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from Disattualizzando

Perché la musica. La musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. IMG-2653 Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare. I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore. “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.
Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche.
Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato. La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda. La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa.
Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili alla complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea. La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile.
Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio. Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.
Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale.
La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile. La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.
Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni. Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi.
Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa. Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano.
Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga. La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.

 
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from Super Relax


Domenica di inizio maggio, faccio il mio lungo settimanale, che lungo non è perché non posso concedermi troppe ore e non avrei neanche chissà quanta energia da spendere. Bel tempo, temperatura perfetta per pedalare, vento ininfluente. Le sensazioni, sulle pendenze più importanti (7-8% e strappi a due cifre, questa l'entità della mia importanza) sono molto positive. Mi sembra di essere più forte del solito, meno preoccupato delle cifre sul ciclocomputer. Torno a casa, controllo i tempi su Strava e confermano le sensazioni positive di prima: ho limato diverse decine di secondi in diversi tratti, addirittura un paio di minuti su un tratto di cinque chilometri abbondanti, caratterizzato da salite poco rilevanti all'inizio e alla fine.

Parentesi Strava: sono un maniaco delle cifre, inseguo le prestazioni, voglio confrontarmi con gli altri? Niente di tutto questo: l'unico confronto è col me stesso delle uscite precedenti, voglio giusto capire se il mio corpo sia capace di reggere i ritmi degli anni passati (pochi in verità, ho iniziato tardissimo e solo qualche anno fa) senza venir schiacciato eccessivamente dall'età che avanza. In qualche modo, non posso lamentarmi: sembra tutto stabile, non miglioro ma neanche peggioro. Ecco che questa uscita particolarmente piacevole mi insospettisce, voglio capire cosa sia successo.

La bicicletta è sempre quella, non ho comprato abbigliamento tecnico (giro sempre conciato pressapoco come Hammerin' Harry), non ho goduto di vento a favore, non son partito col serbatoio pieno (non faccio colazione)... senza tirarla troppo per le lunghe, la conclusione più probabile è stata una notte di sonno decente.

Dormo poco e male quasi sempre, pochissimo e malissimo in estate. Mi giro e mi rigiro, mi sveglio spesso e sveglio resto anche per ore, insomma: un disastro. Stavolta, invece, son riuscito a farmi quelle poche ore di sonno tranquille, tutte di fila, senza incubi, sussulti.

Penso sia questo l'unico scenario possibile.

 
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from Disattualizzando

Ciao Mondo! Ciao Mondo! Che bello poterti parlare di nuovo! Ti chiederei spensieratamente “come stai”, ma con disagio la reputerei una domanda tristemente incline alla retorica. L’ultima volta che ci siamo confrontati, le cose erano parecchio diverse... Dal punto di vista che riguarda la tua preziosa salute (da cui dipende, senza mezzi termini, anche la nostra) l’acqua era di certo più pulita, l’aria più respirabile, gli animali liberi di vivere le loro vite, ignari di tutto ciò che comporta condividerle con l’umanità. Mi correggo: con l’ultimo stadio raggiunto dall’umanità. IMG-1277 Qualche scambio di parole addietro, mi avresti detto senza pensarci due volte di essere felice. L’unico grande motivo che avrebbe potuto renderti ineguagliabilmente spensierato ed appagato, sarebbe stato vedere noi esseri umani (nonostante la nostra natura animale, in perenne evoluzione e mutamento) capaci di non compromettere in modo irreversibile ciò che di più importante custodisci nella tua infinita composizione: i sistemi che ti appartengono, che ti rendono unico e speciale.
È quasi inutile affermare che una volta eravamo molto diversi. Eravamo facilmente affascinabili, e lo stupore ci arrivava sempre da te: un paesaggio, un temporale, una stella, ci lasciava senza fiato. Ci definivano i nostri grandi sentimenti universali, quelli rivolti a ciò che era ignoto, ingestibile, indomabile: la paura dell’ignoto e il bisogno di conoscenza. Ora tutto è diventato più piatto, ovattato, il sentimento stesso non ha più lo stesso valore.
La nostra esistenza, un tempo legata a un bisogno di semplicità oltre che di curiosità, ci permetteva di gioire di una quotidianità lenta e sana. Attributi che, a parer mio, rendevano le persone di ogni epoca, più felici di quanto sappiamo esserlo oggi. Non eravamo ancora contaminati da mille fattori esterni inutili, che oggi ci bombardano, ci distraggono, ci rincoglioniscono.
Una cosa che rendeva unica la nostra esistenza passata era che, involontariamente, non avendo i mezzi e la tecnologia per compiere disastri ambientali come quelli odierni, non avevamo nemmeno la responsabilità che oggi invece ci accomuna tutti. Non avevamo strumenti per essere tanto pericolosi quanto lo siamo adesso. Oggi, farti del male è diventata un’abitudine di poca importanza.
Che dire... ci legava una parte animale, primordiale, atavica, priva della complessità che oggi ci caratterizza. Eppure, anche allora la vita sapeva essere cruda, spietata, incoerente, profondamente parziale come concetto di giustizia. Il bianco doveva essere bianco, il nero a sua volta doveva rimanere nero. L’emancipazione dei deboli, la lealtà, la moralità, la coerenza... erano concetti limitati a un bisogno personale, non collettivo. Non erano diritti accettati e riconosciuti da un sistema volto alla tutela degli ultimi scalini della nostra infinita piramide sociale. Pochi condividevano quei valori e chi predicava la sua giustizia, se la trovava contro: dalla parte del carnefice, del potente, del socialmente riconosciuto. C’era molta parzialità e prepotenza, i torti erano all’ordine del giorno, e al sistema interessava poco.
Oggi, noi occidentali del “primo mondo”, possiamo ritenerci fortunati. Da questo punto di vista, devo ammettere che siamo migliorati parecchio, almeno nella porzione di mondo che impropriamente mi permetto di chiamare “casa”. Nel resto del pianeta... chi lo sa?
Sarò sincero, Mondo: i tempi di cui parlo vorrei tanto ricordarmeli. Desidererei sapere, conoscere esattamente ciò di cui sto discutendo o bagolando, ma quando sono nato io, poche decine di anni fa, era circa tutto così come è adesso. Forse il contesto umano era appena diverso, ma già predisposto a modellare il presente che conosciamo oggi. Viviamo in una situazione complessa: non ci capiamo, e nessuno capisce nessuno. La quotidianità è diventata subdola, fittizia, apparente, superficiale. Tutti pensiamo di essere liberi di agire secondo decisioni personali, con delle volute esigenze personali, ma è solo una bugia travestita da libero arbitrio, che ci incatena senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Viviamo in una prigione senza sbarre, da cui è impossibile evadere.
Tutto ciò che un tempo era raro e indispensabile oggi è considerato ovvio, scontato: nessuno si stupisce più di niente. Prendendo degli esempi banali, fare due o tre pasti variegati al giorno, o fare i propri bisogni su di un bagno caldo e accogliente, sono diventati normalità quotidiane, giustamente o meno. Ci sarebbero esempi più pertinenti, meno banali, ma lascio a te decidere se pensarli.
Qui a casa mia, la qualità della vita è davvero migliorata, ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Siamo viziati, annoiati, abbiamo tutto. Facciamo appena in tempo a desiderare qualcosa, lo ordiniamo e arriva a casa in pochissimo tempo: dopo una settimana ci siamo già dimenticati il motivo per cui lo abbiamo voluto. Ogni nuovo oggetto è un anestetico che attutisce temporaneamente i nostri problemi, una distrazione che ci allontana da ogni pensiero, soprattutto quelli più utili e costruttivi.
Ciò che oggi dovrebbe essere considerato davvero indispensabile, è diventato trascurabile. Come preservare te, Mondo, invece ti stiamo lentamente rovinando e compromettendo irreversibilmente. Uno dei motivi è che per le grandi masse, non sei più abbastanza seducente o interessante quanto le solite, misere cagate di cui ci circondiamo. Sicuramente non sei per noi seducente ed interessante come un tempo. La nostra condizione attuale ha avuto grandi ripercussioni nei tuoi confronti, questa è l’altra faccia della medaglia che ti ho menzionato prima. Il prezzo più alto, purtroppo, l’hai pagato tu, Mondo. Hai dovuto rinunciare ad ecosistemi, specie animali da noi portate all’estinzione, ci hai permesso di avvelenarti l’aria, forare l’ozono, farti sciogliere i ghiacciai, prosciugarti i fiumi e desertificare le foreste.
Fossi in te, sarei furibondo.

