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from ordinariafollia

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segni sulla carta o dove capita, traiettorie intime che precedono il pensiero e lo sorpassano, e si ammucchiano e si perdono e ritornano.

segni sulla carta e dove capita, movimenti meccanici dell'indimostrabile che fa capolino, e cambiano e si travestono e ritornano.

 
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from Super Relax


Nella zona in cui sono nato, per il commerciante di biciclette/meccanico si usa, a sproposito, il termine ciclista: il malinteso scatta sicuro, all'esterno della mia bolla che fu. Il ciclista è quello che pedala, meglio se a livello professionale o amatoriale avanzato: sono alcuni anni che vado in bici, pochissimi purtroppo, e fatico a definirmi tale, mi sembra una definizione al di sopra del mio essere.

Torno, quindi, al generico negozio di biciclette e alla figura che lo gestisce, spesso sia venditore che meccanico. Dovrebbe essercene almeno uno in ogni centro abitato di una certa grandezza, ma non è detto; vivo in una zona che offre molte possibilità ai ciclisti (per nulla sfruttate dall'amministrazione), quindi di negozi ce ne sono ben sei, che divido a metà tra popolari e di lusso.

Non intendo fare alcuna discriminazione, è un dato di fatto: ci sono negozi da centinaia di metri quadri, lindi e pinti, con sfilze di Pinarello in vetrina, e officine piccole e buie, con gli odori imperanti di grasso e ferro. Avevo un amico alle superiori che collaborava nel negozietto di famiglia, della seconda categoria. Non l'ho più visto e anche il negozio è chiuso, chissà da quanto tempo. Sono attività solitamente gestite da gente pratica, più sostanza che forma, persone che ti riparano una bicicletta scassata a martellate, sapienti ma pur sempre martellate. E la bici torna ad andare.

Poi c'è l'altra categoria, quella dei negozi di lusso e, avendo vissuto l'epoca dei negozi di videogiochi, non fatico a trovare diverse similitudini: sono dei negozi felici, come le pasticcerie, i negozi di bomboniere eccetera. Posti dove si va per occasioni belle, potendo spendere per beni slegati dalla pura sopravvivenza, roba di cui potenzialmente potremmo fare a meno. Dico potenzialmente perché non sempre è vero e non si può vivere sempre e spòp dell'indispensabile.

Un buon venditore di videogiochi/ciclist... pardon, venditore di bici/meccanico sa che deve instaurare un certo rapporto coi clienti, quasi di amicizia. Devono sentirsi a proprio agio, poter discutere degli acquisti fatti e di quelli non fatti, delle ultime novità, del settore, delle tendenze. Anche se ne capiscono poco o nulla. Anche quando non hanno nulla da comprare e vanno lì solo per perder tempo. Il commerciante intelligente non li scaccia: discute amabilmente, sa che torneranno, per spendere.

Ho sempre voluto una bici, ma questa è storia per un altro articolo, quindi riassumo: dopo un trasloco in un'altra regione, ne ho comprata una economica, ho iniziato a fare il rider (purtroppo) e, dopo aver stretto la cinghia TANTO, per qualche anno, ho finalmente preso una bicicletta costosa per i miei standard. Costa comunque meno del più economico cambio elettronico, o di una coppia importante di ruote in carbonio. Una bicicletta del genere va oltre gli intenti dei negozi più popolari, così sono entrato per la prima volta in un negozio di lusso.

Ci son tornato, poi, nel corso dei mesi per alcuni upgrade, per la manutenzione e sì, anche io perché in quel momento non avevo nulla di meglio da fare. Sono entrato in contatto con la fauna locale: anche persone alle prese con una semplice camera d'aria da sostituire sulla bici usata per andare a lavoro, ma il grosso è costituito dagli amatori evoluti e disposti a spendere.
Attenzione: dico disposti a spendere perché non è detto che siano necessariamente dei ricconi dal budget illimitato, per quanto una buona fetta sia costituita da quelli che devono aver per forza l'ultimo modello disponibile. C'è anche gente che non ha vizi particolari o altre spese, gira in una Fiat Uno Fire con l'impianto a gas, ma dirotta tutto sulla bicicletta.
L'amatore evoluto, comunque, si identifica immediatamente perché viene in negozio vestito come per la Milano-Sanremo, anche solo per chiedere qualcosa o comprare un portaborraccia. Esce da casa coi calzettoni aerodinamici e la fascia cardio.

