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from Super Relax


Gli o le smartband? Suona più naturale al femminile, ma credo il maschile sia la forma esatta.
In ogni caso, ne ho avuti due: il primo, Mi Smart Band 6: dovrebbe essere la sesta iterazione, perché la precedente, quasi indistinguibile, non aveva il saturimetro.

Mi ha accompagnato, all'inizio con soddisfazione, nelle prime uscite per diletto in bicicletta: GPS per tracciare i percorsi, velocità, lunghezza di salite e discese, battiti cardiaci, risoluzione sufficiente per le notifiche del telefonino ecc., insomma il necessario per viaggiare informati. Questi sono i pro: dei contro ne parlerò a breve, avendo molti punti in comune con l'altro modello.

Poi, ho avuto, per brevissimo tempo un Mi Band 4C: una versione di fascia molto bassa, roba da una dozzina di euro con le offerte. Pro? Nessuno, a parte il costo, ma non me ne faccio niente, alla luce di quel che è successo poco dopo l'acquisto.

Entrambi i dispositivi vanno incontro a fragilità che ne compromettono l'utilizzo, anche irrimediabilmente, dopo poco o pochissimo tempo.

Lo schermo OLED del modello più lussuoso, il 6, ha iniziato ad affievolirsi già dopo circa sei mesi, diventando poi progressivamente illeggibile alla luce del sole (cosa già difficile da nuovo, anche la luminosità massima è decisamente fioca) nel corso dei mesi successivi, fino a renderne difficile l'utilizzo anche nel buio completo. Attenzione: all'epoca mi informai, non era un problema del mio esemplare, dalle numerose lamentele sembrava fosse proprio la norma per quel pannello. Il cinturino si spezzò dopo qualche tempo, ma potremmo definirlo come un problema minore, vista l'economicità dei rimpiazzi. In ogni caso, sicuramente un altro fastidio.

Per il 4C, tutto è andato storto dopo poche settimane: anche questo sembra essere un problema universale, si è spaccata la cassa all'altezza dell'attacco USB. Per chi, fortunatamente, non avesse mai avuto a che fare con questo modello, la ricarica avviene in un modo abbastanza bizzarro: parte del cinturino si sfila dall'orologio, rivelando una protuberanza da inserire in un qualsiasi ingresso USB, per la ricarica. Tempo un paio di ricariche e si è spaccato tutto, irrimediabilmente.

Oltre alle rispettive fragilità, un altro contro in comune sono le relative app, ne parlo al plurale perché sono differenti per i due modelli. Più funzionale quella del 6, molto spartana quella del 4C, entrambe poco promettenti dal lato privacy. Difficile capire dove finiscano i dati raccolti, facile immaginare cosa se ne facciano. Ho provato, così, a collegare il Mi Band 6 a Gadgetbridge, app open disponibile su F-Droid.

Niente da fare. Ho buttato tutto, perché non sapevo cosa farmene. Non so quanto siano affidabili i modelli successivi, posso immaginare non siano stati fatti grandi passi avanti lato privacy.

 
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from Il Taccuino

Ho accumulato i miei giorni come fossero documenti impilati. Mi fermo a rileggerli spesso: pieni di quisquilie, farneticazioni, cavilli. Su ogni foglio imprimo col timbro: “SPRECATO” Ne arrivano spesso di nuovi ma nel contenuto son sempre gli stessi. A cosa serve rileggerli ancora? Eppure avrei tanto voluto esser poeta, oppure un artista, col cuore tremante e ispirato. Tuttavia il cielo non volle. Pazienza. Starò qui a sbrogliare scartoffie con la sterile passione dell'impiegato.

 
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from pop e memorie


Sogno di una rivolta carceraria in una specie di prigione dell'India, in bianco e nero: un tizio uccide un secondino e usa la sua pistola per ucciderne un altro, prende le chiavi e inizia a liberare la gente.

La prigione è lunga è stretta, un piccolo corridoio costeggiato da celle in cui la gente dorme a terra, non ci sono suppellettili. La gente inizia ad uscire dalle gabbie: un gigante magro con una pelle terrosa, calvo; due nani russi con una lunga barba, gemelli; umanità varia e alla fine una specie di Humpty Dumpty con arti lunghi e secchi. Tutti ci dirigiamo verso un punto ben definito e dobbiamo passare in uno stretto cunicolo (troppo piccolo per noi, ma ci passiamo; io penso a Humpty Dumpty, come passerà?).

Mentre passo io, una specie di ombra-salmone risale il breve cunicolo. Si spunta su una piscina, è una specie di Morte stessa a indicare la piscina in cui buttarci: non è prudente contraddire la morte. Mi butto, pur non sapendo nuotare. Compare una barra di progressione al contrario, “Blizzard sta rigenerando l'anima”.

Scomparsa la barra mi ritrovo all'aperto, tornano i colori: c'è un quest giver con un punto esclamativo blu, lo consulto e ignoro, poi mi allontano lungo questa specie di bacino idrico che termina in un palazzone.

Scendo dal palazzone scalando le pareti e mi ritrovo in una specie di studio cinematografico a più piani: al piano terra c'è l'esibizione di un certo regista danese, si vedono dei demoni danzare e ballare, prima neri e poi bianchi. Demoni alati, demoni con troppi arti e dispari, gambe montate su gambe eccetera.

Ancosa sognando, racconto al personaggio X di aver sognato della rivolta indiana, poi non ricordo come sia finito. Il sogno, in bianco e nero, aveva una fotografia strepitosa, un'atmosfera mai vista in un film.

 
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from Super Relax


Non era proprio un orologio, era uno smartband Xiaomi, marca che mi ha dato solo delusioni con questi aggeggi, esperienze di cui parlerò in un altro momento.

Un sabato mattina, inforco la bici e vado a esplorare una viuzza secondaria, che credo di aver capito asfaltata fino a un certo punto, appena prima di diventare un percorso che è meglio fare a piedi. Mi ci avventuro, alla fine c'è anche una salitella breve ma intensa e, come previsto, con uno strettissimo tornante l'asfalto lascia il passo alla zona off limits. Mi avvio a rifare la strada al contrario, precisazione: non sono molto bravo coi tornanti stretti in discesa. Sono pessimo, tanto che alcuni preferisco farli scendendo alla bici, perché la sicurezza non è mai troppa.

