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from I pensieri di Dado

Ho iniziato da molto poco a scoprire il vero potenziale del Fediverso, il mio primo contatto con quest'ultio è stato più o meno così:

scopro Mastodon  

“Massì dai perchè no, proviamolo”  

creo un account su livellosegreto

passano mesi e mesi senza che io abbia mai postato nulla

Una sera qualunque di un settembre 2025 qualunque mi torna in mente il mio account e penso:

“Ma io avevo un account Mastodon, vediamo se esiste ancora”

crecando Mastodon sul browser per effettuare l'accesso, trovo per puro caso la pagina wikipedia del Fediverso, dove sono elencati tutti i servizi.

Decido di aprire la pagina wikipedia, nella quale sono stato a leggere vita morte e miracoli del Fediverso per un'oretta buona

Risultato: in una sera ho creato nuovi account su Pixelfed, Lemmy, PeerTube, Friendica e riattivato quello di Mastodon.

 
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from Ore liete


Sì, in quei tempi agosto era ancora il mese delle ferie, il mese delle serrande abbassate in città, delle strade deserte e delle fabbriche chiuse. Non tutti potevano permettersi il mese intero, a non tutti era concesso (ne ho accennato lateralmente qui), ma un paio di settimane sì, quelle erano più o meno per tutti.

Probabilmente, non avrete voglia di cliccare sul link, riassumo: dopo due settimane, restavamo in villeggiatura senza mio padre, che doveva lavorare, e senza macchina per spostarci.

Agosto era ancora il mese della fine dell'estate, in quei tempi del riscaldamento globale non si parlava perché le avvisaglie sembravano ancora evanescenti; oggi non se ne parla abbastanza, ma non è questo il posto. E dopo ferragosto, in montagna, il tempo iniziava a cambiare, la piacevole frescura lasciava il passo, la sera, a un freddolino pungente, da mettere un giubbottino. Il cielo, solitamente limpido, diventava più tendente al grigio e più minaccioso, ma di una minaccia lieve, di pioggia improvvisa di montagna, spesso il cambiamento avveniva al tramonto.
Così era il tempo in quei giorni, in quegli anni. Il clima era come ce lo si aspettava, probabilmente i nubifragi non erano la norma al Nord e al Sud non si stava a maniche corte fino a novembre.

E in questo clima più plumbeo, e in un clima di vacanze che si avviano alla conclusione, sia per i villeggianti che per gli abitanti, restavamo per buona parte della settimana in tre: mia mamma e la sua prole. Non potevamo gironzolare in macchina, facevamo quel che una buona camminata permetteva di fare. Ce ne andavamo alla villetta comunale a raccogliere i ciclamini, per portarli a casa e metterli in un bicchiere, ma duravano pochissimo. Non li raccoglierei, oggi. Gironzolavamo per la strada che costeggiva il centro abitato, raccogliendo le more buonissime, oppure il rosmarino che cresceva anch'esso spontaneo ai margini. Lo raccoglievamo, più che altro, per mio padre: a noi non interessava granché, lui invece era un appassionato, quando c'era lui in giro non mancavano i canovacci abbondantemente ricoperti dai ramoscelli di rosmarino da seccare. Quando era secco, finiva in questi barattoli di vetro riciclati e sembrava dovesse durare in eterno, perché non ne facevamo un grande uso.

E queste erano tra le cose che facevamo, camminavamo, raccoglievamo, giocavamo sulle giostrine, ci dirigevamo a casa quando non eravamo coperti abbastanza da resistere alla frescura del giorno che invecchia, qualche volta accendevamo anche il caminetto, aspettavamo il fine settimana per essere di nuovo tutti e quattro.

Era tutto così semplice, era tutto bellissimo.

 
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from Flusso Inverso

La scatola del gioco

Schedina * Console: Game Boy * Anno: 1990 * Sviluppatore: Nintendo * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 1 ora e un quarto

Lo spunto è di quelli irresistibili: Alice e Jim sono due bambini che vivono in una città in cui in cielo ci sono le nuvolette, i grattacieli sono matite (giuro: Wikipedia dice che si chiama Pencilvania, spero sia vero) e ci si diverte tutto il giorno con i palloncini. Il problema è che Jim, ragazzo sveglio ma non troppo, decide di strafare e di mettere insieme un sacco di palloncini e di attaccarcisi... così comincia a svolazzare, e il vento se lo porta via. Tocca ad Alice andare a recuperare il fratello, a sua volta svolazzando per otto livelli, tenendo in mano due palloncini (ne bastavano due per divertirsi nel cielo, a quanto pare).

Basta la premessa per capire dove voglio andare a parare: Balloon Kid è semplicemente fantastico. Per quanto mi riguarda, rappresenta tutto ciò che amo in un platform: la relativa semplicità, la grafica tonda e vivace, la curva di apprendimento estremamente dolce. L'avrete capito anche dai miei post precedenti, probabilmente: non amo necessariamente la sfida, in un platform.

Un bel problema

È una cosa che ho realizzato da adulto: non mi hanno mai appassionato particolarmente i platform in cui è necessario azzeccare il salto con precisione millimetrica: bello Super Meat Boy, ma, come si dice, forse non è il mio. Al contrario, trovo delizioso e quasi terapeutico controllare questi piccoli personaggi in un mondo colorato e nel quale mi piacerebbe fare una passeggiata. Il mio gioco di Super Mario preferito è Super Mario Land 2: 6 Golden Coins, dopotutto: quello facile grazie al power-up della carota.

Balloon Kid ha molto di quel modo di pensare i platform (d'altronde credo condivida un pezzo importante di DNA). I controlli sono precisi ma non troppo, perché in fondo stiamo parlando di un platform in cui la protagonista può fare solo le seguenti cose: fluttuare per aria attaccata ai suoi palloncini, mollare i palloncini per affrontare brevissime sezioni a terra, gonfiare palloncini per risalire nel cielo verde dello schermo del primo Game Boy. Non risultano altre azioni: non si spara, non ci sono power-up, e non ci sono molti salti. Ci sono i palloncini e le nuvolette, e ostacoli come fulmini, uccellini e polpi che saltano fuori dall'acqua, mentre i livelli scorrono da destra verso sinistra ed Alice con loro.

Personalmente adoro i platform su Game Boy perché, con così pochi tasti a disposizione, gli sviluppatori non hanno modo di complicare (spesso inutilmente, ma dipende dai gusti) le cose. È l'essenza del gioco che deve funzionare bene: la fisica del salto, i tempi di risposta degli attacchi, la dinamica dell'accelerazione nella corsa. Balloon Kid, grazie al cielo, azzecca completamente l'unica sua grande meccanica: il fluttuare nel cielo. La prima metà del gioco ti permette di andare veloce, e poi, dal quinto livello in avanti, il gioco ti richiede di essere preciso. Di dosare la pressione del tasto A (con il quale Alice muove teneramente le braccia) e di passare indenne attraverso ostacoli sempre più complessi – ma non troppo. Ci sono anche le boss fight: tre botte in testa ai cattivi, e via.

Pencilvania!

Il gioco è mediamente facile e si finisce in un'ora, un'ora e un quarto. Ma stiamo parlando di un'oretta in cui ci è permesso indossare i panni di una bambina attaccata a dei palloncini, che attraversa un mondo di matite-grattacielo, templi, temporali a zone, montagne e oceani per salvare il suo fratellino, sfidando la sorte, il vento, la pioggia e gli uccellini. È un'ora gentile.

Se Balloon Kid ha un pregio è quello di ricordare a chi gioca che non serve sempre spingere, correre, ottimizzare: a volte basta restare sospesi il tempo giusto, fidarsi della brezza e tenere stretti i propri due palloncini.

