vaticano.org è andato online, un flusso enorme di visitatori si è riversato sul sito web parodia, trascorrendo migliaia di ore a leggere testi modificati con proclami eretici, parole inventate, errori imperdonabili e canzoni di band di teeny-bopper.” (0100101110101101.org)

L'ingegno che era dietro queste operazioni era tale da trasformarle in opere d'arte sovversiva e partecipativa, dove lo spettatore stesso prende parte alla scena e alle sue modificazioni poiché interagisce con essa.

“Un'opera d'arte, in rete o no, non può essere interattiva di per se, sono le persone che devono usarla interattivamente, è lo spettatore che deve usare un'opera in un modo imprevedibile. Copiando un sito, stai interagendo con esso lo stai riutilizzando per esprimere dei contenuti che l'autore non aveva previsto. Interagire con un'opera d'arte significa essere fruitore/artista simultaneamente; i due ruoli coesistono nello stesso momento. Per cui dovremmo parlare di meta-arte, di caduta delle barriere nell'arte; lo spettatore diventa un'artista e l'artista diventa spettatore: un testimone privo di potere su ciò che accade al suo lavoro.” (0100101110101101.org)

I media moderni hanno compreso il potere partecipativo della massa: diffondendo contenuti accattivanti, capaci di generare estremo stupore o profonda indignazione, riescono ad ampliare la diffusione delle loro notizie, poiché ogni condivisione aggiunge il punto di vista del trasmettitore, spesso incurante della veridicità del contenuto. Se un tempo lo spettatore poteva interagire con un’opera d’arte in modo imprevedibile, oggi la decontestualizzazione di frasi, immagini o parole viene utilizzata per provocare reazioni calcolate, prevedendo esattamente l’effetto della catena di ri-condivisioni.

La società contemporanea vive in uno stato costante di isteria, e i mezzi di (dis)informazione, insieme ai social media, riflettono un meccanismo che asseconda l’impazienza collettiva di ottenere risposte rapide e rassicuranti di fronte a eventi controversi. Si tende a individuare un colpevole immediato, un capro espiatorio che soddisfi il bisogno di ordine, trascurando dettagli e sfumature che potrebbero ribaltare l’intera narrazione. È invece fondamentale sviluppare uno sguardo critico sulle informazioni, coltivare la volontà di approfondire e ricostruire il contesto.

 
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from Not My World

Ci sono momenti in cui ti fermi e rifletti su quello che stai facendo. Sì, quando si è giovani capita, anche spesso, ma a cinquant'anni o è una disgrazia, o è un lusso.

Lavoro in ambito internet/comunicazione/web da sempre, prima come tecnico, poi come head of digital, digital marketer, digital strategist, insomma, quelle robe lì, avete capito.

Ho creduto, come tanti, nel valore di una comunicazione, anche commerciale, fatta dal basso, fatta da utenti per utenti, attraverso un media nato per essere paritario, capace di creare connessioni.

Nel corso di questi quasi 30 anni ho vissuto una girandola di annunci, tecnologie, buzz word, dai primissimi e-commerce ai siti in flash, dai newsgroup ai social, dal permission marketing all'invasione dei meme.

Ad ogni giro di giostra tutto è diventato più veloce, più difficile, il sogno di un media distribuito, di tutti e di nessuno, si è infranto con l'emergere delle grandi piattaforme prima, con l'algoritmizzazione poi.

Questi passaggi, tutti compiuti nel sacro nome dell'efficienza e del ROI, hanno mietuto vittime eccellenti, art director, copy, designer, sostituiti – e non affiancati – da orde di infaticabili uomini dei numeri, analisti, specialisti in una qualche piattaforma, privatissima, di ADV, social media manager e SEO expert.