Quella volta, invece, no: era una delle mie prime uscite e, da perfetto inesperto, non conoscevo i miei limiti, ero ancora pericolosamente spavaldo. Fatto sta che azzardo questo tornante e, non chiedetemene il come e il perché, riesco a cadere sulle spalle, in discesa. Caduta attutita dallo zaino, giro sempre con uno zainetto più o meno imbottito di rosa; nessun danno, neanche alla bici, riparto.

A qualche chilometro da casa, controllo l'orario, o è quel che tento di fare: ohibò, che fine ha fatto lo smartband, quello che vedo è un nudo polso! Intuisco si sia slacciato nella caduta, non ho voglia di tornare indietro e rifare la salita, ci tornerò la settimana prossima.

È quello che faccio e, effettivamente, ritrovo l'aggeggio nell'erba, ignaro di tutto, che ancora monitorava l'attività... una pedalata durata una settimana, come no! Lo ripulisco dall'umidità e dal terriccio, lo rimetto al polso e torno a casa, abbastanza di buonumore.

 
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from videogeco


Ero disoccupato e lo sarei stato ancora per diversi mesi, quindi avevo tutto il tempo per giocare a quella meraviglia. ALl'introduzione sui binari eravamo pronti, ne avevamo avuto un assaggio col primo episodio, e pure quello fu un momento epocale della storia dei videogiochi.

Non eravamo pronti, non io, a lasciare la stazione e venire catapultati tra gli ambienti di City 17, specie gli esterni. Momenti che definiscono un prima e un dopo.

E una mattina da disoccupato, mentre giocavo sul fido CRT grigio o beige, col case grigio o beige, la tastiera... beh, all'epoca i computer erano ancora grigi e beige, come i loro accessori, mentre giocavo, citofono: è un amico mio, teoricamente dovrebbe star lavorando anche lui, di mattina.
Invece no, disoccupato temporaneamente anche lui, come per telepatia sapeva di potermi trovare a casa.

E giocavo a HL2, lui guardava senza annoiarsi, non è una cosa scontata.

Ancora oggi, penso che il Source possa tranquillamente essere usato per qualsiasi videogioco
Quell'estetica mi basta, mi appaga.

#Anno2004 #HalfLife2 #HL2 #PC #Valve #FPS #Videogiochi

 
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from pop e memorie


Non lo so, non lo so più. Generalmente, potrebbe essere una persona che non abbiamo mai incontrato, che non abbiamo mai potuto toccare fisicamente: non mi piace toccare la gente ed essere toccato, è il concetto. Qualcuno con cui non abbiamo mai scambiato una parola, un estraneo.

Potremmo allargare la definizione anche a persone conosciute astrattamente: gente in qualche modo famosa, idealmente avvicinata da uno scambio di battute a distanza, incorporee. Loro da una parte, noi dall'altra e in mezzo qualche chiacchiera. Da estranei.

Per contro, chi sarebbe un amico, un conoscente, un parente? Qualcuno a cui dovremmo esser legati da un vincolo di amicizia, sangue, da un rapporto professionale, chissà. Ebbene, quanto sappiamo davvero di queste persone? Poco, preferibilmente, perché a conoscer troppo a fondo la gente si finisce con l'accumulare delusioni su delusioni. O troppo, e in quel caso è già tardi.

Mi è capitato con gli amici di una vita. Meglio sarebbe stato limitarsi alla superficialità, a uno stato di conoscenza controllata, leggera. Amici sì, ma fino a un certo punto. I parenti, poi, neanche li scegli.

Qualche giorno, prima di scrivere questo testo, ho avuto un breve scambio di battute, in chat, con una persona che dovrebbe essere sconosciuta, estranea, secondo quanto scritto all'inizio. Invece, non che ne avessi dubbi, questa persona si è confermata (non che ce ne fosse il bisogno) limpida, coerente, integra, in una chat privata esattamente come nella sua persona, intesa come immagine, pubblica.

Ho risuonato con questa persona “sconosciuta” più che con gente che conosco da 500 anni. Ho pensato che da grande vorrei essere così, anche se è già tardi per essere grande. Ho pensato ai rapporti che instauriamo, o dovremmo, con gli sconosciuti, con gli estranei. È stato un momento luminoso e ho scritto questa cosa.

 
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from la tana di Belzebu

biscotti velenosi

mi chiedo se la regina di Argyll descritta come un anello di congiunzione tra l'umano ed il divino possa avere e rivendicare i peli, si perché nel popolare brano di Andy M. Stewart membro della band Silly Wizard viene elogiato lo status di bellezza e grazia di una donna, una donna potente ed unica nel suo genere. Ispirazione probabilmente per l'utente "biscotto ai mirtilli", ispirazione certo ma non rappresentazione... Questo personaggio da migliaia di follower per lo più maschi, spiegheremo di seguito perché il genere dei follower è importante, e dai pochi like rispetto ai contenuti condivisi, è una sorta di "femminista", non me ne vogliano le attiviste e le intellettuali che si battono per davvero per quelle che sono ancora pieghe reali e penose nei diritti ostacolati per le donne, il nostro biscotto ai mirtilli, dicevamo, è tutt'altro che dolce, ed è tutt'altro che onesta nella difesa dei diritti, chi sa se le hanno spiegato che anche Andy l'autorE del testo che le piace tanto è un maschio, anche lui colpevole di stupro, omicidio ed altre indicibili azioni che quotidianamente vengono messe in atto da TUTTI gli uomini, particolarmente se maschi, bianchi ed eterosessuali, nei confronti delle donne, il biscottino ai mirtilli avvelenato risponderà che le statistiche e i media ce lo raccontano ogni giorno, che ogni giorno ci sono donne ammazzate dagli uomini e tanto basta perché tutti gli uomini siano complici, carnefici, rei dei cirmini a loro (tutti) ascritti, la regina di Argyll giudice in cielo ed in terra emette la sua sentenza definitiva. Non accetta osservazioni di alcun genere e porta in dote violenze subite in passato da maschi prevaricatori, verbalmente e fisicamente agressivi, odia de facto chi con la violenza non ha mai avuto a che fare, statisticamente i più, ma in questo caso le statistiche non le importano più. Non sa, per impreparazione o per capsiosità che le statistiche si devono leggere con più "livelli" di profondità e che soprattutto in quelle che riguardano temi sociali questa profondità è un fattore difficile da inquadrare e da interpretare, densa di elementi spesso mutevoli e interpretabili nel contesto. La regina biscotto dà agli aguzzini del suo immaginario diritto di replica circoscritto, non è possibile rispondere "non tutti..." nemmeno pianficare una situazione nei suoi dettagli, lei ha la verità ma non te ne fa dono, ti lascia nel tuo personale oblio di crudele benevolenza e consapevolezza del fatto che le cose, "ahime!" sono più complicate di come sembrano, quasi sempre. Quando gli argomenti del boscottino vengono a mancare maledice la tua natura si rammarica per le persone che hai vicino e come un biscotto si scioglie nel latte caldo, so che il latte caldo la urterà in quanto vegana, ma nel momento non mi vengono altri paragoni, chiude la porta, blocca il tuo utente e continua il suo esistere di post deliranti, tra scarpette da danza irlandese ordinate su internet e foto che la ritraggono vestita da lolita nell sala d'attesa della "psyke". biscottino Le righe sopra sono quanto meno astiose ed acide, ma meritate per una persona che è arrivata a sostenere, parlando a nome di tutte le donne di non sopportare l'apprensione di mariti, padri, fratelli e fidanzati quanto questi si preoccupano per le congiunte, in quanto questo sentimento di preoccupazione sarebbe derivato da un senso di possesso ancor prima dell'amore per il prossimo vicino. Questa regina si crogiola in un presunto credito maturato nei confronti del mondo per il solo fatti di esser femmina, senza comprendere fino in fondo che al mondo "ahime!" frega davvero poco o nulla. Nelle discussioni antecedenti alla sua definitiva chiusura con un blocco ed un comportamento non proprio corretto che ha visto la cancellazione di interi thread dove io mai mi sono permesso di insultarla, mi permetto ora di radicalizzare quello che posso dire nel mio spazio che è mio e sacrosanto, una mentecatta da centodieci e lode, una minus habens che non ha capito nulla di se stessa ma pretende di far comprendere il mondo agli altri, nello stesso istante in cui questi altri vengono esclusi a priori dal mondo piccolo dei suoi interlocutori, che sono, restano e resteranno sempe prossimi allo zero come il feedback ai suoi deliri. Vive nella paura e nel terrore e questo alla fine mi spiace anche se tutto sommato, beh son cazzi suoi...