Tags: #GameBoy #Nintendo #retrogaming #BalloonKid

 
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from Flusso Inverso

Questi sono stati i primi due articoli pubblicati sulla versione originale di Flusso Inverso, questo mio viaggio attraverso la prima library del Game Boy originale (ma pure Color, dai!). Li ripropongo qui per completezza, in attesa di pubblicare i nuovi pezzi che ho scritto su Balloon Kid e altri

Trip World e il privilegio dei sogni gentili

Schedina * Titolo: Trip World * Piattaforma: Game Boy * Anno di uscita: 1992 (Giappone), 1993 (Europa) * Sviluppatore: Sunsoft * Publisher: Sunsoft * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 2 ore

Mi sono avvicinato a Trip World scegliendolo a caso dalla lista di titoli emulabili dalla mia Anbernic. Non avevo idea di cosa fosse, ma devo dire che il delizioso filmato di apertura mi ha convinto a dargli una possibilità. A onor del vero, ancor prima di premere start ero pronto a cercare informazioni relative al gioco su Google, ma ho voluto evitare: se rigiocare questi vecchi giochi è un antidoto contro il caos, allora bisogna fare alla vecchia maniera. Premendo start, appunto, e non consultando uno smartphone.

E se decidiamo di iniziare giocare, scopriamo che Trip World è un gioco di Sunsoft, un team di sviluppo che mi è capitato varie volte di incrociare da bambino, perché avevo il gioco di Batman e uno di Daffy Duck – vado a memoria, senza controllare online. Erano tutti graficamente deliziosi, specie su un hardware limitato come il Game Boy, e Trip World non fa eccezione — anzi, spicca.”

Dal punto di vista visivo Trip World è proprio un bel gioco. Gli sprite del protagonista e delle creaturine “nemiche” sono ricchi di piccoli dettagli e di grande espressività, mentre gli sfondi sono particolareggiati e riescono a raccontare un piccolo mondo anche senza l’utilizzo di alcun testo. Nessuno parla, in Trip World: zero linee di dialogo, a parlare è solo quello che viene rappresentato a schermo. Il sonoro, poi, è splendido.

Trip World è un gioco estremamente semplice, almeno da un punto di vista concettuale: è un classico platform dell’era Game Boy, con tutti gli elementi che conosciamo. Cinque livelli (o “mondi”, come li chiama il gioco), scorrimento orizzontale, mascotte dolce e che vorresti immediatamente abbracciare, tanti salti, abilità di combattimento limitatissime, alcuni power-up che si possono raccogliere in giro e qualche enigma ambientale.

La cosa particolare, che ha reso Trip World una specie di piccolo cult (l’ho scoperto dopo averlo terminato, quando ero troppo curioso di capire quanto fosse conosciuto), è che il 90% dei nemici (ma perché poi, se non ti attaccano?) del gioco non ti attacca direttamente. Al massimo ti ostacolano leggermente spingendoti via.

È un approccio insolito, ed è insolito che non sia una gimmick roboante da comunicato stampa: non te lo dice nessuno, all’interno del gioco, lo noti e basta. Complice il fatto che il protagonista può, almeno inizialmente, solo sferrare un calcio con quelle sue piccole, adorabili gambette corte, ci si accorge presto che queste creaturine… si fanno gli affari propri. Al giocatore la scelta: li picchio o me ne vado per la mia strada?

Dimenticavo! Il protagonista può anche trasformarsi in un simpatico pesce, per superare le sezioni acquatiche (volendo si trasforma anche sulla terraferma, ma… non serve a niente!), e in una specie di forma adatta al volo, che nella mia sessione non ho mai utilizzato.

Il gioco è tutto qui. Dura meno di un’oretta, forse un po’ di più se si vogliono scoprire tutti i segreti. Si può riassumere in poche parole: platform bello da vedere e da sentire, e rilassante da giocare. Allora perché parlarne?

Perché Trip World, con la sua estetica dolcemente psichedelica, ha la rara capacità di isolare chi ci gioca dal mondo esterno. È un piccolo mondo che sembra vivere per conto proprio, slegato quanto basta dalle dinamiche classiche del videogioco anni ’90 per dimostrare originalità senza tuttavia risultare alieno al giocatore.

È un gioco semplice nella migliore accezione del termine, che si concede il lusso di provare a far sognare, almeno per un paio d’ore, chi decide di mettersi a giocare. Lo fa, oltretutto, con i pochissimi mezzi a disposizione concessi dall’hardware del Game Boy.

Una persona che stimo molto mi disse che “è un privilegio avere sogni educati”. Non so bene perché, ma nel giocare a Trip World ho pensato che avesse proprio ragione.

Una birra con Felix The Cat

Schedina * Console: Game Boy * Anno: 1993 * Sviluppatore: Hudson Soft * Genere: Platform * Quanto ci ho giocato al primo giro: 1 ora e mezza

Nel far partire il gioco di Felix The Cat per il Game Boy mi sono reso conto di non sapere nulla di Felix, il personaggio. O meglio: lo riconoscerei tra mille perché ha un design bellissimo, tondo ed espressivo, ma non so esattamente in cosa consista il suo cartone animato.

La cosa è strana, perché io adoro i cartoni animati, specie quelli della prima metà del ‘900. Eppure, pur avendone visti tanti, non ho quasi mai incrociato sul mio cammino il buon (?) Felix. Sono andato a cercare su YouTube qualche spezzone e credo francamente che sarà la mia prossima ossessione per le settimane a venire. Ho già adocchiato un video di mezz’ora che parla dei 100 anni di evoluzione del personaggio.

Però, insomma, anche non sapendo nulla di Felix devo dire che il suo gioco per Game Boy è assolutamente comprensibile: Felix è un gatto antropomorfo e l’antagonista del gioco rapisce la sua fidanzatina Kitty. A lui toccherà attraversare sei mondi, suddivisi in un paio di livelli ciascuno, per salvarla.

Tecnicamente non c’è moltissimo da dire su un gioco come questo (sospetto che in questo viaggio nella library del Game Boy mi capiterà spesso di ripetere variazioni di questo paragrafo, ma tant’è). Si salta sulle piattaforme e si colpiscono nemici, partendo da sinistra e andando verso destra. Lo spin che il gioco offre alla classica formula del platform anni ’90 è che, raccogliendo la valuta del gioco (le monete con la faccia triste di Felix), il nostro protagonista potrà accedere a diversi power-up, che si accumuleranno uno dopo l’altro.

Questi power-up fanno sì che Felix acquisisca due vantaggi rispetto alla sua forma base: in primo luogo, potrà sopportare più colpi nemici (che lo faranno regredire al power-up precedente e non perdere immediatamente una vita). Inoltre, questi power-up gli permetteranno di diventare… un sacco di cose a seconda del contesto, come una specie di bolide e un tank, consentendogli di sparare dei colpi forti ma imprecisi, come da tradizione dei platform.

Ci sono poi dei livelli maggiormente accostabili agli sparatutto a scorrimento orizzontale dell’epoca piuttosto che ai puri platform, secondo me i più riusciti – specie il livello acquatico e quello spaziale, che sono davvero deliziosi.

Mi rendo conto che non sia esattamente un resoconto entusiasmante, eppure mi sono divertito tantissimo a giocare a Felix The Cat. La grafica è una delle più belle che abbia visto su Game Boy e riesce a trasmettere perfettamente la sensazione di stare giocando a un cartone animato, al netto delle limitazioni tecniche degli 8-bit e della monocromia. Le musiche, semplici e allegre, sono pronte a essere fischiettate. La fisica del salto funziona molto bene per il tipo di gioco immaginato dagli sviluppatori, e la difficoltà tarata verso il basso rende il gioco una buffa scampagnata in un mondo pieno di cose tonde.

Come in anni recenti ci ha insegnato Cuphead, infatti, l’estetica visiva e sonora da cartone animato dei primi del ‘900 funziona meravigliosamente se applicata ai platform e agli shooter a scorrimento. Non c’è un elemento in Felix che sembri fuori posto, non c’è un fondale che non sia immediatamente riconoscibile (e adorabile, per quel che mi riguarda). Ogni animazione riesce a far sorridere e a catapultarti in un mondo colorato e pieno di avventure bislacche.

È un gran gioco, quindi? Probabilmente, per gli standard con cui abbiamo stabilito che andrebbero recensiti i videogiochi, no: è estremamente semplice, e si finisce in un’oretta o poco più. Il senso di inferiorità degli appassionati di videogiochi rispetto ad altre forme d’arte dovrebbe relegarlo a un “carino, ma nulla più”.