Nel corso degli anni ho creduto a, o mi sono raccontato, una patetica bugia, quella che il marketing di questo secolo potesse essere il mezzo per far dialogare brand e persone, per aiutare le aziende sì, a vendere i prodotti, ma anche gli utenti a trovare le risposte più adatte ai propri bisogni, magari stupendoli, intrattenendoli, facendoli diventare parte del viaggio.

Era una Bugia, come quella del capitalismo dal volto umano del “don't be Evil” di Google. Specchi per le allodole, e io sono chiaramente un'allodola.

Sono successe tante cose, compreso il Covid, la guerra in Ucraina, le alluvioni in Romagna e, rimanendo sul personale, anche una moglie assai paziente e una figlia, che va per i 13 anni.

Possiamo sicuramente dire che sia stato un periodo intenso, durante il quale sono finito ad occuparmi di promozione di eventi, grossi, in ambito innovazione digitale.

Innovazione che appunto non era già più quella che avevo sperato fosse. Ma manco il mondo assomiglia a quello che in qualche modo mi ero immaginato potesse diventare.

Tutto sommato, tra un mal di stomaco e l'altro, giocavo a tirare avanti. Sono passati gli hype per la blockchain, per il web 3.0, per gli NFT, e per fortuna anche abbastanza in fretta.

Poi un bel giorno si presenta ChatGPT. Sono e rimango comunque un nerd e un geek, con una buona base tecnica, per cui ovviamente questa novità mi ha inizialmente galvanizzato. Voglio dire, da vecchio fan di Star Trek e di Asimov, poter finalmente dialogare con un computer in maniera naturale è tanta roba.

Da quel momento in poi è stata una corsa assurda, che ha iniziato a travolgere tutto e tutti e che ci sta portando in luoghi che avrei preferito sinceramente non conoscere.

Prima che qualcuno si inalberi, sì, sto parlando degli LLM e dell'AI Generativa e NO, non sto parlando dei sistemi esperti in uso in ambito medico, aerospaziale, scientifico.

Non voglio girarci attorno più di tanto, l'AI Generativa è un male, non serve a nulla, è immorale e andrebbe fortemente limitata, se non vietata completamente.

Non starò qui a fare una disanima anti capitalista, che comunque sarebbe importante fare, perché non penso neanche che sia il vero punto della questione.

In questi giorni OpenAI ha rilasciato un modello particolarmente bravo con le immagini, le coerenze, il lettering e altre meraviglie tecniche, sicuramente ammirevoli.

Consapevolmente lo ha fatto levando molti di quei filtri di facciata che ti impedivano di creare immagini nello stile di un particolare autore o di un determinato franchise.

Direi una bugia se non ammettessi che vedere i social, già pieni di AI Slob, completamente invasi da immagini in stile Studio Ghibli, mi ha fatto letteralmente ribaltare lo stomaco.

Parafrasando Miyazaki, che in tempi non sospetti ha detto “questa tecnologia è un insulto alla vita stessa”, l'appropriazione indebita dell'incredibile lavoro artigianale delle opere dello studio Ghibli, per essere rimiscelato in orribili meme ad uso del social media manager o del content creator di turno, è un insulto all'onestà intellettuale, alla morale e un crimine vero e proprio.

La farsa, che ancora risuona, della democratizzazione della creatività è semplicemente ridicola, è una affermazione che banalmente non ha alcun senso.

Come diceva una mia ex-collega, bravissima illustratrice, perché mai concentrare gli sforzi e gli investimenti per attaccare deliberatamente il lavoro creativo? Vale per le immagini, ma vale per la musica, il testo; che senso ha, a quale bisogno concreto e reale risponde?

Gli LLM sono elaborate macchine stocastiche, che potrebbero avere utilizzi fantastici, ad esempio per rendere la vita di ipovedenti e disabili più agevole, oppure per automatizzare compiti “bassi” per liberare davvero il tempo da dedicare al pensiero creativo.

