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from Disattualizzando

Il complotto del Telefono Intelligente Siamo tutti consapevoli che, negli ultimi dieci anni, ha conquistato il mercato con una prepotenza senza precedenti il prodotto più venduto della storia contemporanea: lo smartphone. Il fenomeno è così eccezionale che tutti, o quasi, ne possiedono almeno uno. Lo ripeto per sottolineare il concetto: oggi, al mondo, è quasi impossibile trovare qualcuno che non lo possegga. Avere uno Smartphone è divenuto usuale, tanto da contaminare ogni aspetto della nostra esistenza, è ormai socialmente accettato che sia parte integrante della nostra persona. La nostra esistenza è conservata e garantita da uno strumento che è più desiderato e sopravvalutato che realmente necessario. IMG-1400 L’effetto più insidioso del suo continuo utilizzo è la dipendenza che genera, espressa da una compulsione a consultarlo in continuazione, un bisogno costante di averlo accanto. Dal punto di vista psicologico, questo comportamento è paragonabile a quello di un tossicodipendente in crisi d’astinenza.
A livello sociale, molti ritengono che la tecnologia smart sia riuscita ad avvicinare le persone, permettendo loro di comunicare senza doversi vedere e stare davvero insieme. Possiamo non sentirci soli anche quando lo siamo. Questo strumento, paradossalmente, ha spesso allontanato proprio le persone che un tempo erano più vicine. E’ una tecnologia che ci ha resi soli tra altre persone sole. L’atto di chattare ha preso il posto del dialogo, la condivisione virtuale ha sostituito la bevuta in compagnia, l’immagine di un profilo social ha rimpiazzato il guardarsi negli occhi. Sono esempi estremi, che non sempre rappresentano la realtà di tutti, ma la logica del discorso è difficile da smentire.
Sul piano commerciale, le grandi multinazionali – Apple, Xiaomi, Samsung… – hanno puntato sul prodotto più facile da vendere per alimentare la loro brama di potere e denaro, aggiudicandosi il podio mondiale eterno fra i potenti. Chi conosce le dinamiche di una grande impresa, o aspirante tale, sa bene che non c’è spazio per filantropia o buon senso. Ogni impresa desidera possedere uno strumento che sia facilmente commerciabile e diffondibile, e le grandi aziende tecnologiche hanno trovato la loro gallina dalle uova d’oro.
Lo smartphone è stato venduto a chiunque: ricchi, poveri, giovani, anziani, americani, asiatici, africani, europei… È indiscutibilmente uno dei prodotti più acquistati al mondo, eppure per le proprie potenzialità lo utilizziamo spesso in modo superficiale. Tutto ciò che puoi fare con il tuo Telefono Intelligente, lo potevi fare anche prima in maniera meno immediata. Per scattare una foto si usava una macchina fotografica. Per inviare un messaggio, si ricorreva agli SMS. Per leggere le email, si apriva il computer. Per giocare, esistevano decine di piattaforme diverse. Per ascoltare musica, c’erano lo stereo, il giradischi, il mangiacassette, la radio, il lettore mp3. Il significato delle parole si cercava sul dizionario. Il giornale lo si comprava in edicola. Per trovare un numero di telefono, si sfogliavano le Pagine Bianche o le Pagine Gialle. La TV via cavo offriva programmi adatti a ogni età e gusto: cartoni, documentari, serie, film per tutti.
Ciò che ritengo sia il grande cambiamento è la nostra condizione: più la tecnologia diventa smart, più noi possiamo permetterci di essere superficiali. Abbiamo l’estremo bisogno di qualcosa che non dovrebbe essere indispensabile, ma che lo è già diventato. Se racchiudiamo in un solo accessorio tutto ciò che ci rappresenta, dagli interessi alle passioni e passatempi, allora sarà impossibile separarsene. Non sapremmo più vivere senza.
Lo smartphone è diventato indispensabile solo perché abbiamo delegato ad esso tutto ciò era già essenziale prima della sua esistenza. Ad esempio, si potrà accedere alla propria Tessera Sanitaria tramite app, così da non doverla più portare con sé. Ma mentre la tessera sanitaria è davvero indispensabile, lo smartphone non lo è. Ora sì: la tessera sparirà, lo smartphone diventerà irrinunciabile. È diventato un bene di prima necessità e questo lo rende esponenzialmente commerciabile: ogni individuo, di qualsiasi età, ceto, stato o cultura, potrà possederne uno. Potrebbe essere un complotto andato a buon termine, voluto dalle dalle multinazionali e dagli oligarchi per consolidare il loro dominio globale.
Per dimostrare la mia pesante ed accusatoria teoria del “complotto del telefono intelligente”, vi invito a ragionare sulle abitudini dell’ultimissima generazione. Da bambino, mi distraevo con la televisione, ma era una televisione molto diversa. Oggi, canali come Boing o Cartoon Network trasmettono pubblicità tempestate di riferimenti agli smartphone, creando un prematuro sentimento di necessità, per indottrinare fin da giovane età i consumatori del domani. Questo complotto, indiretto e puramente psicologico, garantisce alle multinazionali il podio economico e, per raggiungere i propri obiettivi egoistici, continueranno ad approfittare di ogni strumento disponibile. L'indipendenza dei bambini da accessori superflui è minacciata dalle logiche di mercato. Non siamo sempre consapevoli di questi subdoli meccanismi economici e psicologici, né possiamo dimostrarli su larga scala, ma possiamo quanto meno renderci conto dei grandi cambiamenti e dei pericolosi risultati nella nostra quotidianità.
Anche chi ha grandi difficoltà economiche si sente in dovere di possedere uno smartphone. Siamo indotti psicologicamente a volerlo. “Loro ce l’hanno e io no” “Senza di quello, sarò tagliato fuori” “Se non ce l’ho, non mi farò mai degli amici” “Senza, valgo meno di niente” … “Ora che ce l’ho, posso mostrarlo agli altri” “Ora posso fare tutto quello che voglio” … senza sapere o considerare che potevo farlo anche prima, sebbene meno comodamente.
L’invidia e l’insicurezza, nelle logiche di mercato, sono gli strumenti più efficaci verso di noi, l’ultimo gradino della società. Prima di essere persone, siamo consumatori, numeri in un database che non si ferma mai e che ci controlla, un insieme di algoritmi al servizio degli oligarchi. Hanno bisogno di influenzare le nostre scelte, decisioni, passioni e necessità, altrimenti smetteremmo di essere tali. E così ci sentiamo in dovere di avere un accessorio da centinaia, se non migliaia, di euro che, per le sue potenzialità e dato come lo usiamo, è spesso inutile o si avvicina ad esserlo… Perchè? Perché non sempre siamo padroni delle nostre scelte.

 
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from Le ricette di Kenobit

I ravioli mi piacciono tanto anche se sono un po’ laboriosi da preparare. Anzi, forse mi piacciono proprio perché richiedono tempo e cura, e perché mi ricordano quando li preparava la mia nonna. Ho ereditato il suo “raviolamp” e quando lo vedo ricordo i pomeriggi in cui stavo in cucina con lei a guardare la tv mentre li preparava. I più buoni erano quelli che le prendevo di nascosto, sapendo che mi vedeva benissimo. Lei li faceva ripieni di carne, con l’avanzo del bollito, un po’ di prosciutto o mortadella, uova e parmigiano. Da quando ho fatto la scelta vegana, mi è capitato di fare ravioli a base di erbe, ma era da un po’ che sentivo il bisogno di un ripieno che mi ricordasse quelli della nonna. Ieri ho lanciato il cuore oltre l’ostacolo e sono venuti benissimo. Li scrivo qui per condividerli e per ricordarmeli.

Ingredienti (dosi per circa tre persone)

Per la pasta: – 150 grammi di semola rimacinata di grano duro – 50 grammi di farina di lenticchie rosse (ma va bene una qualunque farina di legume, tipo i ceci) – un cucchiaino di curcuma – un cucchiaio di olio d’oliva – un pizzico di sale – acqua tiepida

Per il ripieno: – 100 grammi di soia texturizzata (bocconcini) – una manciata di funghi shitake freschi (se non li avete, vanno bene anche secchi e ammollati, o dei porcini, che però costano di più) – un cucchiaio di miso – una patata grossa lessa – 20 grammi di noci (solo il gheriglio) – salsa di soia

Per la crema di funghi: – Una cipolla – Abbondanti pleorotus – Qualche finferlo – Qualche shitake – Un pezzettino di rosmarino – Margarina – Olio d’oliva – Latte di soia non zuccherato (in generale va bene qualsiasi fungo abbiate per le mani, ma visto che andremo a frullare il tutto non metteteci nulla di troppo pregiato)

PREPARAZIONE Mescolate gli ingredienti dell’impasto, aggiungete acqua tiepida e lavorate fino ad avere un impasto omogeneo. State indietro con l’acqua, vogliamo un impasto meno idratato possibile. Chiudete bene la massa in della pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigo per almeno mezz’ora.

Nel frattempo, dedichiamoci al ripieno. Fate ammollare la soia come indicato sulla confezione (di solito basta coprirla di acqua bollente per una ventina di minuti), poi strizzatela benissimo e mettetela in un frullatore/food processor. Mettetela nella terrina dove avrà dimora il nostro ripieno. Frullate allo stesso modo i funghi e le noci. Aggiungete il tutto alla terrina, insieme a un cucchiaio di miso (abbiate l’accortezza di amalgamarlo bene) e alla patata schiacciata. Mescolare tutto e aggiungere salsa di soia a gusto, finché il ripieno non sarà saporito quanto basta. Assaggiatelo senza paura, non contiene carne cruda né cose che possono farvi del male. Il ripieno è pronto quando dovete fare appello alla vostra forza di volontà per non mangiarlo a cucchiaiate come se fosse un Fruttolo. Mettetelo a riposare in frigo.

