Hollow Knight, recensito da un creator che non ama(va) Hollow Knight
Ci sono giochi di cui è difficile parlare bene. Ci sono giochi di cui è difficile parlare male.
E poi ci sono giochi di cui è difficile parlare, specialmente perché il proprio parere dipende dalle circostanze in cui esso è stato formulato.
Questo perché i giochi “importanti” ti toccano dentro, interagiscono col tuo stato d'animo, lo modificano, diventano parte attiva di ciò che sei durante l'avventura che ti fanno vivere, e lo restano per molto, molto tempo.
C'è anche un altro concetto da considerare, ovvero che una cosa è vivere un videogioco per sé stessi, come esperienza individuale, come fanno (fortunatamente) la maggior parte dei videogiocatori, e tutt'altra cosa è utilizzare un videogioco come mezzo col quale generare intrattenimento per un pubblico. Nel primo caso, il gioco sta sul palco, e tu sei tra il pubblico, e decidi se applaudire o fischiare. Nel secondo caso, tu stai sul palco insieme al gioco, diventi un'altra variabile che fa applaudire o fischiare il pubblico che sta in platea, e se non vai d'accordo con l'altro ingombrante inquilino del palco è un grosso problema, specialmente considerando che tu non sei nessuno, e l'altro magari è famoso, universalmente apprezzato e acclamato.
Forse, se non ti ci trovi bene, il problema sei tu. Anzi, è molto probabile, e notando il tuo disagio, la platea non mancherà di fartelo presente.
Però non vorrei parlarvi di questo. Questa è una recensione di Hollow Knight.
Estetica, design e poesia
Hollow Knight è un gioco bellissimo, dal punto di vista estetico. Non c'è zona che non abbia la propria identità, ma allo stesso tempo non c'è zona che non risulti armoniosa con le altre, perché il concetto che il gioco vuole esprimere è che Hallownest è un vero e proprio alveare, dove le creature trovano la propria casa e convivono sia con l'ambiente che con gli altri abitanti. È una metafora, che ci esprime la complessità e la fragilità di un mondo che, seppur alieno a noi, vale la pena salvare. Hollow Knight è un gioco che parla poco con le parole, ma tantissimo con le immagini. È criptico ma chiarissimo allo stesso tempo.
La musica è parte integrante dell'aspetto grafico: precisa, mai invasiva, ma che collabora con ciò che vediamo con gli occhi al fine di esprimere un “mood” perfettamente coerente.
Ci sono momenti in Hollow Knight dove l'impatto narrativo è comprensibile soltanto fermandosi a guardare, e ad ascoltare. La tristezza e la malinconia della City of Tears, l'opprimente strusciare di Deepnest, il mistero e l'anticipazione di Dirtmouth ci raccontano il luogo dove ci troviamo con chirurgica precisione senza pronunciare una sillaba.
Certo, tutto ciò è chiaro e evidente se permetti a un gioco come Hollow Knight di parlarti, di raccontarti, di esprimerti questo suo “mood”. Non è qualcosa a cui il videogiocatore medio è abituato, specialmente considerando quanto solitamente si viene tenuti per meno, quanto le scelte registiche siano intente a farci notare gli elementi importanti e funzionali alla narrazione e lasciare il resto sullo sfondo. In Hollow Knight, ogni dettaglio è importante, ogni elemento grafico e sonoro ha un'importanza di lore e di gameplay.
Il sound design è efficacissimo: quando vieni colpito, te ne accorgi inevitabilmente, e quell'istante di pausa nelle animazioni è sufficiente per permetterti di capire cosa hai sbagliato e ti permette di porti il problema su come non sbagliare la prossima volta. Allo stesso tempo, è immediatamente palese se ciò che stai colpendo sta subendo danni, o se è il caso di valutare una strategia differente.
Naturalmente questo dialogo può avere luogo col giusto contesto. Ce ne sono tanti di adatti, ma di certo quello di trovarsi sullo stesso palco insieme al gioco, e con davanti il pubblico, non è un contesto che permette pause, riflessioni, introspezione. Questo perché il parere consolidato della “scienza” dell'entertainment sancisce che non puoi mai startene zitto, non puoi fermarti a riflettere, non puoi far passare neanche un secondo senza “dare spettacolo”, senza sforzarti di tenere il tuo pubblico con gli occhi incollati a te, specialmente considerando che il motivo per cui sono venuti nel tuo teatro è perché si aspettano che la tua presenza rappresenti un valore aggiunto rispetto al trascorrere il proprio tempo col tuo compagno di palco, estromettendoti dall'equazione. Che valore aggiunto dai, se ti fermi, zitto, e guardi? E ascolti?