E invece no. Creiamo macchine che possano vomitare a ciclo continuo testi, musiche, newsletter, visual, comunicati stampa, video, post social, per riempire di letterale merda tutta l'internet, con effetti deleteri sul pubblico e sulla percezione della realtà.

Non solo, sta roba inquina talmente il cervello che, esperienza personale, piuttosto di valorizzare il lavoro di un team esperto e competente, si prende per buono, alla prima iterazione, qualsiasi blocco di token vomitato dall'LLM di turno.

Non è più il mio mondo, non è quello che volevo e immaginavo, e non è quello che voglio per mia figlia, che in questo momento è un vulcano di creatività, e a cui DEVO raccontare, un dovere morale, che questa creatività va coltivata, curata e allenata con fatica, e che quel percorso, fatto di alti e bassi, di frustrazione e illuminazione, rappresenta il valore di quel che crea.

Per questo ho deciso che, da questo momento, anche e soprattutto sul lavoro, mi rifiuterò di usare strumenti di AI Generativa e, nell'ambito delle mie competenze, non avvallerò mai l'uso di questi strumenti per generare contenuti di qualsiasi tipo.

Potrei essere tacciato di Luddismo, o di essere un rincoglionito che non sa stare al passo con i tempi. Può essere, ma questo non cambia la sostanza: l'AI Generativa è un danno per l'umanità.

ADSR adsr@distruzione.org

P.S. Qualche link di approfondimento, alcuni li ho sparsi nel testo, ma li riepilogo tutti qui sotto, per comodità. https://tante.cc/2025/03/28/vulgar-display-of-power/

https://www.404media.co/ai-slop-is-a-brute-force-attack-on-the-algorithms-that-control-reality/

https://thelibre.news/foss-infrastructure-is-under-attack-by-ai-companies/

https://www.theatlantic.com/technology/archive/2025/03/libgen-meta-openai/682093/

https://www.theverge.com/news/630079/openai-google-copyright-fair-use-exception

https://attivissimo.me/2025/03/24/podcast-rsi-con-lia-la-teoria-dellinternet-morta-si-sta-avverando/

https://affordance.framasoft.org/2025/03/dans-le-retroviseur-doverton-casser-vite-et-bouger-des-trucs/

https://aial.ie/pages/aiparis/

P.P.S Avrei voluto firmare questo post. Ma non è cosa semplice.

 
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from piccole cose inutili

al MIAI

il 22 marzo 2025 ho preso il treno,

mare dal treno per Rende
anche se mi viene ancora il panico a stare tra le persone

tocca le immagini per andare ▽

locandina inaugurazione MIAI il foglio sulla porta del bagno, il foglio sullo specchio del bagno, l'installazione nel bagno, l'installazione all'ingresso, un bambino che sbircia dal buco di una scheda perforata, un padre che gioca a Pong con il figlio, una bambina alle prese con un cabinato, i bambini e le bambine che piangono perché non vogliono andare via, anche se sono le undici di sera, il soffitto, le riviste, la biblioteca [la copia fisica del catalogo di cybernetic serendipity ç.°], una cosa su Auschwitz che non sapevo, lo SNES come quello che ho ritrovato, l'adattatore dei giochi del game boy che non ho ritrovato (ancora), disegni proiettati in tempo reale, palinsesti di poster, Frankensteins in laboratorio, scatole che si svuotano, le persone che mi hanno ospitato, la spilletta ricamata (...)

  } interagire con le opere usando l'hardware per/con cui furono progettate; mettere una tenda nella biblioteca e leggere tutti i libri e provare a programmare le vecchie opere dei cataloghi e a moddarle e a; fare girare opere più recenti su macchine vecchie; }

[il discorso di Tea Fonzi sui musei (sul canale peertube di kenobit), l'importanza di interagire, l'archeologia che vive, nusuth (...)]