Prepariamo la crema di funghi. Tagliate grossolanamente i vostri funghi e buttateli in padella insieme a un po’ di sale, una cipolla e al rosmarino, in abbondante olio d’oliva. Inizialmente butteranno fuori dell’acqua, poi inizieranno a rosolare per bene. Praticate un po’ di coraggio della padella e fateli bruciacchiare lievemente. Niente paura, è letteralmente impossibile cuocerli troppo. Quando sono ben cotti e saporiti quanto basta, metteteli nel frullatore, aggiungete la margarina e frullate. Aggiungete il latte di soia a poco a poco, fino a ottenere una consistenza cremosa, ma non troppo liquida (anche perché in mantecatura aggiungeremo un po’ di acqua di cottura).

Ora tiriamo la pasta per i ravioli. Io ho usato una vecchia macchina Imperia (che la nonna chiamava “la nonna papera”), ma potete cavarvela anche con un mattarello. L’impasto riposato dovrebbe permettervi di tirare una sfoglia molto sottile. Assemblate i ravioli con il metodo che preferite. Io ho usato lo stampo raviolamp, ma potete fare dei quadrati da richiudere a triangolo, dei cerchi, dei cappelletti, delle strisce lunghe da ripiegare longitudinalmente. Insomma, i ravioli. Ci sono mille metodi, basta solo farci la mano. Ricordate che anche se vi vengono brutti saranno comunque buonissimi.

Cuocete i ravioli (se sono appena fatti basteranno un paio di minuti, nel dubbio assaggiate), poi fateli rapidamente saltare nella crema di funghi, che avrete allungato con un filo di acqua di cottura. Ovviamente potete fare gli stessi ravioli con tutte le salse che volete, ma la variante di funghi ai funghi con funghi e contorno di funghi ha riscosso molto successo.

ravioli

 
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from KSGamingLife

Tutorial su come configurare Stremio e evitare di impazzire tra mille provider di servizio streaming multimediali

I servizi di stream sul mercato hanno molti problemi: – Costano un botto, – Hanno qualità scadente, – Non hanno la lingua originale – Se ce l'hanno, hanno i sottotitoli in Italiano quando va bene – Hanno le proprie esclusive e poco più – Non hanno i classici – Cancellano le serie a metà – Rimuovono content che magari vorresti vedere

Qui vi spieghiamo come configurare Stremio e ottenere così l'esperienza di stream di film, anime e serie definitiva.

Partiamo con le definizioni e i disclaimer, in caso chi legge sia un appassionato di legge e diritto d'autore. Stremio è nient'altro che un sistema per vedere trasmissioni da svariate sorgenti, in un unico posto. Queste sorgenti possono contenere materiale legale, o illegale. Questo rende Stremio perfettamente legale: come un mattone, che potete usare per costruire una casa o per fracassare la testa a qualcuno, dipende dall'utilizzo che ne fate e dalla vostra moralità e etica.

Veniamo alla parte interessante: le sorgenti più popolari da visualizzare con Stremio sono torrent, ovvero file (in questo caso, video) che stanno da qualche parte su internet (nel computer di qualcuno). I torrent si vedono se ci sono “seed”, ovvero persone che mettono a disposizione il file, restando connessi alla rete e permettendoci di scaricarlo (o, nel caso di Stremio, vederlo in tempo reale). In aggiunta a questo, Stremio è anche compatibile con i servizi di debrid, il più famoso è Real Debrid, che sostanzialmente mettono a disposizione (a pagamento) i video a qualità più alta, senza doversi preoccupare di trovarne uno con tanti seed. È opzionale, ma con questi servizi funziona tutto immensamente meglio.

Come si fa?

Step 1: create un account su Stremio e scaricate il client. Funziona ovunque: windows, mac, linux, android, (più o meno) iOS, Firestick... tutto. Si scarica da qui: https://www.stremio.com/

Step 1bis: se volete la qualità massima possibile, andate qui https://real-debrid.com/ , fatevi un account, scegliete un piano (più mesi acquistate, meno costa), poi andate qui e segnatevi la chiave: https://real-debrid.com/apitoken

Step 2: potete scaricare i plugin che volete, ma così fate prima: andate qui https://stremio-account-bootstrapper.vercel.app/ e inserite i dati del login. Se avete sottoscritto un abbonamento a Real Debrid (step precedente), inserite la api key dove dice di farlo, scegliete la lingua preferenziale, e se volete impostate gli addon opzionali.

Step 3: In realtà, avete già finito. Aprite Stremio, loggatevi, e godetevi tutto lo scibile umano in fatto di cinema e TV, alla qualità massima, senza problemi. Naturalmente, gli addon, le configurazioni, la libreria, l'avanzamento di ciò che guardate viene sincronizzato tra tutti i dispositivi.

Buona visione!

 
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from Ore liete


Le sigle, almeno.

La terrazza delle nostre villeggiature era ampia, più di quanto potessimo sognare noi affittuari venuti dalla cittadina. Non era granché rifinita, non ne capisco niente di edilizia, mattonelle arancio/marrone e guaina bituminosa sui muretti verticali, ma era nostra per un mese e tanto bastava. Ci si potevano guardare le stelle nella notte buia, non sporcata dalle luci infinite della città; ci si poteva abbronzare, volendo, ma non siamo mai stati amanti della tintarella.

La stagione turistica è fondamentale per questi paesini, piccoli all'epoca e ancora più piccoli adesso, quindi si cercava di tenersi stretti i villeggianti con serate canore, danzanti, sagre, mangiate; tutto molto rustico, ma andava bene così. Non sempre avevamo voglia di uscire la sera, o ci ritiravamo più presto del solito, ma fin sulla terrazza arrivavano comunque i suoni dalla villa comunale, con uno spazio circolare cementato adibito a eventi vari: quella sera, una di quelle che avevamo deciso di passare a casa, era discoteca per i giovani.

Italo disco, Ivana Spagna, Samantha Fox, Modern Talking, Raf con Self control, mica sto a fare l'elenco completo: quei nomi li conosciamo e conosciamo quelle tastiere e quei suoni, che sono ancora tra noi con qualche piccolo travestimento, ma non andranno via mai. Poi, all'improvviso, l'italo disco si trasforma in un raggio missile, con circuiti di mille valvole. Era la sigla di Goldrake, seguirono altre sigle di robottoni e cartoni animati. Echeggiavano per tutto il paese, dalla terrazza si sentivano che era un piacere.

Ero piacevolmente sconvolto, stupito dal fatto che la gente stesse ballando con le sigle dei miei eroi dell'epoca. Ore davvero liete.