Eppure non riesco a non amare questo Felix The Cat. È una questione di sensibilità personale, probabilmente, e di mia riluttanza verso gli standard di cui sopra – quelli per i quali tutto deve essere profondo, coinvolgente, entusiasmante. Felix non è profondo, non è coinvolgente, e non è nemmeno entusiasmante. È simpatico e intraprendente, quello sì.

Il punto, in fondo, è questo: Felix fa quel che può. Nello specifico corre, salta, spara e prova a salvare Kitty. Se si ha voglia di accompagnarlo, però, si scopre che è come prendere qualcosa da bere con un amico che vedi ogni tanto – non troppo spesso, magari.

A volte non serve altro, per stare bene.

Tags: #GameBoy #Retrogaming

 
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from kipple


Mio padre, alle medie, mi disse che mi avrebbe comprato il motorino, al compimento dei quattordici anni, così ci sarei potuto andare a scuola. Non era l'indirizzo scolastico che avrei voluto scegliere, non era neanche tra i primi dieci, ma la sede era abbastanza lontana.

Ho iniziato le superiori a tredici anni, i mesi passavano, io fantasticavo sul motorino, sul suo colore. Nello specifico, la promessa era quella di una Vespa, in quel periodo ne era uscito un restyling che aveva portato le marce a tre, ma la questione tecnica non mi interessava particolarmente: tre marce, quattro, volevo solo andarmene in giro sulla mia Vespa rossa; intanto, i mesi passavano e la Vespa sembrava allontanarsi sempre più. La promessa della Vespa era un tentativo (poco nascosto, ma riuscito), di tenermi lontano dalla bicicletta che avevo sempre chiesto.

Gli anni delle superiori passavano, “tanto a diciotto anni prendi la patente e ti prendo la macchina”. Chissà quale sarebbe stata la progressione: la bisarca a ventuno e il tram a venticinque. Cosa mi aspetta al compimento dei cento anni? Il Millennium Falcon, almeno.

Non so guidare il motorino, credo, non ho motivo di credere diversamente, non ho mai avuto modo di provarci. Neanche la bisarca e l'aliante. Premetto di esser nato nella parte fortunata del mondo, tant'è che sto qui a scrivere sciocchezze per potenziali lettori in condizioni analoghe.

Non sto scappando da una guerra, sotto il fuoco incrociato dei proiettili di qualche guardia costiera e quello del razzismo di chi vuol trincerarsi nello status privilegiato, regalatogli dal caso. Nessuno mi sta bombardando nel nome di certe pretese contenute in un libro “sacro” di decine di secoli fa, tutte parole scritte dai suoi stessi antenati. Non sto morendo letteralmente di fame e l'acqua la posso prendere da uno dei rubinetti che ho in casa, oppure alle fontanelle pubbliche. Premesso ciò, sono nato e ho vissuto troppo a lungo in un posto orrendo (secondo i canoni di chi è nato nella parte fortunata del mondo), senza aver avuto il coraggio e l'intelligenza di fuggire quando ne avrei avuto la possibilità e la forza. Una cittadina di medie dimensioni, brutta come la fame, la stessa bruttezza che ne impregna troppi abitanti. Una di quelle terre di mezzo, per popolazione e dimensioni, sospesa tra paese e città, con tutti i difetti di entrambi e nessuno dei pregi. Il caos, il traffico e il cemento abusivo della città e l'aridità culturale di un paesotto in disfacimento, animato a morte da mentalità da età del bronzo.

Un posto così brutto, una quella bruttura che viene anche dall'assoluta mancanza di personalità, di un qualsiasi tratto riconoscibile nell'ambiente antropizzato (perché di quello naturale non c'è granché da dire, si tratterebbe di fantasticare su cose che non esistono). Una sensazione di squallore diffuso, ecco; neanche a dirlo, tutte le cittadine confinanti, pur soffrendo in diversa misura degli stessi problemi, erano sicuramente più piacevoli alla vista. Tutti posti in cui era più sensato, umano, trovare un posto dove fare una passeggiata, fermarsi a un bar, mangiare un gelato.

Il caso sfavorevole ha voluto, quindi, che nascessi nell'epicentro della bruttura. E che ci vivessi, perché i miei in quella bruttura ci sono andati a vivere intenzionalmente, è stata una scelta. Nessuno dei miei antenati è nativo del posto, valli a capire.

A parte un paio di eccezioni, nella mia cerchia di amicizia eravamo tutti morti di fame, l'unico modo per evadere temporaneamente era saltare su un autobus o camminare fino alla stazione e andarcene in un paese confinante. A Napoli, quando avevamo voglia di qualcosa di livello superiore, quando volevamo vivere la metropoli. Il treno ce lo concedevamo quando avevamo i soldi per il biglietto, per l'autobus ci affidavamo alla bontà del conducente o al caso, sperando che non salissero i controllori e ci facessero scendere. Non era un gran danno, potevamo aspettare il prossimo mezzo o camminare, avevamo la vitalità strabordante dei ragazzi, i piedi buoni e nessuna paura di usarli. Così riuscivamo a sfuggire, per qualche ora, alla desertificazione esistenziale che ci assediva, prima di finire di nuovo risucchiati dalla sua devastante attrazione gravitazionale.

Il motorino, però, era tutt'altra cosa. Quanto era potente il concetto “ora prendo il motorino e me ne vado a Napoli”. Non è una domanda, non sto chiedendo di quantificare: era potentissimo. Non si doveva dar conto a nessuno, autisti e controllori compresi, non si doveva aspettare, c'era solo da sfrecciare e vincere sul traffico. L'unico ostacolo erano i temuti vigili, perché c'era sempre qualcosa che non era in regola. Anche se quella cosa non c'era, l'essere in difetto era uno stato dell'anima, anche in quei tempi abbastanza laschi da non imporre neanche il casco. La fobia, a prescindere, del posto di blocco.

Questa libertà l'ho vissuta solo da passeggero, cosa che mi pone in un sistema di caste mi porrebbe un gradino più in basso. O una persona di serie B, con una più modesta metafora calcistica. Sì, inconsciamente si fa questa distinzione tra guidatore e passeggero, specie negli anni delle scuole.

Sia quel che sia, ogni occasione di scappare da certe realtà è un'occasione perduta. A piedi, in Vespa, in bisarca, perchè no? Anche in Millennium Falcon, dalla metà del sellino destinata al passeggero.

 
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from Note a margine

23 della psicologia dellle forme apparenti (aforismi apocrifi di Leonardo da Vinci)

Caro istante

Per iniziare, darti la grazia per dedicare il tuo tempo, mio stimato e disinteressato lettore. Scrivere é una faccenda personale, si scrive per mettere ordine quando le idee sono confuse o per condividere convinzioni o proclamare certezze.
Nel mio caso non ho certezze da difendere perché la mia formazione di scienza mi induce a cercare le soluzioni migliore seguendo prove ed errori. Non difenderei fino alla morte le mie convinzioni perché potrei essere in errore, per questo apprezzo le differenti opinioni, perché possono arricchire le mie conoscenze, farmi cambiare la visione delle cose e raggiungere nuove conclusioni.
Fino a qui sono arrivato, solo con l'aiuto di altri potrei fare progressi, non ho una opinione in proposito, solo una avvertenza: non farti ingannare lettore da chi promette una unica e vera risposta.
La veritá é che le cose cambiano continuamente e le premesse errate ingannano i sensi.
Non c'é una unica risposta perché nessuno si pone le stesse domande, siamo figli del caso, non scegliamo i nostri genitori anche se abbiamo la opzione di scegliere con chi condividere parte del nostro cammino in questa esistenza, rimaniamo mammiferi limitati dal nostro ciclo di obsolescenza programmata.
Siamo animali sociali, nemmeno abbiamo un nome, questo ci viene imposto dai nostri ancestri biologici alla nascita, abbiamo un cognome perché ci viene imposto come atto normativo dai tempi della societá borghese, per arruolarci nel libro paga salariale e poter contrarre prestiti e legami sociali di altra forma. Ci insegnano dalla nascita il nostro ruolo, diritti e doveri, socializzamo con il gioco prima di terminare intrappolati in relazioni sociali protocollari e formali.
Ti fanno credere che esiste un progresso solo perché abbiamo piú conoscenze ed innovazioni tecnologiche, ma le barbarie continuano ad esistere anche in questo secolo di civiltá occidentale. Ti fanno credere che esiste un progresso, una crescita continua, in realtá ogni sistema si crea, si trasforma e si distrugge per trasformarsi in qualcosa di differente fondato sunnuove premesse ed acquisizioni, a questo servono le guerre, a mantenere in moto la economia di chi é incapace di soluzionare i conflitti con la diplomazia. Non ti stupisca la ingiustizia, se é vero che la legge é da rispettare, non tutte le leggi sono giuste.
Solo da vecchio avrai la saggezza di cui avresti avuto bisogno per fare le scelte giuste quando eri giovane. Ci sono cose alla base di cui dimentichiamo la esistenza, come respirere, camminare, osservare ed ascoltare.
Ci perdiamo nei pensieri del dopo, ricordando quello che era prima, per questo non abbiamo percezione di adesso, distratti dai troppi pensieri.

