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from Le ricette di Kenobit

I ravioli mi piacciono tanto anche se sono un po’ laboriosi da preparare. Anzi, forse mi piacciono proprio perché richiedono tempo e cura, e perché mi ricordano quando li preparava la mia nonna. Ho ereditato il suo “raviolamp” e quando lo vedo ricordo i pomeriggi in cui stavo in cucina con lei a guardare la tv mentre li preparava. I più buoni erano quelli che le prendevo di nascosto, sapendo che mi vedeva benissimo. Lei li faceva ripieni di carne, con l’avanzo del bollito, un po’ di prosciutto o mortadella, uova e parmigiano. Da quando ho fatto la scelta vegana, mi è capitato di fare ravioli a base di erbe, ma era da un po’ che sentivo il bisogno di un ripieno che mi ricordasse quelli della nonna. Ieri ho lanciato il cuore oltre l’ostacolo e sono venuti benissimo. Li scrivo qui per condividerli e per ricordarmeli.

Ingredienti (dosi per circa tre persone)

Per la pasta: – 150 grammi di semola rimacinata di grano duro – 50 grammi di farina di lenticchie rosse (ma va bene una qualunque farina di legume, tipo i ceci) – un cucchiaino di curcuma – un cucchiaio di olio d’oliva – un pizzico di sale – acqua tiepida

Per il ripieno: – 100 grammi di soia texturizzata (bocconcini) – una manciata di funghi shitake freschi (se non li avete, vanno bene anche secchi e ammollati, o dei porcini, che però costano di più) – un cucchiaio di miso – una patata grossa lessa – 20 grammi di noci (solo il gheriglio) – salsa di soia

Per la crema di funghi: – Una cipolla – Abbondanti pleorotus – Qualche finferlo – Qualche shitake – Un pezzettino di rosmarino – Margarina – Olio d’oliva – Latte di soia non zuccherato (in generale va bene qualsiasi fungo abbiate per le mani, ma visto che andremo a frullare il tutto non metteteci nulla di troppo pregiato)

PREPARAZIONE Mescolate gli ingredienti dell’impasto, aggiungete acqua tiepida e lavorate fino ad avere un impasto omogeneo. State indietro con l’acqua, vogliamo un impasto meno idratato possibile. Chiudete bene la massa in della pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigo per almeno mezz’ora.

Nel frattempo, dedichiamoci al ripieno. Fate ammollare la soia come indicato sulla confezione (di solito basta coprirla di acqua bollente per una ventina di minuti), poi strizzatela benissimo e mettetela in un frullatore/food processor. Mettetela nella terrina dove avrà dimora il nostro ripieno. Frullate allo stesso modo i funghi e le noci. Aggiungete il tutto alla terrina, insieme a un cucchiaio di miso (abbiate l’accortezza di amalgamarlo bene) e alla patata schiacciata. Mescolare tutto e aggiungere salsa di soia a gusto, finché il ripieno non sarà saporito quanto basta. Assaggiatelo senza paura, non contiene carne cruda né cose che possono farvi del male. Il ripieno è pronto quando dovete fare appello alla vostra forza di volontà per non mangiarlo a cucchiaiate come se fosse un Fruttolo. Mettetelo a riposare in frigo.

Prepariamo la crema di funghi. Tagliate grossolanamente i vostri funghi e buttateli in padella insieme a un po’ di sale, una cipolla e al rosmarino, in abbondante olio d’oliva. Inizialmente butteranno fuori dell’acqua, poi inizieranno a rosolare per bene. Praticate un po’ di coraggio della padella e fateli bruciacchiare lievemente. Niente paura, è letteralmente impossibile cuocerli troppo. Quando sono ben cotti e saporiti quanto basta, metteteli nel frullatore, aggiungete la margarina e frullate. Aggiungete il latte di soia a poco a poco, fino a ottenere una consistenza cremosa, ma non troppo liquida (anche perché in mantecatura aggiungeremo un po’ di acqua di cottura).

Ora tiriamo la pasta per i ravioli. Io ho usato una vecchia macchina Imperia (che la nonna chiamava “la nonna papera”), ma potete cavarvela anche con un mattarello. L’impasto riposato dovrebbe permettervi di tirare una sfoglia molto sottile. Assemblate i ravioli con il metodo che preferite. Io ho usato lo stampo raviolamp, ma potete fare dei quadrati da richiudere a triangolo, dei cerchi, dei cappelletti, delle strisce lunghe da ripiegare longitudinalmente. Insomma, i ravioli. Ci sono mille metodi, basta solo farci la mano. Ricordate che anche se vi vengono brutti saranno comunque buonissimi.

Cuocete i ravioli (se sono appena fatti basteranno un paio di minuti, nel dubbio assaggiate), poi fateli rapidamente saltare nella crema di funghi, che avrete allungato con un filo di acqua di cottura. Ovviamente potete fare gli stessi ravioli con tutte le salse che volete, ma la variante di funghi ai funghi con funghi e contorno di funghi ha riscosso molto successo.

ravioli

 
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from Disattualizzando

Il mondo è cambiato? Il Mondo è cambiato o siamo solo noi ad essere cambiati? Siamo noi a tentare in ogni modo di essere diversi da ciò che eravamo una volta? IMG-2639 In questo capitolo affronterò l’argomento dell’Antropocene da un punto di vista diverso rispetto a quello scientifico trattato in precedenza, concentrandomi su un aspetto umano e intellettuale.
Da un punto di vista teorico, il Mondo per noi è sempre rimasto uguale e continuerà a sembrarlo, con un limitato margine di cambiamento per la durata delle nostre vite, quelle dei nostri nipoti e dei nostri pronipoti. Avremo sempre lo stesso cielo, le stesse stelle stelle, la stessa Terra. Nonostante le vicende storiche, sociali e culturali degli ultimi secoli, secondo il concetto fenomenico, il Mondo dovrebbe essere rimasto identico. Siamo noi che abbiamo un bisogno tipicamente umano di voler percepire ogni epoca come diversa, a volerci sentire differenti, modificando il contesto naturale per adeguarlo a noi.
I genitori dei nostri genitori possono sostenere con forza e sicurezza di aver vissuto dei tempi realmente diversi sotto molti aspetti, come dimostra la difficoltà che spesso incontrano nell’approcciarsi a tecnologie recenti come smartphone e computer. E’ stata la rivoluzione comportamentale portata da queste tecnologie che ha contribuito a renderci molto diversi.
Prima di questa rivoluzione, i tempi sembravano scorrere più lentamente e somigliarsi di più tra loro. La nostra contemporaneità, invece, è bizzarra, complessa, e a tratti alienante. Per noi è facile e scontato convivere con queste grandi comodità, siamo genericamente più sedentari, ci dedichiamo quotidianamente ad attività tanto urgenti quanto superflue, che però sentiamo il bisogno di soddisfare. Chi dei lettori, me compreso, non ha delle missioni giornaliere da svolgere? Investiamo una parte importante del nostro tempo ed energie su azioni di poco conto, sottraendone a ciò che meriterebbe davvero la nostra attenzione. In passato, chiunque si dedicasse ad una disciplina la viveva come una vocazione, non era distratto quotidianamente da attività dettate da un’applicazione. La nostra mente è stata condizionata per ritenere priorità cose che hanno davvero poco rilievo, ciò ci rende costantemente distraibili. Anche i nostri genitori, a differenza dei nonni, sono stati facilmente convertiti alla “fede delle tecnologie inutili”. Con amarezza, sostengo che spesso ne sono dipendenti quanto i giovani.
Tutto questo mi porta a una riflessione: Anche se dal punto di vista naturale e fenomenico il mondo non è cambiato, è bastato un accessorio, per quanto eccezionale, a stravolgere le nostre abitudini in pochissimo tempo. Viviamo in uno sputo di tempo, velocissimo e pericoloso, come il colpo di un proiettile.
Tecnologia, scienza e progresso non hanno cambiato il mondo in sé, ma la nostra percezione del mondo. Abbiamo ancora bisogno delle stesse cose, ma oggi facciamo fatica a riconoscerle. Bisognerebbe rivedere il valore delle nostre azioni quotidiane, dei nostri pensieri.
Le strane priorità e abitudini che ora ci appartengono tendono ad allontanarci da un sentimento naturale e primordiale. La natura, oggi, è solo una risorsa da sfruttare, ci avviciniamo ad essa per deturparla, sfruttarla, e poi trasformarla in scarti e rifiuti. Ogni elemento naturale viene piegato alle nostre comodità per servirci a senso unico, per soddisfare i nostri vizi e desideri, colmare le nostre comodità, incrementando un sistema che ai tempi dei nostri nonni sarebbe stato inconcepibile. Cent’anni fa, l’essere umano era rispettoso della natura, la sua sopravvivenza dipendeva da essa. Oggi, con l’avanzata dell’industria globale, ci illudiamo di esserne padroni, ci consideriamo l’apice del sistema che abbiamo creato, la priorità assoluta, e pieghiamo al nostro volere tutto ciò che ci circonda. Abitudinariamente incrementiamo un’esistenza innaturale, disumana. E lo facciamo senza sacrificare nulla: né tempo, né risorse, né denaro.
Siamo convinti di aver raggiunto la vetta, e che le conseguenze delle nostre egoistiche azioni non ci raggiungeranno mai. Ignoriamo che rappresentiamo un grave problema verso il Mondo e di conseguenza verso noi stessi. Siamo diventati una specie egocentrica, abbiamo la presunzione che tutto ciò che può essere fatto debba essere fatto: ne abbiamo il diritto, anche se potrebbe essere dannosa e rischiosa. Così, involontariamente, distruggiamo ecosistemi e adattiamo la natura alle nostre esigenze, con effetti spesso irreversibili,
Dall’alto della nostra intelligenza siamo diventati la specie animale più autodistruttiva, continuando imperterriti ed indifferenti a comportarci in modo deleterio, ignorando i segnali del disastro. Dall’alto della nostra intelligenza, dovremmo riconoscere le conseguenze delle nostre azioni.