 
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from Disattualizzando

Il mondo è cambiato? Il Mondo è cambiato o siamo solo noi ad essere cambiati? Siamo noi a tentare in ogni modo di essere diversi da ciò che eravamo una volta? IMG-2639 In questo capitolo affronterò l’argomento dell’Antropocene da un punto di vista diverso rispetto a quello scientifico trattato in precedenza, concentrandomi su un aspetto umano e intellettuale.
Da un punto di vista teorico, il Mondo per noi è sempre rimasto uguale e continuerà a sembrarlo, con un limitato margine di cambiamento per la durata delle nostre vite, quelle dei nostri nipoti e dei nostri pronipoti. Avremo sempre lo stesso cielo, le stesse stelle stelle, la stessa Terra. Nonostante le vicende storiche, sociali e culturali degli ultimi secoli, secondo il concetto fenomenico, il Mondo dovrebbe essere rimasto identico. Siamo noi che abbiamo un bisogno tipicamente umano di voler percepire ogni epoca come diversa, a volerci sentire differenti, modificando il contesto naturale per adeguarlo a noi.
I genitori dei nostri genitori possono sostenere con forza e sicurezza di aver vissuto dei tempi realmente diversi sotto molti aspetti, come dimostra la difficoltà che spesso incontrano nell’approcciarsi a tecnologie recenti come smartphone e computer. E’ stata la rivoluzione comportamentale portata da queste tecnologie che ha contribuito a renderci molto diversi.
Prima di questa rivoluzione, i tempi sembravano scorrere più lentamente e somigliarsi di più tra loro. La nostra contemporaneità, invece, è bizzarra, complessa, e a tratti alienante. Per noi è facile e scontato convivere con queste grandi comodità, siamo genericamente più sedentari, ci dedichiamo quotidianamente ad attività tanto urgenti quanto superflue, che però sentiamo il bisogno di soddisfare. Chi dei lettori, me compreso, non ha delle missioni giornaliere da svolgere? Investiamo una parte importante del nostro tempo ed energie su azioni di poco conto, sottraendone a ciò che meriterebbe davvero la nostra attenzione. In passato, chiunque si dedicasse ad una disciplina la viveva come una vocazione, non era distratto quotidianamente da attività dettate da un’applicazione. La nostra mente è stata condizionata per ritenere priorità cose che hanno davvero poco rilievo, ciò ci rende costantemente distraibili. Anche i nostri genitori, a differenza dei nonni, sono stati facilmente convertiti alla “fede delle tecnologie inutili”. Con amarezza, sostengo che spesso ne sono dipendenti quanto i giovani.
Tutto questo mi porta a una riflessione: Anche se dal punto di vista naturale e fenomenico il mondo non è cambiato, è bastato un accessorio, per quanto eccezionale, a stravolgere le nostre abitudini in pochissimo tempo. Viviamo in uno sputo di tempo, velocissimo e pericoloso, come il colpo di un proiettile.
Tecnologia, scienza e progresso non hanno cambiato il mondo in sé, ma la nostra percezione del mondo. Abbiamo ancora bisogno delle stesse cose, ma oggi facciamo fatica a riconoscerle. Bisognerebbe rivedere il valore delle nostre azioni quotidiane, dei nostri pensieri.
Le strane priorità e abitudini che ora ci appartengono tendono ad allontanarci da un sentimento naturale e primordiale. La natura, oggi, è solo una risorsa da sfruttare, ci avviciniamo ad essa per deturparla, sfruttarla, e poi trasformarla in scarti e rifiuti. Ogni elemento naturale viene piegato alle nostre comodità per servirci a senso unico, per soddisfare i nostri vizi e desideri, colmare le nostre comodità, incrementando un sistema che ai tempi dei nostri nonni sarebbe stato inconcepibile. Cent’anni fa, l’essere umano era rispettoso della natura, la sua sopravvivenza dipendeva da essa. Oggi, con l’avanzata dell’industria globale, ci illudiamo di esserne padroni, ci consideriamo l’apice del sistema che abbiamo creato, la priorità assoluta, e pieghiamo al nostro volere tutto ciò che ci circonda. Abitudinariamente incrementiamo un’esistenza innaturale, disumana. E lo facciamo senza sacrificare nulla: né tempo, né risorse, né denaro.
Siamo convinti di aver raggiunto la vetta, e che le conseguenze delle nostre egoistiche azioni non ci raggiungeranno mai. Ignoriamo che rappresentiamo un grave problema verso il Mondo e di conseguenza verso noi stessi. Siamo diventati una specie egocentrica, abbiamo la presunzione che tutto ciò che può essere fatto debba essere fatto: ne abbiamo il diritto, anche se potrebbe essere dannosa e rischiosa. Così, involontariamente, distruggiamo ecosistemi e adattiamo la natura alle nostre esigenze, con effetti spesso irreversibili,
Dall’alto della nostra intelligenza siamo diventati la specie animale più autodistruttiva, continuando imperterriti ed indifferenti a comportarci in modo deleterio, ignorando i segnali del disastro. Dall’alto della nostra intelligenza, dovremmo riconoscere le conseguenze delle nostre azioni.

 
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from Ore liete


I ricatti senza senso e sporporzionati che i genitori fanno ai bambini. Nel mio caso, “mangia tutto, altrimenti domani non andiamo ad affittare la casa per la villeggiatura.

Era la seconda metà degli anni Ottanta, il decennio più lungo della storia, visto che non è ancora finito e non ne ha alcuna intenzione. I miei genitori ne avevano parlato tra loro, non ne sapevo niente, era il momento del pranzo di un giorno. Mia mamma non ha mai saputo cucinare pasta e piselli, il risultato sembra sempre della pasta scaldata e poi buttata in una latta di piselli, con lo stesso feeling tra gli elementi dell'olio versato nell'acqua. All'improvviso, alla mia recalcitranza a finire il piatto: “mangia, altrimenti non eccetera eccetera”. Così, all'improvviso.

Avevo sentito parlare di questa villeggiatura. Non siamo mai stati ricchi, neanche sufficientemente benestanti, ma all'epoca c'era un certo margine di manovra per andare in villeggiatura. Non c'erano le spese che oggi reputiamo indispensabili e prima erano superflue, poi ci si poteva arrangiare a poco prezzo; alla fine, era praticamente come addossarsi un mese di affitto in più. Ci si arrangiava affittando per un paio di settimane, o un mese, la seconda casa di qualcuno, solitamente poco rifinita o in stato di semiabbandono, in un paesino di montagna non eccessivamente celebrato. Ho detto un mese: in quegli anni la vita in Italia si fermava per tutto agosto, tranne che nelle località... di villeggiatura.

Mangiai, recalcitrante, tutto il piatto di pasta e piselli, il giorno dopo partimmo alla ricerca di una casetta. Saremmo partiti lo stesso, ovviamente, ma uno dei compiti dei genitori è quello di riversare sui figli decisioni e aspettative ingrate. Il mezzo era una Fiat 127 900 tre porte, terza serie, blu. Non ricordo se Super, che poi era la versione base, o Special; probabilmente Super, sicuramente a quattro marce. La destinazione è il Matese, San Gregorio Matese.

Era una zona che conoscevamo bene, ma come poteva conoscerla bene della gente che andava a farci, spesso, dei picnic. Quindi, per forza di cose, esperienze mordi e fuggi. Arrivi, trovi un posticino per parcheggiare, piazzare il tavolino e accendere la brace, vai in giro a cercare legna se non hai la carbonella, poi si inizia a cucinare, riposino dopo pranzo e via, si torna in paese per un caffè o un gelato e poi a casa. Ve li ricordate i tavolini da picnic di una volta, quelli che si aprivano e chiudevano con meccanismi da sedie pieghevoli? Quelli che incorporavano tavolo e piano seduta. Facevano il paio coi set di piatti e posate di plastica riutilizzabili, spesso contenuti tra due insalatiere semisferiche.

Partimmo alla volta di San Gregorio Matese, una novantina di chilometri in tutto, non abbiamo contatti, avremmo chiesto ai passanti nella piazza del paese. Il primo suggerimento è una villetta ampia, con una generosissima vista sulla vallata, abbastanza fuorimano, tanto che difficilmente ci saremmo incamminati a piedi verso il paese. Saremmo stati isolati un po' per tutto il tempo, niente da fare.

Il secondo suggerimento fu quello giusto. Una casa in un vicoletto del centro storico, centro storico che poi sarebbe quasi tutto il paese. L'ingresso raggiungibile dopo una prima rampa di scale, perché nei centri storici le case possono essere così: accatastate. Su due livelli, collegati da una scala esterna di gradini abbozzati epoco regolari, il bagno solo al piano più alto. Fuori, un terrazzo spettacolare dove la vista può spaziare, la pelle abbronzarsi. Con le stelle brillanti come possono brillare in montagna, senza l'inquinamento di un milione di finestre e altrettanti lampioni. Sotto, l'area giorno, con cucina e camino, soggiorno tendenzialmente vuoto come lo sono quelli delle case da villeggiatura, un balcone. Nel soggiorno c'erano anche altri lettini, mi pare ci dormissimo noi figli, in bagno dovevamo andarci solo la mattina dopo.

A poca distanza, una chiesetta semiabbandonata, ma con le campane perfettamente funzionanti che si facevano sentire ogni quarto d'ora; alla medesima distanza, in un'altra direzione, una botteguccia col telefono per i villeggianti.

Abbiamo villeggiato in quella casetta diverse volte, interrotte da un triennio in Abruzzo e da qualche variazione matesina, ma ci sarà tempo per parlarne.