Poi c'è l'insospettabile. È una persona che non identificheresti mai come ciclista, viene in negozio coi vestiti da lavoro, probabilmente dopo aver smontato un lavandino o tinteggiato una parete. È bello che ci sia questa categoria. A prima vista, pensi siano venuti per chiedere di cambiare le pastiglie dei freni rim o una catena arrugginita, poi iniziano a parlare e sanno tutto dell'ambiente.
Discussioni su cuscinetti in ceramica e ruote a profilo alto si intrecciano con l'esito dell'ultima grande tappa di montagna del Tour, il podio della Parigi-Roubaix, le ultime regole introdotte dall'UCI. Parlano dell'andamento della stagione agonistica, tutte le specialità, e dei campioni stranieri, con pronunce ruspanti: Pogascià, Everpul, gli eroi del momento.
C'è il signore anziano, capelli bianchi e pancia importante, che aspetta che montino sulla sua mountain bike un nuovo pacco pignoni, proprio quella lì sul banco da lavoro, quella tanto bella e tanto prevedibilmente costosa da far girare la testa. Nel frattempo parla, e scopri che quel signore con la pancia importante ha pure una stradale in carbonio. Gli insospettabili sono i più affascinanti e pericolosi, non indossano uniformi, sono ossi duri. Chiunque potrebbe essere un insospettabile.

Seguono quelli che, legittimamente, chiedono interventi di routine per le bici operaie, non sapendo o fregandosene delle decine di migliaia di euro che li circondano. Il meccanico onesto non si tira indietro, sa che quella bicicletta appartiene a una persona che non può permettersi un SUV per andare a lavoro. Magari, potrebbe permettersi una macchinina, ma a che pro, pensa? Il crollo della dittatura dell'automobile dovrà pur iniziare da una crepa.

Per chiudere, e sicuramente avrò dimenticato qualcuno, ci sono io. Ci vado per una manutenzione, per comprare un accessorio, perché in quel momento non ho niente da fare e mi piace l'ambiente amichevole. Mi sento come in una specie di paese dei balocchi, con quei bolidi lucenti che mi affascinano, ma non ne sento alcun bisogno, in realtà: la mia bicicletta ideale ce l'ho già, è la mia bicicletta.

 
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from manuel

È la prima volta che mi cimento nel raccontare un qualcosa che ho vissuto di recente o nell'ultimo periodo. Cercherò di essere il più conciso e chiaro possibile.

“Le cronache di una Xbox 360” (Nome provvisorio) è un esperimento che mira a raccontare le mie disavventure mentre gioco col gioiellino targato Microsoft che, come sappiamo tutti quanti, ha fatto la storia dei videogiochi assieme alla Wii di Nintendo e PlayStation 3 di Sony. Se tutto va come dovrebbe, potrei anche farlo per le altre console visto che di follie ne ho vissute nel corso degli anni.

In conclusione, scrivetemi in privato su Mastodon (@manuel_) per darmi degli spunti per migliorare oppure per dirmi cosa ne pensate di quest'idea.

Contesto

Il gioco in questione è “Bakugan Battle Brawlers”, tratto dall'omonimo anime “Bakugan Battle Brawlers”.

Per chi non li conoscesse, i Bakugan sono esseri provenienti da un altro mondo. Noi li vediamo come sfere che si aprono mostrando una versione in miniatura della loro forma reale; per esempio, se il bakugan è un cavaliere (sto parlando di Siege, prima stagione), la sua forma sferica aperta ricorderà un cavaliere. Infatti quando due giocatori si sfidano, so entra in una dimensione dove i Bakugan sguinzagliano il loro vero aspetto e il loro immenso potenziale.

Un Bakugan può essere appartenente a uno di questi attributi: Pyrus (fuoco), Ventus (vento), Haos (luce), Darkus (oscurità), Aquos (acqua) e Subterra (terra). Il fuoco prevale sull'acqua e viceversa; stesso discorso con la luce sull'oscurità e la terra sul vento. Tenete a mente questo dettaglio perché servirà più avanti.

Passiamo al gioco, noi impersoniamo un ragazzino che ha cominciato da poco a giocare. Un giorno, facciamo la conoscenza di un Bakugan unico del suo genere: Leonidas, il cui attributo lo decidiamo noi nella schermata di creazione del personaggio. Stringeremo una grandissima amicizia con lui, scopriremo che è stato generato da sentimenti negativi degli altri Bakugan e sconfiggeremo l'antagonista del gioco.

Il fulcro del gioco sono le battaglie. Ogni Bakugan ha un numero di Punti G che può essere aumentato o diminuito prima della battaglia vera e propria. Alla fine dello scontro, chi ha accumulato il punteggio più alto, vince la carta portale (la modalità con cui i giocatori si affrontano).