 
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from Disattualizzando

Benvenuti nell’Antropocene. Con questo capitolo la mia prima intenzione è esporre e divulgare teorie e concetti estrapolati da ricerche in internet, riferiti ad uno degli argomenti più importanti e più sottostimati della nostra contemporaneità. Mi riferisco a scienziati, geologi e ricercatori con i quali condivido visioni e teorie, che mi hanno portato a formulare un pensiero personale, cercando di non cadere nei semplicismi e nelle ovvietà. Promuovo l’idea che queste persone mettano il cuore e l’anima nei i propri studi, combattendo una battaglia che riguarda ognuno di noi, a prescindere dal nostro interesse personale verso gli argomenti trattati. Questi saggi studiosi e sapienti dottori, dovrebbero essere ascoltati di più dalle grandi masse, e le loro informazioni andrebbero diffuse nella maniera più efficiente possibile. IMG-2654 Molte delle osservazioni che ho annotato fino ad ora avrebbero una soluzione pratica ed effettiva, capace di cambiare il mondo, o almeno di provarci. L'alternativa a “almeno ci provo” è “lasciarlo così com'è”, lasciarlo quindi alla deriva, consapevoli del probabile risultato finale. Sarebbe una scelta coerente per chi decide di disimpegnarsi sulla questione Natura, ignorando però quanto essa sia fondamentale per la preservazione della nostra esistenza.
In queste pagine espongo il mio modo di agire, fino ad ora prevalentemente teorico. Esprimo un punto di vista nato dalla mia percezione delle cose e dal tentativo di cambiare ciò che mi circonda. Come ho scritto negli altri capitoli, sono fermamente convinto che chiunque voglia cambiare il mondo abbia il diritto di nascita di farlo. A volte, se si ha a cuore il nostro futuro e quello delle prossime generazioni, si ha il dovere di provarci.
Il termine “Antropocene” suscita in me un grande timore. Un timore che nasce dalla sua stessa definizione di catastrofe, possibilmente raggiungibile nel corso dei prossimi, e non molto numerosi, decenni. Questo è il risultato da cui dobbiamo sottrarci in ogni modo. Si tratta di un destino che si manifesta percettibilmente giorno dopo giorno: per ora è evitabile, ma presto potrebbe non esserlo più. Con Antropocene si intende l'epoca geologica contemporanea, caratterizzata dall'influenza negativa dell'essere umano sul pianeta. L'effetto della nostra esagerata presenza è la causa di un cambiamento strutturale del clima planetario, che incide sui processi sottili di equilibrio terrestri, condizionati da un'evoluzione durata milioni di anni. L’Antropocene è la prova inconfutabile che l’uomo è nocivo per se stesso e per il resto degli ecosistemi mondiali.
Il nostro pianeta ha raggiunto un equilibrio grazie a fattori ambientali come i ghiacciai, gli oceani e l'atmosfera. Quest'ultima, la più vulnerabile, è anche quella più danneggiata dalle nostre azioni. L’atmosfera è quel sistema che, se gravemente compromesso, compromette di conseguenza ogni altro tipo di sistema esistente. E’ il primo fattore ambientale che ha permesso alla Terra di ospitare la vita così come la conosciamo. Lo studio del clima ci ha rivelato che, da migliaia di anni, la Terra alterna periodi glaciali a periodi interglaciali. Noi siamo collocati verso la fine di un periodo interglaciale, un periodo caldo.
Cos’è che ha caratterizzato l’Antropocene? Gli ultimi 200 anni di Rivoluzione Industriale hanno permesso all’essere umano di evolversi tecnologicamente in una modalità senza precedenti. E’ stato l’inizio di una crescita e di un progresso scientifico senza eguali, migliorando da quasi ogni punto di vista la qualità e la facilità delle nostre vite, attribuendo all'essere umano un nuovo modo di vivere e definire la quotidianità. Allo stesso tempo, la Rivoluzione Industriale ha dato inizio a un'altra grande novità per il pianeta: la combustione di petrolio, carbone e gas, con il conseguente incremento dell'Effetto Serra, che ha progressivamente aumentato il riscaldamento globale fino ai nostri giorni. E’ stato anche l’esordio di uno smisurato prelevamento di risorse (legno, minerali, pesci, animali...) restituite al pianeta sotto forma di scarto, un prodotto di avanzo che non solo incrementa i rifiuti nell'ambiente, ma immette nell'atmosfera quantità spropositate di CO2. Fino agli anni Settanta, si contavano nel mondo circa 3,5 miliardi di persone e, dal punto di vista di sprechi e rifiuti, si rispettava ancora un certo equilibrio naturale. Con la crescita indomabile della popolazione e la dipendenza vitale dal petrolio, ci avviciniamo sempre più al punto di non ritorno, al processo irreversibile che potrebbe caratterizzare il mondo di domani.
Sappiamo che il clima mondiale è aumentato di circa un grado, soprattutto negli ultimi trent'anni. Si prevede che nei prossimi cento anni la temperatura possa salire di altri 5°C. Con un solo grado di differenza, il 50% dei ghiacciai delle Alpi è già scomparso, insieme alla sorgente del Po e a molti altri fiumi essenziali per il nostro sostentamento. In nessun altro periodo caldo interglaciale si è mai registrato un aumento di un grado. I 5°C che si raggiungerebbero rappresentano la peggiore prospettiva possibile e il più grande fallimento dell'umanità nei confronti di questo pianeta. Questi sono i sintomi di una malattia climatica di origine umana. Se nel 2100 si verificasse un aumento di 5°C, le conseguenze più catastrofiche sarebbero destinate soprattutto a noi esseri umani.
La Natura, nonostante le estinzioni di massa, il disequilibrio ambientale e la distruzione di tantissimi ecosistemi unici, avrà sempre la forza di adattarsi. La Natura è resiliente. Noi pensiamo di essere i padroni del mondo, ma non avendo la stessa forza di adattamento, saremo la specie a subire le ripercussioni più gravi, al limite dell'apocalisse.
La CO2 di origine fossile immessa nell'atmosfera si è aggiunta a dismisura nell'equilibrio mondiale. In 800.000 anni, la percentuale di anidride carbonica nell'ambiente non aveva mai raggiunto livelli così alti come oggi. L'Effetto Serra è la causa principale dello scioglimento dei ghiacciai e, di conseguenza, dell'innalzamento dei mari. Questo processo sarà accompagnato da una desertificazione veloce e graduale.
I numerosi test nucleari avvenuti tra gli anni Cinquanta e Sessanta hanno rappresentato un altro fattore disastroso che ha inciso profondamente sull’equilibrio climatico e ambientale, facendo da catalizzatore e accelerando ulteriormente il degrado del nostro pianeta. Ogni anno, muoiono genericamente 9 milioni di persone solo a causa dell’inquinamento.
Si dovrebbe lasciare in eredità alle generazioni future un pianeta ancora vivibile, che non sia ostile alla nostra presenza, cambiando radicalmente direzione. Come inizio, si potrebbe garantire la fine dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Dovremmo eliminare la nostra esigenza di deforestazione e promuovere invece la riforestazione. Sarebbe fondamentale limitare il più possibile la cementificazione, che rende la terra sotto i nostri piedi sterile e vulnerabile agli agenti atmosferici. Bisognerebbe ridurre tempestivamente la nostra dipendenza dal petrolio e dal carbone. Dovremmo riutilizzare e riciclare risorse e rifiuti di ogni tipo, eliminando quanto più possibile lo spreco. Si potrebbe adattare ogni nostro bisogno alle energie rinnovabili ovunque esse siano accessibili, convertendo più edifici possibili all’autonomia energetica.
Tutto questo non sarebbe impossibile, se esistesse una volontà mondiale, animata dal desiderio di affrontare e superare ogni ostacolo, anche quelli apparentemente insormontabili, come le resistenze di politici e multinazionali ancora legati a profitti retrogradi e involutivi. E’ necessario rendersi conto che questo è l‘unico pianeta che abbiamo, tutto ciò che riguarda la nostra sopravvivenza dipende esclusivamente da esso. Preservare la Natura equivale a preservare noi stessi.
Come ho già sostenuto, tutto ciò che siamo è ciò che la Natura ci ha permesso di essere, dovremmo provare a saldare questo debito con l’ambiente che ci circonda. Sentiamoci partecipi ed attivi quando ci rivolgiamo alla Natura. Non dimentichiamo che l’uomo e l’ambiente non sono due cose distinte e separate. L’essere umano deve essere al servizio della Natura tanto quanto la Natura è sempre stata al nostro.

