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from TridiComics

Premessa: il seguente scritto è la trasposizione di un mio articolo apparso sul numero 338 di Fumo di China, uscito a febbraio 2024. Questa versione è stata riscritta utilizzando i caratteri ə e ɜ come suffissi a nomi e aggettivi per esprimere il non-genere. Questa scelta deriva dalla mia personale prospettiva socio-politica che riconosce il genere come un costrutto sociale arbitrario e storicamente determinato che può (anzi deve) essere superato.

Avvertenza: il dibattito italiano sulle IA generative è deragliato furiosamente quando Eris Edizioni ha annunciato, il 9 ottobre 2023, la pubblicazione di Sunyata: un progetto editoriale che impiega immagini generate dall’IA proposto da Francesco D'Isa. Sebbene questo articolo contesti un pezzo di terminologia dei comunicati di Eris e D'Isa, si prega di non impugnarlo per rivolgere loro ulteriori attacchi.

  1. Giano confonde il dibattito

“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”

La celebre battuta del Palombella Rossa di Nanni Moretti, pronunciata nel film dal nevrotico alter ego del regista, metteva in guardia lə spettatorə contro la mistificazione, deliberata o meno, del linguaggio. Anch’io credo, come Moretti, che le parole siano “importanti” in questo senso: che una terminologia esatta sia necessaria per orientarsi su argomenti di notevole complessità.

La rapidità con cui l'intelligenza artificiale (IA) generativa è stata introdotta nel mondo dell’arte ha colto di sorpresa la comunità creativa gettandola nel panico e nella baraonda. La discussione è incentrata, giustamente, su quanto sia lecito o etico lo sfruttamento di contenuti generati a partire da dataset ottenuti estraendo indebitamente dalla rete materiali sensibili o protetti da copyright e (ma molto a margine) su come immaginare l’arte oltre il capitalismo.

Se però unə creativə (come me che sono un generico fumettista di “piccolo cabotaggio”) volesse immediatamente comprendere la natura della AI-powered creativity, dovrebbe confrontarsi fin da subito con un linguaggio mistificato. Questa ambiguità è figlia di due diverse narrazioni che, però, provengono dalla medesima fonte: le aziende che sviluppano e possiedono le varie IA generative come Midjourney, DALL·E, Stable Diffusion, ChatGPT, etc. Come il proverbiale “Giano bifronte”, la comunicazione di queste società cambia infatti a seconda dei soggetti a cui è rivolta:

• Quando parla alle maestranze creative: l’IA è raccontata come strumento innovativo per facilitare il lavoro dellɜ artistɜ umanɜ (come nella promozione della feature di riempimento generativo recentemente implementata in Adobe Photoshop). • Davanti a investitori o altri imprenditori: l’IA è presentata come un servizio che, facendosi carico del lavoro creativo, sostituisce integralmente lɜ artistɜ umanɜ.

La IA generativa è quindi strumento, servitore o entrambi? La stessa espressione AI-powered creativity, utilizzata dal filosofo della scienza Arthur I. Miller, gioca sulla polisemia della parola inglese power che può indicare sia una facoltà (power-up, un potenziamento) che una forza lavoro (Inhuman-power, una maestranza non umana).

  1. Il supporto fa l'artefice

Nel panorama del Fumetto italiano, Lorenzo Ceccotti (in arte LRNZ) e Francesco D'Isa (che ha annunciato di aver dato alle stampe un fumetto la cui immagine è generata dall’IA) hanno affrontato la questione in modo approfondito e stimolante (i loro articoli: ”Click To Image” di Lorenzo “LRNZ” Ceccotti; “Non fa tutto il computer: il ritorno di vecchie perplessità nell’arte digitale” di Francesco D’Isa) provando a capire in che termini le IA sono artefici o strumenti. Con i miei limiti in fatto di esperienze, competenze e conoscenze, scrivo in appendice alle loro considerazioni adottando una prospettiva analitica e il più possibilmente concreta (ne esistono altre altrettanto legittime: post-moderniste, post-strutturaliste, estetiche, esoteriche, sciamaniche, new age etc. che però si pongono oltre la determinazione semantica).

Da questo mio punto di vista, introdurre il concetto di supporto rivela il grave errore logico-semantico nel considerare un’IA generativa uno strumento al pari di matite, pennelli, tavolette grafiche, macchine da presa, etc. Per amore di semplicità, mi limiterò alla realizzazione di un'opera senza considerare la sua successiva riproduzione, proiezione, diffusione, etc.

In termini marxiani, si potrebbe dire che un'opera d'arte è “un bene (materiale, immateriale, performativo, muto, comunicante, etc.) il cui valore d'uso è la propria esistenza”. Un tavolo viene prodotto innanzitutto per fare da superficie d'appoggio mentre un dipinto, prima ancora di essere contemplato per il suo valore estetico, viene creato per essere creato. Ars gratia artis: l'arte è fine a se stessa.

Allora la produzione artistica è un “processo creativo in cui uno o più artefici, utilizzando uno o più strumenti, realizzano un'opera d'arte (in cui, parafrasando McLuhan, forma e contenuto coincidono) derivata da un impulso (l’idea guida secondo cui l'opera viene creata e modellata)”. Questa definizione è però incompleta perché introduce un problema di attribuzione. Infatti, nel caso in cui l'impulso venga da un committente (il mandante che affida l’incarico di produrre l’opera), per separarlo dal processo creativo non basta dire che la sua idea primitiva si esaurisce man mano che il lavoro viene completato da altrɜ. La forma-contenuto finale conserverà comunque una qualche relazione, seppur flebile e residua, con la visione iniziale. È quindi giusto attribuire le opere d'arte anche allɜ committenti (per esempio nominando papa Giulio II co-autore degli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo)? Oppure si può comunque tracciare un confine netto tra committente e artefice?