 
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from Super Relax


Versione abbellita su Wordpress Panoramica su OpenStreetMap

Siamo a Valle Marina, una delle frazioni di Monte San Biagio. Una zona di campagna, senza attrazioni particolari ma dove è molto piacevole pedalare, affrontando pendenze poco impegnative (generalmente), circondati da una natura non eccessivamente antropizzata, con pochi agglomerati veri e propri di abitazioni che cedono presto il passo alle singole abitazioni.

Che si provenga da Fondi, Terracina o Monte San Biagio, l’accesso principale è sempre lo stesso: l’incrocio che dalla SS 7 Appia immette in via Macchioni, all’altezza del cimitero di Monte San Biagio. Volendo, da Terracina è possibile accedere sia da via Epitaffio, strada non asfaltata, che da via di Mezzo, 500 metri più avanti. Provenendo da Fondi, è possibile evitare la maggior parte del tratto sulla statale seguendo due percorsi: il primo, consiste nella sequenza via San Magno, via Rene, via Provinciale San Magno, viale Europa e, infine, 2,7 km di statale, fino a via Macchioni.
L’altra strada passa per le vie parallele ai binari: via della Ferrovia, via Sotto Ferrovia, via Parallela della Stazione e, infine, via Bufalari per immettersi sulla SS 7, tornare indietro di circa 300 metri e poi inserirsi in via Macchioni.
Ahinoi, questa opzione prevede possibili incontri con cani, mi è capitato di imbattermi in due maremmani: uno tranquillo e disinteressato, l’altro scappato da una recinzione e molto aggressivo, che ha tentato di aggredirmi nonostante fosse presente il proprietario, che cercava di calmarlo senza alcun risultato.

Il tratto iniziale, via Macchioni, è sostanzialmente pianeggiante, con qualche salita e discesa di lieve entità. Arrivati alla rotonda, per avvicinarci alla destinazione di oggi dobbiamo girare a sinistra, oltrepassare il ponticello della ferrovia, girare ancora a sinistra e procedere fino all’incrocio con via Chivi e seguire questa strada fino a raggiungere, appunto, via Epitaffio.

La torre dell’epitaffio è la nostra meta; vi troviamo una piccola area di ristoro con un paio di tavoli e una panchina, a pochi metri da una stradina nel bosco che fa parte della via Francigena.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Terreno e altimetria:
Il breve tratto che ci interessa non è adatto alle bici da strada: almeno una gravel, meglio una MTB. Si pedala sulla ghiaia per buona parte del tempo, ma alcuni tratti sono abbastanza critici per la presenza di ciottoli di dimensioni importanti, uniti alla velocità sostenuta offerta gratuitamente dalle discesine pepate.
Molto facile cadere, se non si è abbastanza padroni del mezzo: solo per puro caso non son caduto più volte e, quando qualcosa mi ha detto che sarei rovinato a terra di sicuro, mi son fermato bruscamente per mettere i piedi a terra, la qual cosa è avvenuta contemporaneamente a un salto di catena.
Col senno di poi, ho rifatto quelle parti, al ritorno, spingendo a mano la bicicletta. Non sono un esperto e non ho voluto fare l’eroe.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Niente di particolare da segnalare, oltre alle difficoltà già descritte.
Non incontrerete gruppi di ciclisti, probabilmente non ne incontrerete neanche uno, se non dopo esser tornati sulla SS 7; in ogni caso, non si è in mezzo al nulla e ci sono case abitate lungo tutto il tragitto.
Cani aggressivi non ne ho mai incontrati, anzi: fate attenzione a eventuali gatti e cani di piccola sdraiati in mezzo alla strada, intenti a godersi la tranquillità del posto.

Traccia su Komoot

 
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from Il Problema della Musica

C'è la Musica. Per fortuna. Così posso dimenticare gli orrori del Mondo, i trump, i pogrom, meloni, salvini, il caviale... E gettarmi in un pomeriggio e una serata di sbatti e musica, gloria e divertimento. Il palco mi aspetta. Per fortuna posso dimenticare il resto, mi basta fare vibrare le corde della mia chitarra. Vado

 
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from KSGamingLife

Al bar con Stilgar: i migliori whisky delle 5 regioni della Scozia

Per la serie “Al bar con Stilgar”, eccovi la mia personalissima selecta dei migliori whisky per ciascuna regione della Scozia.

Facciamo innanzi tutto un po' di background.