***

Ciao amico mio! Grazie per non avermelo chiesto direttamente, mi sarei sentito infastidito se l’umanità avesse ignorato ciò che è stato fatto. Apprezzo che ci sia ancora qualcuno disposto a rivolgermi la parola. Ormai, tutti sono distratti da mille impegni ritenuti più importanti di me, nessuno si preoccupa più nemmeno per l’altro, vicino o lontano che sia.
Capisco appieno il tuo disagio verso l’epoca in cui vivi, per le mille incoerenze ed ingiustizie che caratterizzano la tua vita e quella di chiunque altro voglia rendersene conto. La presa di coscienza fa male, lo so. Anch’io, spesso, mi imbestialisco: è assurdo che nel 2025 abbiate ancora una costellazione di problemi facilmente risolvibili, se solo lo voleste. Ma non dovresti avvelenarti il fegato per questo, prova a esistere nel miglior modo possibile, perché l’unico vero motivo per cui valga la pena esistere, è l’esistenza stessa, la tua, quella di qualsiasi altro essere vivente e non vivente.
Molti mi considerano impassibile, distaccato, ma non è mai stato così. La mia tristezza per ciò che è stato rovinato è grande, ma ciò che mi rattrista ancora di più è sapere che l’essere umano pagherà un prezzo ben più alto del mio per via della sua scarsa resilienza, dote che almeno io posso vantare. Chi patirà di più le conseguenze sarà l'umanità stessa. Le mie visibili reazioni sono governate dal caos e dalla casualità, non sono volontà punitive. Io non voglio scatenare sulla vita preziosa, calamità naturali come tsunami, uragani o incendi di massa... sono solo le conseguenze di ciò che avete fatto. Quando imparerete a rispettare ciò che vi circonda, oltre ai vostri interessi, sarò in grado di preservare tutta la vita presente sul pianeta, compresa la vostra, come ho sempre fatto e come vorrei continuare a fare.
Vorrei che vi ricordaste che, se siete voi umani in cima alla catena alimentare e a dominare la piramide sociale e biologica, è perché io vi ho fornito gli strumenti per farlo, riponendo in voi una immensa fiducia. Siete ciò che siete perché io ve l’ho permesso, dovreste riconoscerlo. Non pretendo grandi riconoscimenti, non mi sono mai interessati, ma esigerei che la vostra presenza non fosse sempre così dannosa. Esigerei che costruiste qualcosa di buono per tutti, invece di distruggere ciò che io ho già creato. Avete tutti gli strumenti per farlo. Dovreste ricambiare con un rispetto tale da permettermi di non condannarvi mai all’estinzione. Vi ho accolti e vi ho protetti, ma ora mi voltate ingenuamente le spalle come un figlio ribelle ed irriconoscente. La peggiore cosa che potreste farmi, per il momento, è dimenticarvi di me.
Io non dimentico mai nulla. Vi penso e mi preoccupate profondamente. Il futuro, di ogni cosa che riguarda tutti noi, è nelle vostre mani.

 
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from kipple


Ken il guerriero, l'uomo di Hokuto, torna sempre. Non se ne è mai andato, probabilmente, comunque parto da Goldrake.

Ho visto Goldrake su Rete 2, ma ero troppo piccolo e non ho ricordi sufficienti a ricavarne un qualsiasi accenno di analisi. Quando è arrivato Ken il guerriero, Hokuto no Ken, ero grande abbastanza e quei ricordi sono ancora tutti qui. Penso sia uno delle pietre miliari della storia dell'animazione giapponese in Italia, non solo per il titolo in sè, ma per un impatto che definirei totalizzante. C'erano stati i robottoni, ma erano tanti e dividevano il pubblico, anche solo tra titoli nagaiani e non. Ken il guerriero, invece, era uno solo pur nella sua divisione interna in due serie.

Breve digressione sulla seconda serie. Le parole che si sentivano più spesso: “non mi piace, doveva finire a Raoul, i personaggi sono strani, si sono messi a fare le palle di fuoco. Tutte balle, la si continuava a guardare con la stessa avidità, chiusa la digressione.

Si poteva parteggiare per questo o quel personaggio, buono o cattivo era indifferente, il catalogo era micidiale. Si ragionava sempre all'interno di Ken il guerriero, però. Qualcuno, nelle reti locali di tutta Italia, deve aver fiutato il sentore e così, a diverse latitudini, siamo finiti con tre messe in onda quotidiane, chiaramente sfalsate tra loro e, spesso, di parecchio. Mossa azzeccatissima, perché c'era una specie di necessità di Ken il guerriero, c'era da guardarne le puntate e commentarle a scuola, prima della campanella, in sala giochi, per strada. Commentare tutto, anche se Raoul era vivo la mattina, morto il pomeriggio e impegnato con Fudo la sera. Non ce ne importava nulla dello spoiler (cos'era?), della ripetizione, della cronologia impazzita. Volevamo Ken ed eccocelo, prima, dopo e durante i pasti.