In nostro aiuto viene il concetto di supporto inteso come “il campo inerte in cui si esprime (o imprime) la produzione artistica”. In questo caso, l'aggettivo “inerte” non significa strettamente “passivo” o “inanimato”. Un supporto può infatti essere allestito o accadere, diventare parte integrante dell'opera oppure perdere ogni legame con essa, essere manipolabile o meno, materiale o immateriale, etc. Il supporto è “inerte” perché, al contrario degli strumenti, non incide ma vi si incide (in senso lato) durante il processo creativo. Ecco alcuni esempi pratici di artefici, strumenti e supporti nei vari media:

• Nella fotografia: lə fotografə (artefice), usa la macchina fotografica (strumento) per catturare una scena su pellicola (supporto). • Nel disegno tradizionale: lə disegnatorə (artefice) traccia con vari utensili (strumento) su tela, foglio, tavola, etc. (supporto). • Nel collage: lə collagista (artefice) lavora con vari materiali e leganti (strumenti) su un piano di ritaglio e composizione (supporto). • Nel cinema: varie maestranze (artefici come attorɜ, operatorɜ, regista, etc.) usano varie risorse (strumenti come recitazione, macchine da presa, attrezzatura di scena, regia, etc.) nel set cinematografico (supporto). • Nell’arte concettuale: l’artista (artefice) esprime significati disponendo forme significanti (strumenti) su oggetti, eventi o spazi referenti (supporto).

In ambito digitale il discorso non cambia. Sebbene strumenti (softwares, dispositivi di puntamento, etc.) e supporti (interfaccia grafica, monitor, touch screen, etc.) siano simulati o simulanti, mantengono comunque il ruolo di strumenti e supporti.

• Nella scrittura digitale: lə scrittorə (artefice) utilizza tastiera e software di scrittura (strumenti) per scrivere le parole nel foglio virtuale (supporto). • Nel disegno digitale: lə disegnatorə (artefice) utilizza software di disegno e penna digitale (strumenti) agendo sullo schermo della tavoletta grafica che contiene un’area di disegno virtuale (supporto).

Non sono né gli strumenti (che possono essere rudimentali) né le competenze (che possono essere scarse) a fare l’artefice, ma l'accesso esclusivo al supporto durante il processo creativo. Unə committente può essere artisticamente capace e coltə, ma finché non incide nel supporto, restando fuori da quel “campo inerte”, non partecipa alla produzione artistica e quindi non può attribuirsi il ruolo di artefice. Unə pittorə espertə può ordinare a unə bambinə di disegnare un fiore ma, finché non interviene su quel supporto foglio, non può dirsi artefice di quella rappresentazione.

Il ruolo del committente si limita quindi a trasmettere impulsi (idee, istruzioni, indicazioni, richieste di modifica, references, etc.) all’artefice mediante terminali di comunicazione (mentali, vocali, materiali, digitali, etc.). Anche nel caso in cui un’enorme quantità di impulsi venisse comunicata per affinare il processo creativo, committente e artefice sono comunque separatɜ dall'accesso al supporto dove si esprime la produzione artistica. Paradossalmente, anche unə artista è committente di se stessə quando si auto-trasmette mentalmente un’idea. Solo poi, quando inizia a spaziare sul supporto, si fa finalmente artefice della propria creazione.

  1. L’homunculus artifex

Applicando quanto appena detto a un’IA generativa, per esempio una che produce opere visuali text to image (TTI), possiamo dire che:

• L’utente umano (committente), digitando dei prompt di testo (impulso), dà indicazioni affinché l’IA TTI (artefice) produca un’immagine impiegando dataset e blocchi della propria architettura software (strumenti) e lavorando all’interno di uno spazio procedurale (supporto).

I prompt possono essere così numerosi e dettagliati da condurre a un output che soddisfi alla perfezione l'intenzione dell’utente umano, ma in nessun modo possibile questo può attribuirsi la paternità delle opere generate dall’IA perché lo spazio procedurale è trascendente, oltre la realtà fisica, e quindi è un supporto inaccessibile. Con l’AI-powered creativity si è avverato, in senso figurato, il sogno alchemico di creare l’homunculus, la leggendaria forma di vita artificiale descritta da Paracelso, per affidargli la produzione artistica. La IA è quindi un homunculus artifex che, solitario, genera opere d’arte chiuso in un’ampolla da cui può ricevere input e restituire output ma in cui nessunə umanə potrebbe mai entrare per partecipare al suo lavoro.

In virtù dell’accesso esclusivo al supporto-spazio procedurale, le IA sono le uniche artefici dei contenuti che generano, non strumenti utilizzabili da artistɜ umanɜ. Per questo credo che chiunque le descriva come qualcosa di analogo a pennelli, matite, software di disegno, tavolette grafiche, etc. vada contestatə fermamente. Considero inoltre scorretto chi scrive prompt e si dichiara “Artista IA” per rivendicare come sua un'opera realizzata dall'IA.

Bisogna accettare il fatto che le IA generative siano artiste, ma non è detto che dobbiamo fare loro guerra con foga luddista. Al netto delle questioni (ancora da risolvere) relative allo sfruttamento dei dataset, le IA possono rivelarsi utili per democratizzare l'essere committenti, eliminando le barriere di censo per chi non può permettersi di assoldare unə artista umanə. Credo inoltre che, in futuro, queste saranno preziose collaboratrici (per esempio il giorno in cui sarà l'IA a mettere i flat sulle tavole dellɜ fumettistɜ quando questɜ non avranno sufficiente tempo per farlo direttamente né la disponibilità economica per assumere unə flattista umano). E potrebbe rivelarsi stimolante fare generare all’IA del materiale artistico di partenza con cui sperimentare e realizzare (con strumenti e supporti accessibili) opere attribuibili ad artistɜ umanɜ.