Se non conoscete la terminologia specifica degli whisky, e nello specifico degli scotch, vi rimando a questo articolo che ho scritto tempo fa', potrà tornarvi utile per stabilire alcune definizioni: https://log.livellosegreto.it/ksgaminglife/al-bar-con-stilgar-come-leggere-unetichetta-di-un-whisky

Veniamo a noi: quando si dice “regioni”, in questo contesto, parliamo delle aree in cui tradizionalmente la produzione di scotch si è sviluppata seguendo specifici filoni di modalità produttiva, tipologia di ingredienti, e generalmente di gusto e preferenza.

Le regioni sono dunque:

  • Campbeltown
  • Highlands
  • Islay
  • Lowlands
  • Speyside

Tecnicamente, ci sarebbe anche la regione delle Islands, ma generalmente viene sempre inclusa nelle Highlands. A me le convenzioni non piacciono, e quindi includerò la non-regione delle isole nella mia lista.

Ogni regione, a eccezione delle più piccole Lowlands e Campbeltown, ospita decine e decine di distillerie, che producono decine e decine di whisky. La mia lista non vuole essere esaustiva, si limita a ciò che ho provato, ciò che può facilmente essere reperito, e che abbia un costo accessibile anche considerando le difficoltà di reperimento causate dalla Brexit. Ovviamente tutti i link non sono sponsorizzati.

Iniziamo dunque con...

  • Campbeltown Springbank 15

Campbeltown è una piccola regione, localizzata in una penisola nel sud ovest della Scozia. Anticamente, era una vera e propria capitale della produzione del whisky, con tantissime distillerie attive e eccellenti. Negli anni ´20 però gli effetti della Prima Guerra Mondiale avevano causato una forte depressione economica, e i consumatori si concentrarono su un altro tipo di prodotto, causando la chiusura della maggior parte delle distillerie di quest'area. Oggi ne rimangono 3, tra cui Springbank. Lo Springbank 15 è, a parer mio, uno dei migliori scotch non torbati in circolazione. La produzione è purtroppo molto limitata in termini di quantità, ma vale assolutamente la pena recuperarne una bottiglia prima o poi. Invecchia esclusivamente in botti di ex-sherry, e ha un'aroma fruttato ma allo stesso tempo incisivo, leggermente affumicato e dai sentori esotici. Si trova a intorno 120-140 euro a bottiglia, ma non è disponibile ovunque. Ne ho trovata una qui: https://shop.rivoldrink.it/springbank-15-years/

  • Highlands Edradour Ballechin SFTC

Le Highlands sono la regione più grande. Si può quasi dire che tutte le regioni siano ben definite, e poi le Highlands includono tutte le altre. Per questa ragione, le distillerie di questa macro-regione sono molto eterogenee, sia per tecniche di produzione, che per dimensioni, che per gusto. Quella che vi propongo è la più piccola distilleria della Scozia. Ci lavorano pochissime persone, e producono due tipologie di whisky: Edradour e Ballechin. Il primo non torbato, il secondo decisamente più affumicato, caratteristica rara per la posizione in cui la distilleria sorge. SFTC significa Straight From The Cask, ovvero sta a significare un prodotto non diluito, di gradazione alcolica significativa, ma che pertanto conserva interamente le caratteristiche del legno della botte. Ce ne sono tanti, di svariate tipologie, e sono tutti eccezionali. Sono scotch fatti alla vecchia maniera, come appunto ci si può aspettare da una distilleria sostanzialmente ancora artigianale. Personalmente suggerisco quello invecchia in botti di ex-porto, o ex-sherry, ma sono tutti comunque eccezionali. Hanno un prezzo che varia dagli 80 ai 200 a bottiglia (attenzione, sono bottiglie più piccole del solito), ma e vi consiglierei di stare su quelli più economici, tipo https://amzn.eu/d/ckDF9Kv

  • Islay - Bruichladdich Port Charlotte 10

Islay, la patria della torba, l'isola più sfruttata in assoluto dalle mega-distillerie e martoriata dai camion che trasportano in continuazione ettolitri di distillato per soddisfare tutti gli appassionati del mondo. Ci sono tante distillerie in questa piccola isoletta, troppe anzi, e la popolazione non le vede particolarmente di buon occhio sebbene diano lavoro a sostanzialmente chiunque scelga di viverci. Lo fanno però a caro prezzo per l'ambiente e l'ecosistema dell'isola, è quindi la regione con più controversie. Sarà per questo che tutto ciò che viene prodotto a Islay ha un sapore così deciso. Qui c'è davvero l'imbarazzo della scelta, ma personalmente vi consiglio lo scotch che personalmente porterei nella proverbiale isola deserta. Si tratta del prodotto base della linea torbata della mia distilleria preferita. Bruichladdich infatti produce tre tipologie di scotch: appunto Bruichladdich (non torbati), Port Charlotte (decisamente robati), Octomore (i più torbati al mondo, si tratta di prodotti pressoché sperimentali e assurdi). Il PC10 che vi consiglio si trova a prezzi tutto sommato accessibili, e lo reputo davvero incredibile. È forse l'unic scotch che non deve mai mancare in casa mia. Ce ne sono tantissime varianti, a produzione limitata ed esclusiva, ma provate quello base, invecchiato per 10 anni, prodotto esclusivamente con malto di Islay. Lo trovate abbastanza ovunque, tipo qua https://amzn.eu/d/apHL1k6

  • Lowlands Bladnoch Samsara

Le Lowlands sorgono nella parte più meridionale della Scozia, si tratta di una regione spesso sottovalutata a causa della spiccata delicatezza degli whisky qui prodotti, che non appellano ai palati della maggior parte dei consumatori. Ma d'altronde, la maggior parte dei consumatori non capisce niente di whisky. Vi propongo un singolare prodotto di quella che è considerata una delle distillerie più autentiche delle Lowlands e forse di tutta la Scozia, l'antica Bladnoch. Il Samsara è uno scotch molto particolare, con doppio invecchiamento in botti di vino rosso e bourbon, che gli conferiscono unn corpo e una rodondità davvero memorbili. Si trova per esempio qua: https://amzn.eu/d/0w4fF2S