Un gioco come Hollow Knight è totalmente inadatto all'essere usato come strumento tramite il quale generare entertainment, specialmente se è la prima volta che lo giochi. Concentrandoti sul rapporto col pubblico, sei costretto a estromettere o quantomeno limitare il rapporto col videogioco, che sta parlando al pubblico ma soprattutto a te. E tu non lo ascolti, perché devi parlare, devi divertire, devi fare il giullare.
Però non vorrei parlarvi di questo. Questa è una recensione di Hollow Knight.
Elegia della difficoltà
Hollow Knight è difficilissimo. Ok, l'ho detto, potete skippare questa sezione.
Ah, siete ancora qui? Ok, allora riflettiamo un attimo. Che cosa significa che un gioco è “difficile”?
Hollow Knight è uno di quei giochi che vengono in mente quando si parla di giochi “difficili”. Senza dubbio è perché si tratta di un titolo molto celebre, come d'altronde anche l'altro che viene in mente nello stesso contesto: Dark Souls.
Una volta lessi una bellissima e concisa analisi: “Dark Souls non è difficile. Semmai, è severo.” ed è assolutamente vero.
Hollow Knight, come anche Dark Souls, non ti spiega cosa devi fare, quando, o perché. Ciascuno dei due giochi ti offre la possibilità di personalizzare fino a un certo punto la tua esperienza di gioco, ma chi comanda rimane il gioco, non il giocatore. È il giocatore che deve adattarsi, usando gli strumenti che gli vengono dati, per superare le sfide. Il gioco non si inginocchia mai, non si piega di fronte alla frustrazione del giocatore. Il gioco ti invita a provare un'altra strada, un'altra strategia, ma assiste impassibile: sei tu a dover cambiare, non lui.
Questa è una importante lezione di vita. Se devi spaccare un blocco di marmo, puoi provare a prenderlo a testate: il blocco di marmo non ti dirà se è giusto oppure no. Sarà la tua testa dolorante a suggerirti che forse può essere una buona idea provare un piccone. O un martello con un cuneo. O una carica di tritolo.
Tutte soluzioni che in quel contesto possono funzionare, ma se l'ostacolo fosse “trovare un cappello che calza bene” dovrai avere la prontezza di tornare a utilizzare la testa: con la carica di tritolo non riuscirai a portare a termine la missione.
Hollow Knight è difficile perché ti costringe a identificare la difficoltà e ad agire di conseguenza. Però, questo si potrebbe dire di fronte a qualsiasi difficoltà, no?
Insomma, più o meno.
Ci sono giochi dove puoi usare la stessa tattica dall'inizio alla fine del gioco, e funziona sempre.
Ci sono giochi dove premendo un tasto si vince, o poco ci manca.
Giochiamo ai videogiochi perché vogliamo un'esperienza narrativa interattiva: una storia dove una nostra azione ha una conseguenza. Altrimenti, se non c'è interattività, non è più un gioco: sarà un libro, un film, una canzone, ma non è un videogioco. I giochi “difficili” ci mettono di fronte a una situazione dove sono sempre di più le azioni di noi giocatori a fare la differenza, mentre nei giochi “facili” sono le azioni del personaggio, per lo più automatizzate.
Non c'è il tasto “premi qui per vincere” in Hollow Knight. Non c'è l'accumulare punti esperienza per fare più danno e sostenere più ferite, che peraltro nell'altro esempio di gioco “difficile”, Dark Souls, invece è presente.
Il personaggio diventa solo marginalmente più potente dall'inizio alla fine della storia. Chi diventa immensamente più forte è il giocatore.
Le sezioni di platforming sono una chiara dimostrazione: all'inizio, superare un piccolo puzzle dove se sbagli vai a finire su una punta acuminata non è banale.
Verso la fine, riesci a superare il Path of Pain nel White Palace.
Non è il personaggio che è diventato più bravo a saltare, e le punte acuminate fanno lo stesso, letale danno.