 
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from Disattualizzando

Benvenuti nell’Antropocene. Con questo capitolo la mia prima intenzione è esporre e divulgare teorie e concetti estrapolati da ricerche in internet, riferiti ad uno degli argomenti più importanti e più sottostimati della nostra contemporaneità. Mi riferisco a scienziati, geologi e ricercatori con i quali condivido visioni e teorie, che mi hanno portato a formulare un pensiero personale, cercando di non cadere nei semplicismi e nelle ovvietà. Promuovo l’idea che queste persone mettano il cuore e l’anima nei i propri studi, combattendo una battaglia che riguarda ognuno di noi, a prescindere dal nostro interesse personale verso gli argomenti trattati. Questi saggi studiosi e sapienti dottori, dovrebbero essere ascoltati di più dalle grandi masse, e le loro informazioni andrebbero diffuse nella maniera più efficiente possibile. IMG-2654 Molte delle osservazioni che ho annotato fino ad ora avrebbero una soluzione pratica ed effettiva, capace di cambiare il mondo, o almeno di provarci. L'alternativa a “almeno ci provo” è “lasciarlo così com'è”, lasciarlo quindi alla deriva, consapevoli del probabile risultato finale. Sarebbe una scelta coerente per chi decide di disimpegnarsi sulla questione Natura, ignorando però quanto essa sia fondamentale per la preservazione della nostra esistenza.
In queste pagine espongo il mio modo di agire, fino ad ora prevalentemente teorico. Esprimo un punto di vista nato dalla mia percezione delle cose e dal tentativo di cambiare ciò che mi circonda. Come ho scritto negli altri capitoli, sono fermamente convinto che chiunque voglia cambiare il mondo abbia il diritto di nascita di farlo. A volte, se si ha a cuore il nostro futuro e quello delle prossime generazioni, si ha il dovere di provarci.
Il termine “Antropocene” suscita in me un grande timore. Un timore che nasce dalla sua stessa definizione di catastrofe, possibilmente raggiungibile nel corso dei prossimi, e non molto numerosi, decenni. Questo è il risultato da cui dobbiamo sottrarci in ogni modo. Si tratta di un destino che si manifesta percettibilmente giorno dopo giorno: per ora è evitabile, ma presto potrebbe non esserlo più. Con Antropocene si intende l'epoca geologica contemporanea, caratterizzata dall'influenza negativa dell'essere umano sul pianeta. L'effetto della nostra esagerata presenza è la causa di un cambiamento strutturale del clima planetario, che incide sui processi sottili di equilibrio terrestri, condizionati da un'evoluzione durata milioni di anni. L’Antropocene è la prova inconfutabile che l’uomo è nocivo per se stesso e per il resto degli ecosistemi mondiali.
Il nostro pianeta ha raggiunto un equilibrio grazie a fattori ambientali come i ghiacciai, gli oceani e l'atmosfera. Quest'ultima, la più vulnerabile, è anche quella più danneggiata dalle nostre azioni. L’atmosfera è quel sistema che, se gravemente compromesso, compromette di conseguenza ogni altro tipo di sistema esistente. E’ il primo fattore ambientale che ha permesso alla Terra di ospitare la vita così come la conosciamo. Lo studio del clima ci ha rivelato che, da migliaia di anni, la Terra alterna periodi glaciali a periodi interglaciali. Noi siamo collocati verso la fine di un periodo interglaciale, un periodo caldo.
Cos’è che ha caratterizzato l’Antropocene? Gli ultimi 200 anni di Rivoluzione Industriale hanno permesso all’essere umano di evolversi tecnologicamente in una modalità senza precedenti. E’ stato l’inizio di una crescita e di un progresso scientifico senza eguali, migliorando da quasi ogni punto di vista la qualità e la facilità delle nostre vite, attribuendo all'essere umano un nuovo modo di vivere e definire la quotidianità. Allo stesso tempo, la Rivoluzione Industriale ha dato inizio a un'altra grande novità per il pianeta: la combustione di petrolio, carbone e gas, con il conseguente incremento dell'Effetto Serra, che ha progressivamente aumentato il riscaldamento globale fino ai nostri giorni. E’ stato anche l’esordio di uno smisurato prelevamento di risorse (legno, minerali, pesci, animali...) restituite al pianeta sotto forma di scarto, un prodotto di avanzo che non solo incrementa i rifiuti nell'ambiente, ma immette nell'atmosfera quantità spropositate di CO2. Fino agli anni Settanta, si contavano nel mondo circa 3,5 miliardi di persone e, dal punto di vista di sprechi e rifiuti, si rispettava ancora un certo equilibrio naturale. Con la crescita indomabile della popolazione e la dipendenza vitale dal petrolio, ci avviciniamo sempre più al punto di non ritorno, al processo irreversibile che potrebbe caratterizzare il mondo di domani.
Sappiamo che il clima mondiale è aumentato di circa un grado, soprattutto negli ultimi trent'anni. Si prevede che nei prossimi cento anni la temperatura possa salire di altri 5°C. Con un solo grado di differenza, il 50% dei ghiacciai delle Alpi è già scomparso, insieme alla sorgente del Po e a molti altri fiumi essenziali per il nostro sostentamento. In nessun altro periodo caldo interglaciale si è mai registrato un aumento di un grado. I 5°C che si raggiungerebbero rappresentano la peggiore prospettiva possibile e il più grande fallimento dell'umanità nei confronti di questo pianeta. Questi sono i sintomi di una malattia climatica di origine umana. Se nel 2100 si verificasse un aumento di 5°C, le conseguenze più catastrofiche sarebbero destinate soprattutto a noi esseri umani.
La Natura, nonostante le estinzioni di massa, il disequilibrio ambientale e la distruzione di tantissimi ecosistemi unici, avrà sempre la forza di adattarsi. La Natura è resiliente. Noi pensiamo di essere i padroni del mondo, ma non avendo la stessa forza di adattamento, saremo la specie a subire le ripercussioni più gravi, al limite dell'apocalisse.
La CO2 di origine fossile immessa nell'atmosfera si è aggiunta a dismisura nell'equilibrio mondiale. In 800.000 anni, la percentuale di anidride carbonica nell'ambiente non aveva mai raggiunto livelli così alti come oggi. L'Effetto Serra è la causa principale dello scioglimento dei ghiacciai e, di conseguenza, dell'innalzamento dei mari. Questo processo sarà accompagnato da una desertificazione veloce e graduale.
I numerosi test nucleari avvenuti tra gli anni Cinquanta e Sessanta hanno rappresentato un altro fattore disastroso che ha inciso profondamente sull’equilibrio climatico e ambientale, facendo da catalizzatore e accelerando ulteriormente il degrado del nostro pianeta. Ogni anno, muoiono genericamente 9 milioni di persone solo a causa dell’inquinamento.
Si dovrebbe lasciare in eredità alle generazioni future un pianeta ancora vivibile, che non sia ostile alla nostra presenza, cambiando radicalmente direzione. Come inizio, si potrebbe garantire la fine dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Dovremmo eliminare la nostra esigenza di deforestazione e promuovere invece la riforestazione. Sarebbe fondamentale limitare il più possibile la cementificazione, che rende la terra sotto i nostri piedi sterile e vulnerabile agli agenti atmosferici. Bisognerebbe ridurre tempestivamente la nostra dipendenza dal petrolio e dal carbone. Dovremmo riutilizzare e riciclare risorse e rifiuti di ogni tipo, eliminando quanto più possibile lo spreco. Si potrebbe adattare ogni nostro bisogno alle energie rinnovabili ovunque esse siano accessibili, convertendo più edifici possibili all’autonomia energetica.
Tutto questo non sarebbe impossibile, se esistesse una volontà mondiale, animata dal desiderio di affrontare e superare ogni ostacolo, anche quelli apparentemente insormontabili, come le resistenze di politici e multinazionali ancora legati a profitti retrogradi e involutivi. E’ necessario rendersi conto che questo è l‘unico pianeta che abbiamo, tutto ciò che riguarda la nostra sopravvivenza dipende esclusivamente da esso. Preservare la Natura equivale a preservare noi stessi.
Come ho già sostenuto, tutto ciò che siamo è ciò che la Natura ci ha permesso di essere, dovremmo provare a saldare questo debito con l’ambiente che ci circonda. Sentiamoci partecipi ed attivi quando ci rivolgiamo alla Natura. Non dimentichiamo che l’uomo e l’ambiente non sono due cose distinte e separate. L’essere umano deve essere al servizio della Natura tanto quanto la Natura è sempre stata al nostro.

 
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from Super Relax


Ciclocomputer fotografato frontalmente e accostato a una foto rimpicciolita della confezione, con la scritta Rider 420 GPS bike computer

Il Bryton 420 è un modello economico, ma non di base, della gamma Bryton, uscito ormai nel 2020. Offre funzioni di navigazione ma non è cartografico, disponibile in tre configurazioni:

  • 420E, solo ciclocomputer;
  • 420H, con fascia cardio;
  • 420T, con fascia cardio e sensore di cadenza.

Possiedo il 420E, a cui ho collegato successivamente fascia cardio, sensore di cadenza e radar, comprato nel 2024 a 85 € circa, più o meno il prezzo attuale.

Il 420 supporta gli standard ANT+ e Bluetooth, quindi è compatibile coi sensori di altre marche. Si collega al telefonino via Bluetooth per la gestione di eventuali percorsi e una gestione molto più rapida delle impostazioni e, soprattutto, delle varie pagine dati tramite l'app Bryton Active App. Non dispone di connessione Wi-Fi, quindi per gli upgrade firmware è necessario usare l'app o collegarlo al PC col cavetto USB micro B e usare il programma apposito, Bryton Update Tool, disponibile per Windows e Mac. Sarebbe gradita anche una versione per le distro Linux più diffuse, ma non penso sia mai stata presa in considerazione. Questo modello può essere tranquillamente usato senza connessione, tutta la logica è interna; tuttavia, l'applicazione ne permette un utilizzo molto più fluido, come dicevo sopra, oltre a poter ricevere a schermo le notifiche del telefonino (chiamate in arrivo, messaggi, email o altre notifiche a nostra discrezione).

Ok, se state ancora leggendo, sarete interessati a quello che il 420 è in grado di mostrare sul suo schermo monocromatico LCD da 2,4”, piccolo ma piacevolmente contrastato e leggibile. Schermo non touch, come prevedibile in questa fascia di prezzo. Non penso sia un male, ma sull'ergonomia torniamo dopo. Sono disponibili fino a 5 pagine standard, ciascuna con fino a 8 campi personalizzabili; oltre a queste, 2 pagine per i lap, ancora una volta totalmente personalizzabili fino a 8 campi, e 2 pagine che si attivano successivamente al caricamento del percorso, entrambe con 2 campi personalizzabili.

Le informazioni offerte sono davvero tante, la lista completa è pagina 49 del manuale. Ovviamente, molte opzioni sono attive quando sono collegati i relativi sensori: cadenza della pedalata, frequenza cardiaca e zone, un'ampia selezione relativa alla pletora di dati ottenibili dai misuratori di potenza e anche i dati dell'eventuale cambio elettronico Shimano.

Nel caso non abbiate voglia di spulciare il manuale, sappiate che sono sicuramente disponibili tutte quelle necessarie ad analizzare in tempo reale le nostre uscite, che riassumo sicuramente dimenticandone qualcuna: velocità (attuale, media e massima), distanza percorsa e odometro, tempo trascorso effettivo e totale, pendenza, altitudine, guadagno altimetrico, distanza in salita e discesa, ora, temperatura ecc. Campi specifici sono disponibili per le pagine dei lap, ma sono visualizzabili anche nelle pagine generiche: velocità media del lap, distanza, tempo, tempo del giro precedente, media del giro precedente e così via.