  • Speyside Aberlour A'bunadh

Speyside è una piccola regione, ma forse è la più famosa di tutte, a causa della dimensione delle principali distillerie di quest'area. Qui ha luogo una vera e propria produzione su scala industriale dello scotch, con distillerie come Glenfiddich, Macallan e Glenlivet. Questa straordinaria produzione è dovuta alla presenza del fiume Spey (Glen infatti significa “valle”), che da sempre fornisce acqua alle distillerie che sono sorte sulle sue rive. Vi consiglio però un prodotto di una delle distillerie più piccole di questa piccola zona. Aberlour, pur avendo una produzione impressionante per le sue dimensioni, mantiene a mio modo di vedere un'autenticità che in pochi altri hanno, qua a Speyside. L'A'bunadh è il loro cask strenght, ovvero il loro scotch imbottigliato così come esce dalla botte, con gradazione decisamente alta, ma con una sorta di granata a frammentazione caricata a sherry pronta ad esplodervi in bocca. Specialmente con qualche piccola goccia d'acqua nel bicchiere, diventa un'esperienza sensoriale davvero incredibile. Si trova generalmente a molto meno di 100 euro, tipo per esempio qua: https://amzn.eu/d/7OlrXoJ

  • Islands Highland Park 18

Le isole scozzesi sono molte, e tutte diverse, tutte con le proprie caratteristiche territoriali. La produzione qua è relativamente giovane, con tante distillerie interessanti che promettono decisamente bene pur non avendo ancora una produzione particolarmente florida e variegata. Questo è vero tranne che per la famosissima Talisker di Skye, e per Highland Park, che a sua volte sorge nelle isola Orcadi. Le Orcadi sono isole particolari dal punto di vista territoriale: i pochissimi alberi non permettono la produzione della torba come accade nel resto della Scozia e principalmente a Islay, e gli whisky prodotti qua hanno conseguente un gusto molto particolare, quasi sapido. L'Highland Park 18 che vi propongo, seppur non si tratti di una bottiglia particolarmente economica, incorpora forse meglio delle decine e decine altre etichette di questa famosa distilleria pe proprietà specifiche di queste isole. Immaginate miele, cilegia, con in fondo una boccata di fumo tipica dei falò in riva al mare, ed ecco che vi rendete conto dove sono andati a finire i 150-180 euro che dovrete pagare. Si trova anche qui: https://amzn.eu/d/1LqQlSG

Buon divertimento, e fatemi sapere quali vi sono piaciuti!

 
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from Klaus

Quando eravamo piccoli, mio fratello Karl ed io, ci nascondevamo spesso nel piccolo magazzino nel laboratorio di nostro padre. Dai racconti di alcuni clienti che eravamo riusciti ad origliare, avevamo sentito in più occasioni che, durante i loro viaggi, avevano riposato all'interno di una capanna, e tutti facevano riferimento alla “Capanna di Leomund”, ma ci stupiva come questo luogo venisse menzionato in viaggi verso nord, in altri verso sud, in luoghi dai nomi esotici e in profondità nelle miniere naniche. Capimmo col tempo, che si trattava di un luogo magico, dove chiunque avesse avuto il permesso, poteva riposare in un luogo sicuro, lontano dai pericoli, in compagnia solo di persone fidate ed amiche. Decidemmo, a ridosso del fiume, di costruire la nostra “Capanna”, un luogo dove potevamo entrare solo noi, un posto magico dove, ci piaceva pensare fosse così, nessuno poteva sentirci, solo nostro. La costruimmo con mezzi di fortuna, qualche asse di legno trafugata, qualche chiodo rubato a nostro padre, e col passare degli anni la migliorammo, rendendola sempre più confortevole. In quel luogo, da bambini, nascondevamo i dolci che arraffavamo di nascosto al mercato, nascondevamo “tesori” trovati nella foresta, mentre da più grandi, semplicemente, ci rilassavamo, sfuggendo alla monotonia del villaggio o dai lavoretti imposti dai nostri genitori, o più tardi davamo sfogo ai nostri pensieri, alcune volte semplici altre più profondi. Era nostro. Volevo bene a mio fratello.

Capanna 1

Capanna 2

I ricordi di quel giorno sono impressi nella mia mente, incisi come un solco di scalpello, netto, preciso, e credo che rimarranno lì a farmi compagnia per il resto della mia esistenza. Era un giorno come tanti altri e mio fratello Karl ed io, eravamo al fiume, e concentrati stavamo studiando, per prepararci all'esame che pochi giorni dopo avremmo dovuto sostenere. Io, per entrare nell'esercito dell' Alleanza, lui per ottenere una promozione e salire di rango. Avrei dovuto sostenere una parte teorica, su geografia, sopravvivenza, storia, tattiche e tecniche militari, e dopo una parte pratica, per la quale mi sarei allenato con mio fratello. Lui aveva qualche anno più di me, era molto intelligente ed aveva un'agilità fuori dal comune; aveva perfezionato tecniche e tattiche di attacco a distanza, con la sua fidata balestra, per la quale era stato notato dai suoi superiori, e avuto accesso all'esame per diventare ufficiale. La casa dove siamo cresciuti e dove vivono e lavorano i nostri genitori, è poco distante dal forte, dove si trova la caserma militare, e dista poco più dal villaggio. Il fiume, dove ci piaceva passare parte delle nostre giornate, delimitava la zona civilizzata, da quella più selvaggia, ricoperta da una fitta vegetazione e dove nostro padre si riforniva delle materie per lavorare. Appoggiati con la schiena allo stesso albero, con i libri in mano, del cibo preparatoci da nostra madre in una sacca appesa ad un ramo, eravamo tranquilli, con le nostre armi sempre a portata di mano, data la vicinanza di luoghi dove animali feroci o esseri poco amichevoli avrebbero potuto fare la loro comparsa.

Era un momento di pausa, e stavamo terminando il piccolo pasto che ci era stato preparato. Mio fratello, nemmeno il tempo di buttar giù l'ultimo boccone, aveva già imbracciato la sua fidata balestra; lo vidi dirigersi verso alcuni punti sparsi attorno a noi, in altri a ridosso del fiume e anche al di là passando dove l'acqua bagnava a malapena le caviglie. Posizionò dei bersagli a ridosso degli alberi, alcuni in posizioni difficili da raggiungere. Poi con aria soddisfatta tornò da me, “Bene, possiamo cominciare!”