Sei tu giocatore che con le tue azioni hai sortito una conseguenza, non solo nel mondo di gioco, ma perfino nel tuo mondo reale: sai benissimo di essere diventato più bravo, e sai benissimo che è tutto merito tuo.
Ecco perché ci piacciono i giochi difficili, più sono difficili e meglio è: perché siamo certi che, con il giusto impegno e tempo, riusciremo a conquistare anche quella difficoltà, che inizialmente ci sembrerà impossibile. Non c'è pensiero più confortante di questo, e forse è per questo che giochiamo ai videogiochi difficili: per dimostrare a noi stessi che siamo capaci di migliorare, di diventare più bravi, più forti, che siamo capaci di crescere.
Hollow Knight, dicevo, è difficilissimo. Questa caratteristica è parte del suo fascino. Provare, riprovare, riprovare, riprovare, riprovare e infine riuscire è un processo indigesto, intenso, frustrante, e spesso bruttissimo e noiosissimo da vedere. Lo spettatore medio non vuole vedere un giocatore cadere per 100 volte nello stesso buco. E allora la pressione aumenta, perché stai facendo del tuo meglio e stai cadendo comunque nel buco, e ogni volta che ci cadi ti incazzi un po' di più, e più ti incazzi e meno sopporti qualcuno che in chat magari animato da buoni propositi ti spiega come fare, o peggio qualcuno che non aspettava altro per prenderti per il culo, o ancora peggio vedi che il tuo stream va male in quanto non stai offrendo l'entertainment che il tuo pubblico vuole, quel “valore aggiunto” che cercano da te. E più ti incazzi, e più è facile cadere in quel buco. E più ci cadi, e più ti incazzi. E più ti incazzi, e meno ti concentri, e meno impari, e più cadi nel buco, e più gente se ne va dal tuo pubblico, qualcuno forse per sempre. Che brutta idea scegliere un gioco come Hollow Knight da condividere con un pubblico.
Però non vorrei parlarvi di questo. Questa è una recensione di Hollow Knight.
Una manciata di aghi nel pagliaio
Hollow Knight ha alcune scelte di game design un po' curiose. Mi rendo perfettamente conto che in tanti le difendano a spada tratta, ed è proprio questo il bello: non penso siano sbagliate o scorrette, penso che a me, personalmente, non facciano particolarmente impazzire.
La prima, la più evidente, quella con cui si schiantano tutti: la mappa.
Il fatto che la mappa di ciascuna zona in Hollow Knight inizi a essere gestita solo dopo averla acquistata da Cornipher e si aggiorni soltanto a un save point (raggiunto in vita, o in morte) è carino a livello di coerenza e “realismo”, ma è una scelta che rende il gioco artificialmente difficile, così anche il fatto che la bussola che permette di sapere dove ci troviamo nella suddedda mappa ci occupi uno slot dei charm. “Artificialmente” perché non si tratta di una difficoltà da superare, o meglio, è una limitazione imposta il cui superamento non rappresenta alcun premio, neanche la soddisfazione personale, o almeno questa è la mia percezione. È un elemento di frustrazione aggiuntivo, che pare qualcosa di implementato per il gusto di complicare l'esperienza di gioco.
Altra scelta, diciamo, curiosa risiede nell'unica meccanica di personalizzazione del personaggio, ovvero i charm. I charm sono strani. Si tratta di potenziamenti che devi trovare in giro nella mappa, che influenzano marginalmente come il personaggio si comporta. Alcuni fanno schivare meglio e più spesso, altri allungano la portata dell'arma, altri aumentano il danno delle abilità o dell'attacco base. Non è un brutto sistema, anzi, è interessante che sia l'unico elemento di personalizzazione, ma in quanto tale rimane comunque molto limitato. I charm sono rilevanti, è vero, ma personalmente ritengo che lascino un po' l'amaro in bocca: potrebbero alterare davvero tanto la modalità di interazione col mondo di gioco, e invece salvo forse un paio non rappresentano gli stravolgimenti che potrebbero invece provocare. Il fatto è che comunque, essendo appunto l'unica modalità di personalizzazione, pur variando l'1% effettivamente la differenza si sente. Non so esprimere un parere finale su questa meccanica. Da un lato mi piace, dall'altro poteva essere molto di più. E il charm che permette di capire dove ti trovi nella mappa è orrendo.