 
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from kipple


Da tempo avevo deciso di scrivere, in maniera diffusa, del mio rapporto, una volta conflittuale, con Napoli e provincia, posti dove sono nato, vissuto per troppo tempo e dove ho iniziato a morire.

Avevo anche cominciato in una bozza, qui, ma ho capito presto che ne sarebbe scaturito un flusso di coscienza lunghissimo e sconclusionato, difficile da scrivere per me e difficile da leggere per chiunque. A che pro? Ho risolto quel rapporto conflittuale: Napoli, con relativa provincia, non meriterebbe più neanche un secondo della mia vita o un neurone del mio cervello, tuttavia le ferite aperte sono troppe e non è possibile cancellare a comando settori della memoria. Da quella bozza ricaverò qualche articoletto da pubblicare di tanto in tanto, immaginando eventuali lettori immedesimarsi o meno in quelle situazioni, ravvisarne o meno problemi analoghi in altre aree geografiche; riassumo, intanto: ci sono modi molto più produttivi per sprecare tempo.

Napoli è una città bellissima, paralizzata dalla vitalità straordinaria e incanalata male di parte della popolazione. Napoli non ha speranza e sopravvive senza spiegazione.

 
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from ordinariafollia

ordinariafollia-log_026-2025.jpg

Portami il caffè a letto se vuoi ma non donarmi il tuo cuore dammi retta, so bene che puoi ma tienilo che ti potrà servire se non altro per campare.

Scrivimi con le dita parole sulla schiena mentre io provo ad indovinare se il tuo amore è più grande del mare ma tienilo, in ogni caso almeno un bicchiere solo per te.

Portami il caffè a letto se vuoi ma non darmi tutto il tuo amore dammi retta, so bene che puoi ma tienilo che ti potrà servire se non altro per continuare a fare quello che ti pare.

 
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from Rob's cabinet of mboh?

O quella volta che un Cretino di Crescenzago, un ranocchio di vetro e una tigre di pezza, in bilico tra nostalgia e speranze, cercarono di ricreare l'humus adatto per giocare strani Giochi di Ruolo nel Fediverso e tirarono fuori un hashtag poco comprensibile ai più.

Se volete risparmiarvi i miei deliri e andare subito al sodo, ⬇ ⬇ Qui ⬇ ⬇ trovate il TL;DR di questo post.

In principio fu la Forgia

In un tempo remoto, almeno così si dice, alcune persone coraggiose decisero di ribellarsi alla tirannia dei draghi capitalisti e palazzinari dal gusto finto-medievale. Nella loro cerca salvifica decisero di edificare una Forgia che potesse fornire all'umanità gli strumenti per debellare i giochi brutti che per essere giocati necessitavano di un dozzilione di costosi supplementi, manco fossero le uscite di Esplorando il Corpo Umano senza neanche il modellino per futuri chirurghi e/o serial killer in omaggio.

L'umanità quindi si riunì, guardò alla Forgia e le sorrise amorevole.

Non rompeteci i coglioni, noi vogliamo D&D, la regola d'oro, le avventure pre-generate, i venti milioni di manuali che ripropongono sempre lo stesso gioco... E non provate a dire che un gioco senza GM, dadi e crescita numerica dei personaggi è un gioco di ruolo, luridi cani hippy! linea di un fumetto che partendo dalla citazione qui sopra punta verso l'immagine qui sottouna donna dall'espressione inquietante armata di torcia e forcone

angry mob” by hans s is licensed under CC BY-ND 2.0 .

(Nerd e geek in fondo sono sempre persone ragionevoli)

Principiò dunque a lapidarla e, quando le braccia indolenzite non le permisero più di dar seguito alla giusta indignazione, si disperse per tornare alle proprie case a giocare a D&D.

Dentro la Forgia calò un po' di mestizia – girarono perfino voci di danni cerebrali – ma questo non fermò i loro sforzi. Non tutto era perduto; un piccolo, minuscolo, gruppo tra coloro che evidentemente avevano scelto di non iscriversi a ingegneria non aveva mosso loro violenza e anzi sembrava perfino annuire alle loro parole. La speme non era ancora morta.

Poi successero altre cose, credo; non penso siano importanti al fine del racconto e poi me le sono dimenticate e come sarebbe a dire che siamo nel 2025, l'ultima volta che ho controllato era il 2012 e avevamo tutta quella storia del calendario Maya a preoccuparci e...

Abe Simpson seduto su un tronco che racconta una storia ai bambini attorno

“Dai nonno, raccontaci un'altra storia”
“Non vi abbasta mai” (cit)

La vera storia in breve

The Forge fu un forum rivoluzionario nato al cambio di millennio, dentro al quale si gettarono le basi per la maggior parte dei GdR indie moderni, in aperto contrasto col paradigma dominante di quelli che amiamo definire Giochi di Ruolo “tradizionali”.

A distanza di venticinque anni la maggior parte delle persone continua a giocare i giochi più mainstream, con il solo D&D che occupa la quasi totalità dello spazio all'interno di questo hobby; se però the Forge è nata è perché comunque, dispersa nel mare magnum di internet, c'era un po' gente a cui il mondo così com'era cominciava a star stretto e per farla breve da allora esiste una nicchia di strani giochi indipendenti che, pur rimanendo marginale, nel corso degli anni ha assunto sempre più peso. Essere una nicchia minoritaria all'interno di una nicchia solo un po' più grande però comporta dei problemi, in particolare riuscire a trovare altre persone della tua tribù con cui giocare. Un'impresa il più delle volte disperata, ma per fortuna internet è giunta in soccorso di chi non riusciva a trovare anime ludiche affini attorno a sé.

Nel più classico degli effetti domino, in Italia la rivoluzione messa in moto da The Forge portò alla creazione di un forum chiamato Gente Che Gioca, in cui si poteva discutere di quegli strani giochi che cominciarono ad arrivare anche qui da noi grazie a Narrattiva e ad altre case editrici indipendenti più piccole che si aggiunsero nel corso degli anni, ormai purtroppo per la maggior parte cadute come mosche.

Fu però quando Google provò a fare concorrenza a Facebook col suo google+ che le cose cambiarono notevolmente per il gioco online: le Communities tematiche e gli Hangouts che permettevano di fare chat video con più persone in contemporanea di quanto permettesse skype gratuitamente erano la combinazione perfetta per popolare di una nutrita comunità di giocatorɜ indie un social che veniva percepito da moltɜ come una città fantasma in quella che in realtà fu un'esagerata profezia auto-avverante. Nacque così la Community Gente Che G+ e finalmente in tantɜ cominciarono a giocare con altra gente dai gusti simili.

Back to the Future

o vedi che ti combinano dei pisquani con troppo tempo libero

Questo raffazzonato excursus nel passato più o meno spiega l'origine del cacofonico hashtag #GenteCheFediGioca – scusateci, ma almeno io a trovare dei nomi sono una pippa e morirò prima di chiedere aiuto a chatGPT 😅

Il perché l'abbiamo tirato fuori invece dipende da una conversazione su Livello Segreto con @cretinodicrescenzago e @lvl3GlassFrog, quando parlando di giochi che ci sarebbe piaciuto provare è nato l'insano proposito di riportare qui sul fediverso lo spirito di Gente Che G+. O morire provandoci (credo, in realtà non mi pare che alla fine si fosse accennato a un patto suicida ma sono anziano e potrei sbagliarmi).