Proprio in quel momento udii la voce di quell'uomo. “Bene, bene, bene...lontani dal forte eh! ragazzi!?!” Non dimenticherò mai il suo viso e quello dei suoi compagni, briganti pronti a tutto e desiderosi solo di sangue e vendetta. Era la banda dei fratelli Brescott, dediti a rapine, rapimenti e violenze di ogni genere. Da tempo non si vedevano da quelle parti, ma precisamente da quando si diedero alla fuga dopo che mio fratello Karl riuscì a far incarcerare uno dei due fratelli delle malefatte, Jester, che fu successivamente giustiziato. Ma ora a reclamare la loro giustizia era tornata il resto della banda, e il superstite del duo, Nomer, a voler la sua vendetta. Erano tanti, troppi. Ci rifugiammo subito nella “nostra capanna”, Karl caricò la balestra, mentre il rumore dei passi degli uomini fuori si faceva sempre più vicino. Poi si affacciò per un attimo dalla piccola finestrella sulla sinistra ed io a quella di destra e subito tesi la corda del mio arco, un ultimo sguardo e cenno di intesa tra di noi, e scoccammo trafiggendo un paio di loro. I passi fuori si fecero più veloci, consci del fatto che dovevamo perdere qualche attimo a ricaricare le armi. Riuscimmo a colpirne un altro paio, ma in quel frangente fecero irruzione nella capanna. Venni atterrato da una freccia alla gamba e successivamente tramortito da un colpo alla nuca, l'unica cosa che sentii prima di svenire fu il suono deciso del corno di Karl, che chiamava soccorsi. Caddi poi privo di sensi, e quando poco dopo ripresi conoscenza con un colpo di stivale allo stomaco, vidi il loro capo che agitando un coltello al collo di Karl, rideva e mostrava il suo viso fiero di fronte a quello tumefatto di mio fratello, stremato. Un colpo di rabbia prese in me il controllo e con uno scatto riuscii ad avvicinarmi, ma venni subito placcato da due di loro e riportato con la testa a terra, uno stivale sopra la mia tempia, solo per permettermi l'ultima macabra, triste visione della lama che passava da parte a parte sul collo teso di Karl. Un ultimo sguardo tra di noi, un accenno suo di sorriso. Tutti gioivano, tutti ridevano. Un monito poi mi venne rivolto “Ecco cosa accade a chi si mette contro di noi! Dillo a tutti, dillo ai tuoi capi!”. Venni nuovamente colpito e vidi solo mio fratello cadere al suolo, privo di vita. Poi, uno di loro si caricò il corpo sulle spalle e sempre il capobanda sghignazzando “Non sia mai che vi venga in mente di riportarlo tra noi”. Ricordo la terra che tremava per gli zoccoli dei cavalli che sopraggiungevano dal forte, troppo tardi. Ricordo le mie lacrime miste al sangue. Ricordo la rabbia. Sento la rabbia.

 
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È una domenica sera e mi capita una consegna fuori dal centro, in una tranquilla zona di campagna attraversata da una strada principale su cui si affacciano traverse che portano a casette sparse, poggiate ai piedi della montagna. Non so se avete presente: sono quei viottoli, spesso in forte pendenza, altrettanto spesso non asfaltati, ma ricoperti di pietre irregolari, da cui spuntano polvere e vegetazione, e cemento malament posato. È proprio uno di quei viottoli e qualcosa mi dice di scendere dalla bici e spingerla fin su, per non sforzarmi troppo e non far ondeggiare troppo il contenuto dello zaino.

E in queste traverse, a mancare non sono neanche i cani, spesso di piccola taglia. Non mancano, decisamente: ne sbucano cinque o sei, per 25 kg complessivi, e mi circondano, facendo il baccano infernale che i cani di piccola taglia sanno fare. Una strana processione, con me che spingo una bici al centro e questi cani che mi odiano, sulla fiducia, a corrermi attorno, abbaiando come al più grave dei pericoli. Escono i proprietari allertati, mi vedono e cercano di richiamarli: al solito, questi cani da guardia in miniatura hanno la testa dura come il cemento della salita, richiamarli non ha alcun effetto. ANZI.

C'è anche la cliente, che mi vede arrivare con una bicicletta “muscolare” (una volta era una bicicletta e basta, oggi bisogna specificare) e si dichiara, più volte, sconvolta del fatto che l'impero dei panini e della frittura mi abbia mandato fin lì, nel buio, pedalando. La rassicuro, dicendo che non è mica la consegna più lontana che mi sia capitata; lei ancora sconvolta, ritira l'ordine e entra in casa per uscirne dopo poco. Penso sia andata a prendere qualche spicciolo per la mancia, invece chiede soltanto “allora c'è tutto?” Sì, c'è tutto e me ne vado.

Si ripete la scena di prima, coi cani urlanti che mi vorticano attorno, è la mia ultima consegna del giorno.
Il mattino dopo, trovo la bicicletta con una ruota tutta sgonfia, ho evidentemente bucato su quella salita o lungo la strada del ritorno. Si scoprirà essere una spina di dimensioni ridicole, lunga appena abbastanza da forare il copertone e aggredire la camera d'aria.

 
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È stato così ribattezzato, non ufficialmente, il passo Le Crocette, nel territorio di Campodimele, raggiungibile principalmente da Lenola e Fondi, sempre in provincia di Latina, in onore di Marco Pantani, idolo del ciclismo italiano (e non solo) di fine anni Novanta, la cui esistenza è terminata in maniera tragica, lasciando ancora molti interrogativi. Non è questa la sede per parlare di quegli anni particolarmente bui del ciclismo, sia a livello di atleti che dello sport in sé.
La salita gli è stata dedicata perché, per diversi anni e in via ufficiosa, se ne era parlato come di uno dei suoi percorsi di allenamento, durante le sue permanenze in Centro Italia: quella che appariva come una specie di leggenda, sembra sia stata poi confermata, in un’intervista, da Stefano Garzelli, all’epoca suo compagno di squadra e oggi direttore sportivo.

Come anticipato, il passo è raggiungibile anche da Lenola, passando per via Pozzavelli e Camposerianni: si inizia con una breve discesa per proseguire, poi, con una salita costante, con alcuni tratti abbastanza impegnativi, con pendenze a due cifre che fanno capolino per diversi metri.
Non è questo, però, il versante che ci interessa, se non facendolo in discesa: ci torneremo dopo.
La salita che interessa ai ciclisti che vogliano sentirsi partecipi, in qualche modo, della sua leggenda, inizia nel territorio di Fondi, più precisamente in zona Querce.
Si parte dal centro di Fondi, da via Arnale Rosso per poi immettersi in via Querce; inizio alternativo in via Vetrine, con immissione in via Querce all’altezza dell’incrocio di via Valle Rocco. Dopo 500 metri abbondanti, sulla sinistra appare la Chiesa di S. Antonio e, proseguendo a destra inizia la salita, moderata ma con qualche strappetto, fino all’incrocio tra via dell’Ape regina e la SP 154, in località Camposerianni, dove inizia il segmento di Strava.