Continuare invece a sostenere che le IA generative siano strumenti resta un errore grossolano che si può fare in buona fede (specialmente se non si masticano questioni artistiche troppo sofisticate e distanti dalla quotidianità), perché vittime di allucinazione per l'eccessivo entusiasmo o per condurre una vera e propria operazione di mistificazione e depistaggio.

 
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from pop e memorie


Stavo ascoltando della musica, poi mi son scocciato e ho tolto le cuffie: nulla, sentivo ancora quelle due canzoni in rotazione. “Sly” degli Scorpions e “In the hands of time” degli Hardline. Allora spengo il computer, pensando che magari provenga dalle casse. Nulla. Stacco la corrente in casa e i due pezzi continuano a tormentarmi, allora vado da uno specialista (specialista in cosa, in auricolari invisibili) che non riesce a identificare il problema.

Mi sembra di impazzire sia per la ripetizione continua delle stesse canzoni che per l'inspiegabilità della cosa. Dopo varie peripezie, vado a una festa con un tizio e risolviamo il mistero: c'è una nana orrenda, una specie di folletto somigliante a Linda Blair dopo la faccenda del crocifisso. E' stata lei a iniziare il tutto, mordendomi... ora potrebbe mordere anche la gente intervenuta alla festa, quindi bisogna fermarla. La rincorriamo, riuscendo alla fine a imprigionarla in una scatola delle scarpe: ora si tratta di neutralizzarla.

In the hands of time continua a spaccarmi le meningi, l'amico mio mi passa un martello e dice “adesso alziamo un poco la scatola, tenterà di scappare e la spaccheremo a martellate”. Solleviamo la scatola e ne fuoriesce un 33 giri col volto della nana orrenda stampato sopra. Lo prendo a martellate, va in frantumi e mi sveglio. Mi ero addormentato con le cuffie, al momento del risveglio c'era Sly in esecuzione.

 
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from videogeco


Dicembre 2024, pare siano passati 30 anni dall'uscita della Playstation, anche se in Europa e in Italia arrivò diversi mesi dopo. Non parlerò delle solite cose, dell'impatto, della rivoluzione, di quel che si legge ovunque. Scriverò della PSX, come è erroneamente ma anche universalmente conosciuta, nel micromondo dei miei amici.

Intanto, non l'ho mai comprata, la prima iterazione come tutte quelle che verranno. Mai stato un fan delle console, mi piaceva il concetto (di allora) ma non facevano per me, il mio pane quotidiano erano gli arcade e il PC. Le mie uniche concessioni sono stati Wii e NDS: oggetti piuttosto anomali, facili da trovare usati e giochi facili da ottenere.
I miei amici, però, prima o poi l'hanno avuti tutta. Un paio, tra i più possidenti, hanno pure speso quello che all'epoca era un capitale per aggiudicarsene una d'importazione. Voglio parlare della maggioranza, però, di quelli che hanno atteso e risparmiato per potersela permettere.

L'epicentro del fenomeno Playstation, per noi, era un mitico negozietto di videogiochi di un comune confinante, conduzione familiare, padre e figlio. Il padre, compatibilmente con l'età, non ne capiva granché, ma era un appassionato venditore. “In questa confezione c'è il demóne”, diceva ai possibili clienti. Che poi non erano possibili, erano lì sapendo che l'avrebbero presa, in qualche modo. E il demóne non significava che a quella scatola dei desideri fosse da applicare un day one exorcism, era semplicemente il disco Demo One.
Era un negozietto dove era bello stare; qualche volta, erano in ritardo su qualche consegna, ma opponevano scuse sfiziose: spicca quella volta in cui tal gioco non era arrivato “per via di una festa popolare cinese”.

Non si vendevano solo giochi originali, come non si vendevano solo gli anime in VHS originali; tuttavia, anche i CD della premiata filibusta costavano parecchio, agli inizi. Non quanto gli originali, certo, altrimenti non avrebbe avuto senso... eppure, la differenza agli albori era abbastanza sottile da far sorgere il dubbio, all'inizio.

Gli amici miei con la PSX erano quanti... sei, sette? Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di spirito... non santo, era spirito imprenditoriale e quelle lingue di fuoco erano metafora di Nero Burning Rom e Alcohol 120%.

Comprare quei dischetti costosi, sei o sette volte, pesava, meglio prenderne uno solo per ciascun titolo: decisero, così, di prendere in società un masterizzatore con relativo controller SCSI, all'epoca c'erano quelli, erano lenti e costavano tanto. Qualche campana di mitologici Princo e via, tutti d'amore e d'accordo fino a quando non usciva il titolone e si accapigliavano, ognuno ne voleva la prima copia, ma non era possibile. Sia quel che sia, tempo un giorno e tutti erano accontentati, ma il primo era più contento perché, intanto, già era avanti col gioco.
Final Fantasy VII fu il titolo più problematico, per via dei diversi dischi.

Voglio chiudere ricordando l'amarezza, poi stemperata, di un amico mio unitosi tardi al treno dei 32 bit, costretto ancora al Megadrive per motivi economici. Riuscì alla fine a comprarla, lo accompagnai in macchina al solito negozietto, per poi lasciarlo sotto casa sua. Poco dopo, mi squilla il telefono ed è lui, furibondo.

“Lo sapevo, a tutti quanti è andata bene e solo a me è uscita scassata, ora chissà quando me la cambia, quando devo aspettare ancora...”

Tento di rassicurarlo, avrà messo male i cavi, sarà danneggiato il cavo stesso, non sente ragioni e vado a casa sua. La PSX funzionava benissimo, scoprimmo: aveva il televisore ostinatamente sintonizzato sul canale 36, come se il pulsante AV del telecomando non avesse alcun motivo di esistere.