 
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from Disattualizzando

Perché la musica. La musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. IMG-2653 Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare. I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore. “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.
Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche.
Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato. La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda. La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa.
Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili per complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea. La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile.
Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio. Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.
Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale.
La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile. La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.
Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni. Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi.
Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa. Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano.
Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga. La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.

 
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from piccole cose inutili

degenerative di Eugenio Tisselli 20 anni dopo. title track

           
ma anche trick

homepage. spiega il progetto Nel 2005 Tisselli costruì una pagina web che si corrompeva, un carattere alla volta, a ogni visita. un carattere a caso veniva distrutto o rimpiazzato quando il testo veniva letto. il codice html si decomponeva emergendo. interfaccia fratturata. lettore ferito

original page. quella corrotta anche per il paradosso: esiste se non guardo(?) [e sì, è stata già chiamata Schroedinger's cat interface]

(Tisselli ha fatto anche REGENERATIVE nel 2005, che ora suona così)

(troppo colorato per i miei gusti lol)




generAtIve. degenerative(regenerative)

“your visit will leave a permanent mark”

. amore) quindi mi chiedevo: come sarebbe degenerative ora?

ora che

post-digitale individuo walled garden tool – prestazione (gamification) analytic objects – prodotti/informazioni (calcolo) mandatory comfort [commercio] ethos of building&growth (sùbìto) nemico – ego (ES) care(less/free) answer (dolore medicalizzato) inferno dell'uguale vita -funzione (sanitized) dito -scelta (scelta senza azione: consumo), algoritmo non-cosa (infoma) : disponibile influenzabile prevedibile accessibile trasparente ascolto senza etica -sorveglianza prosa della compiacenza correlazione (calcolo) like informazioni (numeri/idee) – insegna – illustrazione comunicazione nuovo (evento) !—algofobia -anestesia)

algofilia -dolore = dono
apolitico-stanchezza (narcisismo, schiavitù volontaria) metafisica (poeima separato da poiesis) – astratto

/// come potrebbe essere ora?

– probabilmente il testo si autodistruggerebbe in automatico, in base ai dati sull'utente, non al caso (dove guarda, per quanto tempo, da dove ha fatto l'accesso, quanti anni ha etc.) – probabilmente ogni visita alimenterebbe il sistema, che decide cosa può restare e cosa può sparire, in base a parametri insondabili (credi di leggere, vieni letto) – probabilmente il testo scomparirebbe solo per l'utente, ma i dati resterebbero conservati altrove – il testo potrebbe dissolversi solo per alcuni utenti, in base a determinati parametri (cancellazione selettiva; privilegio/punizione) – la generazione sarebbe estetizzata/monetizzata: una piattaforma la venderebbe come esperienza interattiva, con logo e banner pubblicitari – probabilmente lo shock visivo alla jodi cederebbe il passo a un'interfaccia lucida chiarissima sterile piatta come una app bancaria; le sparizioni sarebbero fluide, seducenti, morbide, eleganti (nessuna rottura); i feedback finto-amichevoli – probabilmente delle easter egg/soglie come dono per la non performance, per la resa all'ascolto – ...

se dico che

sarebbe bello vedere come immaginate degenerative 20 anni dopo

tecnicamente sto facendo un

                            prompt

attesa: atteggiamento di piegarsi all'indisponibile
                             

la rinuncia è il tratto fondamentale dell'attesa priva di intenzioni

                                                        artists do not create objects, but create by way of objects                                                        

COME SI AGISCE

              qualcosa di non detto che pure circola                    
the dread of illness is the dread of losing
          &ensp management emozionale      

la morte è un particolare modo di essere

                                                       
la lentezza del timore che esita di fronte all'impossibile a farsi
                  scrivere è un gesto relazionale. non si insegna. si pratica                             &ensp

engage in your own monstruosity

        my visit our degeneration          

thingness of code


a proposito: 2025. sono pure 40 anni dalla mostra Les Immatériaux (Jean-Francis Lyotard, Centre Pompidou, Parigi)


ISPEZIONA – Justin Berner, Unhelpful Tools: Reexamining the Digital Humanities through Eugenio Tisselli’s degenerative and regenerative, electronic book review – Davin Heckman, James O'Sullivan, “your visit will leave a permanent mark”: Poetics in the PostDigital Economy, The Bloomsbury Handbook of Electronic Literature – James P Carse, Finite And Infinite Games, archive.org – Byung-Chul Han, Le non cose + La società senza dolore

____giorno44. l'ultimo

                                                       letteratura elettronica

 
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from Racconti spontanei che attraversano l'autore

Arrivo al bordo con domande che sono poco più che sibili Questa pace incatena, è una gabbia come questa pelle Le lacrime sono il linguaggio dell’addio improvviso Prima dell’odio c’è sempre amore frainteso prima dell’amore odio perdonato Bisogna riempirsi l’anima di questo orizzonte sconfinato e di una risata fragorosa che spezza il nostro silenzio

 
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from nomadank

L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto è un poema che, dietro l’apparente celebrazione dell’eroismo guerriero, smaschera con ironia e tragicità le contraddizioni della mascolinità cavalleresca. La follia di Orlando, la violenza di Rodomonte, la gelosia di Rinaldo e la performatività di Sacripante rivelano un universo in cui l’identità maschile è costruita su un equilibrio precario: tra onore e fragilità, tra controllo e disperazione, tra amore idealizzato e possesso distruttivo. In un’epoca in cui il femminicidio è spesso l’esito estremo di una crisi dell’uomo di fronte all’autonomia femminile, il Furioso offre una riflessione anticipatoria su come la violenza di genere sia inscritta nel codice stesso della cavalleria.