La strada provinciale si presenta subito con decisione: un doppio tornante molto stretto, con pendenze attorno al 15% circa, ci introduce a quelle che saranno le pendenze tipiche della salita.
Siamo subito nella natura e nel silenzio (a dire il vero, ci eravamo già da un po’): a farci compagnia, i suoni della natura, il passaggio di altri ciclisti o podisti, qualche rara automobile; è possibile anche non incontrarne nessuna durante tutto il percorso, ma non bisogna mai distrarsi, specie percorrendo il tragitto in discesa, inebriati dalla velocità e dal sibilo del vento.
Si alternano tratti di strada esposta da un lato al sole a altri in cui l’ombra la farà da padrona, proiettata dagli alberi a entrambi i lati della strada.
Lungo l’asfalto, i tifosi hanno lasciato con le bombolette testimonianze del loro affetto per il Pirata, con delle scritte che inneggiano al suo ricordo.
Si prosegue lungo una strada povera di curve, per la maggior parte piuttosto aperte, a parte un altro paio di tornanti a U: ancora una volta, da percorrere con cautela in discesa.
Ed è proprio all’altezza dell’ultimo tornante, a 4 km dall’inizio della salita e 600 metri all’arrivo, sulla destra appare un cartello ligneo con varie indicazioni, tra cui a destra la strada sterrata che porta alla foresta di S. Arcangelo e, al suo interno, l’orto botanico, raggiungibile dopo un tratto di circa 3 km, a piedi o in mountain bike/gravel.
L’arrivo è quasi in vista, ci aspetta un ultimo tratto piuttosto intenso e ci siamo. Ad accoglierci, posata tra due alberi sempreverdi di alto fusto, la stele dedicata a Pantani (inaugurata in presenza della madre), con incisi la sua firma e la sua figura stilizzata. Nelle immediate vicinanze, sulla destra, oltrepassando una sbarra è possibile inoltrarsi in un percorso sassoso, aperto a coloro che vogliano percorrerlo a piedi o in mountain bike, conoscendo i sentieri. Da evitare, nel caso non si sia pratici della zona.

Poco distanti, una cornice per i selfie e un cartello che illustra la storia della salita, nei pressi di un incrocio che ci permette di proseguire in varie direzioni.
Partiamo da quella meno utile, per così dire: accedendo alla stradina più a destra, si percorre una strada che finisce, dopo circa 1,5 km, in una proprietà privata, quindi di scarsissima rilevanza.

La via intermedia, SP 99, funge da collegamento a via Civita Farnese, SR 82. Una bella discesa, da affrontare con cautela per i sette tornanti, più o meno aperti, che la contraddistinguono. Giunti all’incrocio con Taverna, si può proseguire verso Pico o girare a destra, in direzione Campodimele o Itri.
Scegliendo la strada a sinistra, procedendo praticamente dritti, ci si imbatte prima in un’area attrezzata per i picnic, con tavoli, braci e una rastrelliera per le biciclette. L’area verde, ahimè, non è accessibile ai disabili e a chi abbia problemi rilevanti di deambulazione: è vero, si tratta di una zona in pendenza tra alberi e rocce, ma mancano, in ogni caso, sia una rampa che una semplice successione di gradini degni di tal nome.
Proseguendo ancora dritto, si giunge fino a Lenola: nella traccia allegata, ho seguito la strada per Campodimele-Taverna, ma il modo più rapido è semplicemente quello di proseguire per Camposerianni, SP 154.
A una breve, ma intensa, salita iniziale, segue una lunga discesa (attenzione a non lasciarsi andare troppo, ci sono dei piccoli centri abitati in corrispondenza di un restringimento della carreggiata) che passa anche per loc. Madonna del Latte. Rampa finale e si è nel territorio di Lenola, di cui allego qualche foto del Santuario di Madonna del Colle e qualche panorama.

Nel caso vogliate scegliere la via più lunga, all’incrocio di passo Le Crocette potete seguire la freccia per Campodimele, proseguire in direzione Taverna e poi sempre dritti, fino all’incrocio, sulla sinistra, con l’indicazione per Lenola (diversamente, raggiungerete Pico).
In loc. Taverna inconterete un distributore di benzina, ma a noi ciclisti i motori a scoppio interessano poco: più interessanti i punti di ristoro, tra cui la trattoria/bar/b&b La Taverna, il ristorante Lo Stuzzichino, il bar/trattoria La Clessidra e la fontanella.

Cosa portarsi dietro:
– Una o più borracce, non ci sono fontanelle in zona;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Ahimé, nessuna dopo l’inizio della salita, dopo aver lasciato loc. Querce. La prima disponibile è quella di cui ho parlato, in loc. Taverna, sulla strada che porta a Campodimele, di sicuro non immediatamente raggiungibile per fare rifornimento.

Terreno e altimetria:
Come anticipato, ai due tornanti abbastanza impegnativi seguono pendenze impegnative ma umane, 7-8% con qualche strappetto attorno al 10% qua e là. Secondo Strava, il segmento in questione è lungo 4,59 km, il guadagno altimetrico è di 372 metri e la pendenza media è dell’8,1%.
L’asfalto è liscio e non presenta buche/crepe, anzi la parte iniziale è stata rifatta in tempi relativamente brevi e presenta un manto ancora molto compatto, visto il traffico in prevalenza di ciclisti.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Mai incontrati di randagi, c’è qualche cane di piccola-media taglia in zona Querce, nelle villette che precedono la salita. Abbaiano, al massimo.
Vi capiterà di sicuro di incontrare un numero variabile di ciclisti, quasi sicuramente diversi nei giorni festivi: in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.

Variazioni del percorso:
Non ve ne sono, sostanzialmente: se vi interessa la salita Pantani, dovete accedere dalle Querce e proseguire fino in cima.