(

video e foto dell'inaugurazione del MIAI su

archive.org)

 
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from ion-jam

Cous cous fave, cipolle e zucchine

Ogni anno, in questo periodo, inizia la mia dipendenza dalle fave: sanno di viaggi in macchina con mio padre, che le mangiava, crude, mentre guidava.

Quest'anno ho deciso di superarmi e, visto il chilo di fave comprate da mia madre, ho deciso di provare a cucinarle: qualche volta ha provato a farlo lei e non mi sono piaciute, le ho sempre mangiate crude; ma ho pensato che il mio modo zerosbatti di cucinarle potesse dare loro un tocco in più.

Ingredienti: ovviamente le fave fave FAVEEEEE; zucchine; cipolla; cous cous.

Procedimento: ho preparato il cous cous a parte, direttamente nel mio porta pranzo per l'università, coprendolo semplicemente di acqua calda e aspettando. Per quanto riguarda il magico, incredibile, condimento, ho tagliato mezza cipolla e l'ho fatta soffriggere per bene; poi, ho aggiunto le zucchine e le fave fresche. Da questo momento in poi ho solo aspettato e, ogni tanto, girato tutto in padella. Quando le zucchine mi sono sembrate quasi pronte (tanto si sarebbero cotte ancora un po' nel microonde il giorno dopo), senza pormi il problema della cottura delle fave (tanto si possono mangiare anche da crude!), ho mescolato tutto con il cous cous.

Il giorno dopo era buonissimo! (Solo ed esclusivamente grazie alle fave)

 
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from ion-jam

Porridge (finalmente commestibile)

Erano anni che provavo, ogni tanto, a fare del porridge di avena, e ogni volta mi veniva fuori una pappetta insapore. Qualche giorno fa sono riuscita, per ben due volte di fila, ad ottenere finalmente un porridge con del sapore, addirittura buono. Perché non tener traccia di questo forse irripetibile evento?

Ingredienti: avena a cucchiate; latte di mandorla; acqua (la vera novità nel mio procedimento); cacao; cannella; zucchero di canna (assolutamente opzionale); banana.

Procedimento: in un pentolino ho messo i fiocchi di avena, il latte di mandorla e l'acqua un po' a occhio e ho acceso il fuoco. Dato che sono bravissima a far attaccare le cose alle pentole e padelle, ho fatto attenzione a girare ogni tanto il tutto. Man mano che il composto si addensava ho aggiunto la cannella, un po' di cacao e un cucchiaino di zucchero. Ho assunto che fosse pronto quando aveva, ormai, una consistenza densa; l'ho messo, quindi, in una ciotola, insieme a mezza banana tagliata a rondelle.

 
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from Rob's cabinet of mboh?

Ah, gli anni '90. Friends in TV, il Grunge, la guerra del Britpop tra Blur e Oasis, i CD – sempre troppo cari – da comprare nel tuo negozio di dischi preferito, quando Napster e gli mp3 ancora non sapevamo cosa fossero... un bel tuffo nel passato, ma in realtà non è di questo che parlerò. Non direttamente, quantomeno.

Se per vostra sfortuna vi siete imbattuti in qualche mio toot su Livello Segreto, c'è una buona possibilità che al suo interno ci fosse menzionato qualche gioco di ruolo pressoché sconosciuto ai più, con un paio di indiziati che ritorna spesso sul luogo del delitto. Prevedibilmente, uno di questi – oltre a essere diventato immediatamente uno dei miei GDR preferiti – è il vero soggetto di questo post.

Damn the Man, Save the Music!

Copertina del manuale, raffigurante un gruppo di giovani all'interno di un negozio di dischi

Una copertina che dice tutto

Una doverosa premessa prima che continuiate a leggere è che questa non vuole essere una recensione - che per scriverla ho la stessa competenza di uno che sul campo di calcetto ci va in infradito e accappatoio1 - quanto piuttosto un tentativo di riorganizzare i pensieri e mettere su pagina il perché questo gioco continua a piacermi tanto a distanza di anni da quando l'ho scoperto per caso.