Al momento abbiamo cominciato in piccolo tentando di organizzare qualche giocata inter nos direttamente su XMPP, ma OMEMO, severo dio della crittografia e della sincronizzazione, non ci è stato favorevole, scacciandoci con infamia e ignominia tra le braccia di un Discord ben felice di intrappolarci nel suo recinto proprietario.

Pazienza, non si può vincere tutte le battaglie; l'antico vaso andava portato in salvo, c'erano le cavallette, eravamo in crisi d'astinenza... non giudicateci por nuestra vida loca, l'importante era cominciare a giocare.

L'ambizione però è un po' più grande del ritrovarci giusto noi tre una volta la settimana o giù di lì: anche se non abbiamo ancora idea di come fare e quali piattaforme sarebbe meglio utilizzare, se fonderemo una band che raggiungerà il successo in breve tempo per poi bruciarsi quando cominceremo a drogarci pesantemente, idealmente ci piacerebbe trovare un modo per far incontrare chi vorrebbe giocare di ruolo ma ha gusti un po' diversi dal mainstream. Soprattutto vorremmo che sia nel fediverso, lontano da recinti proprietari in cui devi iscriverti a qualche canale anche solo per poter vedere che cosa si dice da quelle parti - sì, sto pensando principalmente alla piaga di Discord utilizzato come forum/wikipedia che è una cosa che ho sempre odiato e... ok, la smetto con le lamentele da vecchio.

Sì, ma quindi cosa giocate voi hippy abbraccia-alberi con le vostre sigarette allegre?

Come potete intuire, l'idea di fondo è appunto esplorare l'immenso mondo ludico che c'è oltre l'ingombrante montagna di D&D. Io e CretinoDiCrescenzago seguiamo il lato indie della Forza (qualsiasi cosa significhi), mentre GlassFrog ama particolarmente l'OSR.

Beninteso, questi sono i giochi che piacciono a noi tre ma chiaramente, se la cosa prendesse davvero piede, niente vi vieterebbe di proporre quel che più vi aggrada e giocarlo con altre persone interessate. Però ecco, diciamo che se finiste a giocare coi sottoscritti, è lecito che vi aspettiate di trovare qualcosa di molto più matto in culo di, che so, Vampiri.

Per inquadrarci meglio, ecco cosa abbiamo giocato nelle due one-shot che siamo riusciti a fare finora:

La Storia al Microscopio

Il primo incontro ci è servito prevalentemente a capire cosa provare e nel poco tempo rimasto abbiamo improvvisato una partita a Microscope di Ben Robbins, un gioco di ruolo frattale in cui raccontiamo la Storia (proprio nel senso di Historia, non di racconto) di un concetto che a inizio partita decideremo di esplorare, muovendoci nel corso della partita avanti e indietro nel tempo, zoomando come più ci aggrada tra Periodi, Eventi e Scene.

screenshot della partita a Microscope, con una serie concatenata di Periodi, Eventi e Scene

Nel caso dei vostri tre amichevoli pisquani del fediverso, le cronache riguardavano la caduta e la riunificazione di un impero accentratore

Non starò a parlarvi del gioco in dettaglio (magari vi ammorberò in futuro quando mi tornerà la voglia di riprendere a scrivere qualcosa su Log), ma già questo dovrebbe bastare a darvi un'idea di quanto strano sia.

A più di un anno di distanza dall'ultima partita (fatta sempre grazie a Livello Segreto con @janawhoopwhoop e @raxaes) c'è voluto un po' a perché riprendessi la mano, tant'è che alla fine siamo riusciti a fare giusto un giro completo del tavolo, ma alla fine l'importante è essere riusciti a far partire il tutto.

Fotogramma di Frankenstein Junior con Gene Wilder in primo piano con gli occhi spiritati

Ma allora... Si! Può! Fare!

i PisCani sbirri della Fede

Al secondo appuntamento GlassFrog ha facilitato Cani nella Vigna, gioco “giovanile” di Vincent Baker, l'autore del ben più celebre Apocalypse World.

illustrazione in bianco e nero di una fanciulla armata di revolver che si nasconde dietro delle botti da una figura minacciosa in controluce, anch'essa armata

Qui qualcunə ha voluto escalare la situazione

(illustrazione del manuale italiano di Claudia Cangini linkata direttamente dalla rete, che trovarne una è un'impresa)

Qui lascio che siano le parole di CretinoDiCrescenzago a descrivere il gioco in 500 caratteri:

Post by @cretinodicrescenzago@livellosegreto.it
View on Mastodon

(mi sa che l'embedding dei toot pubblici silenziosi non li fa vedere direttamente, quindi vi tocca aprirlo)

Mettermi nei panni di una giovane sentinella della fede nel vecchio west è stata un'esperienza abbastanza straniante per quanto distante dalla realtà fosse, ma ammetto che più si ingranavamo e più il gioco mi ha preso.

È un peccato che il sistema dei conflitti utilizzato non sia stato più ripreso da altri giochi, che è decisamente interessante e non mi dispiacerebbe riaverci a che fare. Certo, richiede una quantità spropositata di dadi o tanto lavoro di annotazione dei risultati, ma per fortuna avevamo dalla nostra Tabletop Simulator e potevamo spammare dadi in quantità industriale... per una volta godiamoci uno dei pochi vantaggi di giocare online 😅

Uno sguardo nel futuro

Ovviamente abbiamo una lunga lista di giochi da provare quando riprenderemo a settembre.

Di alcuni, come Damn the Man, Save the Music! o House of Reeds ho già scritto qualcosa qui su Log; in futuro spero di aggiungerne altri (come quel Microfiction che spammo sempre), mentre altri ancora li lascerei descrivere direttamente a GlassFrog, che l'OSR non è proprio my cup of tea... 😅

In ogni caso sappiate che tra quel che il vitreo ranocchio vorrebbe giocare trovate Ultraviolet Grasslands, Vaults of Vaarn, We Deal in Lead o Cloud Empress.

Sì, ma alla fine che volete da me?

⬆ ⬆ No dai, non volevo saltare tutto, riportami all'inizio del post ⬆ ⬆

Ma niente; se ti piacciono i GdR pazzarielli che i Nerd Alpha perculano perché deviano dall'ortodossia D&Diana ma non hai con chi giocarli, se semplicemente odi D&D e vuoi fare piangere i Nerd Alpha, o se questo papello ha stuzzicato la tua curiosità e vuoi provare 'ste robe strane che citiamo, tieni d'occhio l'hashtag #GenteCheFediGioca, e incrocia le dita che se gli dei della forgia ci arridono magari riusciamo a dare vita a qualcosa di bello e far giocare un po' di gente qui sul fediverso :)

 
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from Super Relax


La bicicletta è, probabilmente, l'unica cosa nella mia vita che mi abbia dato un senso di progressione, almeno all'inizio: la differenza tra un'uscita e la successiva era tangibile, premettendo che ho iniziato a pedalare tardissimo.

Ho imparato, da piccolo, su un balcone minuscolo andando avanti e indietro, i miei volevano che imparassi ad andare in bici, ma senza troppa convinzione, tanto da non averme mai davvero una per un lasso di tempo soddifacente. Dopo un trasloco in un'altra regione, ormai decisamente adulto e libero da certe imposizioni, ne ho presa una. E poi un'altra, finalmente ce le ho e me le tengo.

Come detto in apertura, tornare in sella dopo decenni è un crescendo, fisico e di sensazioni. Muscoli si riattivano in maniera diversa e dolgono per qualche giorno, la bici sembra dura anche con rapporti che poi scopri essere leggeri, alla prima salita del 3-4% ti aspettano fiatone e battiti accelerati, per non parlare di pendenza davvero importanti! Il cuore inizia a battere così forte che sembra di sentirlo premere in gola, l'ossigeno non basta mai e sembra di non poter respirare abbastanza in fretta da sopravvivere, meglio fermarsi cinque minuti.