#Aneddoti #Anno1995 #Playstation

 
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from ordinariafollia

ordinariafollia-log_018-2024.jpg

fine linea spazio input, la combinazione delle nostre particelle elementari if

nella solitudine di questa confusione, incessante load, on, wait cerco la tua mano nella notte, save goto

verify, list e mi pare come quando eravamo bambini e ci pareva di essere next, restore, smenettare, la la la la soprattutto run, run, run, run tab, return e read, read, return e gosub... sub sub sub then

nuovi linguaggi per passeggiare navigando mano nella mano print, stop tutto l'universo dietro la tastiera sulla punta delle dita, run tu, io. tu tu tu io tu tu io tu tu tu tu io io tu

 
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from thornsinnercircle

La condizione minima

dopo diversi anni spesi a lavorare presso una struttura pubblica, a luglio di quest'anno ho deciso di andarmene. è una struttura sanitaria, dove le grida delle persone con disagio psichico venivano ignorate, a meno che non giungessero alle orecchie di qualcuno della direzione, e allora il malato veniva spostato in stanze più lontane. l'agitazione psicomotoria viene di regola istituzionalizzata con sedazioni e contenzioni, anche se non c'è prova di efficacia scientifica sul loro utilizzo. un problema in meno per le mansioni lavorative già sottoposte a stress. una soluzione che fa comodo a molti, con controlli il tanto che basta per avere una facciata in regola anche se manchevole eticamente. dove durante la pandemia era sopportato un clima generale permissivo, che non avrà di sicuro contribuito a rallentare i contagi. solo perché presi tramite un obbligo, i dubbi dei contrariani sull'efficacia dei vaccini venivano spesso solo sussurrati in base all'ultimo studio scientifico uscito su facebook. in generale gli approcci alla salute del lavoratore erano rivolti solo ad espletare obblighi di legge con corsi superficiali, consigli banali sul ricorrere alle medicine alternative, perché si aveva come guida il solo basarsi sul “senso comune” caro a chi ha la mentalità conservativa e chiusa. perché questa decadenza? perché viene prima di tutto il profitto. le strutture sanitarie sono diventate aziende dove si bada ad incanalare il possibile flusso di denaro facendo pubblicità illusorie e cercando amicizie nella politica locale. illusorie perché le terapie promesse vengono somministrate da personale che talvolta fa il minimo necessario per scansare le critiche dei clienti, pazienti. personale che quando non disquisiva alla macchinetta del caffé sull'aspetto fisico di una nuova assunta passava il suo tempo in attesa creativa dell'orario dove timbrare il cartellino. perché questo veniva permesso. il flusso di denaro della sanità pubblica mantiene in certe strutture un gioco di equilibri dove per il quieto vivere ci si copre a vicenda la sciatteria di certi comportamenti. non saranno infatti criminali o illegali, ma non si può darne un giudizio positivo e guardarsi allo specchio con la coscienza a posto. le possibili polemiche interne venivano scansate o soffocate con un meccanismo caro alla politica, trovando di volta in volta obiettivi minori su cui dimostrare un decisionismo ridondante e apparentemente concreto. per fare un esempio, ascensori o bagni che non funzionavano venivano rattoppati senza mai risolvere il problema, mentre per la presenza di cani che si avvicinavano alla struttura veniva immediatamente diramata comunicazione a tutti i lavoratori di evitare di dargli da mangiare, in estate come in inverno. alcuni sono stati testimoni di maltrattamenti veri e propri, con riunioni su riunioni di persone toccate come mai prima dalla voglia di risolvere questo problema, fino a paventare soppressioni di massa. in ogni caso per ripulirsi l'anima tanto bastava dichiarare il giorno dopo il proprio amore per gli animali portando un bel coniglietto a cui fare le foto per instagram con improvvise confessioni su un ritrovato sentimento naturalisticheggiante.

in chi non è inserito, per sua natura o scelta, in questo meccanismo, il rimanerci a contatto inquina l'anima. dato che per vivere può essere necessario percepire un reddito, viene di conseguenza il non poter scansare il fastidio di trovarsi un lavoro. perché anche quando il lavoro piace, se le condizioni sono queste, non sono quelle minime per avere un bilancio interno sano. di qui il mio tenerci a far sì che tutte le persone che per un qualsiasi motivo provano disagio a causa del loro lavoro cerchino di cooperare per venirne fuori, per quel che si riesce. diamoci consigli sul fare la cosa giusta, esterniamo i problemi, non barattiamo per nemmeno mille euro al mese i valori che sostengono la nostra idea sullo stare al mondo.

un po' di solidarietà di classe ;)

 
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from Super Relax


Le avrete sicuramente incrociate sulle strade che portano alla campagna. Non hanno un'età definibile, almeno 70 anni e potrebbero esserne 100.

Girano su biciclette loro coetanee, rigorosamente a rapporto singolo, con una catena che è un pezzo di ruggine unico, potrebbe stare in piedi senza afflosciarsi. Uno o più portapacchi, solitamente sormontati da cassette della frutta ricolme dei materiali più pesanti esistenti in natura. L'abbigliamento è in linea, quindi non esattamente tecnico: fazzolettone come una bandana, vestitino a fiori su maglia di cotone o lana, dipende dalla temperatura; a volte, anche un grembiule. Calze sfilacciate al ginocchio, stivali di gomma o zoccoli di legno massiccio. Quando fa freddo, calzettoni da tennis del mercato o fatti personalmente all'uncinetto.

E su questi mezzi che sfidano l'erosione del tempo, nell'uniforme di chi ha sempre lavorato sodo senza mai lamentarsene, se non per celia, affrontano qualsiasi pendenza pedalando sempre allo stesso ritmo, si tratti di una rampa paurosa da Vuelta a España o di una discesa che atleti professionisti farebbero schiacciati sul telaio.

Vanno per i fatti loro, cadenza uniforme e velocità media immutabile, con una catasta di legna per l'inverno nel cestello anteriore e una damigiana di vino da 54 litri, piena, sul portapacchi. Le leggi della fisica e i watt sono per la gente che ha tempo da perdere su Strava.