Orlando: Femminicidio Mancato e Collasso dell’Io

La follia di Orlando scoppia quando scopre che Angelica, la donna che ha inseguito per tutto il poema, si è innamorata di Medoro, un umile fante saraceno. La sua reazione non è dolore, ma furia cieca: una crisi identitaria che lo trasforma in una forza distruttiva.

«Orlando, che gran tempo avea durato / invulnerabile, or sente aperto il fianco / da quel colpo mortale» (XXIII, 112)

Ariosto descrive la ferita non come fisica, ma psicologica: è il crollo di un uomo che aveva costruito la sua identità sul possesso di Angelica, simbolo del suo status di cavaliere. Orlando non la uccide—perché Angelica è già fuggita, sottraendosi al suo controllo—ma la sua violenza si riversa sul mondo circostante: sradica alberi, massacra animali, diventa una minaccia senza bersaglio. È il ritratto di una mascolinità che, privata del suo oggetto di dominio, si autodistrugge.

Se Angelica fosse rimasta nelle sue mani, sarebbe diventata una vittima? Il testo lascia intendere di sì: la logica cavalleresca non ammette il rifiuto. La follia di Orlando è la crisi di un sistema in cui l’amore è possesso, e il possesso è legittimato dall’onore.

Rodomonte: La Violenza come Fondamento dell’Identità

Rodomonte, il guerriero saraceno, incarna una mascolinità ancora più tossica: la sua forza si fonda sulla negazione di ogni vulnerabilità. Quando la principessa Doralice lo tradisce per Mandricardo, la sua reazione è immediata:

«Non la vuol udir più; tronca il parlare / con la spada crudel, che le divide / la testa dal bel collo» (XXIX, 48)

Doralice muore perché ha osato sfidare il suo controllo. Rodomonte non cade in follia come Orlando: la sua violenza è lucida, sistematica. È il femminicidio come atto di riaffermazione patriarcale, dove l’uomo, anziché affrontare la propria fragilità, elimina fisicamente la donna che lo ha “umiliato”.

Rinaldo e Sacripante: Gelosia e Performance Vuota

Anche Rinaldo, eroe cristiano, è dominato dalla gelosia quando crede che Angelica ami Orlando. La sua ossessione lo rende ridicolo, dimostrando come l’etica cavalleresca sia spesso una maschera per insicurezze profonde.

Sacripante, re di Circassia, è ancora più patetico: si vanta di essere il più grande cavaliere, ma ogni sua azione è una performance vuota, un tentativo disperato di confermare un’identità che non regge alla prova dei fatti. Quando Angelica lo manipola con falsi sorrisi, lui ci casca ogni volta, perché ha bisogno di credere al proprio mito.

Il Furioso come Specchio della Crisi Maschile

Ariosto non offre soluzioni, ma mostra le crepe nel sistema. I suoi uomini—eroi sulla carta—sono fragili, violenti, ridicoli. Le donne (Angelica, Bradamante, Marfisa) spesso li superano in astuzia, coraggio e autonomia.

Oggi, in un’epoca di ridefinizione delle identità di genere, il Furioso ci ricorda che la violenza maschile non nasce dalla forza, ma dalla paura: paura di perdere controllo, paura di non essere più “eroi”. Se Orlando avesse accettato il rifiuto di Angelica, se Rodomonte avesse elaborato il tradimento invece di uccidere, forse il poema sarebbe stato meno tragico—e forse anche la nostra società lo sarebbe.

Il femminicidio non è un eccesso della mascolinità: è la sua logica estrema. Ariosto, con la sua ironia, ce lo ha mostrato cinque secoli fa. Sta a noi, oggi, smettere di riderne e cominciare a decostruirla.

 
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from Le ricette di Kenobit

Dopo avervi proposto la ricetta del ragù “di mia nonna”, vi propongo il mio. Questa ricetta è frutto di qualche anno di esperimenti, per ricreare una consistenza e un sapore il più possibile vicina a quella di un ragù di carne. Il risultato, anche a detta di onnivori non esattamente amici della causa vegana, è sbalorditivo. “Se non me l'avessi detto, avrei creduto che fosse di carne.”

Ve la scrivo, un po' per regalarvela, un po' perché è finalmente venuta come dico io e non voglio dimenticarmela. Mentre quello di mia nonna era un ragù sostanzialmente bianco, colorato dal vino rosso, questo è un più contemporaneo ragù con pomodoro.

ragù

Ingredienti
Olio d’oliva Sedano Cipolla Carota Porro Lenticchie Bocconcini di soia* Una manciata di porcini secchi Un bicchiere di bianco Salsa di soia Brodo di cottura delle lenticchie Rosmarino, salvia, alloro Gomasio** Paprika affumicata Sale Pepe

* Nella ricetta precedente ho usato il granulare. Qui ho scelto intenzionalmente la grana più grossa.
** Io lo faccio in casa, ci vogliono pochi minuti e lascia un profumo buonissimo. Tostate in un pentolino 10 cucchiaini di sesamo finché non iniziano a scoppiettare e a essere fragranti. Toglieteli dal fuoco e “tostate” un cucchiaino di sale integrale. Il sale non si tosta, ovviamente, ma perde umidità. Mettete tutto in un pestello e macinate.

PREPARAZIONE
Il nostro macinato sarà composto al 40% di lenticchie, 40% di soia e 20% di funghi. Più o meno, andate a occhio.

Cominciamo dalle lenticchie. Mettete le lenticchie in una pentola con acqua fredda, aggiungete la parte verde del porro, il sedano, una carota, una cipolla, l'alloro, la salvia e il rosmarino. Vogliamo che cuociano in un buon brodo, sia per insaporirle, sia perché quel brodo ci tornerà utile. Portate a ebollizione e cuocete fino a quando non saranno cotte (a seconda della varietà che usate, circa 30 minuti), salando il brodo circa cinque minuti prima che siano pronte, verso la fine. Togliete le lenticchie dal brodo e mettetele da parte.

Ora tocca ai bocconcini di soia. Reidratateli finché non saranno morbidi, seguendo le istruzioni sulla confezione (di solito basta qualche minuto in acqua bollente). Scolateli e strizzateli per rimuovere più acqua possibile.

Mettete i funghi porcini in ammollo. NON BUTTATE L'ACQUA. Quando saranno morbidi, toglieteli dall'acqua e conservatela. In seguito la filtreremo.

Prepariamo il macinato! Se ne avete uno a disposizione, vi consiglio un robot da cucina, ma va bene anche un frullatore, o nel peggiore dei casi un coltello e un po' di pazienza. Frullate a rate: prima la soia, poi le lenticchie, poi i funghi. Unite tutto in una ciotola, mescolate bene e aggiungete i sapori: paprika affumicata, pepe, gomasio e un po' di salsa di soia. Se siete indecisx, ricordatevi che questo macinato non è fatto di carne cruda, e che quindi lo potete tranquillamente assaggiare. Vogliamo che sia saporito, ma non eccessivamente, perché poi prenderà altro sapore in cottura. Lasciamolo marinare un attimo mentre prepariamo il soffritto.

Normalmente farei un soffritto con sedano, cipolla e carota, ma ieri ho inavvertitamente messo l'ultimo pezzo di sedano nel brodo, quindi l'ho sostituito con il porro. Si è rivelata una scelta vincente, a sorpresa. Tritate finemente cipolla, carota e parte bianca del porro e mettete a soffriggere in abbondante olio di oliva.

Nota sull'olio: abbondate. Il ragù è una ricetta resa speciale dalla sua parte grassa, che nella carne è molto pronunciata. Nei funghi, nella soia e nelle lenticchie non ce n'è quasi, quindi compenseremo a più riprese con l'olio.