Qualche anno dopo, arriva Street Fighter 2, stavolta il mezzo è il videogioco e gli schermi sono quelli della sala giochi, l'impatto culturale e sociale è il medesimo. Anche stavolta, qualcuno se ne accorge, più facilmente perché bastava guardare le code infinite. I cabinati di SF2 si moltiplicano, le schede originali non bastano, i gestori fanno quel che possono e arrivano bootleg, rainbow edition, la gente vuole, deve giocarci ora e subito. Mai visto nulla del genere, prima o dopo, anche sette cabinati dello stesso gioco nella stessa sala.

Ken il guerriero, Street Fighter 2 sono cose superflue (inutili, direbbero gli altri, gli esterni). Come tante altre, come la maggior parte delle cose. Difficilmente sarà morto qualcuno per una grave carenza di Hokuto o per una prolungata astinenza dall'hadoken. Le cose inutili, però, sono quelle che ci aiutano a rendere sopportabile la vita.

 
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from ordinariafollia

ordinariafollia-log_023-2025.jpg

l'aperitivo con le amiche in piazza Mazzini tirare mattina fumando sul divano lasciarti corteggiare andare tre mesi in Antartide suonare ai citofoni per poi scappare picchiare Vincenzo, troppo ladro per amare dire, fare, baciare, lettera e controvento, uno.

non ti identificare, non coincidere, zero.

le cose che apparivano banali quando eri signorina ed ora ti mancano, uno.

montagne che potresti anche scalare se ne valesse la pena, uno.

nemmeno per spiegarlo a uno.

dallo zero da cui sei uscita allo zero da cui uscirai pensi ad uno che uno non è mai.

 
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from Disattualizzando

Il girone delle Multinazionali. Al giorno d’oggi, la diffusione delle Multinazionali è agevolata dalla crescente Globalizzazione: trampolino di lancio per imprenditori avidi, fanatici ed arrivisti, mossi unicamente dal desiderio di guadagno ed espansione. Questi facoltosi potenti hanno sacrificato valori morali ed ideali, appartenenti al loro passato come semplici persone, per raggiungere la vetta. La tutela dell’ambiente e la libertà, persino quella dei propri dipendenti, sono spesso volutamente ignorate, in nome del successo e dell’ascesa sociale. Le unicità culturali dei diversi paesi, che andrebbero preservate e non contaminate, sono minacciate da un’espansione imprenditoriale egoistica e colonizzatrice. Il pensiero occidentale è la chiave per esportare tantissime aziende nel resto del Mondo, servendosi del malsano pretesto di voler condividere valori e benessere, spesso imposti e contrastanti con la cultura autoctona, definita erroneamente arretrata dagli approfittatori. Questa scusa per lo più ipocrita, è il doppio fondo di una volontà studiata per ampliare le fasce di mercato dei Grandi Commercianti che, una volta saturato il proprio mercato nei nostri paesi, sono partiti a conformare il resto del Mondo verso una sola cultura, verosimilmente la nostra. Immagine-blog-6 Il rischio più grave è l’omologazione culturale globale, che potrebbe cancellare le peculiarità delle società più lontane da noi. Il simbolo più evidente di questo meccanismo è il McDonald's: presente in ogni angolo del mondo, offre ovunque lo stesso sapore standardizzato e scadente. I suoi prezzi accessibili lo rendono attraente per tutti, anche per le fasce sociali più povere, vendendo cibo spazzatura al limite della tossicità. La qualità è di solito così scadente che potrebbe essere meno nocivo mangiare una volta a settimana, piuttosto che mangiare tutti i giorni in questo colosso industriale. In molti paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, le persone che lavorano per queste multinazionali sono sottopagate, erano povere prima e continuano ad esserlo adesso. La stragrande maggioranza di loro, è costretta ad alimentarsi con la nostra spazzatura, propinata dalla stessa Multinazionale da cui dipendono. Il buon senso e la giustizia vengono sistematicamente ignorati, a favore delle logiche di mercato.
La globalizzazione ha davvero migliorato le nostre vite?... o piuttosto, quelle di chiunque non abbracci la cultura occidentale capitalista e consumistica? Da questo aspetto sicuramente no. Il successo di servizi come McDonald's si basa su velocità, accessibilità e comodità, e sono gli stessi motivi per cui siamo totalmente catturati dai sevizi di Amazon. Sono così efficienti e sbalorditivamente veloci che non si riesce a farne a meno.. Dovremmo però essere tutti più consapevoli degli effetti disastrosi che le multinazionali hanno sull’economia e sull’ambiente, basta consultare il proprio “dispensatore di cultura”, ma continuiamo a scegliere la comodità a discapito della nostra etica.
Il motivo per cui pochissime menti andrebbero contro questi meccanismi spettacolarmente attraenti, è racchiuso in una giustificazione tanto banale quanto pericolosa: “Tanto lo fanno tutti”. L’idea generale è che se qualcosa è condiviso da tutti, allora non può essere sbagliato. E’ un processo mentale così facile ed elementare che rende facile uniformarsi e che ci solleva, almeno in apparenza, dalla responsabilità morale. Siamo stati volutamente cresciuti secondo falsi valori e falsi ideali per renderci dei consumatori perfetti. Il nostro interesse è quasi unicamente seguire la folla, tralasciando il punto di partenza ed il punto di arrivo e soprattutto, se la destinazione possa essere catastrofica o no. Di conseguenza siamo tutti coinvolti, anche inconsapevolmente, nel sostenere un sistema corrotto e egoista. Viviamo in una realtà che non si ha mai avuto a cuore i bisogni del consumatore, si concentra piuttosto a rendere il consumatore stesso bisognoso ed assuefatto. Stiamo parlando di un sistema mondiale nato e studiato per essere incontrastabile, capace di sopravvivere a qualsiasi crisi o epoca futura. Siamo tutti responsabili equivale al fatto che nessuno lo sia, ma la più grande responsabilità resta nelle mani degli oligarchi del capitalismo, che ci hanno indottrinati con le loro strategie persuasive, come la costante pubblicità, alimentando le logiche di mercato.
Basta prestare attenzione ad una qualsiasi pubblicità. Una lontana soluzione potrebbe presentarsi solo se, a livello globale, trovassimo un motivo comune per far risuonare le nostre voci all’unisono e partecipare attivamente ad una lotta ideologica totale. Ognuno di noi, orientale o occidentale che sia, avrebbe le sue ragioni per combattere. Unirsi in un collettivo e vasto schieramento di opposizione è un modo per fare la differenza. Una soluzione individuale e riduttiva come tale, si cela fra le decisioni che prendiamo ogni giorno: la scelta quotidiana di non alimentare consapevolmente un sistema che riteniamo ingiusto.