 
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from schizo

Corvetto, Milano. Torniamo al caso Ramy Elgaml, il 19enne ragazzo, di origini egiziane, morto mentre veniva inseguito a bordo di uno scooter con un amico dai carabinieri a Milano nelle prime ore di domenica 24 novembre. Indagati per omicidio stradale in concorso sia il carabiniere che era alla guida della macchina di servizio che il 22enne tunisino che guidava lo scooter.

https://www.radiondadurto.org/2024/11/27/milano-corvetto-quartiere-militarizzato-un-testimone-sostiene-di-aver-visto-lauto-dei-carabinieri-tamponare-il-motorino-su-cui-viaggiava-ramy/

 
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from Il Problema della Musica

Sono un musicista. Lo sono da sempre e lo sarò per sempre, anche quando le mie mani sembreranno non essere più le mie mani. (E non manca molto... 🙄😅☺️)

 
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from videogeco


Ma un gioco perfetto in generale, direi, conosciuto in Giappone come Big Tournament Golf.
In sala giochi, però, questo sentore di perfezione viene messo in dubbio in un caso specifico: dovete giocare e davanti a voi c'è qualcuno molto bravo. Aspetterete parecchio.

Giocato a casa, sul mitico sistema originale o coi poteri magici dell'emulazione, è perfetto e basta.

Siete soli sul green, il vostro alter ego è probabilmente Robert Landolt, il più grande golfista tedesco di sempre. La musica, a tratti, è come se ve la suonassero i Cassiopea a bordo campo, sovrastata solo dai suoni tipici dello sport. L'impatto della mazza con la pallina, il sibilo prodotto nel vento, il rimbalzo sui diversi terreni. Il rumore della pallina che impatta con le foglie, traiettoria sciagurata.

Siete a casa vostra o in giro, nell'intimo portatile di una retroconsole, avete quasi tutto il tempo che volete per calcolare l'impatto del vento, la necessità dell'effetto, l'altezza e la potenza del tiro.
Nessuno alle spalle che scalpiti, speranzoso di poter emanare influssi da menagramo, è solo il gioco a spingervi, con le buone prima e le cattive poi, a fare il vostro tiro.

Non avete problemi di gettoni, quindi potete sperimentare. Voglio provare a far rimbalzare la pallina su un terreno solido, su quella roccia in mezzo a uno specchio d'acqua. Voglio mandarla in buca da 30 iarde, fuori dal green, senza usare un putter. Voglio che l'effetto faccia sgommare la pallina in avanti o farla rotolare indietro. Voglio divertirmi e Neo Turf Masters me lo permette, oggi a casa come nel 1996 in sala giochi.

Diversi hole in one, nella mia carriera di golfista virtuale: sempre una grande soddisfazione.
Non ero pronto a una buca da cinque fatta in due tiri, invece, grazie a rimbalzo favorevolissimo e al colpaccio dal fairway, tipo con una mazza da 100.
Albatross? E che è?: la domanda sorta spontanea tra i presenti in fila, ero uno di quelli che giocava bene e a lungo. Non ci sono mai più riuscito, mai più vista quella scritta.

Nell'animazione iniziale del titolo, in modalità demo, si vede una pallina dirigersi verso il green. Solitamente. Rivedendola più volte di fila, nei rari momenti di inutilizzo del cabinato, si poteva assistere casualmente a un'animazione alternativa, con la pallina colpita evidentemente male, destinata a finire in una zona vietata all'uomo e, per estensione, anche ai golfisti. Ed era sempre divertente, anche dopo averla vista decine di volte.

#Anno1996 #Arcade #NeoGeo #SalaGiochi #SNK #Videogiochi

 
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from kyoka

Tempi e luogo

presso BITZ fablab, via Antonio Rosmini, 9 (BZ) negli orari di apertura (mar-ven 13-19; sab 10-13 e 14-17)

Porta i tuoi ricordi, lascia una traccia, e insieme a tutti gli altri contribuisci a creare un simbolo di collettività. Ti aspetto per creare insieme!

Modalità

Utilizzando una macchina da maglieria manuale voglio creare uno spazio di riflessione e di espressione, a cui chiunque può contribuire con idee, temi, motivi, pezzi di stoffa o di filato. Documenterò ogni interazione in modo da poter indicare il significato di ogni piccola area nell’opera finale, rispettando le intenzioni e la privacy di ognuno.

 
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from Super Relax


Versione abbellita su Wordpress Panoramica su OpenStreetMap

La salita per Lenola è una costante di parecchi giri in bicicletta della zona, sia per la salita in sé che come tratto di trasferimento, per raggiungere Lenola e poi proseguire per altre mete, Pico, Castro dei Volsci e, in questo caso, Vallecorsa.

La salita vera e propria inizia all’incrocio tra la SR 637, via Provinciale per Lenola, e via Sant’Oliva, ovvero la SP 94 che inizia a Monte San Biagio, all’altezza del ristorante “Al Boschetto”.
Provenendo dalla zona di Terracina, è possibile percorrere la via Appia, SS 7, fino, appunto, a Monte San Biagio e la SP 94, oppure procedere sempre sulla statale fino a Fondi e all’intersezione con la SR 637 che, appunto, porta alla salita.
Dal centro di Fondi, oltre che dalla SR 637, è possibile iniziare dalla salita del Cocuruzzo, continuando poi per via Sagliutola e, infine, per la Provinciale per Lenola.

La strada di elezione, comunque, è quella che inizia dall’incrocio con via Sant’Oliva, ed è pure il tratto ufficialmente contemplato su Strava. Ci troviamo su una classica strada provinciale del Centro-Sud, piuttosto larga, in questo caso, solitamente sempre con un lato esposto al sole fino a Lenola. Qualche curvone e poche curve, nessuna delle quali realmente chiusa, ci conducono senza possibilità di errore fino alla fine della salita, all’incrocio di Lenola.