I know this, that if I win this roll I will save the place that I work from being sold, and the jobs of my friends that work there. Thus striking a blow at all that is evil and making this world a better place to be in.
linea di un fumetto che partendo dalla citazione qui sopra punta verso l'immagine qui sottoFotogramma dal film Empire Records. Uno dei personaggi seduto sul divano guarda qualcuno di fronte a lui, mentre i sottotitoli recitano 'Damn the Man!'

Credici, Lucas.

Ispirato dichiaratamente a film come La vita è un sogno (Dazed and Confused) ed Empire Records, Damn the Man,Save the Music! di Hannah Shaffer è un GDR one-shot sul tentativo di salvare qualcosa che amiamo: ɜ nostrɜ giovani protagonistɜ si troveranno a gestire il caos che l'evento firma-copie di una capricciosa Rockstar un po' in declino porterà nel loro negozio, sperando che tutto questo possa rimpinguare le casse quanto basta per continuare a tenerlo aperto ancora per un po'.
Sì, perché il nostro amato "Revolution Records" da parecchio tempo è alla canna del gas; fino a oggi è riuscito a rimanere a galla in qualche modo, ma gli incassi sono sempre più scarsi e una grossa catena in franchise ha fiutato il sangue e vuole approfittarne per buttarci fuori e rilevare i nostri locali.

Suona familiare? Beh, fondamentalmente è la trama di (appunto) Empire Records, dal quale il gioco ha preso diversi elementi. Se l'avete visto, dando un'occhiata agli archetipi dei personaggi di Damn the Man vi verrà facile collegarli ai protagonisti del film.

Ma salvare il nostro posto di lavoro non sarà l'unico nostro cruccio: ogni personaggio ha anche un proprio obiettivo personale da provare a realizzare entro fine giornata e dei rapporti tesi da ricucire con lɜ altrɜ.
Allo stesso tempo, la mancanza di soldi non è l'unico problema del negozio: il morale scarso, i casini personali dellə nostrə Capə, i possibili guai con la comunità (come un picchetto di "Mamme preoccupate contro la musica degenerata" o i vicini che chiamano la polizia per il casino) sono sempre in agguato, pronti a peggiorare man mano che il gioco prosegue.

Ok, ma come si gioca?

Dando per scontato2 che bene o male sappiate cosa sia un gioco di ruolo, se siete arrivati fin qui magari vi state chiedendo come funziona Damn the Man per sommi capi.

Per cominciare, la divisione dei ruoli segue un impianto abbastanza classico, con unə Facilitatorə che avrà il compito di gestire il mondo di gioco, impostare le scene iniziali ecc., e il resto dellɜ giocatorɜ che interpreteranno i propri personaggi e cercheranno di portare a termine gli incarichi che lə loro Capə o la Rockstar capricciosa gli daranno.

Come materiali servono giusto un po' di dadi a sei facce bianchi e neri (o comunque di due colori distinguibili), un mazzo di carte francesi, delle matite, una copia delle schede, e la cosa più difficile da procurarsi: altre 3-4 persone con cui giocare.

Una scheda del personaggio di Damn the Man, Save the Music!, in questo caso del Flirt o Piacione nell'edizione italiana

La semplicità fatta scheda.

Se la vostra pietra di paragone è D&D potreste rimanere un po' spiazzati: a parte quelli per tenere traccia del livello dei guai del negozio, non ci sono valori numerici da inserire nella vostra scheda; le cose importanti da definire saranno piuttosto il vostro stile, il genere di musica che preferite, un vostro obiettivo a breve termine (che possa essere completata in un giorno) e le relazioni che avete con lɜ altrɜ giocatorɜ.