Quella salita sembra impossibile, la prima volta. Poi ci si riprova e sembra che qualcosa si stia sciogliendo, possiamo farcela... invece no, dobbiamo prima fermarci a riposare tre volte, poi due, ma infine la cima è nostra. Quando riusciamo a farcela in una sola tirata, la soddisfazione è fuori scala. Tutto sommato, non siamo i catorci che credevamo di essere, chissà a quali prestazioni potremo presto ambire. È il momento di attrezzarci per registrare e analizzare le nostre uscite.

Ho iniziato con OsmAnd~, che ha un nome orrendo ma in fatto di GPS (e interfacce complicate) credo abbia pochi rivali nel suo campo. Successivamente, ho voluto provare gli smartband economici della Xiaomi e l'esperienza è stata decisamente deludente; infine, son passato a un ciclocomputer economico della Bryton. Per l'analisi dei dati, ho creato un account su Strava, per quanto non sia sicuramente un amante dei servizi centralizzati nelle mani dei soliti noti, ma tant'è... poi già c'era un mio amico, che pedala da molto più tempo e da molti più chilometri, ho iniziato a seguirlo e ora ne seguo una decina. Conto di provare una qualche istanza pubblica di Wanderer, prima o poi. Edit: sto iniziando a disegnare qualche traccia sull'istanza di gatti.ninja

Strava usa i soliti mezzi, gamification compresa, per spingerci alla prestazione, al progress, “la canzone è sempre la stessa”. Carichi una traccia, rifai il percorso una volta, due. Strava confronta i tuoi tempi, sottolinea i miglioramenti, insinua che tu, come ciclista, possa farti notare in qualche modo, in mezzo a migliaia di altri account che incrociano i tuoi percorsi. Forse un poco ci credi, ma sono abbastanza disilluso e, nel frattempo, appena comprata la seconda bicicletta, quella buona, mi sono iscritto a Komoot, che è sempre altra roba proprietaria finita nelle mani dei soliti.

Tutto molto esaltante, fino a quando Strava non ci dice più che abbiamo battuto i nostri record, anzi: le prestazioni iniziano ad assestarsi, se non a diminuire. Siamo arrivati in cima, abbiamo già dato il nostro meglio, compatibilmente con età, forma fisica e allenamento. L'unico modo per ricevere altre scariche di gratificazione da Strava, sarebbe mettersi sotto e iniziare ad allenarsi seriamente, curare l'alimentazione come i pro... a che pro, dico io? Davvero abbiamo tempo e voglia, vogliamo cresce all'infinito come si crede possa e debba fare il PIL?

Non io, non ho tempo, voglia e possibilità. Non ho voglia di rendere più eroiche le mie uscite, voglio renderle più soddisfacenti. Voglio fermarmi più spesso ad ammirare il paesaggio e scattare qualche foto, voglio fare la discesa godendomi un po' di riposo dopo le pene della salita, senza badare alla velocità massima. Le salite voglio farle al ritmo che mi pare, per non scollinare mezzo morto, ma con quella sensazione di leggerezza mentale e beatitudine temporanea che dovrebbe accompagnarci per tutto il tempo. Sapete una cosa? Ci sto riuscendo: pazienza se perdo cinque minuti ogni ora, la soddisfazione non è riconducibile a una cifra, ma la so riconoscere benissimo.

Komoot è molto più interessante, dal punto di vista della pedalata in super relax. Non ci sono comparazioni, né con prestazioni passate né con gli altri, le statistiche sono quelle di base. Niente VAM e KOM, niente potenza stimata o rilevata. Gli iscritti sono più propensi a caricare foto, a lasciare qualche testimonianza sulle proprie uscite, qualcosa che vada oltre la sterile precisione del numero. È più istintivo rendersi conto che c'è una persona dietro quella traccia, una persona più interessata a godersi l'attimo che a migliore in un segmento o alzare la velocità media. Una persona che potrei essere io.

Non ho cancellato l'account di Strava, continuo a caricare le mie uscite e a cercare nuovi ciclisti in zona, ma la filosofia di Komoot è indubbiamente più vicina al Super Relax.

Ah, se solo l'avessi capito pri... no, non sarebbe cambiato nulla, perché della competizione non me ne è mai importato nulla e quel che voglio dalla bicicletta, ora, è recuperare tutte le sensazioni scivolatemi via in passato, fin quando avrò la forza e la voglia di pedalare.

 
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from Ore liete


Mio padre, quando decise di portarci in villeggiatura per la prima volta, fu categorico: “se mi stanco della montagna, ci facciamo una decina di giorni e ce ne torniamo a casa. È sempre stato un tipo da mare, come mia sorella; il restante 50% della famiglia, invece, preferiva e preferisce la montagna. A me il mare piace, sia detto: mi piace guardarlo, mi piace l'atmosfera delle località di mare, mi piace camminare e averlo di lato; stare spiaggiati sulla sabbia in una calca di sconosciuti, a morir bruciati dal sole e accecati dal riverbero, a fare chissà cosa, proprio no.

Mio padre era impiegato comunale, autista di mezzi vari, e la montagna gli piacque così tanto che volle provare, per la prima volta questi “giorni di malattia” di cui tanto si parlava in certi ambienti. Niente di truffaldino, anzi: una leggera febbricola, accompagnata da sintomi collaterali vari, fu giudicata sufficiente dalla guardia medica per chiedere e ottenere quattro o cinque giorni di malattia. Questo era accaduto nel tardo pomeriggio di quel ferragosto.

Il giorno dopo, stavamo guardando il Palio di Siena nel piccolo televisorino da 12” che ci eravamo portati dietro: non che ne avessimo di più grandi, era l'unico che avevamo in casa, chiaramente in bianco e nero. Ero ancora abbastanza piccolo da trovare divertente il Palio, già dopo pochi anni iniziai a chiedermi cosa avessero fatto quei poveri cavalli per trovarsi lì, a fare quello che facevano. Bussarono alla porta ed erano i carabinieri.

Ebbi paura, che volevano? Era successo qualcosa a qualcuno? Qualcuno in famiglia aveva combinato un pasticcio di cui non sapevo nulla? No, fortunatamente, erano solo venuti a controllare, e mio padre davvero stava in pigiama, con la voce nasale e le medicine in giro.

Va bene, ma il 18 mattina dovete essere al lavoro: così si esaurirono rapidamente gli unici due giorni di malattia della vita lavorativa di mio padre. Ci avevano trovati, in un lampo, chiedendo un po' in giro, al barbiere che ci aveva accorciato i capelli qualche giorno prima, “stanno nella casa di...”.

Hanno fatto il loro dovere, non c'è nulla da dire in merito; tuttvia, ancora oggi ripenso a quella sollecitudine, con una punta di amarezza solcata da una striatura di facile populismo. Penso ai latitanti che latitano per decenni nel paese dove sono nati e dove sono sempre vissuti, con le istituzioni che sembrano brancolare nel buio e i compaesani ignari di tutto, dietro quel muro di omertà del Sud che al Nord si chiama dignitoso silenzio.

La faccenda si concluse con mio padre che diventò un pendolare della villeggiatura: tornava a casa e andava al lavoro, poi il venerdì sera ci raggiungeva e la domenica pomeriggio ripartiva.

E stare soli con nostra mamma era un'esperienza nuova, ma ugualmente bella. E quando tornava mio padre, era sempre una piccola festa.

Questo pendolarismo fu possibile solo nelle nostre villeggiature sul Matese, a circa 80 km da casa: in Abruzzo si sarebbe trattato di un viaggio di oltre 200 km, ogni volta, quindi facevano i nostri 15-18 giorni e tornavamo nella bruttura del nostro quotidiano.

 
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from Super Relax


Io vado piano e i miei motivi sono molteplici, il primo è che più di così non ce la faccio. Mi piacerebbe andare più forte, per arrivare più lontano nel tempo che mi è concesso per pedalare, ma la lentezza mi porta al secondo motivo: inseguire la prestazione ti fa perdere di vista tutto il resto.

Relativamente alle velocità solite dei ciclisti, c'è una sorta di posizionamento immediatamente visibile a chiunque abbia un minimo di consapevolezza del mezzo: un ciclista da strada mi supererà sulla gravel, io supererò un rider in mountain bike (di solito). E sarò sorpassato da un collega in gravel, ma va bene così.