Il fatto è che giocando per la prima volta Hollow Knight avevo trovato tante cose in più che non riuscivo a sopportare. Avevo l'impressione di attraversare le piattaforme durante qualche salto complicato. Ero pronto a giurare che in tante istanze il nemico di turno non mi avesse veramente colpito, o che la posizione di qualche trappola fosse decisamente ingiusta. Ero fermamente convinto che la mappa fosse illeggibile, che il combattimento fosse noioso e monotono, che il platforming fosse solo e unicamente trial and error, che ci si perdesse in continuazione.
Rigiocandolo, stavolta senza un pubblico, l'ho trovato molto più accessibile, molto più corretto, mai mi è capitato di subire danni senza sapere precisamente perché, e cosa dovessi fare la prossima volta per evitarlo (riuscirci ovviamente è un'altra storia!.
Perché? Come può un gioco cambiare così tanto tra giocarlo da soli o giocarlo con (anzi, per) altri? Perché troviamo così difficile ammettere che le incomprensioni comunicative nel dialogo tra gioco e giocatore possono dipendere dal giocatore e dal rumore di fondo che lo circonda, fatto dalle aspettative del pubblico principalmente nel caso dei creator, piuttosto che ricadere sempre nelle stesse dinamiche di biasimare il gioco? O il controller, o “internet che lagga” e “la squadra avversaria che usa i cheat” se si trattasse di un gioco online?
Hollow Knight mi ha mostrato incontrovertibilmente che si, magari nel pagliaio ci sono un po' di aghi, ma c'è anche un tronco di baobab, e il tronco in questione ero proprio io.
O meglio, erano tutte quelle dinamiche che orbitano intorno al modo che mi sono imposto per generare intrattenimento utilizzando un videogioco.
Forse, capire che questo modo di fare non va bene, mi ha reso un creator migliore. O per lo meno, mi ha reso conscio che la mia percezione di qualcosa che vedo per la prima volta sarà irrimediabilmente vessata dall'utilizzo che ne faccio.
La reazione a una qualsiasi cosa non potrà mai essere veramente autentica se avviene per un pubblico, o per lo meno mai pari a quella che si avrebbe privatamente, anche perché chiunque abbia mai provato a creare intrattenimento sa benissimo che non basta puntarsi una telecamera in faccia, mettersi un microfono in bocca, e “giocare a un giochino”.
Però non vorrei parlarvi di questo. Questa è una recensione di Hollow Knight.
L'originalità e la ripetizione
Non posso dire che la storia di Hollow Knight mi sia piaciuta. O meglio, probabilmente mi sarebbe piaciuta se prima non avessi giocato Dark Souls, e non avessi letto o guardato le altre storie a cui Hollow Knight si ispira.
C'è una differenza interessante tra la storia ciclica raccontata in Hollow Knight e quella raccontata in Dark Souls, ed è un po' la differenza tra 1984 e Brave New World: in Dark Souls dobbiamo propagare quanto più possibile la falsa speranza rappresentata dalla fiamma, per mantenere più a lungo lo status quo, e in Hollow Knight dobbiamo combattere specificamente questa falsa speranza, di cui il regno è diventato schiavo.
È difficile però non tracciare paralleli, anche perché come detto all'inizio, in questi anni se dici “videogioco difficile” ti viene in mente Dark Souls e Hollow Knight, principalmente. Ci sono anche tantissimi elementi di gameplay che li rendono simili: i falò e le panchine, la perdita di geo e la perdita delle anime quando si muore, le cure che richiedono tempo, il focus sui boss che rappresentano la vera metrica per sancire l'avanzamento lungo la storia, e molto altro.
Sembra quasi voluto.
Ovviamente, questi elementi non li ha inventati Dark Souls, ed è francamente ridicolo considerare Hollow Knight un souls-like, come è francamente ridicolo usare Hollow Knight come paragone per i metroidvania. Una volta ho letto in una recensione di Metroid Dread che il gioco si ispira a Hollow Knight, ovvero un gioco che si ispira a Super Metroid. Ma d'altronde non ci si può aspettare che un potenziale acquirente di un gioco in uscita abbia giocato Super Metroid, mentre per qualche motivo è più legittimo aspettarsi che abbia giocato Hollow Knight.
