A meno di cambi di paradigma totali, avanzamenti di diversi ordini di grandezza. Balzi prigoginici, si diceva una volta, nella tecnologia di archiviazione; tecnologiche che non si vedono sbucare concretamente all'orizzonte, nonostante i periodici proclami di miliardi di miliardi di bit salvati su un'elica di DNA, un granello di sabbia, un cubo di vetro da 2 nanometri di lato.
Certo, in medicina e tecnologia possono passare anni o decenni tra scoperta e realizzazione massificata; capita che passi un tempo infinito, quando i proclami si scontrano con la realtà, che va avanti a testa bassa e di certe cose proprio non vuol saperne.
Intanto, siamo legati a supporti, solitamente magnetici, di qualche tipo: nastri, HDD e SSD, nelle varie declinazioni.
Intanto, in attesa del vetro, della sabbia e del DNA, la gente continua a caricare migliaia di ore, ogni secondo, di video: come se ci fosse un domani. L'espressione solita, “come se non ci fosse un domani”, per me non ha davvero gran senso: appurata, certificata la mancanza di un futuro, un'altra certezza è quella che l'essere umano smetterà di fare quello che stava facendo. Se non c'è un domani, chi me lo fa fare?
Youtube, la piattaforma regina dei video venuti dal basso (e dall'alto e di lato), ci lascia ancora fare. Evidentemente, la monetizzazione dei nostri dati copre ancora i costi dell'archiviazione; avanza pure, guardandone gli introiti. Quelli di Google sono enormi, vero, ma quanto? Non infinitamente.
Ho diversi account Youtube, per l'appunto, oltre a quello su Dailymotion: è il canale di backup/emergenza, per video che altrove rischiano la cancellazione o la chiusura del canale.
Sì, anche io sono tra i fortunati che si son visti chiudere un canale per qualche motivo, mi è capitato molto tempo fa, quando ancora la creazione di un account Google comportava automaticamente l'apertura di un canale Youtube.
Tre reclami dallo Studio Ghibli, dal suo braccio armato legale più precisamente: grazie mille, Miyazaki-sensei, da allora gli introiti dello studio sono al sicuro. È solo grazie alla chiusura del mio canale, per tre video innocui, se i capolavori successivi sono stati economicamente sostenibili.
Un altro canale, sempre Youtube, mi è stato invece chiuso di recente. Per un video di due minuti scarsi di Ballarò, online dal 2010. Su reclamo della RAI. La RAI per i reclami usa un indirizzo Gmail, sappiatelo. Come una persona qualunque per l'account del suo telefonino con Android.
Questo video, intanto, è ancora online su Dailymotion.
Ma (pausa inutilmente lunga, come gli anglosassoni quando dicono “but”).
Qualche giorno fa, o magari settimane, mi è arrivata un'email di Dailymotion, i video inattivi saranno archiviati tra tre mesi e cancellati dopo sei.
I video inattivi sono quelli ignorati nei dodici mesi precedenti, probabilmente oltre il 99% dei miei caricamento. Ebbene, la prima reazione è stata quella di visualizzare tutti i video del mio canale, per sottrarli all'inattività e all'oblio finale, come anticipavo ci sono video anche di quindici anni fa.
Quanto è durata questa prima reazione? Penso una decina di secondi, poi ho realizzato che non me ne importava niente, facciano pure. Se nessuno li ha cercati e guardati, qualche motivo ci sarà. Sopravvivrò io, sopravvivrà il resto del mondo.
Dailymotion, fai la tua cosa, fai spazio. Prima o poi, dovranno farlo anche gli altri che, per quanto grandi, non sono infiniti.
Chiudo questa lunga e innecessaria considerazione ricordando che i nostri cosiddetti “contenuti” hanno valore per i giganti del web fino a quando possono cavarne sangue. E che questi “contenuti”, una volta affidati alle loro capaci mani, non sono più nostri.
Il web vero, persistente, personale, non deve essere un enorme accentramento; il web vero deve essere frammentato, interoperante, nostro.