Questa abbondanza di informazioni porterà l'utilizzatore al suo primo ciclocomputer a impostare 5+2 pagine con 8 campi attivi ciascuna: cosa molto scomoda, in quanto non è possibile navigare tra le stesse in avanti e indietro, ma solo avanzando in maniera circolare, operazione lenta e che distrae parecchio durante la pedalata. Si finisce, generalmente, con limitarsi alla schermata standard da tenere per tutto il tempo e a una riassuntiva, con le medie e altri valori non immediatamente rilevanti. Oltre a una schermata lap e quella della traccia, se attive.

È possibile il collegamento a app di terze parti: Komoot, Relive, Ride with GPS, Strava e TrainingPeaks; inserendo i relativi dati di accesso, a fine percorso il tracciato verrà caricato automaticamente sulle piattaforme di nostra scelta. Una gran comodità, specie per gli utilizzatori di più servizi.


Questa prima parte spero sia stata un'introduzione decente alle funzionalità usate in ogni uscita, ora continuo con accenni a funzioni e opzioni più specifiche.

La navigazione.

Come detto in apertura, il 420 non è cartografico, ovvero non dispone di mappe interne o della possibilità di accedere a mappe caricate sul telefonino, non permette il ricalcolo del percorso in caso di allontanamento temporaneo dal file previamente caricato. La schermata di navigazione è occupata, per buona parte, da una singola linea che indica il percorso, sovrastata da una freccia che indica il ciclista, senza mostrare incroci e strade laterali. Allontanandosi dalla linea, dopo un po' appare il messaggio “fuori rotta” e l'unica possibilità di riprendere la navigazione sta nel tornare, in qualche modo, lungo il percorso definito. Problema, questo, comune a tutti i dispositivi non cartografici.

I percorsi si gestiscono tramite app.

È possibile pianificarli internamente o inviare sul telefonino un .gpx o .fit creato esternamente (da Strava o Komoot, per esempio) e aprirlo nell'app Bryton. La procedura, però, non è immediatamente intuitiva: aperto il percorso, bisognerà aprire il menu in alto a destra e selezionare l'opzione per creare un nuovo percorso, con le info per le svolte. Di default, il nuovo percorso ha lo stesso nome di quello originario con l'aggiunta del suffisso “-1”: è questo il file che dobbiamo aprire per aggiungere eventuali POI, scegliendo tra sette impostazioni: Cima (predefinita), Generale, Ristoranti, Emergenza, Checkpoint, Punto di incontro, Acqua. È possibile assegnare qualsiasi nome ai POI. Sarebbe stata gradita la possibilità di modificare a posteriori i POI, invece bisogna cancellarli e rifarli in caso di errore. Preparata la traccia, selezionando l'opzione “scarica sul dispositivo”, dallo stesso menu, la si trasferisce sul Bryton, pronta per essere caricata e avviata.

È possibile impostare due biciclette.

Ancora una volta sia da dispositivo che da app, ancora una volta con la maggior praticità di quest'ultima: per ciascuna delle bici, è possibile impostare peso, diametro della ruota e valori di ODO1 e ODO2. Una precisazione sui tre odometri disponibili, perché le voci dei menu possono essere confusionarie in qualche caso. C'è un odometro generale, che mostra il totale di chilometri percorsi su entrambe le bici, nei campi delle pagine è indicato limpidamente come “odometro”. Le voci Viaggio 1 e Viaggio 2 corrispondono nell'app, nelle impostazioni della bici, a ODO1 e ODO2: sono due contachilometri separati, i cui valori possono essere modificati in app per effettuare le misurazioni che decidiamo. Esempio: possiamo azzerare il valore di ODO2 a inizio anno e usare quel contatore per tener traccia dei chilometri percorsi annualmente, così come azzerare ODO1 per tracciare le percorrenze di un viaggio cicloturistico spalmato in più tappe.

Un'altra impostazione ambigua è quella relativa all'avviso sonoro dell'eventuale radar associato: per attivarlo, l'impostazione deve essere controintuitivamente su OFF.


Prima dei pro e contro, una breve sezione sulle funzioni che non ho avuto modo o necessità di provare. È possibile impostare dei piani di allenamento, ce ne sono tre precaricati ed è possibile crearne altri dall'app o importarne da TrainingPeaks.

Live Track è una funzione che permette di condividere, in tempo reale, posizione e dati durante una sessione, con la possibilità di inviare automaticamente il link a indirizzi email prestabiliti.

Group Ride permette di condividere percorsi e dati vari tra i partecipanti di gruppi creati all'uopo, se in possesso di altri ciclocomputer Bryton.


Pro e contro

È un dispositivo relativamente economico, anche se ormai soffre la concorrenza di modelli con schermo a colori, anche touch, per poche decine di euro in più. Il rapporto prezzo/qualità è ancora soddisfacente e non credo di aver mai incontrato bug rilevanti. Lo schermo, seppur monocromatico (anzi, probabilmente per quello) è ben leggibile all'aperto, ma se siete degli -anta forse è meglio limitare il numero dei campi visibili e aumentare le pagine. La definizione non è esagerata e 2,4” sono pochini, in generale Le funzioni sono molte e le informazioni anche sovrabbondanti, specie per il ciclista comune. Le possibilità di seguire tracciati e allenamenti sono sicuramente caratteristiche gradite. La durata della batteria è soddisfacente, anche se non saprei stabilirne la durata esatta: con sensore di cadenza, fascia cardio e radar, di sicuro c'è carica sufficiente per diverse uscite, nessun rischio di trovarselo scarico in giornata. Può essere usato totalmente offline.

L'ergonomia non è ottimale a causa dei due pulsantini posizionati sul retro del dispositivo, difficilmente raggiungibili specie quando è installato su una staffa da manubrio. Staffa che, comunque, consiglio perché lascia libero l'altoparlantino interno, facendo sì che gli avvertimenti dell'eventuale radar siano decisamente più udibili. La staffa non è inclusa nella confezione, l'attacco di default è quello col supporto da fissare al manubrio o al cannotto di sterzo con l'ausilio degli anelli elastici.

I menu sono solitamente intuitivi, con qualche eccezione; come dicevo prima, per attivare i suoni del radar bisogna impostarli su OFF, mentre il fatto che si possano settare diverse altitudini, relative a diversi punti di partenza, non è di immediata comprensione: magari basterebbe rinominare “Posizione n” in “Posizione altimetrica n”.

il collegamento micro USB è figlio del suo tempo, ma ormai è stato soppiantato dal tipo C; considerata l'anno di uscita del modello, forse non è il caso di fargliene una colpa.

L'app Bryton Active, che è comune a tutti i modelli del marchio, andrebbe rivista nella gestione delle pagine. Non è possibile modificare l'ordine delle stesse: se vogliamo, per esempio, invertire le pagine 2 e 4, dobbiamo rifare manualmente tutti i campi, non possiamo semplicemente trascinare le pagine nell'ordine che vogliamo. Non c'è modo di salvare, in qualche modo e da qualche parte, la configurazione delle pagine: basterebbe un semplice .csv o anche un comunissimo file .txt, da poter esportare e importare a piacimento.


Riassumendo.

Il Bryton 420 è un ciclocomputer non più recente, come testimoniato anche dallo standard USB utilizzato, dal rapporto prezzo/qualità favorevole, destinato all'amatore che non vuole spendere troppo e non ne ha alcuna necessità, o anche al ciclista più evoluto che predilige strumenti semplici, ma non semplicistici, che può contare comunque su una disponibilità di rilevazioni e funzionalità molto ampia.

L'ergonomia sarebbe stata migliore disponendo tutti i pulsanti lateralmente o frontalmente; i menu non sempre sono concettualmente cristallini.

Inizia a soffrire la concorrenza nell'ambito dei dispositivi monocromatici nella stessa fascia di prezzo e dei dispositivi a colori, ormai accessibili per poche decine di euro in più. Concorrenza anche interna, vedi il Bryton 460: ergonomia migliore, schermo più ampio, Climb Challenge 1.0, ma supporto per una sola bicicletta e solo per i sensori ANT+. Per le mie esigenze, probabilmente oggi, nel 2025, prendere il 460.