 
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from piccole cose inutili

degenerative di Eugenio Tisselli 20 anni dopo. title track

           
ma anche trick

homepage. spiega il progetto Nel 2005 Tisselli costruì una pagina web che si corrompeva, un carattere alla volta, a ogni visita. un carattere a caso veniva distrutto o rimpiazzato quando il testo veniva letto. il codice html si decomponeva emergendo. interfaccia fratturata. lettore ferito

original page. quella corrotta anche per il paradosso: esiste se non guardo(?) [e sì, è stata già chiamata Schroedinger's cat interface]

(Tisselli ha fatto anche REGENERATIVE nel 2005, che ora suona così)

(troppo colorato per i miei gusti lol)




generAtIve. degenerative(regenerative)

“your visit will leave a permanent mark”

. amore) quindi mi chiedevo: come sarebbe degenerative ora?

ora che

post-digitale individuo walled garden tool – prestazione (gamification) analytic objects – prodotti/informazioni (calcolo) mandatory comfort [commercio] ethos of building&growth (sùbìto) nemico – ego (ES) care(less/free) answer (dolore medicalizzato) inferno dell'uguale vita -funzione (sanitized) dito -scelta (scelta senza azione: consumo), algoritmo non-cosa (infoma) : disponibile influenzabile prevedibile accessibile trasparente ascolto senza etica -sorveglianza prosa della compiacenza correlazione (calcolo) like informazioni (numeri/idee) – insegna – illustrazione comunicazione nuovo (evento) !—algofobia -anestesia)

algofilia -dolore = dono
apolitico-stanchezza (narcisismo, schiavitù volontaria) metafisica (poeima separato da poiesis) – astratto

/// come potrebbe essere ora?

– probabilmente il testo si autodistruggerebbe in automatico, in base ai dati sull'utente, non al caso (dove guarda, per quanto tempo, da dove ha fatto l'accesso, quanti anni ha etc.) – probabilmente ogni visita alimenterebbe il sistema, che decide cosa può restare e cosa può sparire, in base a parametri insondabili (credi di leggere, vieni letto) – probabilmente il testo scomparirebbe solo per l'utente, ma i dati resterebbero conservati altrove – il testo potrebbe dissolversi solo per alcuni utenti, in base a determinati parametri (cancellazione selettiva; privilegio/punizione) – la generazione sarebbe estetizzata/monetizzata: una piattaforma la venderebbe come esperienza interattiva, con logo e banner pubblicitari – probabilmente lo shock visivo alla jodi cederebbe il passo a un'interfaccia lucida chiarissima sterile piatta come una app bancaria; le sparizioni sarebbero fluide, seducenti, morbide, eleganti (nessuna rottura); i feedback finto-amichevoli – probabilmente delle easter egg/soglie come dono per la non performance, per la resa all'ascolto – ...

se dico che

sarebbe bello vedere come immaginate degenerative 20 anni dopo

tecnicamente sto facendo un

                            prompt

attesa: atteggiamento di piegarsi all'indisponibile
                             

la rinuncia è il tratto fondamentale dell'attesa priva di intenzioni

                                                        artists do not create objects, but create by way of objects                                                        

COME SI AGISCE

              qualcosa di non detto che pure circola                    
the dread of illness is the dread of losing
          &ensp management emozionale      

la morte è un particolare modo di essere

                                                       
la lentezza del timore che esita di fronte all'impossibile a farsi
                  scrivere è un gesto relazionale. non si insegna. si pratica                             &ensp

engage in your own monstruosity

        my visit our degeneration          

thingness of code


a proposito: 2025. sono pure 40 anni dalla mostra Les Immatériaux (Jean-Francis Lyotard, Centre Pompidou, Parigi)


ISPEZIONA – Justin Berner, Unhelpful Tools: Reexamining the Digital Humanities through Eugenio Tisselli’s degenerative and regenerative, electronic book review – Davin Heckman, James O'Sullivan, “your visit will leave a permanent mark”: Poetics in the PostDigital Economy, The Bloomsbury Handbook of Electronic Literature – James P Carse, Finite And Infinite Games, archive.org – Byung-Chul Han, Le non cose + La società senza dolore

____giorno44. l'ultimo

                                                       letteratura elettronica

 
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from kipple


Era il 1995 e a Napoli il Supermarket del Fumetto, a via Montesanto, viveva quelli tra i suoi anni migliori. L'ultima volta che ci son passato, era tutto chiuso e impolverato, niente fumetti, dei vecchi stavano giocando a carte attorno a un banchetto scassato; ora, credo, ci sia un locale di scommesse.

Stava per uscire Neon Genesis Evangelion, ne avevamo letto sulle pubblicazioni con le anteprime. All'epoca c'erano queste pubblicazioni, magari anche corpose, distribuite gratuitamente come una sorta di cataloghi e non solo: anteprime, appunto. Sia come sia, sapevamo che sarebbe uscito Evangelion, sapevamo trattarsi di qualcosa di grosso (e diamine se lo è stato), Dynamic e fumetterie spingevano sulla sua pubblicità; nel caso specifico, parlo della proiezione di una VHS assemblata ufficialmente all'uopo, con degli estratti dalle prime due puntate.

Era un sabato pomeriggio, solitamente il sabato prendevamo l'autobus e ce ne andavamo in fumetteria. Non sempre, ma quella volta non si poteva mancare. La sala proiezione (un videoregistratore attaccato a un vecchio, pesante televisore da 25” al massimo) era stata allestita in un locale attiguo, sempre collegato alla fumetteria ma solitamente non accessibile ai clienti. Ci presentammo col giusto anticipo, per fortuna, la saletta era già alquanto affollata, poi si sarebbe riempita. Tutti seduti a terra, tutti probabilmente abituati a Mazinga & C.; quello che stavamo vedendo, però, al netto di ispirazioni, citazioni e discendenze, era altro. Era qualcosa che veniva dopo e andava oltre. Sapete? Quella storia del prima e del dopo, eccetera. Ci esaltammo.

Credo che nessuno dei presenti abbia poi dimenticato, abbia potuto dimenticare quel momento di comunione robotica.

Intanto, il tempo passa e io, non so altri, ho iniziato un po' a conteggiare i lustri da quella data. Un nuovo anno zero, insomma. 2000, 2005, 2010... ancora troppo vicini, forse. 2015, però, attenzione: son già passati 20 anni! Poi arriva il 2020, gli anni sono 25, un traguardo simbolico ma importante, tanto da poter usare una frazione di secolo. Ora che scrivo, è passato un altro lustro, gli anni sono 30 ed è una cifra che inizia a intimidire, una fetta abbondante di vita è stata mangiata, chissà quanto resta della torta. La fetta migliore, ecco, mangiata e digerita.

Dovessi esserci ancora nel 2030 (sempre avere dubbi, le certezze non appartengono agli esseri viventi), mi ritroverò a pensare a quel sabato pomeriggio di 35 anni prima, quando ero giovane e la torta sembrava ancora tutta intera.