Dopo aver soffritto per cinque minuti, unite il macinato e fatelo abbrustolire a fiamma viva. Da qui in poi, faremo finta di essere alle prese con un ragù tradizionale. Fatelo dorare per una decina di minuti, girandolo regolarmente, e poi sfumate con un bicchiere di vino bianco. Una volta che sarà evaporata la parte alcolica del vino (fidatevi del vostro naso!) unite i pelati e un po' del loro succo. Schiacciateli con cura, aggiungete un paio di mestoli di brodo delle lenticchie e cuocete per circa un'ora, assaggiando di tanto in tanto. Il ragù sarà pronto quando si sarà ritirata buona parte del liquido. A circa metà cottura, assaggiate la sapidità e aggiungete un generoso giro d'olio e un po' di salsa di soia. Senza esagerare! Ricordate che la riduzione della parte acquosa intensificherà la parte sapida. A dieci minuti dalla fine, ripetete l'operazione: olio e, se necessario, altra salsa di soia.

Ho indicato come tempo di cottura un'ora, ma nulla vi vieta di tenerlo un po' di più, a fiamma bassa. L'importante è che non bruci!

Otterrete un ragù denso, perfetto anche da conservare in un vasetto. Quando lo servite, vi basterà aggiungere un po' di acqua di cottura della pasta se volete una mantecatura più cremosa. Buon appetito!

 
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from D𝕚ⓈѕⓄᶰA𝐧ℤⒺ

𝗜𝗟 𝗡𝗘𝗠𝗜𝗖𝗢 𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗢 Accusati di essere un concreto pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica. Accusati di creare disordini, violenza e abusi. Chi partecipa ad un rave party è complice di un reato! Chi lo organizza è marchiato come un criminale con pene fino a 6 anni di carcere.

Più concretamente: chi organizza una festa senza permesso rischia la stessa pena di chi sottrae un minore in affidamento, di chi causa un incendio doloso, di chi possiede armi da fuoco senza permesso o di chi causa lesioni personali gravi.

Forse bisognerebbe alzare lo sguardo dallo smartphone e guardare la realtà.

È dentro e fuori dai club e dai locali del centro città che avvengono abusi e riciclaggio. È durante le partite di calcio che migliaia di tifosi spaccano e imbrattano i centri cittadini. (e non durante rave party nelle periferie dimenticate) È lo stesso Stato che attenta alla salute pubblica guadagnando dalla vendita di alcol e sigarette. È la scuola pubblica di vostra figlia che attenta alla sua incolumità crollando a pezzi. È il vostro amico maresciallo (quello che vi toglie le multe) che da l'ordine di manganellare persone che ballano e studenti che manifestano per la pace o per il clima. (E che avrà l'avvocato pagato dallo stato per difendersi dalle accuse di eccesso di violenza.)

L’ATTUALE GOVERNO AUTORITARIO REPRIME OGNI FORMA DI DISSENSO. ANCHE BALLARE SENZA PERMESSO È UN REATO PUNITO CON LA VIOLENZA.

ATTENTO A NON PENSARE TROPPO LIBERAMENTE. IL PROSSIMO RICERCATO POTRESTI ESSERE TU!

 
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from piccole cose inutili

i mostri di unlikeness

rivista erbafoglio

: potresti parlare di letteratura elettronica... –

me

: “Ho iniziato il punto croce perché sono ossessivo.”

°.)-

possibili risposte al senso senza significato

(

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metto qui ↓ una versione tipograficamente diversa da quella pubblicata da erbafoglio per mere questioni tipografiche

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la versione pubblicata da erbafoglio è comunque visibile su archive.org

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ho dimenticato un ri-ferimento (sorry!); l'ho aggiunto in questa versione postuma )


copertina rivista erbafoglio nr. 30 aprile 2025

°

i mostri di unlikeness è stato pubblicato su erbafoglio – rivista di cultura poetica – anno V, terza serie, n. 30 (aprile 2025), pp. 82-88

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la versione cartacea della rivista è disponibile da aprile 2025

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la versione digitale è disponibile da ottobre 2025

                                                                                                                              letteratura elettronica

 
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from Rob's cabinet of mboh?

Ai tempi dell'università, complice l'essere caduto nel tunnel di Final Fantasy XI con tutte le sue meccaniche assuefacenti da MMORPG, a poco a poco avevo preso l'abitudine di fare sempre più tardi la notte. Prima di cedere al sonno e andare a letto però, mi ritrovavo ad affacciarmi dalla finestra della mia stanza e guardare gli scorci del mio quartiere avvolti da un buio via via più flebile all'affacciarsi dell'aurora dal mare. A dirla tutta per lo più maledicevo il palazzo di fronte, alto giusto quel piano che bastava a tagliarmi la visuale di parte del centro storico e soprattutto della cattedrale, lasciandone scoperte giusto le punte delle guglie e della cupola. Però in quel palazzo, un paio di piani sotto al mio, c'era una per certi versi rassicurante certezza: ogni volta che tiravo fino a quell'ora, trovavo sistematicamente un uomo affacciato alla sua finestra. Abbastanza in là con gli anni, un viso da Novello Novelli un po' meno smunto, con indosso una canottiera bianca e un'immancabile sigaretta in mano, era sempre lì a compiere quello che probabilmente era il suo rito quotidiano post risveglio, anche se la sua vista sfortunatamente si limitava a un altro brutto palazzo costruito durante la speculazione edilizia degli anni '60 e alla strada sottostante. Flashforward di più di una dozzina d'anni, nel periodo post Covid. La stanza è ancora quella e io ho ripreso a fare sempre più tardi, arrivando spesso a vedere l'alba. Continuo a maledire il palazzo di fronte per la visuale di cui mi priva ma questa volta non vedo nessuno affacciarsi da quella finestra. Gli anni passati (e la pandemia) non lasciano spazio a tante spiegazioni alternative alla sua assenza.

Non ho mai interagito con lui, anche se forse in un occasione o due i nostri sguardi si sono incrociati per un istante, ma ammetto che un paio di volte sono andato a dormire chiedendomi chi fosse e immaginandomi quali storie potessero nascondersi dietro a quel volto da attore da commedia dallo sguardo malinconico. Ovviamente notte veniva fuori qualcosa di diverso e senza una conclusione, visto che il sonno rimandato troppo a lungo era lì pronto a prendermi...

All'epoca non lo sapevo ma, in senso molto lato, in qualche modo stavo anticipando lo spirito di un GDR indie che avrei scoperto molto più tardi e in cui di fatto si raccontano le vicende di una casa e della famiglia che la abita.

Sì, alla fine questo treno di pensieri nato dalla notizia di un lutto e dell'inevitabile sensazione di spaesamento per il tempo che passa è stato dirottato verso una stazione più comoda e familiare rispetto al riversare su internet un'intera catena di ricordi intimi, e quindi anche questo post è diventato un pretesto per parlare nuovamente di un gioco, come temo accadrà spesso. Se l'argomento non vi interessa potete saltare tutta la parte che segue e non vi perderete niente 😅

La casa sul confine dei ricordi...

House of Reeds di Sam Kabo Ashwell, di cui trovate qui la traduzione italiana fatta da Antonio Amato, è un gioco che potrebbe risultare decisamente atipico per chi da questo medium si aspetta avventure, combattimenti, punti esperienza, ecc. Quanto atipico? Giusto per fare un esempio, ɜ giocatorɜ non avranno un personaggio di loro “proprietà” ma sceglieranno di volta in volta quali personaggi vogliono in scena.