Per quanto riguarda il gioco giocato, tutto si svolge in un solo giorno, seguendo una struttura in tre atti, ciascuno ambientato in un momento diverso della giornata: l'apertura del negozio, il firma-copie e la chiusura. C'è anche un breve montaggio di apertura che precede il primo atto, in cui vengono introdotti i personaggi e, ugualmente, alla conclusione del terzo segue un montaggio di chiusura, in cui si tireranno le somme della giornata e scopriremo il destino di negozio e personaggi. Ogni atto dura un numero fisso di scene pari al numero di giocatorɜ, in modo che tuttɜ abbiano una scena da protagonistɜ.

Sarà compito dellə Facilitatorə impostare le scene, iniziando con lə Capə (o la Rockstar stessa) che darà allə protagonista un incarico da svolgere, che sia una cosa semplice come distribuire dei volantini fuori dal negozio o una più assurda come riacciuffare l'amatissimo (e selvatico) struzzo da compagnia della Rockstar, scappato per il rumore della folla.
Lə protagonista (e lɜ altrɜ giocatorɜ se i loro personaggi sono presenti) interpreterà la sua scena ruolando liberamente fino al momento della sua risoluzione che, come vedremo, sarà quando verranno tirati i dadi. Il modo in cui si deciderà di affrontarla - cioè scegliendo se dare il massimo per portare a termine l'incarico, trovare un momento per ricucire una relazione con un altro personaggio o fregarsene e puntare al proprio obiettivo personale - oltre a definire quello che succede nella fiction, avrà un impatto sul numero di dadi da tirare.

Non starò a scrivervi tutte le regole, ma in sostanza le carte servono a determinare quali guai colpiranno il negozio, mentre i dadi quale sarà il risultato delle scene.
Fondamentalmente la meccanica di risoluzione consiste in questo: lə Protagonista tira x dadi bianchi, lə Facilitatorə tira x dadi neri e si confrontano i valori più alti di ciascun colore. Se vince il bianco l'incarico è riuscito, se vince il nero l'incarico è fallito e si pesca una carta per aggravare un problema del negozio, mentre nel caso di un pareggio l'incarico non è ancora risolto e nelle scene successive unə altrə giocatorə potrà decidere di completare anche un incarico in sospeso, ammesso però che riesca a completare il suo.

In ogni caso, gli incarichi rimasti in sospeso, le scelte fatte e il valore dei problemi del negozio decideranno il destino dei nostri personaggi e dell'amato Revolution Records nel montaggio di epilogo.

Sì, ma perché ti piace così tanto?

Ecco, qui arriva la parte complicata, che a riassumere (male) un regolamento ci vuole relativamente poco ma tradurre sensazioni ed emozioni in frasi sensate è un altro paio di maniche.

Per cominciare, direi per il tema: le storie di tentativi disperati di salvare qualcosa che ci è particolarmente caro hanno sempre il loro fascino, specie se il medium con cui ne usufruisci ti permette di viverle in prima persona. E alla fine il Revolution Records è la rappresentazione perfetta di quel posto magari un po' scalcinato e popolato da gente un po' strana ma in cui vi sentite a casa vostra. Se avete avuto la fortuna di trovarne uno nella vostra vita, potete capire cosa si perde quando alla fine anche l'ultimo sforzo si rivela non essere abbastanza.

Disegno tratto dal manuale, con una vetrina del negozio, tra cui spicca un cartello che recita: in qualche modo siamo ancora aperti

Ovviamente i fascisti non sono benvenuti nel negozio (o al tavolo).

Da questo punto di vista, credo ci sia un che di poetico nel fatto che l'edizione italiana di Damn the Man sia stato l'ultimo gioco pubblicato dalla Dreamlord Games prima della sua chiusura, e un po' mi piace pensare che sia stata una scelta voluta per sottolineare l'addio alle scene di quella che nel suo piccolo è stata una delle mie case editrici di giochi indie preferite.