 
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from Disattualizzando

Cosa ci rende esseri umani? Ognuno di noi potrebbe rispondere a questa domanda in modo diverso. E, anche dopo aver ascoltato le opinioni di una miriade di persone, ci sarà sempre qualcuno che, per originalità o fantasia, sarà capace di stupirci ancora.
Potrebbe sembrare una questione filosofica, scientifica o religiosa, ma la domanda che vi sto ponendo si riferisce solo a voi stessi e al vostro modo di approcciarvi alla vita, come partecipazione attiva all’esperienza umana. La soluzione mi porta a un immaginario talmente ampio e antico che ho difficoltà a inquadrarlo nella mia mente.
Eppure, guardando all’evoluzione, la risposta è semplice: siamo il risultato delle nostre origini. La nostra crescita come specie è dipesa da un solo, imprescindibile elemento: la Natura. IMG-1273 Un tempo, l’essere umano era molto più animale di quanto lo sia oggi, senza screditare le menti geniali e poliedriche che hanno abbattuto le barriere del tempo plasmando le nostre vite. Con “animale” intendo ciò che ci legava indissolubilmente alla Natura. Vivevamo in una situazione in cui la nostra sopravvivenza dipendeva dalla conoscenza e dal rispetto del pianeta: conoscere le peculiarità dei raccolti, le fasi lunari, il periodo di semina, era indispensabile per sopravvivere.
Era un’epoca “x”, un tempo non definito, più o meno lontano, ma certamente distante dalla nostra attuale dipendenza dalle tecnologie. Da qualche decennio, la trasmissione orale delle storie, la fatica di tramandare leggende e tradizioni, è stata soppiantata dalla tecnologia, cambiando completamente il nostro approccio alla conoscenza. Mi riferisco a un tempo in cui le grandi storie erano narrate soprattutto per ricordo o per sentito dire, rendendo l’origine di qualsiasi tradizione vicina e lontana, dinamica e costantemente mutabile. I nostri avi, non così diversi da noi, sapevano affascinarsi e stupirsi con grande facilità.
La loro vita era semplice ma dura. La nostra è confusa e complessa, a volte troppo facile, esagerata in ogni aspetto. Questo ci ammala psicologicamente e fisicamente. Oggi le grandi storie sono diventate facilmente reperibili, le troviamo ovunque, subito, e per questo abbiamo perso la capacità di stupirci e gioire ogni volta che ne abbiamo l’occasione.
Viviamo nell’epoca dell’Abbondanza – è una condizione che ci ha reso umani molto diversi; le nostre superficiali e viziate priorità hanno seppellito molti preziosi aspetti di un passato ormai dimenticato. In appena un secolo,ci siamo snaturalizzati a dismisura. Abbiamo cessato di essere legati alla Natura, cercando di diventare qualcos’altro di molto più subdolo e complesso, perdendo così la necessità di vivere in sintonia e in rispetto con l'ambiente circostante: abbiamo perso l’essenza stessa di ciò che ci rende umani, rendendoci irrimediabilmente infelici. Non sappiamo più cosa può renderci veramente felici.
La più grande rivoluzione comportamentale della nostra contemporaneità è definita dalle tecnologie smart. Questo nuovo aspetto invasivo e contaminante è diventato lo spartiacque di due epoche: il prima e il dopo. Ma per chi, come me, è nato già nel “dopo”, è difficile immaginare quanto saremmo potuti essere semplici, e semplicemente felici, senza il bisogno dell’abbondanza a caratterizzare la nostra quotidianità. L’odierno “essere umano” ha barattato le meraviglie della Natura con una malsana comodità e una consapevole ignoranza. Cosa ci rende esseri umani adesso?
Un tempo, procurarsi qualcosa di così semplice e indispensabile come il cibo, richiedeva fatica, intelligenza, attenzione. Ma il sistema attuale ha abbattuto ogni difficoltà, donandoci il piacere dell’Abbondanza: qualsiasi cosa desideriamo è a portata di scaffale, pronta e confezionata, e noi possiamo ignorare se sia una verdura di stagione o un animale che stiamo portando all’estinzione solo per distribuirlo nei nostri generici punti di rifornimento. Le tecnologie smart, oltre a non essere quasi mai usate per denunciare un meccanismo malsano e autodistruttivo, incentivano il consumo e lo spreco, un sistema pensato per arricchire pochi, a spese di tutti e di tutto.
Il rispetto dedicato alla Natura, unico fattore indispensabile per permetterci il nostro alto tenore di vita, è gravemente trascurato. Il nostro modo di ricambiare questa entità planetaria, che ci ha donato tutto ciò di cui abbiamo avuto bisogno, è la devastazione: la maggior parte della flora e fauna vengono trasferite nei supermercati, nati dalla nostra totale pigrizia e indifferenza. Il semplice e scontato supermercato, a cui tutti siamo abituati, è eticamente e moralmente sbagliato e disumano: crea una voluta ignoranza e un disequilibrio tra la società e le persone che la compongono. La consapevolezza data dalle nostre tecnologie smart, i nostri “distributori di conoscenza”, non ammette ignoranza e non giustifica il nostro comportamento egocentrico come specie animale. Siamo tutti consapevoli, me compreso.
Con ogni nostra scelta quotidiana che incrementa il nostro inattaccabile sistema autodistruttivo, scegliamo di voltare le spalle alle nostre origini. Alla domanda “Cosa ci rende esseri umani?”, rispondo con convinzione: siamo ciò che la Natura ci ha permesso di essere, e nutro un grande sentimento di debito da saldare con il Mondo. Un debito che si paga solo in un modo: proteggendo il Pianeta, sarà lui a provvedere alla preservazione delle nostre vite nei secoli e oltre. Preservare la Terra significa riconoscerci per ciò che siamo, abitanti e ospiti, trascurando la nostra malsana necessità di sentirci padroni.
***
Ciò che ci ha resi così diversi da come eravamo, e forse da come avremmo dovuto essere, è legato soprattutto alla tecnologia, che in brevissimo tempo ha mutato radicalmente le nostre abitudini e priorità. La nostra disumanizzazione è sicuramente iniziata prima della diffusione della tecnologia smart, ma con essa ha raggiunto l’apice economico e sociale.
I vertici del sistema hanno orchestrato una rapida trasformazione che ha avuto gravi ripercussioni sulla nostra vita, alimentando un infinito processo costantemente mutevole. La vita sociale si è spostata sugli schermi di computer e telefoni: interessi, passatempi e amicizie vengono consumati in un mondo filtrato. Questa esagerata necessità di adoperare continuamente la tecnologia ci ha resi dipendenti, schiavi di connessioni che però sono solo surrogati: non puoi sentirti solo finché fai parte di un gruppo WhatsApp. Oltre alla manipolazione comportamentale, lo scopo del sistema è il costante bombardamento pubblicitario, che crea bisogni utili solo all’apparenza, per renderci dei perfetti consumatori. La pubblicità è ovunque, ci dice cosa fare, cosa desiderare, come mostrarci, chi essere; più siamo uguali agli altri, più siamo accettati.
È così che nasce la competizione universale, una corsa senza senso verso un ideale esagerato. Il tuo ruolo determinerà la tua rispettabilità come persona. Per un uomo, il successo passa dall’auto costosa, dal telefono di ultima generazione, una carriera brillante, magari come imprenditore o avvocato, e da una compagna che ricalchi gli attuali canoni di bellezza. Una donna sa che, oltre a dover rispecchiare alcune precedenti caratteristiche, il suo valore è legato al suo corpo, la perfezione estetica è un dovere: solo la ragazza perfetta potrà avere la misera illusione di avere il mondo al proprio servizio. Seno troppo piccolo? O forse il sedere non è abbastanza rotondo? Da rifare. E quando la giovinezza inizia a svanire, resta solo la necessaria illusione di poterla comprare, chirurgicamente, per dimostrare a se stessa che non invecchia tanto velocemente quanto invecchia il mondo.
Tutti noi siamo corrotti da questi stimoli inutili, voluti per farci sentire sempre in difetto e renderci la vita impossibile, imprigionando i più deboli in un turbinio di imperfezioni. Queste imperfezioni vengono suggerite dal mondo umano stesso – siamo programmati per essere dei consumatori al servizio di chi ne trae profitto, come le grandi multinazionali che governano le pubblicità. Il miglior consumatore sarà sempre quello che sente l’estremo bisogno di avere ciò che ancora non ha, anche se potrebbe non servirgli a niente. I nostri smartphone non sono solo telefoni, ma hanno agito da catalizzatori al servizio di questi processi.
Vi rendo partecipi di una riflessione personale: Le persone che hanno vissuto i primi venti o trent’anni della loro vita nel “prima”, senza tutto questo, oggi sono comunque immerse nel sistema. Noi, che ci siamo nati dentro, quando saremo adulti, quando avremo cinquant’anni, sessanta, settanta... quando il mondo potrebbe essere completamente convertito alla fede delle tecnologie inutili: sapremo rinunciare alle più tossiche e invadenti? E se non ci riuscissimo? cosa resterebbe di noi e della nostra umanità?
***
Nella società odierna, il computer è diventato uno strumento indispensabile per la propria integrazione nel sistema, sia nella vita professionale che nella sfera personale: un’evoluzione più che giustificata per il pigro essere umano, da sempre incline alla comodità. Il nostro fidato Pc ha reso la vita più semplice, piú rapida, più autonoma. Anche la tecnologia smart è ormai considerata un bene di prima necessità.
Il nostro “telefono intelligente” ha amplificato le precedenti comodità, aggiungendo ben poco di inedito alle nostre vite, permettendoci di fare le stesse identiche cose di prima, ma in modo più veloce e seducente – eppure tutti abbiamo estremamente bisogno di possederne uno, due, tre... e poi la smart TV, lo smartwatch, gli occhiali smart. Siamo completamente assuefatti da questi strumenti, che ci rendono sempre piú pigri e rischiano di farci regredire in un sistema senza precedenti.
Eppure, le cose davvero importanti restano sempre le stesse: l’aria pulita, l’acqua incontaminata, la salvaguardia degli animali, la protezione dei ghiacciai. A livello sociale, abbiamo bisogno di sanità e istruzione di qualità, di una politica equa, dalla parte dei cittadini. Ma tutta questa comodità rischia di alterare le nostre priorità, facendoci dimenticare gli obiettivi comuni, smorzando il desiderio di reagire, di lottare, di ribellarci.
Un adolescente oggi ha bisogno di like, di visualizzazioni, di follower: ecco i nuovi valori. Questo processo, indotto su vasta scala, è un lavaggio del cervello orchestrato da pochi oligarchi che traggono profitto dal nostro disinteresse. Il modo migliore per vendere un prodotto è quello di creare un bisogno collettivo, anche se solo apparente. Ci sentiamo obbligati ad avere ciò che tutti gli altri hanno. Ma alle multinazionali non interessa davvero rendere le nostre vite più comode, più veloci e più facili. Vogliono solo vendere, e più diffuso è il prodotto, più ci guadagnano: in questa epoca il più venduto al mondo è proprio lo smartphone. E così abbiamo telefoni dotati di enormi prestazioni, totalmente sprecate per l’uso reale che ne facciamo. Anche il più povero sente il bisogno di investire centinaia di euro in uno strumento che spesso non comprende e non sfrutta appieno, ma quale interesse reale dovrebbe avere un consumatore verso uno strumento di cui ignora le vere potenzialità?
Servirebbe un’indifferenza collettiva, invece siamo spinti a possedere almeno uno. Il mondo si è così abituato all’esistenza di questo accessorio che, se smettessimo tutti di usarlo per qualche tempo, il sistema collasserebbe. Chiunque si senta obbligato ad avere uno smartphone costoso e di marca è vittima di un sistema che ci ha cresciuti come perfetti consumatori.
Se compriamo tutto ciò che la pubblicità ci propone, siamo davvero liberi? O siamo talmente condizionati da credere di esserlo, mentre scegliamo ciò che è già stato scelto per noi?
Non siamo più esseri umani: siamo consumatori, acquirenti potenziali. Io, almeno, vorrei sentirmi libero di dissociarmi da un sistema che non approvo, da una società che sfrutterebbe chiunque al posto mio.