E il resto come funziona? Sintetizzando il più possibile un regolamento già breve, per cominciare le persone al tavolo stabiliranno assieme i cardini dell'ambientazione, dopo di che a turno contribuiranno a creare prima una mappa/planimetria della casa e infine il cast dei personaggi che la abitano. Una volta creata l'ambientazione si può cominciare a giocare: chi è di turno pescherà una carta con sopra uno spunto narrativo che dovrà essere portato in scena, quindi dirà in che stagione e in quale stanza ci troviamo, descrivendo anche un particolare che la rende diversa dal solito (e segnandolo nella planimetria se si tratta di qualcosa di sufficientemente importante e duraturo), chi è presente al suo interno e infine procederà con la narrazione.

Immagine di una carta spunto con scritto: Supporto - Mostra come i membri della famiglia si supportano a vicenda nelle avversità.

Una carta che idealmente dovrebbe spuntare nel “mazzo” di ogni famiglia

Quando tuttɜ ɜ giocatorɜ avranno narrato una scena, nella fiction sarà passato un anno; si aggiorneranno le età dei vari personaggi e si procederà a ricominciare il giro da capo e così via fino alla conclusione della giocata, che avverrà quando vorranno i giocatori (un buon momento per chiudere è dopo aver pescato carta Trasloco).

Fondamentalmente questo è tutto. Rispetto ad altri giochi senza GM però qui c'è un'ulteriore particolarità: anche se l'autore nelle 8 pagine scarse del manuale lo dà per scontato non specificandolo da nessuna parte, sarà solamente lə giocatorə di turno a narrare la scena senza assegnare personaggi ad altrɜ giocatorɜ o coinvolgerli per farli dialogare; l'interazione sta nel prendere quanto hanno già creato lɜ altrɜ ed espanderlo scena dopo scena.

...la stessa sempre, come tu la sai

Una cosa da tenere a mente è che la costante indiscussa di tutto il gioco è la casa. Grazie alle carte pescate potrebbe accadere che la famiglia si espanda o che perda qualche componente, o perfino che a un certo punto traslochi in blocco, ma qualsiasi cosa succeda, la casa sarà sempre lì, pronta ad accogliere ogni nuova famiglia che eventualmente la abiterà.

Va anche detto che in House of Reeds casa e famiglia sono concetti molto laschi: la casa può essere qualunque luogo vogliamo e la famiglia qualsiasi gruppo di persone che vive al suo interno. Una caverna e un gruppo di Neanderthal sono casa e famiglia? Certo che sì. Un laboratorio di ricerca sottomarino pieno di personale scientifico? Altrettanto. L'ultimo avamposto dell'umanità al confine con il Nulla e ɜ Guardianɜ che devono impedire che si espanda in quel che resta del mondo? E chi sono io per dirvi no?

Screenshot di un tavolo di Tabletop Simulator con su disegnata una planimetria di una stazione spaziale

E una roba ispirata a Star Trek ce l'abbiamo? (disegnata malissimo su Tabletop Simulator ma toccava accontentarsi)

Questa ampiezza delle due definizioni mi ha portato a osservare un curioso fenomeno in tutte le partite che ho giocato finora: l'approccio Out There ha sempre prevalso sul Down Here, cioè nessuna delle persone coinvolte ha scelto di ambientare la giocata nel mondo “reale” raccontando davvero la storia di una famiglia “normale”, ma piuttosto ha scelto sempre elementi fantastici o il più lontano possibile dalla quotidianità, e la cosa un po' mi dispiace.

Non fraintendetemi, anche “là fuori” sono venute fuori delle belle storie condivise; ricordo ancora con molto piacere la giocata in cui la casa era una nave pirata e la famiglia la sua ciurma, solo che più andavamo avanti più emergeva che quella nave era qualcosa di fuori dal tempo, destinata a navigare in mare aperto da e per chissà quanto, e che invece di trovare un approdo incontrava man mano navi sempre più moderne e potenti, ma anche se terrorizzata la ciurma veniva spinta a combattere dalla tonante voce di un capitano sempre chiuso nella sua cabina e che nessuno ricorda di aver mai visto di persona. La giocata si è conclusa col Trasloco, che in questo caso è stato il tanto agognato avvistamento della terra. Solo che una volta scesi si sono trovati di fronte a un'isola con uno strano fenomeno: due soli in direzione opposta, uno ormai al tramonto e l'altro al principio dell'alba. La ciurma sceglie di andare verso l'alba, tranne il nostromo che di ricominciare da capo non ha voglia e si incammina verso ovest, sperando di trovare la pace mentre osserva la nave ormai priva di equipaggio salpare verso chissà dove.

Capisco perfettamente perché in moltɜ preferiscano provare nel gioco di ruolo qualcosa di totalmente estraneo alla propria vita quotidiana, ma imho House of Reeds è il gioco giusto per lasciarsi andare e provare a giocare una storia che coinvolga anche un uomo attempato che inizia le sue giornate fumando affacciato a una finestra mentre guarda con espressione imperscrutabile la strada sottostante, che a volte c'è bisogno anche di toccare quelle corde ed è un peccato rinunciarci, un po' per partito preso, un po' per non uscire dalla propria comfort zone.

In ogni caso questo è un GDR che merita a prescindere dall'approccio con cui lo volete giocare; dategli una chance se potete e scoprite che storie verranno fuori dalle vostre case.

Hashtag rilevanti: #RobsCabinetOfMemories, #RobsCabinetOfGDR, #GDRSegreto

 
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from piccole cose inutili

ergon logos di molleindustria su twine

versione statica, no musica, ita

solo...

quelle ()

SONO UN EROE SONO IL TUO EROE NEMICI PREVEDIBILI E MINACCE PREVEDIBILI TUTTO INTORNO A ME

A fast paced interactive storytelling piece that tries to be a meta-platform game based on the stream of consciousness of [...]

[...] it fails miserably [...]

[...] becomes a piece [...]

[...] non-linear kinetic visual [...]

VERTIGINE UN DILEMMA MORALE RIPRODUCIBILE MECCANICAMENTE

unidentified game object


versione twine che si può provare online https://piccole-cose-inutili.github.io/ergon-logos-twine/ergon_logos.html

il sito di molleindustria dove scaricare l'originale https://www.molleindustria.org/ergon_logos/ergon_logos.html

video dell'originale caricato da molleindustria 1 https://youtu.be/E0jWkF-TyWw

pagina archivio blog con breve descrizione e link https://www.molleindustria.org/node/283/

una versione dell'originale che si può provare online https://flashmuseum.org/ergon-logos/

versione twine zip su archive.org 2 https://archive.org/details/ergon_logos

su 2 anche screenshot, schemi (che avevo fatto tempo fa, infatti alcune cose sono cambiate rispetto a quello che si vede nel 1) e il video riportato sopra

} ... {

traduzioni

(bifo legge una code poem)

fetish font

                                                                                                                                                                letteratura elettronica

 
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from Not My World

There are moments when you stop to think about what you’re doing. Yes, when you're young it happens, often even, but at fifty it’s either a misfortune or a luxury.

I have always worked in the internet/communication/web field, first as a technician, then as head of digital, digital marketer, digital strategist, all that stuff, you know.

Like many others, I believed in the value of communication, including commercial communication, made from the bottom up, by users for users, through a medium developed to be a level playing field, capable of fostering connections.

Over the course of these almost 30 years I have experienced a whirlwind of announcements, technologies, buzz words, from the very first e-commerce sites to sites built in Flash, from newsgroups to social networks, from permission marketing to the invasion of memes.

With each turn of the wheel, everything became faster, and more difficult. The dream of a distributed media, of everyone and no one, shattered with the emergence of large platforms first, and then with algorithmization.

These changes were all made in the name of efficiency and ROI, and have claimed many victims: art directors, copywriters and designers have been replaced – and not supported – by hordes of tireless number crunchers, analysts, specialists in some very private ADV platform, social media managers and SEO experts.

Over the years I believed, or told myself, a pathetic lie, that marketing in this century could be the means to create a dialog between brands and people, to help companies sell their products, but also help users find the answers that best suit their needs, maybe even amaze them, entertain them, making them feel part of the journey.

It was a lie, like that of capitalism with a human face of Google’s “don’t be evil”. It was all smoke and mirrors, and I clearly got fooled.