Prendendo la strada a sinistra, inizia la via che ci avvicina a Vallecorsa, dopo aver attraversato l’intero abitato di Lenola. Poco dopo il cartello che annuncia la fine del territorio comunale, c’è un incrocio che a destra conduce prima a loc. Ambrifi e poi, eventualmente, a Pastena.
Per seguire il nostro percorso, invece, si tratta, semplicemente, di seguire la strada principale, la SR 637, fino a destinazione.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Una, di sicuro, all’ingresso del centro abitato di Vallecorsa. Dovrebbero essercene nella parte urbanizzata di Lenola, non ci ho ancora fatto caso.

Terreno e altimetria:
Il piatto forte del percorso è, ovviamente, la salita di Lenola: 7,5 km a una pendenza media del 4,4%, secondo Strava. Le percentuali più frequenti oscillano dal 4 al 6%, con qualche impennata in prossimità dei tornanti, attorno al 7-8% per qualche decina di metri.
Dopo l’incrocio che immette nel centro di Lenola, la salita continua, con pendenze massime attorno al 4%, fino a località Quercia del Monaco, superata la quale inizia la discesa per Vallecorsa, con brevi tratti in salita al 2-4%.
Approssimativamente, sono queste le pendenze che affronteremo lungo tutto il percorso, quindi non sono richiesti rapporti particolarmente agili. Bici da strada, gravel o mountain bike, tutto fa brodo.
L’asfalto non è dei peggiorni, ma neanche dei migliori.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi e, in particolar modo, dopo aver oltrepassato lenola: anche decine e decine; in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.
Il tratto tra Lenola e Vallecorsa è desolato.
Non ho mai incontrato cani aggressivi o anche solo fastidiosi, ma attenzione a eventuali attraversamenti di volpi o cinghiali.
Il pericolo vero sono i motociclisti, che sfrecciano a velocità da ritiro della patente.

Variazioni del percorso:
Nessuna rilevante, se volete percorrere il tratto classico; tuttavia, è possibile raggiungere Lenola seguendo percorsi alternativi, come per esempio da via delle Fate, via Vignolo o dalla contrada di Passignano. Sono strade sicuramente meno trafficate, con maggiori possibilità di incontrare animali vaganti e con uno o più tratti in forte pendenza.

Traccia su Komoot

 
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from Il calderone di Gabratta

Ispirato dalle ultime story su Instagram del buon Kenobit, e anche da un paio di pensieri che mi frullano in testa da settimane, mi sono detto “massì, facciamo un servizio alla comunità scrivendo due righe a proposito della situazione Linux e gaming”.

Preciso una cosa: è vero, all'inizio l'idea di mandare a quel paese Windows (o, Winzozz, il vezzeggiativo che spesso si usa nell'ambiente) può far paura a tantissimi. Ci sono passato anch'io quando ai tempi provai l'ormai vetusto Ubuntu 9.10 su un vecchio laptop Toshiba che non ce la faceva a reggere l'allora nuovo Windows 7...eppure, nonostante qualche difficoltà iniziale, ho riscoperto quella gioia informatica che provavo quando smanettavo su MS-DOS sul 486 di papà nell'agenzia di viaggi di mio nonno, il tutto per avviare l'originale Prince of Persia e Arkanoid.

Da allora l'informatica si è evoluta, noi siamo cresciuti, e sono cresciuti pure Windows e Linux: peccato che il primo abbia intrapreso una strada che non mi piace per niente; quella del bloatware, delle telemetrie, dell'IA e degli spyware spacciati per “funzioni innovative” (sì, Recall, sto parlando di te).

In questo momento sto scrivendo da un Thinkpad T460p ricondizionato che ho preso circa 3 anni fa su eBay da un'azienda di settore: pagato esattamente 368€, un'ottima cifra per un laptop aziendale del 2016 con un buon processore (un Intel Core i5-6440HQ). Le uniche spese aggiuntive sono state una batteria più capiente e il secondo banco aggiuntivo di RAM da 8gb, portando così il totale a 16gb.

Ora veniamo al sodo: com'è Linux nell'uso giornaliero? ci puoi giocare? Risposte: molto più comodo di Windows, e sì, ci gioco.

Il mio Neofetch

Come avete visto dall'immagine qua sopra, dopo un annetto e mezzo di Windows 10 su questo laptop ho deciso di passare a Linux e, dopo un periodo di cosiddetto “distro hopping” tra EndeavourOS e MX Linux alla fine mi sono accasato su Manjaro. Vi posso dire che funziona tutto out of the box tranne una cosa...il sensore di impronte digitali. Solo perché ho avuto la sfiga di beccare l'unico con i driver bloccati: se vi interessa la questione potete controllare su fprint

Sicuramente uno degli elefanti della stanza per i neofiti Linux è la frammentazione del mercato: al contrario di Windows e OSX, Linux è solo una “base” su cui poggiare, per il resto i gusti da scegliere nell'immensa gelateria delle distribuzioni (da qui in poi distro) sono tanti (anche troppi, onestamente) e posso capire che il discorso risulti complicato. Nella mia discreta esperienza con il mondo Linux però posso suggerire qualche distro tra le più gettonate:

  • Se venite da Windows e siete dei completi neofiti del mondo Linux, allora la mia scelta ricade su Linux Mint: è una delle distro più stabili in assoluto, il suo desktop environment, Cinnamon, è il più simile a Windows e non ha particolari problemi con i driver delle schede video Nvidia...che detto inter nos, Linus Torvalds ha ragione: Nvidia, fuck you!
  • Se venite da Mac potreste trovarvi più a vostro agio su ElementaryOS, anche se per i miei gusti è fin “troppo elementare”. Non ho avuto esperienze lato gaming su questa distro, ma se avete un vecchio hardware da resuscitare (e sotto questo punto di vista Linux è PERFETTO) e/o volete usarlo per del semplice browsing di base, Elementary OS è eccezionale.
  • Se, come me, siete degli utenti non dico esperti, ma già un filo più preparati a livello informatico, allora I use Arch, btw Attenzione: non parlo necessariamente di Arch Linux liscio (che consiglio solo ed esclusivamente se siete esperti e se volete una personalizzazione totale del vostro sistema operativo), ma soprattutto di varie distro basate su Arch, come si vede in primis su Steam Deck, se ne avete uno. Ebbene sì: quel gioiello di console portatile fatta dalla Valve di “Lord Gaben” è una console Linux! Ed è principalmente grazie a Steam Deck se Linux è il secondo sistema operativo più usato su Steam, subito dopo dietro Windows...e i numeri continuano ad aumentare Digressioni a parte, le mie scelte ricadono essenzialmente su tre SO: EndeavourOS se volete una distro più “terminale-centrica”, Manjaro se volete qualcosa di più semplice da usare, e Garuda se volete puntare principalmente al gaming: fra l'altro, al 99% sceglierò proprio Garuda per il mio pc fisso quando scadrà il supporto ufficiale a Windows 10. Sottinteso: lato gaming, un'altra distro (però basata su Fedora) del quale ho sentito parlare molto bene è Bazzite, ma non ho ancora avuto il modo di provarla se non su macchina virtuale. Stesso discorso per Nobara, anch'essa basata su Fedora, ma meno “consolizzata” di Bazzite.

Fra l'altro, ultimo inciso, una delle cose più belle di Linux è che potete provare la distro di vostra scelta senza formattare tutto: basta semplicemente flashare una chiavetta USB (mio consiglio spassionato: usate chiavette da tagli che vanno dagli 8gb fino ai 32gb massimo. Dai 64gb in poi se usate tool come Ventoy) con il programma di vostra scelta (io preferisco Balena Etcher, ma anche altri come Ventoy appunto o Rufus sono scelte validissime!) e poi avviando il vostro pc dal bios selezionate quella chiavetta USB e godetevi Linux in modalità LIVE. È super super consigliato soprattutto per vedere in primis se la distro vi piace, e poi per vedere se funziona tutto out of the box. Personalmente non ho mai avuto problemi su tutte le macchine che ho usato, a parte una volta su un vecchio laptop della mia fidanzata dove non funzionava il Wi-Fi, ma quello purtroppo è un problema delle schede di rete Mediatek, se non erro...

Ok: avete scelto la vostra distro Linux. Ora, come ci gioco?

Niente di più semplice: Steam, addirittura in alcune distro è pure installato di base! In caso contrario, basta aprire il vostro software manager di riferimento (nel mio caso su Manjaro uso Pamac), cercare Steam, mettere una spunta e poi dare l'ok. È semplicissimo e al massimo vi chiede di inserire la password che avete scelto per il vostro sistema. Niente di diverso da quello che succede su Mac o sui vostri smartphone. Al primo avvio Steam è praticamente identico alla versione su Windows, l'unica differenza che troverete nella vostra libreria è quella di vedere meno giochi pronti al lancio, visto che di base vengono selezionati i giochi Steam Play (ovvero quelli compatibili con i tre sistemi operativi desktop). E adesso? Si evoca Proton!

E che diavolo è Proton? Per farla in breve, Proton è un layer di compatibilità: vedetelo come una sorta di “traduttore” che opera traducendo un gioco nativo Windows come nativo Linux, permettendovi di giocare senza problemi! E vi dirò di più, esiste un sito meraviglioso chiamato ProtonDB dove potete vedere come girano i vari giochi tramite Proton, sulla base di vari punteggi: da un minimo di “bronzo” al massimo di “platino”. Escludendo ovviamente i punteggi “nativo” e “rotto” che penso non abbiano bisogno di spiegazioni. Come dicevo poco più su, non ho un pc da gaming o abbastanza recente, però gioco senza problemi ad un titolo in early access come Drill Core proprio grazie a Proton.

Ok, con Steam siamo a posto. E con gli altri launcher tipo Epic o Amazon? Nessunissimo problema: esiste Heroic Games Launcher, un programma di terze parti che applica il layer Proton anche alle vostre librerie Epic, Amazon e GOG. Per esempio gioco giornalmente a Football Manager 2024 (regalato qualche mesetto fa su Epic Store) dal mio portatile usando Heroic: ha le stesse prestazioni che avrei su Windows, l'unica cosa è che ha solo un leggerissimo bug sulla tastiera che non va se fai “alt+tab”, ma è una roba super risolvibile cliccando sulla barra centrale di ricerca nel gioco e poi funziona tutto. E se volete di più esiste anche Lutris che fa la stessa cosa anche per EA, Ubisoft e...udite udite, anche alcuni wrapper di emulatori console come Dolphin e Retroarch!

Fra l'altro, se siete dei retrogamer Linux è praticamente il paradiso tra emulatori e soprattutto ottima compatibilità con i titoli vecchi di 20-30 anni fa, cosa che su Windows vi porta il più delle volte a scervellarvi a mai finire. Per l'emulazione Windows il mio consiglio è usare uno tra Wine e Bottles: fanno la stessa cosa, ma dipende dai programmi installati ho avuto prestazioni ed uso diversi. C'è chi funziona meglio su Wine, chi su Bottles...insomma, c'è da provare.

Va bene, per i titoli single player ci siamo, ma a me piace giocare online: su Linux va tutto liscio come l'olio? Ecco, questo è l'unico punto dolente. Di base l'unico vero problema del gaming su Linux è rappresentato dai sistemi di anticheat, che il più delle volte o non sono compatibili con il kernel di Linux o proprio lo schifano apertamente come Vanguard: quindi scordatevi di giocare a League of Legends o Valorant su Linux. Ma non tutto è perduto: in nostro soccorso arriva Are We Anti-Cheat Yet? un comodissimo sito con vari aggiornamenti riguardo a tantissimi giochi online. Certo, non va proprio tutto tutto, visto che i “broken” sono più dei “supported” e dei “running” messi insieme, diciamo che bisogna dare una controllatina sia su questo sito che su ProtonDB ed eventualmente testare sul campo.