 
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from Disattualizzando

Perché la musica. La musica fra tutte le arti, è quella per natura più distinguibile come concetto e come esistenza. La sua forma è quasi completamente intelligibile, e proprio per questo, si presta con facilità a un’interpretazione personale, diversa per ogni ascoltatore. IMG-2653 Originariamente, la musica viveva di dinamiche e regole nate solo ed unicamente per creare emozioni sempre nuove. La sua unica forma era quella dei sentimenti che riusciva a raccontare. I numerosi capolavori della musica classica, ad esempio, riescono ad esaltare, con la propria radicata ed antica struttura, concetti e sensazioni universali, immagini senza tempo, che spesso rimandano a ciò che è ovvio in un’opera visiva. Si vanta di poter raccontare situazioni con una potenza espressiva unica, e lo fa senza forma né colore. “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi ne sono l’esempio perfetto. L’orecchio, come gli occhi di un pittore, va educato a ciò che non comprende ancora, a ciò che si vuole imparare ad apprezzare.. Il gusto musicale, per evolversi senza pregiudizi, deve essere allenato, e questo vale per qualunque genere. L’allenamento all’ascolto è l’unico modo per comprendere a pieno la potenza comunicativa di un’opera sinfonica.
Tutte le sfumature impercettibili ma indispensabili, che i maestri di ogni epoca hanno saputo comporre, possono rivelare nuove sensazioni anche dopo una miriade di ascolti. È con questi dettagli che la complessità della musica classica riesce ad arricchire il nostro stato d’animo e a regalare all’ascoltatore un'ampia gamma di interpretazioni uniche.
Oggi, però, tutto è facile, veloce, semplificato. La bella musica viene spesso scartata a priori, percepita come vecchia o noiosa, mentre il nostro disabituato orecchio si limita ad ascoltare la ripetitività e la più totale convenzionalità della canzone commerciale. Questo impoverisce il nostro spettro emotivo, le emozioni ricercate da un ascoltatore. Solo chi è davvero aperto mentalmente può apprezzare ciò che è bello, anche quando è fuori moda. La musica classica odierna è troppo spesso sottovalutata. Chi non si ritiene amante del genere, non si rende conto di quanto i propri gusti sono stati inevitabilmente influenzati da essa.
Compositori contemporanei come Ennio Morricone, John Williams o Nino Rota, con la loro potenza espressiva, hanno riscritto le pagine della nostra storia e del nostro immaginario. Il loro immenso talento ed il loro indispensabile contributo artistico, sono paragonabili per complessità alla regia dei più grandi capolavori del cinema, cooperando pari passo con la produzione ed il successo di grandi classici intramontabili come quelli di Sergio Leone, Francis Ford Coppola e George Lucas. Gli Spaghetti Western, Il Padrino, Guerre Stellari, Indiana Jones, Harry Potter... sono degli esempi di capolavori impensabili senza le loro geniali e meticolose colonne sonore. Eppure, la colonna sonora è spesso data per scontata da molti che si professano amanti della musica contemporanea. La musica è per lo più arte fine a se stessa, si deve apprezzare ciò che merita di essere apprezzato, non per quanto è popolare o commerciabile.
Il processo inverso, che invece apprezzo poco, riguarda chi la musica la conosce a pieno, chi detiene una conoscenza profonda di essa e dei suoi vertici espressivi, che spesso coincidono con il jazz, la musica classica o le musiche etniche non convenzionali, generi di solito più gettonati dalle istituzioni musicali come il conservatorio. Questo avviene quando l’intenditore, per snobismo o ricerca del complesso, tende a svalutare il rock e il blues, considerandoli generi poveri di contenuti, dalla composizione semplicistica o banale. È vero, il rock si fonda spesso su tre o quattro accordi, sugli stessi intervalli, le stesse frasi, gli stessi cliché musicali... usati e riusati per più di 40 o 50 anni. Queste caratteristiche lo rendono di sicuro un genere ripetitivo per una svariata parte di repertorio, ma non tutto il rock è banale. Ci sono artisti geniali, che hanno dedicato impegno sia al pathos musicale che al messaggio. Veri poeti e cantastorie come Bob Dylan, John Lennon, Neil Young, Bruce Springsteen, e tra gli italiani, De Andrè, Guccini, De Gregori.
Tuttavia, molte band, anche di alto livello tecnico, cadono nella banalità dei testi, privando la musica di una parte fondamentale del suo messaggio. Questo può allontanare l’interesse di chi invece vive la Musica nella sua massima esaltazione, gli intenditori dotati degli strumenti necessari per comprendere ogni tipo di genere. Immagino che ci sia un motivo preciso per il quale molti mostri sacri del rock, tralascino il messaggio e lo compensino con una espressività del tutto inedita caratterizzata da una energica allegria musicale.
La musica rock ha avuto il suo esordio descrivendo l’energia, la festa, l’eccesso, il lato dionisiaco dell’essere umano. Il debutto di Elvis, ad esempio, ha avuto un obiettivo chiaro: riportare la gioia nel mondo, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Il genere è nato per far ballare, divertire, unire il mondo, senza doversi giustificare con messaggi aulici e particolarmente impegnativi. La stessa tv a colori, nata un paio di decenni dopo, ha saputo colorare la vita delle persone, rinforzando questo senso di pace e divertimento, e ha permesso di vivere insieme ai propri giovani idoli dell’epoca, dimostrando che tutto poteva essere possibile. La prima Woodstock è diventata un gigantesco movimento di persone contrarie alla guerra in Vietnam, alla violenza ed alle armi che hanno da sempre caratterizzato gli Stati Uniti, contrarie all’abuso di potere da parte delle autorità. Predicavano una vita colma di valori ed ideali di fratellanza e armonia, più di quanto sia mai capitato nella storia. Il rock, nella sua apparenza disimpegnata, in realtà ha sempre voluto portare rivoluzione, rottura, cambiamento. La musica dev’essere quindi considerata un’arte a tutto tondo, perché racchiude in se stessa ciò che ogni altra arte può esprimere al proprio meglio.
Nella musica abbiamo il messaggio, il contesto, l’immagine mentale indotta, l’interpretazione personale, l’esaltazione delle emozioni e l’accrescimento spirituale nell’ascoltarla e soprattutto nel comprenderla. Kandinsky lo sapeva bene: proprio dalla musica nacque l’arte astratta. Voleva che la pittura potesse ispirare quanto un’orchestra sinfonica. Allo stesso modo Musorgskij, con “Quadri di un’esposizione”, trasformò dipinti in suoni. Hanno saputo dimostrare come la musica e la pittura possono incontrarsi e collimare perfettamente nonostante le differenze. In ogni epoca la musica, come tutte le arti, si è evoluta insieme al pensiero umano, come fosse lo specchio dei nostri tempi.
Negli ultimi decenni è cambiata ad una velocità innaturale, la canzone dell’anno prima è già superata, e le hit estive non durano più dell’estate stessa. Ciò ha comportato tristemente ad una involuzione artistica e la musica ha cessato di avere la pretesa più importante e la sua più grande qualità: l’ eternità. Per chi la fa, la musica resta una disciplina libera e dinamica, che permette di esprimere al meglio il proprio stato d’animo, senza filtri. La magnifica contraddizione esiste al momento in cui si vuole essere davvero liberi: bisogna conoscere bene le regole che la governano.
Come Harry Houdini che, per liberarsi, doveva conoscere il funzionamento di ogni serratura, ogni catena. Sono proprio le catene di Houdini ad averlo reso libero, è stata la conoscenza di ciò che lo blocca a fare di lui un maestro della fuga. La musica ha una funzione anche terapeutica, permette di entrare in uno stato di vuoto mentale e concentrazione totale. E’ valvola di sfogo, introspezione e via di fuga. Permette di sognare e di proiettarsi in tempi lontani e futuri, tempi che magari esistono solo nella nostra testa.

 
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from Super Relax


Domenica di inizio maggio, faccio il mio lungo settimanale, che lungo non è perché non posso concedermi troppe ore e non avrei neanche chissà quanta energia da spendere. Bel tempo, temperatura perfetta per pedalare, vento ininfluente. Le sensazioni, sulle pendenze più importanti (7-8% e strappi a due cifre, questa l'entità della mia importanza) sono molto positive. Mi sembra di essere più forte del solito, meno preoccupato delle cifre sul ciclocomputer. Torno a casa, controllo i tempi su Strava e confermano le sensazioni positive di prima: ho limato diverse decine di secondi in diversi tratti, addirittura un paio di minuti su un tratto di cinque chilometri abbondanti, caratterizzato da salite poco rilevanti all'inizio e alla fine.

Parentesi Strava: sono un maniaco delle cifre, inseguo le prestazioni, voglio confrontarmi con gli altri? Niente di tutto questo: l'unico confronto è col me stesso delle uscite precedenti, voglio giusto capire se il mio corpo sia capace di reggere i ritmi degli anni passati (pochi in verità, ho iniziato tardissimo e solo qualche anno fa) senza venir schiacciato eccessivamente dall'età che avanza. In qualche modo, non posso lamentarmi: sembra tutto stabile, non miglioro ma neanche peggioro. Ecco che questa uscita particolarmente piacevole mi insospettisce, voglio capire cosa sia successo.

La bicicletta è sempre quella, non ho comprato abbigliamento tecnico (giro sempre conciato pressapoco come Hammerin' Harry), non ho goduto di vento a favore, non son partito col serbatoio pieno (non faccio colazione)... senza tirarla troppo per le lunghe, la conclusione più probabile è stata una notte di sonno decente.

Dormo poco e male quasi sempre, pochissimo e malissimo in estate. Mi giro e mi rigiro, mi sveglio spesso e sveglio resto anche per ore, insomma: un disastro. Stavolta, invece, son riuscito a farmi quelle poche ore di sonno tranquille, tutte di fila, senza incubi, sussulti.

Penso sia questo l'unico scenario possibile.