Many things happened, including Covid, the war in Ukraine, the floods in Romagna and, on a personal note, also a very patient wife and a daughter who is about 13 years old. We can certainly say that it was an intense time, during which I ended up working on the organization and promotion of large events in the field of digital innovation.

Innovation that is no longer what I had hoped it would be. But even the world does not resemble what I had somehow imagined it could become. All in all, between one stomach ache and the next, I was just getting by. The hype for blockchain, web 3.0, NFTs passed, and luckily also rather quickly.

Then one fine day ChatGPT arrived. I am and remain a nerd and a geek, with a good technical background, so obviously this novelty initially galvanized me. I mean, as an old fan of Star Trek and Asimov, being able to finally talk to a computer in a natural way is a big deal.

From that moment on it’s been a wild ride, which has started to overwhelm everything and everyone and is taking us to places I sincerely wish I didn’t know about. Before anyone gets upset, yes, I’m talking about LLMs and generative AI and no, I’m not talking about expert systems used in medicine, aerospace, science.

I don’t want to beat around the bush: Generative AI is bad, it’s useless, it’s immoral and should be heavily restricted, if not completely banned.

I won’t go into an anti-capitalist analysis here, although it would be important to do so, because I don’t even think that's the real point of the matter.

Recently, OpenAI released a model that is particularly good with images, coherence, lettering and other technical marvels, which are certainly admirable. It consciously did this by removing many of the façade filters that prevented you from creating images in the style of a particular author or franchise. I would be lying if I didn’t admit that seeing social media, already full of AI Slobs, completely invaded by images in the Studio Ghibli style, literally made me sick to my stomach.

To paraphrase Miyazaki, who in unsuspecting times said “this technology is an insult to life itself”, the misappropriation of the incredible craftsmanship of Studio Ghibli’s works, only to be remixed into horrible memes for the use of the social media manager or content creator on duty, is an insult to intellectual honesty and morality, and a real crime.

The ongoing farce of the democratization of creativity is simply ridiculous, a statement that simply doesn’t make any sense.

As a former colleague of mine, a very talented illustrator, used to say, why focus efforts and investments on deliberately attacking creative work? This applies to images, but also to music and text; what sense does it make, what concrete and real need does it respond to?

LLMs are elaborate stochastic machines that could have fantastic uses, for example to make the lives of the visually impaired and disabled easier, or to automate “low” tasks to really free up time to dedicate to creative thinking. And yet, no. We create machines that can continuously regurgitate texts, music, newsletters, visuals, press releases, videos, social posts, to literally fill the entire internet with shit, with deleterious effects on the public and on the perception of reality.

What’s more, this stuff pollutes the brain to such an extent that, in my personal experience, rather than valuing the work of an expert and competent team, at the first iteration you take for granted any block of tokens vomited up by the LLM at hand.

It’s no longer my world, it’s not what I wanted and imagined, and it’s not what I want for my daughter, who at this moment is a volcano of creativity, and to whom I MUST tell, a moral duty, that this creativity must be cultivated, cared for and trained with effort, and that this path, made up of ups and downs, frustration and enlightenment, represents the value of what she creates.

For this reason, I have decided that, from now on, also and above all at work, I will refuse to use Generative AI tools and, within the scope of my responsibilities, I will never endorse the use of these tools to generate content of any kind.

I could be accused of Luddism, or of being an idiot who can’t keep up with the times. It may be so, but this doesn’t change the substance: Generative AI is a danger to humanity.

ADSR adsr@distruzione.org

P.S. Here are some links to dig deeper, I’ve put some of them throughout the text, but I’ll summarize them all below, for convenience:

https://tante.cc/2025/03/28/vulgar-display-of-power/ https://www.404media.co/ai-slop-is-a-brute-force-attack-on-the-algorithms-that-control-reality/ https://thelibre.news/foss-infrastructure-is-under-attack-by-ai-companies/ https://www.theatlantic.com/technology/archive/2025/03/libgen-meta-openai/682093/ https://www.theverge.com/news/630079/openai-google-copyright-fair-use-exception https://attivissimo.me/2025/03/24/podcast-rsi-con-lia-la-teoria-dellinternet-morta-si-sta-avverando/ https://affordance.framasoft.org/2025/03/dans-le-retroviseur-doverton-casser-vite-et-bouger-des-trucs/ https://aial.ie/pages/aiparis/

P.P.S. I would have wanted to sign this post. But it’s not an easy thing.

 
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from D𝕚ⓈѕⓄᶰA𝐧ℤⒺ

𝗙𝗔𝗞𝗘 𝗡𝗘𝗪𝗦

Il potere distruttivo, rivelatore, caustico, ironico delle fake news.

Prima di Internet, prima che diventassero strumento di disinformazione di massa nel mare delle notizie che navigano in rete senza controllo; venne utilizzato abilmente negli anni 90, come strumento artistico e politico, per beffarsi di stampa, televisioni e tutto il sistema dell' informazione. In nome di una cultura del sabotaggio, si contestavano i media e l'invasività delle pubblicità.

Da persone scomparse, a culti demoniaci e violenze mai esistite, che crearono un vero e proprio fenomeno di isteria di massa, prima di essere svelati di fronte all'indignazione dei più. Dimostrando al tempo stesso quanto la sete di notizie dei media è tale da divulgare qualsiasi informazione senza la minima certezza.

Tra le azioni più incredibili che riguardano il culture jamming c'è sicuramente la copia del sito Vaticano nel 1998 che coinvolse 200.000 visitatori per un totale di 4 milioni di accessi.

“Abbiamo acquistato il nome di dominio Vaticano.org e fatto una copia del sito web ufficiale della Santa Sede. Il nuovo sito web era visivamente identico a quello ufficiale, ma conteneva piccole ma significative modifiche nascoste tra i testi sacri, che ci hanno permesso di satireggiare e correggere l'identità della Santa Sede, esaltando l'amore libero, le droghe leggere e l'attivismo online.[...] Il tutto inserito tra le righe di encicliche papali, citate con precisione.

Dal momento in cui Vaticano.org è andato online, un flusso enorme di visitatori si è riversato sul sito web parodia, trascorrendo migliaia di ore a leggere testi modificati con proclami eretici, parole inventate, errori imperdonabili e canzoni di band di teeny-bopper.” (0100101110101101.org)

L'ingegno che era dietro queste operazioni era tale da trasformarle in opere d'arte sovversiva e partecipativa, dove lo spettatore stesso prende parte alla scena e alle sue modificazioni poiché interagisce con essa.

“Un'opera d'arte, in rete o no, non può essere interattiva di per se, sono le persone che devono usarla interattivamente, è lo spettatore che deve usare un'opera in un modo imprevedibile. Copiando un sito, stai interagendo con esso lo stai riutilizzando per esprimere dei contenuti che l'autore non aveva previsto. Interagire con un'opera d'arte significa essere fruitore/artista simultaneamente; i due ruoli coesistono nello stesso momento. Per cui dovremmo parlare di meta-arte, di caduta delle barriere nell'arte; lo spettatore diventa un'artista e l'artista diventa spettatore: un testimone privo di potere su ciò che accade al suo lavoro.” (0100101110101101.org)

I media moderni hanno compreso il potere partecipativo della massa: diffondendo contenuti accattivanti, capaci di generare estremo stupore o profonda indignazione, riescono ad ampliare la diffusione delle loro notizie, poiché ogni condivisione aggiunge il punto di vista del trasmettitore, spesso incurante della veridicità del contenuto. Se un tempo lo spettatore poteva interagire con un’opera d’arte in modo imprevedibile, oggi la decontestualizzazione di frasi, immagini o parole viene utilizzata per provocare reazioni calcolate, prevedendo esattamente l’effetto della catena di ri-condivisioni.