Per il resto, ammettiamolo candidamente, la vena nostalgica per gli anni '90 è un po' un cheat code per me: una finestra aperta sugli anni delle medie e del liceo, tante cose amate (e odiate) potenzialmente da rivivere sublimate da una fiction che ti permette di tagliare fuori, se vuoi, tutti gli aspetti negativi di quel periodo, che spesso il filtro della nostalgia ti fa dimenticare ma che erano dannatamente presenti.

Poi c'è la musica, che per certi versi è un gioco nel gioco: il montaggio iniziale e finale prevedono una canzone di sottofondo, reale o fittizia che sia e, se da un lato c'è il piacere di riascoltare (o scoprire) pezzi dell'epoca creando delle playlist ad hoc, dall'altro c'è anche quello di inventarsi di sana pianta assieme al resto della gente al tavolo gruppi, canzoni e generi musicali.

Fotogramma dei Simpson con la cassetta scassata del padre di Milhouse col brano Can I Borrow a Feeling?

“Uh, I've got something I'd like to say! Would you guys please do a favour for a guy in love?”

(Perché nel nostro universo oltre ai Van Halen esistono i Van Houten, e “Can I Borrow a Feeling?” è un pezzone della madonna!)

E al di là di tutto, Damn the Man rimane un gran bel gioco che riesce a veicolare benissimo il tipo di fiction a cui si ispira, in tutte le sue possibili declinazioni, serie o comiche che siano.
Ricordo ancora una giocata in cui un cialtronissimo Artista travagliato che di nascosto viveva da squatter dentro al negozio, grazie a una monumentale faccia di bronzo, riuscì a convincere la Rockstar a finanziargli una mostra personale e a mantenerlo a sbafo per chissà quanto. Un vero maestro di vita, altroché.

No, La playlist non richiesta nooo...

...e invece, per concludere (e per testare come posso smanettare col testo su Log), vi lascio con un esempio di playlist venuta fuori durante una partita, con i pezzi a scandire i vari momenti del gioco:

▶️ Skunk Anansie – Selling Jesus, da Paranoid & Sunburnt (1995)

▶️ Belle and Sebastian – Expectations, da Tigermilk (1996) ▶️ Elastica – Waking up, da Elastica (1995) ▶️ The Muffs – Lucky Guy, da The Muffs (1993) ▶️ Tricky – Hell is Round The Corner, da Maxinquaye (1995)

▶️ The Prodigy – Breathe, da The Fat of the Land (1997) ▶️ Blur – Song 2, da Blur (1997) ▶️ Pulp – Common People, da Different Class (1995) ▶️ Sleeper – Sale of the Century, da The It Girl (1996)

▶️ Eels – Novocaine For The Soul, da Beautiful Freak (1996) ▶️ Radiohead – Let Down, da OK Computer (1997) ▶️ The Smashing Pumpkins – 1979, da Mellon Collie and the Infinite Sadness (1995) ▶️ Stereolab – French Disko, dall'EP Jenny Ondioline (1993) o la raccolta Refried Ectoplasm (1995)

▶️ Garbage – When I Grow Up, da Version 2.0 (1998)

Che poi è anche il bello di giochi del genere: alla fine ne puoi ricavare anche dei “manufatti” di qualche tipo che ti ricorderanno i bei momenti al tavolo.

Ma direi che ho abusato fin troppo della vostra pazienza, quindi riporto la DeLorean nel 2025 e vi saluto ^^

Hashtag rilevanti: #RobsCabinetOfGDR, #GDRSegreto, #TTRPG, #GDR, #DamnTheManSaveTheMusic, #Anni90, #90s


1. Voleva essere un esempio di totale impreparazione ma ripensandoci vedere la gente giocare a calcio in infradito e accappatoio potrebbe essere dannatamente divertente... 🤔 [] 2. Sì, sto dando molto per scontato, anche perché la definizione è molto più ampia e sfumata di quella che di solito si pensa. Personalmente a me piace molto quella di Rugerfred []

 
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