 
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from Disattualizzando

Ciao Mondo! Ciao Mondo! Che bello poterti parlare di nuovo! Ti chiederei spensieratamente “come stai”, ma con disagio la reputerei una domanda tristemente incline alla retorica. L’ultima volta che ci siamo confrontati, le cose erano parecchio diverse... Dal punto di vista che riguarda la tua preziosa salute (da cui dipende, senza mezzi termini, anche la nostra) l’acqua era di certo più pulita, l’aria più respirabile, gli animali liberi di vivere le loro vite, ignari di tutto ciò che comporta condividerle con l’umanità. Mi correggo: con l’ultimo stadio raggiunto dall’umanità. IMG-1277 Qualche scambio di parole addietro, mi avresti detto senza pensarci due volte di essere felice. L’unico grande motivo che avrebbe potuto renderti ineguagliabilmente spensierato ed appagato, sarebbe stato vedere noi esseri umani (nonostante la nostra natura animale, in perenne evoluzione e mutamento) capaci di non compromettere in modo irreversibile ciò che di più importante custodisci nella tua infinita composizione: i sistemi che ti appartengono, che ti rendono unico e speciale.
È quasi inutile affermare che una volta eravamo molto diversi. Eravamo facilmente affascinabili, e lo stupore ci arrivava sempre da te: un paesaggio, un temporale, una stella, ci lasciava senza fiato. Ci definivano i nostri grandi sentimenti universali, quelli rivolti a ciò che era ignoto, ingestibile, indomabile: la paura dell’ignoto e il bisogno di conoscenza. Ora tutto è diventato più piatto, ovattato, il sentimento stesso non ha più lo stesso valore.
La nostra esistenza, un tempo legata a un bisogno di semplicità oltre che di curiosità, ci permetteva di gioire di una quotidianità lenta e sana. Attributi che, a parer mio, rendevano le persone di ogni epoca, più felici di quanto sappiamo esserlo oggi. Non eravamo ancora contaminati da mille fattori esterni inutili, che oggi ci bombardano, ci distraggono, ci rincoglioniscono.
Una cosa che rendeva unica la nostra esistenza passata era che, involontariamente, non avendo i mezzi e la tecnologia per compiere disastri ambientali come quelli odierni, non avevamo nemmeno la responsabilità che oggi invece ci accomuna tutti. Non avevamo strumenti per essere tanto pericolosi quanto lo siamo adesso. Oggi, farti del male è diventata un’abitudine di poca importanza.
Che dire... ci legava una parte animale, primordiale, atavica, priva della complessità che oggi ci caratterizza. Eppure, anche allora la vita sapeva essere cruda, spietata, incoerente, profondamente parziale come concetto di giustizia. Il bianco doveva essere bianco, il nero a sua volta doveva rimanere nero. L’emancipazione dei deboli, la lealtà, la moralità, la coerenza... erano concetti limitati a un bisogno personale, non collettivo. Non erano diritti accettati e riconosciuti da un sistema volto alla tutela degli ultimi scalini della nostra infinita piramide sociale. Pochi condividevano quei valori e chi predicava la sua giustizia, se la trovava contro: dalla parte del carnefice, del potente, del socialmente riconosciuto. C’era molta parzialità e prepotenza, i torti erano all’ordine del giorno, e al sistema interessava poco.
Oggi, noi occidentali del “primo mondo”, possiamo ritenerci fortunati. Da questo punto di vista, devo ammettere che siamo migliorati parecchio, almeno nella porzione di mondo che impropriamente mi permetto di chiamare “casa”. Nel resto del pianeta... chi lo sa?
Sarò sincero, Mondo: i tempi di cui parlo vorrei tanto ricordarmeli. Desidererei sapere, conoscere esattamente ciò di cui sto discutendo o bagolando, ma quando sono nato io, poche decine di anni fa, era circa tutto così come è adesso. Forse il contesto umano era appena diverso, ma già predisposto a modellare il presente che conosciamo oggi. Viviamo in una situazione complessa: non ci capiamo, e nessuno capisce nessuno. La quotidianità è diventata subdola, fittizia, apparente, superficiale. Tutti pensiamo di essere liberi di agire secondo decisioni personali, con delle volute esigenze personali, ma è solo una bugia travestita da libero arbitrio, che ci incatena senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Viviamo in una prigione senza sbarre, da cui è impossibile evadere.
Tutto ciò che un tempo era raro e indispensabile oggi è considerato ovvio, scontato: nessuno si stupisce più di niente. Prendendo degli esempi banali, fare due o tre pasti variegati al giorno, o fare i propri bisogni su di un bagno caldo e accogliente, sono diventati normalità quotidiane, giustamente o meno. Ci sarebbero esempi più pertinenti, meno banali, ma lascio a te decidere se pensarli.
Qui a casa mia, la qualità della vita è davvero migliorata, ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Siamo viziati, annoiati, abbiamo tutto. Facciamo appena in tempo a desiderare qualcosa, lo ordiniamo e arriva a casa in pochissimo tempo: dopo una settimana ci siamo già dimenticati il motivo per cui lo abbiamo voluto. Ogni nuovo oggetto è un anestetico che attutisce temporaneamente i nostri problemi, una distrazione che ci allontana da ogni pensiero, soprattutto quelli più utili e costruttivi.
Ciò che oggi dovrebbe essere considerato davvero indispensabile, è diventato trascurabile. Come preservare te, Mondo, invece ti stiamo lentamente rovinando e compromettendo irreversibilmente. Uno dei motivi è che per le grandi masse, non sei più abbastanza seducente o interessante quanto le solite, misere cagate di cui ci circondiamo. Sicuramente non sei per noi seducente ed interessante come un tempo. La nostra condizione attuale ha avuto grandi ripercussioni nei tuoi confronti, questa è l’altra faccia della medaglia che ti ho menzionato prima. Il prezzo più alto, purtroppo, l’hai pagato tu, Mondo. Hai dovuto rinunciare ad ecosistemi, specie animali da noi portate all’estinzione, ci hai permesso di avvelenarti l’aria, forare l’ozono, farti sciogliere i ghiacciai, prosciugarti i fiumi e desertificare le foreste.
Fossi in te, sarei furibondo.

***

Ciao amico mio! Grazie per non avermelo chiesto direttamente, mi sarei sentito infastidito se l’umanità avesse ignorato ciò che è stato fatto. Apprezzo che ci sia ancora qualcuno disposto a rivolgermi la parola. Ormai, tutti sono distratti da mille impegni ritenuti più importanti di me, nessuno si preoccupa più nemmeno per l’altro, vicino o lontano che sia.
Capisco appieno il tuo disagio verso l’epoca in cui vivi, per le mille incoerenze ed ingiustizie che caratterizzano la tua vita e quella di chiunque altro voglia rendersene conto. La presa di coscienza fa male, lo so. Anch’io, spesso, mi imbestialisco: è assurdo che nel 2025 abbiate ancora una costellazione di problemi facilmente risolvibili, se solo lo voleste. Ma non dovresti avvelenarti il fegato per questo, prova a esistere nel miglior modo possibile, perché l’unico vero motivo per cui valga la pena esistere, è l’esistenza stessa, la tua, quella di qualsiasi altro essere vivente e non vivente.
Molti mi considerano impassibile, distaccato, ma non è mai stato così. La mia tristezza per ciò che è stato rovinato è grande, ma ciò che mi rattrista ancora di più è sapere che l’essere umano pagherà un prezzo ben più alto del mio per via della sua scarsa resilienza, dote che almeno io posso vantare. Chi patirà di più le conseguenze sarà l'umanità stessa. Le mie visibili reazioni sono governate dal caos e dalla casualità, non sono volontà punitive. Io non voglio scatenare sulla vita preziosa, calamità naturali come tsunami, uragani o incendi di massa... sono solo le conseguenze di ciò che avete fatto. Quando imparerete a rispettare ciò che vi circonda, oltre ai vostri interessi, sarò in grado di preservare tutta la vita presente sul pianeta, compresa la vostra, come ho sempre fatto e come vorrei continuare a fare.
Vorrei che vi ricordaste che, se siete voi umani in cima alla catena alimentare e a dominare la piramide sociale e biologica, è perché io vi ho fornito gli strumenti per farlo, riponendo in voi una immensa fiducia. Siete ciò che siete perché io ve l’ho permesso, dovreste riconoscerlo. Non pretendo grandi riconoscimenti, non mi sono mai interessati, ma esigerei che la vostra presenza non fosse sempre così dannosa. Esigerei che costruiste qualcosa di buono per tutti, invece di distruggere ciò che io ho già creato. Avete tutti gli strumenti per farlo. Dovreste ricambiare con un rispetto tale da permettermi di non condannarvi mai all’estinzione. Vi ho accolti e vi ho protetti, ma ora mi voltate ingenuamente le spalle come un figlio ribelle ed irriconoscente. La peggiore cosa che potreste farmi, per il momento, è dimenticarvi di me.
Io non dimentico mai nulla. Vi penso e mi preoccupate profondamente. Il futuro, di ogni cosa che riguarda tutti noi, è nelle vostre mani.

 
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from kipple


Ken il guerriero, l'uomo di Hokuto, torna sempre. Non se ne è mai andato, probabilmente, comunque parto da Goldrake.

Ho visto Goldrake su Rete 2, ma ero troppo piccolo e non ho ricordi sufficienti a ricavarne un qualsiasi accenno di analisi. Quando è arrivato Ken il guerriero, Hokuto no Ken, ero grande abbastanza e quei ricordi sono ancora tutti qui. Penso sia uno delle pietre miliari della storia dell'animazione giapponese in Italia, non solo per il titolo in sè, ma per un impatto che definirei totalizzante. C'erano stati i robottoni, ma erano tanti e dividevano il pubblico, anche solo tra titoli nagaiani e non. Ken il guerriero, invece, era uno solo pur nella sua divisione interna in due serie.

Breve digressione sulla seconda serie. Le parole che si sentivano più spesso: “non mi piace, doveva finire a Raoul, i personaggi sono strani, si sono messi a fare le palle di fuoco. Tutte balle, la si continuava a guardare con la stessa avidità, chiusa la digressione.