Traccia su Komoot

 
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from Racconti spontanei che attraversano l'autore

Non c'è fretta, infante, non c'è fretta. Non desiderare così intensamente di essere amato, gli esseri umani non capirebbero, sono così impegnati a guarirsi in modo errato, aggiungono invece di togliere, e anche tu infante, rimuovi finché puoi. Piangi il più possibile, svuotati di lacrime, le librerie sono così piene di autori che non hanno saputo ascoltare; bisogna smetterla di parlare, emettere, condizionare, che tu sia felicemente in contemplazione del nulla. Si può scrivere solo una volta morti, si può morire solo una volta risorti. I raggi del sole ci guidano, il calore è conoscenza infinita. Puoi scegliere se annegare dopo aver finalmente visto la base del relitto, o morire con la testa fracassata da scogli appuntiti a pochi metri dalla riva. Raccontare non è per noi, la vita non è per noi, costretti in mura piene di muffa e grovigli di spine alle finestre e feci, montagne almeno, che coprono casolari antichi, dove sì, si moriva di fame e gli inverni erano molto più rigidi e il fuoco non bastava per scaldare, serviva aprire la porta degli inferi e sprigionare il peccato. La vita è semplice, infante, va vissuta lenta, che lento è lo scorrere del tempo immaginario. Lo sappiamo, l'abbiamo provata più e più volte tanto da pensala nostra, da crederla parte di noi, ma ci avevano ingannati così bene, a farci credere nelle occasioni, non serve a niente vedere il deserto se non riconosci l'abete nel bosco, infante, figlio di una terra che muta più di te e che è benissimo in grado di andarti oltre, superarti e sopravviverti, sopra le carcasse nasceranno muschi e licheni. I popoli sono fatti da esseri umani, e i loro desideri comuni non fanno che manifestarsi. Vi piacerebbe mentire ancora di più, ma la colpa è sempre degli esseri umani e della loro inadeguatezza che sfocia in barbarie sempre più tollerabili. La strada è ancora una volta sgombra e i cumuli delle nuove macerie sono indistinguibili da quelle passate; tutti gli esseri umani vivono contornati da macerie, la nostra preziosa eredità.

 
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from videogeco


Il mio primo pg, un paladino. I miei primi giorni in quel mondo fantastico e le prime professioni, di raccolta: era rilassante andare in giro a raccogliere fiorellini o picconare miniere, tranne quando non arrivava qualcuno un attimo prima di te e ti soffiava il nodo davanti agli occhi.
A quei tempi, e per diverse espansioni, la raccolta di piante e minerali era condivisa col mondo, quindi alloggiava meglio chi arrivava prima. E le miniere dovevano essere anche picconate più volte, qualche volta anche le piante necessitavano di una seconda operazione di raccolta.
Poi è diventato tutto più facile, ogni giocatore vedeva i suoi nodi e poteva usufruirne.

Non avevo un'idea precisa su come impiegare i frutti delle mie professioni di raccolta, poi col tempo avrei fatto qualche progresso. Passavo parte della notte, fino all'albeggiare perché all'epoca andava così, quando il giorno dopo non dovevo lavorare giocavo a WoW fino alle 5:00, 5:30. A far che? Niente di particolare, ma agli albori era ancora bellissimo così. Esplorare, perdersi in un altro mondo.

Era un'alba di un sabato o di una domenica, giravo senza meta per le Wetlands, probabilmente una zona compatibile col mio livello; non che ci badassi più di tanto, al limite scappavo dai dinosauri che popolavano la zona, fino a quando perdevano interesse per il mio paladino. Raccolsi un peacebloom, ancora all'epoca non c'era la localizzazione italiana, che non ho mai usato. Aveva un'icona bellina, questo fiorellino bianco. Lo mandai a una persona, pensando che a questo servissero queste simpatiche piantine: fare un pensierino, come regalare un mazzetto di fiori.

I frutti delle miniere non li ho mai mandati, non tutta la saggezza viene con l'età, già allora ero abbastanza saggio da capire che sassi e minerali non sono granché come regali. Se non per geologhe e geologi, o appassionati della mineralogia, professionisti o amatori.

#Anno2006 #PC #Videogiochi #WorldOfWarcraft #WoW

 
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from videogeco


Testa di limone era il nipote di un gestore di una sala avversaria a quella che frequentavamo solitamente: non che non trascorressimo ore e ore in altre sale, ma ne avevamo una nostra, quella del cuore. Avversaria, forse, un termine azzardato: i rapporti erano di sana rivalità, ecco, sulla qualità dei giochi e sul numero di gettoni corrispondenti alle classiche mille lire; sulla guerra dei gettoni, ritornerò.

Testa di limone, chiamato così sia per la sua chioma bionda (sicuramente rara da quelle parti), sia per evocare una sorta di similitudine tra la sua stupidità e il suddetto frutto. Non so neanche perché certi vegetali, tra cui limoni e cetrioli, siano considerati stupidi, ma tanto era e tanto è. Di certo, i limoni non contano balle a ogni pie' sospinto, a differenza del protagonista di questo scritto: appena si metteva a parlare di videogiochi, ne saltavan fuori di tutti i colori. Schede rarissime arrivate con voli privati da località tecnoesotiche, tipo “l'America” o il Giappone; titoli inesistenti, prestazioni videoludiche oltre le capacità umane e le possibilità degli stessi videogiochi e così via.

Ebbene, assuefatti alle sue narrazioni alternative, alla sua voglia di stupire, data per scontata la sua stupidità, pari solo a quella di un limone (?!), una volta l'abbiamo sottovalutato. Lui guardava oltre, noi miseri ci accontentavamo di un orizzonte temporale di due o tre giorni al massimo.

Siamo in questa sala avversaria, è un pomeriggio qualsiasi in un orario in cui i coetanei, solitamente, studiano. Non essendo studenti particolarmente convinti, stavamo giocando a Mortal Kombat, il primo, versione non censurata: erano i primi tempi del gioco, la versione censurata era ancora quella più diffusa, estinguendosi dopo poco per la voglia di brutalità innata nell'essere umano. Mortal Kombat era già abbastanza noto, per due semplici motivi: il primo, i personaggi digitalizzati come in Pit-Fighter, un gioco che da noi ricordato solo per la particolare grafica e mai amato davvero, probabilmente per la legnosità del tutto. Il secondo, ovviamente, era la violenza barocca delle fatality, il sangue, un pavimento trapunto di lame eccetera. Nessuno, tuttavia, poteva immaginarne l'uscita di innumerevoli seguiti, nel corso dei decenni: era, semplicemente, ancora troppo presto.

Arriva Testa di limone, dal nulla, parla senza un vero interlocutore, quindi a tutti: “a mio zio tra poco arriva la scheda dall'America di Mortal Kombat 3, è una scheda particolare, si mettono dei dischi piccoli, una specie di CD musicali, con dentro altri personaggi, coi colori diversi, con altri quadri e altre mosse, questa scheda nessuno ce l'ha, poi vi faccio vedere la settimana prossima”.

Neanche Mortal Kombat 2, direttamente il 3. Dopo qualche secondo di silenzio, si scatena l'ilarità generale. Tutti noi, stolti, ne ridevamo. Testa di limone ci indicava i DLC e il futuro dei videogiochi, noi guardavamo il dito.

#Arcade #MortalKombat #SalaGiochi #Videogiochi

 
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