 
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from Racconti spontanei che attraversano l'autore

Arrivo al bordo con domande che sono poco più che sibili Questa pace incatena, è una gabbia come questa pelle Le lacrime sono il linguaggio dell’addio improvviso Prima dell’odio c’è sempre amore frainteso prima dell’amore odio perdonato Bisogna riempirsi l’anima di questo orizzonte sconfinato e di una risata fragorosa che spezza il nostro silenzio

 
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from nomadank

L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto è un poema che, dietro l’apparente celebrazione dell’eroismo guerriero, smaschera con ironia e tragicità le contraddizioni della mascolinità cavalleresca. La follia di Orlando, la violenza di Rodomonte, la gelosia di Rinaldo e la performatività di Sacripante rivelano un universo in cui l’identità maschile è costruita su un equilibrio precario: tra onore e fragilità, tra controllo e disperazione, tra amore idealizzato e possesso distruttivo. In un’epoca in cui il femminicidio è spesso l’esito estremo di una crisi dell’uomo di fronte all’autonomia femminile, il Furioso offre una riflessione anticipatoria su come la violenza di genere sia inscritta nel codice stesso della cavalleria.

Orlando: Femminicidio Mancato e Collasso dell’Io

La follia di Orlando scoppia quando scopre che Angelica, la donna che ha inseguito per tutto il poema, si è innamorata di Medoro, un umile fante saraceno. La sua reazione non è dolore, ma furia cieca: una crisi identitaria che lo trasforma in una forza distruttiva.