La società contemporanea vive in uno stato costante di isteria, e i mezzi di (dis)informazione, insieme ai social media, riflettono un meccanismo che asseconda l’impazienza collettiva di ottenere risposte rapide e rassicuranti di fronte a eventi controversi. Si tende a individuare un colpevole immediato, un capro espiatorio che soddisfi il bisogno di ordine, trascurando dettagli e sfumature che potrebbero ribaltare l’intera narrazione. È invece fondamentale sviluppare uno sguardo critico sulle informazioni, coltivare la volontà di approfondire e ricostruire il contesto.

 
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from Not My World

Ci sono momenti in cui ti fermi e rifletti su quello che stai facendo. Sì, quando si è giovani capita, anche spesso, ma a cinquant'anni o è una disgrazia, o è un lusso.

Lavoro in ambito internet/comunicazione/web da sempre, prima come tecnico, poi come head of digital, digital marketer, digital strategist, insomma, quelle robe lì, avete capito.

Ho creduto, come tanti, nel valore di una comunicazione, anche commerciale, fatta dal basso, fatta da utenti per utenti, attraverso un media nato per essere paritario, capace di creare connessioni.

Nel corso di questi quasi 30 anni ho vissuto una girandola di annunci, tecnologie, buzz word, dai primissimi e-commerce ai siti in flash, dai newsgroup ai social, dal permission marketing all'invasione dei meme.

Ad ogni giro di giostra tutto è diventato più veloce, più difficile, il sogno di un media distribuito, di tutti e di nessuno, si è infranto con l'emergere delle grandi piattaforme prima, con l'algoritmizzazione poi.

Questi passaggi, tutti compiuti nel sacro nome dell'efficienza e del ROI, hanno mietuto vittime eccellenti, art director, copy, designer, sostituiti – e non affiancati – da orde di infaticabili uomini dei numeri, analisti, specialisti in una qualche piattaforma, privatissima, di ADV, social media manager e SEO expert.

Nel corso degli anni ho creduto a, o mi sono raccontato, una patetica bugia, quella che il marketing di questo secolo potesse essere il mezzo per far dialogare brand e persone, per aiutare le aziende sì, a vendere i prodotti, ma anche gli utenti a trovare le risposte più adatte ai propri bisogni, magari stupendoli, intrattenendoli, facendoli diventare parte del viaggio.

Era una Bugia, come quella del capitalismo dal volto umano del “don't be Evil” di Google. Specchi per le allodole, e io sono chiaramente un'allodola.

Sono successe tante cose, compreso il Covid, la guerra in Ucraina, le alluvioni in Romagna e, rimanendo sul personale, anche una moglie assai paziente e una figlia, che va per i 13 anni.

Possiamo sicuramente dire che sia stato un periodo intenso, durante il quale sono finito ad occuparmi di promozione di eventi, grossi, in ambito innovazione digitale.

Innovazione che appunto non era già più quella che avevo sperato fosse. Ma manco il mondo assomiglia a quello che in qualche modo mi ero immaginato potesse diventare.

Tutto sommato, tra un mal di stomaco e l'altro, giocavo a tirare avanti. Sono passati gli hype per la blockchain, per il web 3.0, per gli NFT, e per fortuna anche abbastanza in fretta.

Poi un bel giorno si presenta ChatGPT. Sono e rimango comunque un nerd e un geek, con una buona base tecnica, per cui ovviamente questa novità mi ha inizialmente galvanizzato. Voglio dire, da vecchio fan di Star Trek e di Asimov, poter finalmente dialogare con un computer in maniera naturale è tanta roba.

Da quel momento in poi è stata una corsa assurda, che ha iniziato a travolgere tutto e tutti e che ci sta portando in luoghi che avrei preferito sinceramente non conoscere.

Prima che qualcuno si inalberi, sì, sto parlando degli LLM e dell'AI Generativa e NO, non sto parlando dei sistemi esperti in uso in ambito medico, aerospaziale, scientifico.

Non voglio girarci attorno più di tanto, l'AI Generativa è un male, non serve a nulla, è immorale e andrebbe fortemente limitata, se non vietata completamente.

Non starò qui a fare una disanima anti capitalista, che comunque sarebbe importante fare, perché non penso neanche che sia il vero punto della questione.

In questi giorni OpenAI ha rilasciato un modello particolarmente bravo con le immagini, le coerenze, il lettering e altre meraviglie tecniche, sicuramente ammirevoli.

Consapevolmente lo ha fatto levando molti di quei filtri di facciata che ti impedivano di creare immagini nello stile di un particolare autore o di un determinato franchise.

Direi una bugia se non ammettessi che vedere i social, già pieni di AI Slob, completamente invasi da immagini in stile Studio Ghibli, mi ha fatto letteralmente ribaltare lo stomaco.

Parafrasando Miyazaki, che in tempi non sospetti ha detto “questa tecnologia è un insulto alla vita stessa”, l'appropriazione indebita dell'incredibile lavoro artigianale delle opere dello studio Ghibli, per essere rimiscelato in orribili meme ad uso del social media manager o del content creator di turno, è un insulto all'onestà intellettuale, alla morale e un crimine vero e proprio.

La farsa, che ancora risuona, della democratizzazione della creatività è semplicemente ridicola, è una affermazione che banalmente non ha alcun senso.

Come diceva una mia ex-collega, bravissima illustratrice, perché mai concentrare gli sforzi e gli investimenti per attaccare deliberatamente il lavoro creativo? Vale per le immagini, ma vale per la musica, il testo; che senso ha, a quale bisogno concreto e reale risponde?

Gli LLM sono elaborate macchine stocastiche, che potrebbero avere utilizzi fantastici, ad esempio per rendere la vita di ipovedenti e disabili più agevole, oppure per automatizzare compiti “bassi” per liberare davvero il tempo da dedicare al pensiero creativo.

E invece no. Creiamo macchine che possano vomitare a ciclo continuo testi, musiche, newsletter, visual, comunicati stampa, video, post social, per riempire di letterale merda tutta l'internet, con effetti deleteri sul pubblico e sulla percezione della realtà.

Non solo, sta roba inquina talmente il cervello che, esperienza personale, piuttosto di valorizzare il lavoro di un team esperto e competente, si prende per buono, alla prima iterazione, qualsiasi blocco di token vomitato dall'LLM di turno.

Non è più il mio mondo, non è quello che volevo e immaginavo, e non è quello che voglio per mia figlia, che in questo momento è un vulcano di creatività, e a cui DEVO raccontare, un dovere morale, che questa creatività va coltivata, curata e allenata con fatica, e che quel percorso, fatto di alti e bassi, di frustrazione e illuminazione, rappresenta il valore di quel che crea.

Per questo ho deciso che, da questo momento, anche e soprattutto sul lavoro, mi rifiuterò di usare strumenti di AI Generativa e, nell'ambito delle mie competenze, non avvallerò mai l'uso di questi strumenti per generare contenuti di qualsiasi tipo.

Potrei essere tacciato di Luddismo, o di essere un rincoglionito che non sa stare al passo con i tempi. Può essere, ma questo non cambia la sostanza: l'AI Generativa è un danno per l'umanità.

ADSR adsr@distruzione.org

P.S. Qualche link di approfondimento, alcuni li ho sparsi nel testo, ma li riepilogo tutti qui sotto, per comodità. https://tante.cc/2025/03/28/vulgar-display-of-power/

https://www.404media.co/ai-slop-is-a-brute-force-attack-on-the-algorithms-that-control-reality/

https://thelibre.news/foss-infrastructure-is-under-attack-by-ai-companies/

https://www.theatlantic.com/technology/archive/2025/03/libgen-meta-openai/682093/

https://www.theverge.com/news/630079/openai-google-copyright-fair-use-exception

https://attivissimo.me/2025/03/24/podcast-rsi-con-lia-la-teoria-dellinternet-morta-si-sta-avverando/

https://affordance.framasoft.org/2025/03/dans-le-retroviseur-doverton-casser-vite-et-bouger-des-trucs/

https://aial.ie/pages/aiparis/

P.P.S Avrei voluto firmare questo post. Ma non è cosa semplice.

 
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