Gli appassionati di MTB sono forse scarsi? Assolutamente no; hanno un motivo più che valido per andare alla loro velocità: non gliene importa niente della velocità media e i tratti pianeggianti, o dalle pendenze scarse, non sono altro che momenti di raccordo tra una salita che non potrei affrontare o un tratto sconnesso e irregolare che non saprei affrontare.

Quando incontriamo un ciclista, non sappiamo quanti chilometri e dislivello abbia già percorso o dovrà percorrere. Non sappiamo se abbia dormito bene, si sia nutrendo regolarmente durante lo sforzo, se stia facendo un esercizio specifico, se sia lì per un KOM o per godersi il paesaggio e la libertà della bicicletta. Ai ciclisti lenti, e a quello che non vediamo, vada il nostro incoraggiamento.

Stamattina, calda domenica estiva, stavo facendo una delle mie salitelle solite, adatte a tutti, quando ho incontrato un ciclista visibilmente più lento di me; non mi sono soffermato troppo sulla bici, ma sembrava una sorta di gravel col manubrio flat, non erano gomme da MTB. L'ho superato, ci siamo salutati, io ho continuato il mio giro, lui il suo. Dopo un'oretta, ci siamo incontrati di nuovo, probabilmente al punto più alto delle nostre uscite. Su un passo, dove si scollina o si torna indietro, entrambi siamo tornati indietro. Mi ha rivolto un largo sorriso, ho contraccambiato, dicendomi “ora inizia la discesa”.

È stato un momento tenerissimo, ho capito che per lui quella salita era stata abbastanza impegnativa (ricordate: non sappiamo mai, con sicurezza, cosa ci sia dietro una pedalata) ma l'aveva superata, ora poteva godersi il riposo della discesa e il piacere del vento sulla pelle, in una giornata caldissima. Così come si era goduto il panorama in salita, alla sua giusta velocità.

Il ciclismo amatoriale, lontano da Strava e dai watt, è bello anche per questi momenti

 
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from Ore liete


Non so, effetto Mandela o allucinazione collettiva in famiglia? Fatto sta che credevamo quella forra fosse in località Sprecavitelli. Non sapevamo neanche fosse una forra, per noi era un generico burrone. La vera Sprecavitelli è una località nei pressi del Lago Matese, mentre il ponte di Arcichiaro, questo il vero nome, svetta sul torrente Quirino, che siamo sicuri di non aver mai visto. Per gestire queste acque, successivamente, è stata costruita una diga, di cui non so granché, a parte il fatto che sembra i lavori siano iniziati a fine anni Novanta e completati all'italiana, solo parzialmente, almeno fino al 2023.

Allego un paio di foto d'epoca, della mia epoca, così ci togliamo il pensiero e potete smettere di leggere. Scattate con la mia solita reflex delle vacanze, classicamente 36 esposizioni da far durare dalle due alle quattro settimane.

Imbocco di una brevissima galleria, visibile a destra un tratto di strada e a sinistra l'esterno della stessa che si sporge sul vuoto ed è caratterizzata da alcune piante che crescono sulla nuda roccia.

Protagonista della foto, la brevissima galleria che introduce al ponte, sulla SP 331, Strada Provinciale del Matese, in territorio già molisano, nello specifico territorio di Guardiaregia. Proprio Guardiaregia era, probabilmente, la meta di queste nostre escursioni in Molise, una regione vicina ma che non ci siamo mai presi la briga di esplorare, se non per visita a Venafro, Isernia, Bojano e Castelpetroso.

Sporgendoci dal lato roccioso, l'impatto era impressionante, abituati come eravamo a panorami ben più cittadini: una profonda fenditura tra le rocce, un dislivello tale da dare le vertigini e esercitare quella morbosa attrazione per il vuoto, non penso sia solo una questione mia. Credo sia un panorama interessante e pericoloso anche per gente più avvezza a montagne più imponenti.

Profonda forra caratterizzata da una vegetazione alquanto scarsa, in una vecchia foto

Ebbene, per molto tempo ho cercato quella galleria su Maps, per ripercorrere almeno immaginariamente quella strada sospesa su un piccolo, relativo nulla, per rivivere quei momenti ancora una volta, perché non sarà giusto abbandonarsi ai ricordi, ma capita che i ricordi siano l'unico sprone a continuare. Non sono mai riuscito a risalire al punto, intenzionalmente: in molti casi, quando si cerca una cosa e non la si trova, si sta cercando nel posto sbagliato; era uno di quei casi, e da un caso è arrivata la soluzione.

Ho una bicicletta e sogno di usarla per viaggiare, al momento è assolutamente impossibile. Dovessi vivere abbastanza a lungo, perché non si sa mai, nella migliore delle ipotesi ne avrò la possibilità quando non avrò più forza per pedalare e permettermi certe distanze. Non che oggi percorra chissà quanti chilometri, ma ho diversi limiti a cui attenermi, la libertà può essere costretta da troppe pareti.

Stavo fantasticando sul percorso da fare per pedalare fino a San Gregorio Matese: tragitto fattibilissimo, in un giorno, da una persona allenata e io non sono quella persona, quindi dovrei spezzare in due. Il problema è la salita finale, circa 11 km con una pendenza media del 5,5% circa, potrei farcela ma c'è un “ma”. Più di uno, in realtà: la salita è alla fine del percorso, quindi ci arriverei già stanco, la soluzione potrebbe essere quella di sopra, ovvero fare due tappe. Il “ma” grosso, diciamo il MA, sta nell'irregolarità della pendenza e l'ostacolo insormontabile sarebbe uno strappo di circa 400 metri al 14% medio e punte del 18%, a cui seguirebbero altri strappetti analogamente ripidi ma brevi. Non avrei la condizione fisica per quello strappo, dovrei scendere e spingere su una strada stretta.

Come le so queste cose, dov'è che vado a fantasticare? Su Komoot, per esempio: è l'universo immaginario delle cose che mi piacerebbe fare e non farò mai. E sto fantasticando di tornare a Piedimonte, Castello, passare San Gregorio e raggiungere il lago, ormai ho perso la speranza di individuare la finta Sprecavitelli. Complice una zoomata non richiesta (ancora il caso), la mappa si rimpicciolisce e mi appaiono le altre icone dei punti di interesse, una delle quali con la dicitura “Ponte del Diavolo (Arcichiaro)”: di ponti del diavolo ne è pieno il mondo, ma fammici guardare... ed eccolo lì, il posto non può essere che questo. La vegetazione è più folta che nella mia testa e in quelle due foto, scopro che sotto c'è una diga, parte della montagna è stata grattata per ricavarne materiale da costruzione, i guardrail sono rinforzati nello scopo da griglie di contenimento. Cambiamenti estetici, l'essenza del ricordo è immutata.

 
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from ...ma di' soltanto una parola.

Una premessa doverosa.

Dato che qualcuno potrebbe anche incappare in quanto scrivo, meglio precisare che:

1) scrivo per me, per una necessità di “mettere ordine”.

2) scrivo delle mie esperienze personali nella ricerca della fede.

3) scrivo di teologia perché mi appassiona. Precisamente scriverò dei miei studi di teologia.

Quindi: non desidero mettermi in cattedra, diffondere verità assolute o insegnare niente a nessuno, ma se vorrete parlare con me di ciò che scrivo, ne sarò immensamente felice.

Due note su di me: 56 anni, collaboratrice scolastica, diplomata in Ragioneria. Neanche una parola di inglese. Rapporto tumultuoso con la tecnologia. A dire poco...

Visto: lo dicevo che non bisogna prendermi sul serio! :–)

Un abbraccio al mondo.

 
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from Il quaderno del Cretino di Crescenzago

Per la prima volta mi servo di questo blog per mettere in ordine fatti puramente miei personali, senza pretesa di estrapolarne ramificazioni sistemiche.