«Orlando, che gran tempo avea durato / invulnerabile, or sente aperto il fianco / da quel colpo mortale» (XXIII, 112)

Ariosto descrive la ferita non come fisica, ma psicologica: è il crollo di un uomo che aveva costruito la sua identità sul possesso di Angelica, simbolo del suo status di cavaliere. Orlando non la uccide—perché Angelica è già fuggita, sottraendosi al suo controllo—ma la sua violenza si riversa sul mondo circostante: sradica alberi, massacra animali, diventa una minaccia senza bersaglio. È il ritratto di una mascolinità che, privata del suo oggetto di dominio, si autodistrugge.

Se Angelica fosse rimasta nelle sue mani, sarebbe diventata una vittima? Il testo lascia intendere di sì: la logica cavalleresca non ammette il rifiuto. La follia di Orlando è la crisi di un sistema in cui l’amore è possesso, e il possesso è legittimato dall’onore.

Rodomonte: La Violenza come Fondamento dell’Identità

Rodomonte, il guerriero saraceno, incarna una mascolinità ancora più tossica: la sua forza si fonda sulla negazione di ogni vulnerabilità. Quando la principessa Doralice lo tradisce per Mandricardo, la sua reazione è immediata:

«Non la vuol udir più; tronca il parlare / con la spada crudel, che le divide / la testa dal bel collo» (XXIX, 48)

Doralice muore perché ha osato sfidare il suo controllo. Rodomonte non cade in follia come Orlando: la sua violenza è lucida, sistematica. È il femminicidio come atto di riaffermazione patriarcale, dove l’uomo, anziché affrontare la propria fragilità, elimina fisicamente la donna che lo ha “umiliato”.

Rinaldo e Sacripante: Gelosia e Performance Vuota

Anche Rinaldo, eroe cristiano, è dominato dalla gelosia quando crede che Angelica ami Orlando. La sua ossessione lo rende ridicolo, dimostrando come l’etica cavalleresca sia spesso una maschera per insicurezze profonde.

Sacripante, re di Circassia, è ancora più patetico: si vanta di essere il più grande cavaliere, ma ogni sua azione è una performance vuota, un tentativo disperato di confermare un’identità che non regge alla prova dei fatti. Quando Angelica lo manipola con falsi sorrisi, lui ci casca ogni volta, perché ha bisogno di credere al proprio mito.

Il Furioso come Specchio della Crisi Maschile

Ariosto non offre soluzioni, ma mostra le crepe nel sistema. I suoi uomini—eroi sulla carta—sono fragili, violenti, ridicoli. Le donne (Angelica, Bradamante, Marfisa) spesso li superano in astuzia, coraggio e autonomia.

Oggi, in un’epoca di ridefinizione delle identità di genere, il Furioso ci ricorda che la violenza maschile non nasce dalla forza, ma dalla paura: paura di perdere controllo, paura di non essere più “eroi”. Se Orlando avesse accettato il rifiuto di Angelica, se Rodomonte avesse elaborato il tradimento invece di uccidere, forse il poema sarebbe stato meno tragico—e forse anche la nostra società lo sarebbe.

Il femminicidio non è un eccesso della mascolinità: è la sua logica estrema. Ariosto, con la sua ironia, ce lo ha mostrato cinque secoli fa. Sta a noi, oggi, smettere di riderne e cominciare a decostruirla.

 
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from Le ricette di Kenobit

Dopo avervi proposto la ricetta del ragù “di mia nonna”, vi propongo il mio. Questa ricetta è frutto di qualche anno di esperimenti, per ricreare una consistenza e un sapore il più possibile vicina a quella di un ragù di carne. Il risultato, anche a detta di onnivori non esattamente amici della causa vegana, è sbalorditivo. “Se non me l'avessi detto, avrei creduto che fosse di carne.”

Ve la scrivo, un po' per regalarvela, un po' perché è finalmente venuta come dico io e non voglio dimenticarmela. Mentre quello di mia nonna era un ragù sostanzialmente bianco, colorato dal vino rosso, questo è un più contemporaneo ragù con pomodoro.

ragù

Ingredienti
Olio d’oliva Sedano Cipolla Carota Porro Lenticchie Bocconcini di soia* Una manciata di porcini secchi Un bicchiere di bianco Salsa di soia Brodo di cottura delle lenticchie Rosmarino, salvia, alloro Gomasio** Paprika affumicata Sale Pepe

* Nella ricetta precedente ho usato il granulare. Qui ho scelto intenzionalmente la grana più grossa.
** Io lo faccio in casa, ci vogliono pochi minuti e lascia un profumo buonissimo. Tostate in un pentolino 10 cucchiaini di sesamo finché non iniziano a scoppiettare e a essere fragranti. Toglieteli dal fuoco e “tostate” un cucchiaino di sale integrale. Il sale non si tosta, ovviamente, ma perde umidità. Mettete tutto in un pestello e macinate.

PREPARAZIONE
Il nostro macinato sarà composto al 40% di lenticchie, 40% di soia e 20% di funghi. Più o meno, andate a occhio.

Cominciamo dalle lenticchie. Mettete le lenticchie in una pentola con acqua fredda, aggiungete la parte verde del porro, il sedano, una carota, una cipolla, l'alloro, la salvia e il rosmarino. Vogliamo che cuociano in un buon brodo, sia per insaporirle, sia perché quel brodo ci tornerà utile. Portate a ebollizione e cuocete fino a quando non saranno cotte (a seconda della varietà che usate, circa 30 minuti), salando il brodo circa cinque minuti prima che siano pronte, verso la fine. Togliete le lenticchie dal brodo e mettetele da parte.

Ora tocca ai bocconcini di soia. Reidratateli finché non saranno morbidi, seguendo le istruzioni sulla confezione (di solito basta qualche minuto in acqua bollente). Scolateli e strizzateli per rimuovere più acqua possibile.

Mettete i funghi porcini in ammollo. NON BUTTATE L'ACQUA. Quando saranno morbidi, toglieteli dall'acqua e conservatela. In seguito la filtreremo.

Prepariamo il macinato! Se ne avete uno a disposizione, vi consiglio un robot da cucina, ma va bene anche un frullatore, o nel peggiore dei casi un coltello e un po' di pazienza. Frullate a rate: prima la soia, poi le lenticchie, poi i funghi. Unite tutto in una ciotola, mescolate bene e aggiungete i sapori: paprika affumicata, pepe, gomasio e un po' di salsa di soia. Se siete indecisx, ricordatevi che questo macinato non è fatto di carne cruda, e che quindi lo potete tranquillamente assaggiare. Vogliamo che sia saporito, ma non eccessivamente, perché poi prenderà altro sapore in cottura. Lasciamolo marinare un attimo mentre prepariamo il soffritto.

Normalmente farei un soffritto con sedano, cipolla e carota, ma ieri ho inavvertitamente messo l'ultimo pezzo di sedano nel brodo, quindi l'ho sostituito con il porro. Si è rivelata una scelta vincente, a sorpresa. Tritate finemente cipolla, carota e parte bianca del porro e mettete a soffriggere in abbondante olio di oliva.