Il problema però è che Hollow Knight non è un normale metroidvania.
Certo, è un platform in 2d con focus sul combattimento e potenziamenti sequenzali che permettono di espandere le zone esplorabili.
Però, tutti questi dettagli, tutti questi esempi di rilettura di elementi dati per assunto in questo genere, tutte queste particolarità che emergono solo quando lo si gioca attentamente, lo rendono un gioco maledettamente originale.
Hollow Knight è un po' come quelle immagini che se le guardi con gli occhi socchiusi vedi qualcosa, mentre se ingrandisci l'immagine e guardi attentamente ti accorgi che il tuo cervello si stava inventando elementi che in realtà non ci sono, con una buona dose di pareidolia.
La prima cosa che ho pensato quando ho avviato per la prima volta Hollow Knight è stata “Ok, vediamo cosa fa di diverso rispetto a Castlevania”, e così facendo mi sono rovinato l'esperienza, perché la mappa non è a quadretti e quindi è meno leggibile, perché non c'è la scelta delle armi e quindi è più monotono, perché non è in pixel art e quindi è più brutto, e via discorrendo. Stavo giocando a un gioco pensando a un altro. Ma sarò coglione?
Il problema è che non siamo abituati all'originalità. Ovviamente, aggiungo: è parte della definizione di originalità. Però, per quanto sia ovvio, non riusciamo a definire qualcosa senza partire da ciò a cui somiglia. Quando uscì Doom venne definito “un'avventura in tre dimensioni”, e tutti i giochi “simili” che vennero dopo vennero chiamati “Doom-like” molto prima di essere naturalizzati in first person shooter, o fps. Così facendo, però, partiamo sempre e comunque da un punto di vista potenzialmente sbagliato: abbiamo ben chiaro in testa il paragone, e andiamo a caccia di ciò che questo gioco fa diversamente, negandoci di vedere il quadro nel suo insieme, fallendo nel considerare come tutti questi elementi definiscano un'identità a sé stante. Questo solitamente non è un grande problema: molti videogiochi sono proprio derivativi, ma quando ne spunta fuori uno veramente originale rischiamo di non accorgerci. E così anche in qualsiasi altra circostanza: di fronte a una nuova destinazione di viaggio tendiamo a paragonare il paesaggio con qualcosa di già visto, ascoltando un nuovo album di una band lo paragoniamo ai loro precedenti lavori, mangiando un piatto di pasta al sugo in un ristorante lo paragoniamo a come la faceva nostra nonna. Ci vuole uno sforzo non trascurabile a valutare le cose in quanto tali.
Però non vorrei parlarvi di questo. Questa è una recensione di Hollow Knight.
Vi parlo di Hollow Knight
Il fatto è che io non saprei proprio parlarvi di Hollow Knight.
Non è un gioco normale. Non è stata un'esperienza che posso descrivere senza parlare anche di tutto ciò che c'è girato intorno, tutte le considerazioni che mi ha obbligato ad affrontare.
In giro si legge “Voto: 10”. Io i voti non li ho mai sopportati. Come si fa a riassumere con un numero un'esperienza interattiva, una narrazione in cui una parte di noi si stacca e diventa parte della storia stessa, un percorso a ostacoli al quale ci sottoponiamo di nostra sponte per il puro gusto di dimostrarci di essere in grado di superarlo?
Ci sono tanti giochi come Hollow Knight. C'è chi vi potrebbe raccontare la stessa esperienza parlandovi di qualsiasi altro gioco, o addirittura di un libro, di una canzone, di un film, di un qualsiasi ricordo sul quale si decide di tornare, col sospetto che da un punto di vista diverso si scopra qualche altro dettaglio.
Hollow Knight è ciò che mi ha insegnato che devo continuativamente mettere in discussione il mio punto di vista. Devo fare attenzione a come valuto qualcosa, perché il contesto di fruizione di un'opera è importante quanto l'opera stessa. Devo ricordarmi che quando sono seduto in una stanza da solo sono un persona, e quando sono di fronte a una platea sono un'altra persona.
Non posso sapere se Hollow Knight vi provocherà le stesse riflessioni. Probabilmente no.
Ma era proprio di questo che volevo parlarvi. Questa non era affatto una recensione di Hollow Knight.