Si poteva parteggiare per questo o quel personaggio, buono o cattivo era indifferente, il catalogo era micidiale. Si ragionava sempre all'interno di Ken il guerriero, però. Qualcuno, nelle reti locali di tutta Italia, deve aver fiutato il sentore e così, a diverse latitudini, siamo finiti con tre messe in onda quotidiane, chiaramente sfalsate tra loro e, spesso, di parecchio. Mossa azzeccatissima, perché c'era una specie di necessità di Ken il guerriero, c'era da guardarne le puntate e commentarle a scuola, prima della campanella, in sala giochi, per strada. Commentare tutto, anche se Raoul era vivo la mattina, morto il pomeriggio e impegnato con Fudo la sera. Non ce ne importava nulla dello spoiler (cos'era?), della ripetizione, della cronologia impazzita. Volevamo Ken ed eccocelo, prima, dopo e durante i pasti.

Qualche anno dopo, arriva Street Fighter 2, stavolta il mezzo è il videogioco e gli schermi sono quelli della sala giochi, l'impatto culturale e sociale è il medesimo. Anche stavolta, qualcuno se ne accorge, più facilmente perché bastava guardare le code infinite. I cabinati di SF2 si moltiplicano, le schede originali non bastano, i gestori fanno quel che possono e arrivano bootleg, rainbow edition, la gente vuole, deve giocarci ora e subito. Mai visto nulla del genere, prima o dopo, anche sette cabinati dello stesso gioco nella stessa sala.

Ken il guerriero, Street Fighter 2 sono cose superflue (inutili, direbbero gli altri, gli esterni). Come tante altre, come la maggior parte delle cose. Difficilmente sarà morto qualcuno per una grave carenza di Hokuto o per una prolungata astinenza dall'hadoken. Le cose inutili, però, sono quelle che ci aiutano a rendere sopportabile la vita.

 
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from ordinariafollia

ordinariafollia-log_023-2025.jpg

l'aperitivo con le amiche in piazza Mazzini tirare mattina fumando sul divano lasciarti corteggiare andare tre mesi in Antartide suonare ai citofoni per poi scappare picchiare Vincenzo, troppo ladro per amare dire, fare, baciare, lettera e controvento, uno.

non ti identificare, non coincidere, zero.

le cose che apparivano banali quando eri signorina ed ora ti mancano, uno.

montagne che potresti anche scalare se ne valesse la pena, uno.

nemmeno per spiegarlo a uno.

dallo zero da cui sei uscita allo zero da cui uscirai pensi ad uno che uno non è mai.

 
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from piccole cose inutili

degenerative di Eugenio Tisselli 20 anni dopo. title track

           
ma anche trick

homepage. spiega il progetto Nel 2005 Tisselli costruì una pagina web che si corrompeva, un carattere alla volta, a ogni visita. un carattere a caso veniva distrutto o rimpiazzato quando il testo veniva letto. il codice html si decomponeva emergendo. interfaccia fratturata. lettore ferito

original page. quella corrotta anche per il paradosso: esiste se non guardo(?) [e sì, è stata già chiamata Schroedinger's cat interface]

(Tisselli ha fatto anche REGENERATIVE nel 2005, che ora suona così)

(troppo colorato per i miei gusti lol)




generAtIve. degenerative(regenerative)

“your visit will leave a permanent mark”

. amore) quindi mi chiedevo: come sarebbe degenerative ora?

ora che

post-digitale individuo walled garden tool – prestazione (gamification) analytic objects – prodotti/informazioni (calcolo) mandatory comfort [commercio] ethos of building&growth (sùbìto) nemico – ego (ES) care(less/free) answer (dolore medicalizzato) inferno dell'uguale vita -funzione (sanitized) dito -scelta (scelta senza azione: consumo), algoritmo non-cosa (infoma) : disponibile influenzabile prevedibile accessibile trasparente ascolto senza etica -sorveglianza prosa della compiacenza correlazione (calcolo) like informazioni (numeri/idee) – insegna – illustrazione comunicazione nuovo (evento) !—algofobia -anestesia)

algofilia -dolore = dono
apolitico-stanchezza (narcisismo, schiavitù volontaria) metafisica (poeima separato da poiesis) – astratto

/// come potrebbe essere ora?

– probabilmente il testo si autodistruggerebbe in automatico, in base ai dati sull'utente, non al caso (dove guarda, per quanto tempo, da dove ha fatto l'accesso, quanti anni ha etc.) – probabilmente ogni visita alimenterebbe il sistema, che decide cosa può restare e cosa può sparire, in base a parametri insondabili (credi di leggere, vieni letto) – probabilmente il testo scomparirebbe solo per l'utente, ma i dati resterebbero conservati altrove – il testo potrebbe dissolversi solo per alcuni utenti, in base a determinati parametri (cancellazione selettiva; privilegio/punizione) – la generazione sarebbe estetizzata/monetizzata: una piattaforma la venderebbe come esperienza interattiva, con logo e banner pubblicitari – probabilmente lo shock visivo alla jodi cederebbe il passo a un'interfaccia lucida chiarissima sterile piatta come una app bancaria; le sparizioni sarebbero fluide, seducenti, morbide, eleganti (nessuna rottura); i feedback finto-amichevoli – probabilmente delle easter egg/soglie come dono per la non performance, per la resa all'ascolto – ...

se dico che

sarebbe bello vedere come immaginate degenerative 20 anni dopo

tecnicamente sto facendo un

                            prompt

attesa: atteggiamento di piegarsi all'indisponibile
                             

la rinuncia è il tratto fondamentale dell'attesa priva di intenzioni

                                                        artists do not create objects, but create by way of objects                                                        

COME SI AGISCE

              qualcosa di non detto che pure circola                    
the dread of illness is the dread of losing
          &ensp management emozionale      

la morte è un particolare modo di essere

                                                       
la lentezza del timore che esita di fronte all'impossibile a farsi
                  scrivere è un gesto relazionale. non si insegna. si pratica                             &ensp

engage in your own monstruosity

        my visit our degeneration          

thingness of code


a proposito: 2025. sono pure 40 anni dalla mostra Les Immatériaux (Jean-Francis Lyotard, Centre Pompidou, Parigi)


ISPEZIONA – Justin Berner, Unhelpful Tools: Reexamining the Digital Humanities through Eugenio Tisselli’s degenerative and regenerative, electronic book review – Davin Heckman, James O'Sullivan, “your visit will leave a permanent mark”: Poetics in the PostDigital Economy, The Bloomsbury Handbook of Electronic Literature – James P Carse, Finite And Infinite Games, archive.org – Byung-Chul Han, Le non cose + La società senza dolore

____giorno44. l'ultimo

                                                       letteratura elettronica

 
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from kipple


Era il 1995 e a Napoli il Supermarket del Fumetto, a via Montesanto, viveva quelli tra i suoi anni migliori. L'ultima volta che ci son passato, era tutto chiuso e impolverato, niente fumetti, dei vecchi stavano giocando a carte attorno a un banchetto scassato; ora, credo, ci sia un locale di scommesse.

Stava per uscire Neon Genesis Evangelion, ne avevamo letto sulle pubblicazioni con le anteprime. All'epoca c'erano queste pubblicazioni, magari anche corpose, distribuite gratuitamente come una sorta di cataloghi e non solo: anteprime, appunto. Sia come sia, sapevamo che sarebbe uscito Evangelion, sapevamo trattarsi di qualcosa di grosso (e diamine se lo è stato), Dynamic e fumetterie spingevano sulla sua pubblicità; nel caso specifico, parlo della proiezione di una VHS assemblata ufficialmente all'uopo, con degli estratti dalle prime due puntate.

Era un sabato pomeriggio, solitamente il sabato prendevamo l'autobus e ce ne andavamo in fumetteria. Non sempre, ma quella volta non si poteva mancare. La sala proiezione (un videoregistratore attaccato a un vecchio, pesante televisore da 25” al massimo) era stata allestita in un locale attiguo, sempre collegato alla fumetteria ma solitamente non accessibile ai clienti. Ci presentammo col giusto anticipo, per fortuna, la saletta era già alquanto affollata, poi si sarebbe riempita. Tutti seduti a terra, tutti probabilmente abituati a Mazinga & C.; quello che stavamo vedendo, però, al netto di ispirazioni, citazioni e discendenze, era altro. Era qualcosa che veniva dopo e andava oltre. Sapete? Quella storia del prima e del dopo, eccetera. Ci esaltammo.

Credo che nessuno dei presenti abbia poi dimenticato, abbia potuto dimenticare quel momento di comunione robotica.

Intanto, il tempo passa e io, non so altri, ho iniziato un po' a conteggiare i lustri da quella data. Un nuovo anno zero, insomma. 2000, 2005, 2010... ancora troppo vicini, forse. 2015, però, attenzione: son già passati 20 anni! Poi arriva il 2020, gli anni sono 25, un traguardo simbolico ma importante, tanto da poter usare una frazione di secolo. Ora che scrivo, è passato un altro lustro, gli anni sono 30 ed è una cifra che inizia a intimidire, una fetta abbondante di vita è stata mangiata, chissà quanto resta della torta. La fetta migliore, ecco, mangiata e digerita.

Dovessi esserci ancora nel 2030 (sempre avere dubbi, le certezze non appartengono agli esseri viventi), mi ritroverò a pensare a quel sabato pomeriggio di 35 anni prima, quando ero giovane e la torta sembrava ancora tutta intera.

 
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