Nota sull'olio: abbondate. Il ragù è una ricetta resa speciale dalla sua parte grassa, che nella carne è molto pronunciata. Nei funghi, nella soia e nelle lenticchie non ce n'è quasi, quindi compenseremo a più riprese con l'olio.

Dopo aver soffritto per cinque minuti, unite il macinato e fatelo abbrustolire a fiamma viva. Da qui in poi, faremo finta di essere alle prese con un ragù tradizionale. Fatelo dorare per una decina di minuti, girandolo regolarmente, e poi sfumate con un bicchiere di vino bianco. Una volta che sarà evaporata la parte alcolica del vino (fidatevi del vostro naso!) unite i pelati e un po' del loro succo. Schiacciateli con cura, aggiungete un paio di mestoli di brodo delle lenticchie e cuocete per circa un'ora, assaggiando di tanto in tanto. Il ragù sarà pronto quando si sarà ritirata buona parte del liquido. A circa metà cottura, assaggiate la sapidità e aggiungete un generoso giro d'olio e un po' di salsa di soia. Senza esagerare! Ricordate che la riduzione della parte acquosa intensificherà la parte sapida. A dieci minuti dalla fine, ripetete l'operazione: olio e, se necessario, altra salsa di soia.

Ho indicato come tempo di cottura un'ora, ma nulla vi vieta di tenerlo un po' di più, a fiamma bassa. L'importante è che non bruci!

Otterrete un ragù denso, perfetto anche da conservare in un vasetto. Quando lo servite, vi basterà aggiungere un po' di acqua di cottura della pasta se volete una mantecatura più cremosa. Buon appetito!

 
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from kipple


Discussione ritrita che si ripresenta periodicamente, con gli autori che ci si mettono d'impegno per riesumare cose che meriterebbero un oblio rasserenatore.

La mia posizione in merito era relativamente accomodante, con un limite abbastanza vago su quel che l'autore pensa fuori dalle sue opere, dai sui libri, dalle sue canzoni, dai suoi film, dai suoi videogiochi, dalle sue esternazioni pubbliche; tuttavia, il tempo ci cambia, il mondo dovrebbe cambiare e io ne ho approfittato per cambiare idee. Ho abbassato enormemente la mia soglia di sopportazione, ho capito che non è più il caso di far finta di nulla, di giustificare posizioni inconciliabili con la mia etica nel nome del genio o, semplicemente, di qualcosa che mi andava a genio.

Parto avvantaggiato dal fatto che non ho idoli viventi, non metto nessuno sui piedistalli e, se proprio devo guardare a una personalità famosa, assolutamente meglio puntare su qualcuno morto da un pezzo, di cui si è saputo quel che si doveva sapere, perché, diciamolo: all'inizio sembrano tutte brave persone e salutano sempre, poi si rivelano.

Questo non significa che non abbia modelli di riferimento o non conosca gente degna di fiducia quasi illimitata: è gente comune, però, attenzione. Persone anche con un profilo pubblico, ma naturalmente capaci di relazionarsi da pari, che non è una cosa scontata per le celebrità.

Non avendo davvero idoli viventi, non mi aspetto altre grosse delusioni. Sono legato particolarmente a Stephen King per una serie di questioni, una delle quali (materiale per un altro scritto) abbastanza estranea al fatto che i suoi libri mi piacciano o meno. Diciamo lo scrittore della vita, anche se commerciale, ripetitivo, tutto quello che gli si addebita. Non sono un lettore colto e educato.

Ebbene, dovesse svalvolare anche lui? Non mi strapperò i capelli, non avendo materiale da strappare. Non venderò con sdegno tutti i suoi libri, perché li ho già venduti: per soldi, mi servivano, non li avrei riletti, lo spazio in casa è per i ricchi, li leggeranno altri.

Riassumo: puoi produrre quel che ti pare, la più grande opera della storia dell'umanità, ma posso strappare quel contratto di complicità in qualsiasi momento, con qualche rimpianto solo temporaneo, perché il tempo passa.

 
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from D𝕚ⓈѕⓄᶰA𝐧ℤⒺ

𝗜𝗟 𝗡𝗘𝗠𝗜𝗖𝗢 𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗢 Accusati di essere un concreto pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica. Accusati di creare disordini, violenza e abusi. Chi partecipa ad un rave party è complice di un reato! Chi lo organizza è marchiato come un criminale con pene fino a 6 anni di carcere.

Più concretamente: chi organizza una festa senza permesso rischia la stessa pena di chi sottrae un minore in affidamento, di chi causa un incendio doloso, di chi possiede armi da fuoco senza permesso o di chi causa lesioni personali gravi.

Forse bisognerebbe alzare lo sguardo dallo smartphone e guardare la realtà.

È dentro e fuori dai club e dai locali del centro città che avvengono abusi e riciclaggio. È durante le partite di calcio che migliaia di tifosi spaccano e imbrattano i centri cittadini. (e non durante rave party nelle periferie dimenticate) È lo stesso Stato che attenta alla salute pubblica guadagnando dalla vendita di alcol e sigarette. È la scuola pubblica di vostra figlia che attenta alla sua incolumità crollando a pezzi. È il vostro amico maresciallo (quello che vi toglie le multe) che da l'ordine di manganellare persone che ballano e studenti che manifestano per la pace o per il clima. (E che avrà l'avvocato pagato dallo stato per difendersi dalle accuse di eccesso di violenza.)

L’ATTUALE GOVERNO AUTORITARIO REPRIME OGNI FORMA DI DISSENSO. ANCHE BALLARE SENZA PERMESSO È UN REATO PUNITO CON LA VIOLENZA.

ATTENTO A NON PENSARE TROPPO LIBERAMENTE. IL PROSSIMO RICERCATO POTRESTI ESSERE TU!

 
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from piccole cose inutili

i mostri di unlikeness

rivista erbafoglio

: potresti parlare di letteratura elettronica... –

me

: “Ho iniziato il punto croce perché sono ossessivo.”

°.)-

possibili risposte al senso senza significato

(

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metto qui ↓ una versione tipograficamente diversa da quella pubblicata da erbafoglio per mere questioni tipografiche

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la versione pubblicata da erbafoglio è comunque visibile su archive.org

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ho dimenticato un ri-ferimento (sorry!); l'ho aggiunto in questa versione postuma )


copertina rivista erbafoglio nr. 30 aprile 2025

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i mostri di unlikeness è stato pubblicato su erbafoglio – rivista di cultura poetica – anno V, terza serie, n. 30 (aprile 2025), pp. 82-88

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la versione cartacea della rivista è disponibile da aprile 2025

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la versione digitale è disponibile da ottobre 2025

                                                                                                                              letteratura elettronica

 
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