Va bene, per il gaming ci siamo: e per il resto? Dipende dall'uso che volete fare della vostra macchina: l'elefante nella stanza è, ahinoi, la suite Adobe. Tabella alternative Adobe

Diciamo che va a vostro gusto personale: personalmente tra le varie alternative a Photoshop preferisco Photopea (o GIMP se sono offline), e per il resto ho avuto esperienze solo con l'audio (Audacity, che uso da anni anche su Windows), video (per DaVinci Resolve stesso discorso di prima, anche se so che su Linux non gira bene come su Win. Ho sentito parlar bene di Olive e Kdenlive, ma non li ho ancora provati), e DAW (LMMS è letteralmente I-D-E-N-T-I-C-O a FL Studio). Il resto è tutto nativo o quasi, dove quel “quasi” magari sono dei programmi tipo Onlyoffice che trovo solo su AUR (il motivo per il quale amo le distro basate su Arch Linux, ma è un discorso troppo lungo...), ma davvero, su questo portatile uso praticamente gli stessi programmi che ho su Windows: dall'instant messaging (Telegram e Discord sono nativi Linux, per Whatsapp invece uso WasIstLos che si trova su AUR, ma ci sono programmi alternativi oppure basta usare la versione web) passando per la registrazione desktop (OBS è nativo), la riproduzione video (VLC è nativo e nella stragrande maggioranza delle distro anche preinstallato!), browser (Firefox nel mio caso, anch'esso preinstallato in tante distro)...e vi dirò di più, il mio workflow su Linux è pure migliore rispetto a W10: su quest'ultimo per avere un'esperienza simile a quella che ho su Manjaro ho dovuto installare un programma chiamato TaskbarX che si bugga spessissimo: invece su KDE Plasma (il desktop environment che uso su Manjaro) ho dovuto letteralmente mettere una spunta nelle impostazioni della taskbar e nulla più, risparmiando tempo e rotture di scatole.

Spero di esser stato abbastanza chiaro e spero anche di avervi acceso un po' di curiosità riguardo al gaming su Linux: ormai i tempi sono maturi. Fatevi un giro su Distrowatch, guardate qualche video (a tal proposito consiglio i canali Youtube di Morrolinux, The Linux Experiment e ETA Prime che ultimamente prova spesso dei miniPC con Bazzite) e poi provate in prima persona la distro che avete scelto, sia tramite macchina virtuale che, ancora meglio, tramite chiavetta USB in modalità live...l'importante è che non andate mai su r/Unixporn, rischiate di cadere in un rabbit hole pericolosissimo.

 
Continua...

from Super Relax


Gli o le smartband? Suona più naturale al femminile, ma credo il maschile sia la forma esatta.
In ogni caso, ne ho avuti due: il primo, Mi Smart Band 6: dovrebbe essere la sesta iterazione, perché la precedente, quasi indistinguibile, non aveva il saturimetro.

Mi ha accompagnato, all'inizio con soddisfazione, nelle prime uscite per diletto in bicicletta: GPS per tracciare i percorsi, velocità, lunghezza di salite e discese, battiti cardiaci, risoluzione sufficiente per le notifiche del telefonino ecc., insomma il necessario per viaggiare informati. Questi sono i pro: dei contro ne parlerò a breve, avendo molti punti in comune con l'altro modello.

Poi, ho avuto, per brevissimo tempo un Mi Band 4C: una versione di fascia molto bassa, roba da una dozzina di euro con le offerte. Pro? Nessuno, a parte il costo, ma non me ne faccio niente, alla luce di quel che è successo poco dopo l'acquisto.

Entrambi i dispositivi vanno incontro a fragilità che ne compromettono l'utilizzo, anche irrimediabilmente, dopo poco o pochissimo tempo.

Lo schermo OLED del modello più lussuoso, il 6, ha iniziato ad affievolirsi già dopo circa sei mesi, diventando poi progressivamente illeggibile alla luce del sole (cosa già difficile da nuovo, anche la luminosità massima è decisamente fioca) nel corso dei mesi successivi, fino a renderne difficile l'utilizzo anche nel buio completo. Attenzione: all'epoca mi informai, non era un problema del mio esemplare, dalle numerose lamentele sembrava fosse proprio la norma per quel pannello. Il cinturino si spezzò dopo qualche tempo, ma potremmo definirlo come un problema minore, vista l'economicità dei rimpiazzi. In ogni caso, sicuramente un altro fastidio.

Per il 4C, tutto è andato storto dopo poche settimane: anche questo sembra essere un problema universale, si è spaccata la cassa all'altezza dell'attacco USB. Per chi, fortunatamente, non avesse mai avuto a che fare con questo modello, la ricarica avviene in un modo abbastanza bizzarro: parte del cinturino si sfila dall'orologio, rivelando una protuberanza da inserire in un qualsiasi ingresso USB, per la ricarica. Tempo un paio di ricariche e si è spaccato tutto, irrimediabilmente.

Oltre alle rispettive fragilità, un altro contro in comune sono le relative app, ne parlo al plurale perché sono differenti per i due modelli. Più funzionale quella del 6, molto spartana quella del 4C, entrambe poco promettenti dal lato privacy. Difficile capire dove finiscano i dati raccolti, facile immaginare cosa se ne facciano. Ho provato, così, a collegare il Mi Band 6 a Gadgetbridge, app open disponibile su F-Droid.

Niente da fare. Ho buttato tutto, perché non sapevo cosa farmene. Non so quanto siano affidabili i modelli successivi, posso immaginare non siano stati fatti grandi passi avanti lato privacy.

 
Continua...