Ieri con l'associazione ludica cui partecipo abbiamo svolto qui a Milano (o meglio, nel verde sobborgo di Cologno Monzese) la quinta LudiCon, una due giorni di partite a giochi di società auto-organizzata e autogestita, e per la prima volta ci abbiamo pure inserito una conferenza divulgativa di game design (quando sarà disponibile in streaming, inserirò qui il link). Ne sono uscito assai soddisfatto, giacché nel corso della convention mi sono goduto quattro appaganti partite ad altrettanti giochi di ruolo:

  • Il quarto collaudo di Sogni di Luce e Tenebra, un mio pacchetto di regole aggiuntivo per Archipelago, grazie al quale giocare le atmosfere dei romanzi dark fantasy di Tanith Lee. Finalmente il nucleo centrale del pacchetto è pronto e funzionante e posso pensare di espanderlo un po' e predisporne la pubblicazione.
  • Una partita a Dawn of the Orcs in lingua inglese, perché facilitava il gioco una coppia italo-yankee, al termine della quale abbiamo dissezionato assieme tutto il potenziale lasciato inespresso da un design approssimativo e poco sistematico... e dopodiché la cosa è spontaneamente escalata in uno scambio di considerazioni sulla didattica e la letteratura di genere.
  • Poche settimane dopo essermi rigiocato il mio amato Lady Balckbird dal ciclo dei Tales from the Wild Blue Yonder, finalmente ho provato il gioco prequel Lord Scurlock... e ho recitato un androide elettroplasmico in lite di eredità con la sorella strega e il fratello pirata dei cieli. È stato estremamente appagante infilare tutto il mio autismo nel povero robot “socialmente inetto” in mezzo alle cospirazioni da “umani normali”.
  • In totale improvvisata, ho rispolverato Microfiction (la casa editrice ha chiuso ma è ancora reperibile qui), un titolo di cui sono stato playtester e conosco come le mie tasche ma non proponevo da tempo, e ne abbiamo ricavato una miniserie sword & sorcery all'insegna del trash, con ampie ed estese parodie (se non proprio satire?) di quella cinemtografia pop anni Ottanta che piace fin troppo ai millenial conservatori.

E alle quattro partite, aggiungiamo infinite chiacchiere inerenti lo stato del design del medium GDR ad oggi; la possibilità di tassonomizzare i giochi di ruolo fra giochi OSR e “giochi non OSR e quindi per persone finocchie” (spoiler: fa ridere perché la sottocultura OSR è spaccata fra uomini GenX reazionari e donne transgenere neurodivergenti); le disfunzioni di un'accademia che si finge progressista come specchio per allodole per nascondere la sua piena adesione al capitalismo; la discreta qualità hardware della Nintendo Switch 1 Lite; la socializzazione con una conoscente (via via sempre più amica) che condivide con me neurodivergenza e gusti ludici; gli aggiornamenti sui casi della vita di persone che non incrociavo da anni (menzione speciale alla conoscente che ha iniziato la terapia ormonale per la transizione di genere ed è raggiante di “seconda pubertà” estrogenica <3 ).

E qui viene il momento bello, il momento in cui ho fatto un bilancio. Durante questa convention, ho riso come un matto davanti alle affettuose imitazioni caricaturali che un conoscente (via via sempre più un amico) fa dei miei manierismi più astrusi, per poi abbracciarmi; persone nuove mi hanno definito estremamente interessante, grazie alle riflessioni e ai contenuti che ho portato nella conversazione; ho partecipato a ragionamenti sofisticati di analisi del design, dissezionando regolamenti e l'interazione fra le loro parti mobili, proprio come da novellino vedevo fare agli “anziani”; e soprattutto, durante l'ultima cena mi sono seduto spalla a spalla con un pischello del 2004 che si è trovato ad assimiliare aneddoti e ritualità condivise da tutta la comitiva, risalenti, in alcuni casi, addirittura a 15 anni fa... e in alcuni di questi aneddoti appariva pure il me ventenne appena entrato nel giro.

Insomma, la cosa più bella che mi porto a casa da queste giornate è la sensazione di volere molto bene al me stesso ventenne, che per dieci anni ha abitato l'ambiente ludico con tante gaffe, tanti incespichi, tanti buchi nell'acqua, tante fasi alterne, ma sempre con umiltà, curiosità e propositività (e questo voglio riconoscermelo): ho seminato bene per dieci anni, e ora mi porto a casa un bel raccolto, a distanza di un mese e mezzo circa dal mio trentesimo compleanno, un trentesimo compleanno che mi vedrà dotato di contratto indeterminato e casa di proprietà, in un territorio che amo e dove sto cercando di seminare bene, ieri come oggi. Se ripenso al me stesso timido e impacciato e spesso insicuro del tardo 2015-inizio 2016, non posso che essere fiero di lui e della strada che ha fatto, negli hobby culturali come nella militanza sociale (che poi per me si intrecciano assieme nella Controcultura con la maiuscola, e formano un tutt'uno).

Per altro, proprio in quegli anni tre mie canzoni del cuore erano, in ordine di pubblicazione, “It's Time” (Imagine Dragons), “Wake Me Up” (Aloe Blacc) e “Top of the World” (Greek Fire): tre canzoni scoperte in quanto colonne sonore ufficiali o ufficiose di film e cartoni animati del periodo, in particolare La leggenda di Korra e Noi siamo infinito; tre canzoni che parlano della transizione da una fase a un'altra, della malinconia di abbandonare ciò che è noto e confortevole, dell'energia positivamente strafottente di gettarsi nelle nuove sfide, dell'irrequietezza languorosa di barcamenarsi in un equilibrio nuovo, della determinazione di non abbandonare né il passato che ci ha dato forma né i sogni prescelti come bussola del proprio futuro... tre canzoni che inserii in una playlist per il mio partner di fine università (nonché mia prima relazione romantica), il quale mi pronosticò un bel futuro, una volta diventato wiser and older (citando “Wake Me Up”). Ora che i primi capelli grigi mi sono arrivati, e sono stato definito “un saggio della montagna” e “un ottimo cartomante”, mi permetto di riconoscermi che un pezzo del viaggio bello denso di cose l'ho completato con successo, arricchendo la comunità attorno a me, e posso iniziare la nuova fase citando un'altra canzone del cuore di dieci anni fa: “Go ahead and tell everybody I'm the man. Yes, I am.”

 
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from Warp

Ciao Livello Segreto, buondì. In queste torride giornate abbiamo pensato bene di tirar fuori un argomento in grado di sollazzare al meglio i nostri freschi cervelli: come gestire i contenuti fatti in AI nel nostro angolo di Fediverso.

Aldilà di quella che è stata poi la decisione presa ci tengo a sottolineare come sia estremamente felice e soddisfatto di questo thread: https://livellosegreto.it/@ed/114879077658852032

Non tanto per la posizione delle risposte (beh, un po' sì a dirla tutta), ma soprattutto per il fatto che fossero motivate e con spunti interessantissimi.

Però sì, dai, va detto che si gongola un po' quando in occasioni come queste ci si rende conto che forse un posto popolato da persone con idee e ideali simili siamo riusciti tutt3 insieme a tirarlo in piedi.

Andiamo al sodo.

I contenuti generati con AI non sono in linea con i valori attorno a cui è nato Livello Segreto e vi invitiamo a non postarli.

Questo non significa che chi li pubblica verrà bannato per direttissima, ma che: 1. si scoraggiano le persone a pubblicare qualcosa di simile (lo spazio sul server non è infinito e preferiamo che venga usato per cose umane che da AI) 2. se proprio dovete pubblicare qualcosa di simile (per far passare un punto o per mostrare qualcosa) usate il CW. 3. ci riserviamo di richiedere la rimozione di eventuali contenuti simili qualora lo ritenessimo sensato (lato admin/mod, ma anche lato comunitario: i report funzionano e vi invitiamo nuovamente ad usarli)

I discorsi sull'AI vanno benissimo – anche senza CW –, ma vi chiediamo di usare gli hashtag #ai e #ia così da permettere a chi volesse di silenziarli preventivamente.

È tutto, ora possiamo tornare a parlare di quanto sia bello fare il bagno in un laghetto fresco (o almeno pensarci così da avere un po' di frescura nel cervello).

Dubbi, domande o perplessità: scriveteci. Ed & Kenobit

 
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