Lo scopo del gioco è vincere i tornei, oltre che vincere le medaglie e collezionare qualsiasi cosa. Dopo ogni scontro sbloccheremo nuovi Bakugan, nuove carte abilità e, non meno importante, nuovi campi da battaglia.

Vi starete chiedendo perché “tornei” e “campi di battaglia” sono in grassetto, il motivo è il seguente: ogni torneo ha un campo di battaglia unico con i suoi pregi e difetti. Infatti, dal secondo torneo (Torneo Aquos, attributo dell'acqua) in poi, il giocatore dovrà affrontare i suoi nemici un ambiente dove un attributo viene avvantaggiato e il suo opposto viene svantaggiato. Nel senso che nelle battaglie, l'attributo avvantaggiato accumulerà più punti e quello svantaggiato ne accumulerà di meno.

Tra una battaglia e l'altra, è possibile abbandonare temporaneamente il torneo per farsi un giro al negozio dove puoi acquistare Bakugan di qualsiasi attributo e carte portali che possono essere utilizzati a seconda del campo in cui giochi o della strategia che vuoi attuare. Qualsiasi sia il tuo modo di giocare, arrivi comunque alla fine con niente o qualche sconfitta.

Ora che sapete un pochino la situazione, posso raccontarvi le tre battaglie più assurde della mia vita... finora.

Il caso è nelle mani del destino... anzi della casualità

Il quarto torneo del gioco viene interamente giocato sul campo di battaglia di Subterra, l'attributo della terra, dove le sabbie mobili possono farti tirare giù non poche bestemmie. (Se lo avete giocato sulla Wii, saprete meglio di chiunque altro che controllare il Bakugan sulle sabbie mobili non è una passeggiata, soprattutto se non gode né di un'ottimo movimento né di ottima velocità.)

La strategia per questo campo è mai finire sulle sabbie mobili e far sì che gli “sprint” ti facciano prendere la maggior parte delle monete Punti G sparse prima di cadere su una carta portale.

Tutto questo lo scopri quando è troppo tardi. Quando hai visto tutti gli oggetti perdersi nel nulla per la millesima volta nel giro di cinque minuti. Non a caso, la prima battaglia l'ho persa tre o quattro volte a causa delle caratteristiche del campo.

Impararle è stato facile, mi è bastato guardare come le facevano i computer per scoprire i loro schemi e il loro comportamento nei loro lanci. Scoprire che le “pedane” per il salto in alto sono false come Giuda, nel senso che è molto facile non attivarle, mi ha fatto molto male.

Digerita l'amara verità, vinco la prima battaglia con 3 carte portale vinte senza nemmeno combattere una sola volta. Ah sì, il gioco ti mette a disposizione un modo “pacifico” di vincere una carta portale: il doppio posizionamento. Se due Bakugan del tuo mazzo finiscono sulla stessa carta, la ottieni aggiudicandoti un punto.

Felice e perplesso di questa mia vittoria, mi accingo a cliccare su “Prossima battaglia”. Ma non sapevo ciò che avrei assistito i trenta minuti successivi.

I miei nemici — Chan Lee, Julio e Klaus — utilizzavano tre Bakugan di un unico attributo, rispettivamente: fuoco, luce e acqua. Quindi, niente vantaggi e niente svantaggi da nessun lato. Inoltre, io e Klaus utilizzavamo lo stesso, quindi se uno di noi due avesse giocato una carta abilità orientata sull'elemento dell'acqua, anche l'avversario ne avrebbe beneficiato.

Qualsiasi battaglia che avrei ingaggiato con uno di loro, l'avremmo fatta ad armi pari. A meno che non mi fossi creato un mazzo con dei Bakugan di tipo Subterra, portandomi in una posizione di vantaggio fin dall'inizio e aggiudicandomi la carta portale senza non troppi sforzi.

Nel primo tentativo, scelsi di utilizzare un mazzo con Leonidas Aquos e due Bakugan Subterra nella vana speranza di vincere ogni scontro ad occhi chiusi. Ma non immaginavo che il destino avesse altri piani per tutti noi.

I primi lanci erano stati una tragedia. Io e Julio eravamo riusciti a lanciare i Bakugan fuori dall'arena a causa delle sabbie mobili e di tiri troppo potenti e difficili da gestire; gli altri due, invece, avevano sprecato tutta l'energia del Bakugan facendolo fermare a pochissimi centimetri dalle carte. Alla fine del “primo turno”, nessuno era riuscito a posizionare un Bakugan.

Passarono cinque minuti di lanci a vuoto, questa volta io e Klaus riuscimmo a posizionare due Bakugan su due carte portali diverse. Arrivò poi Julio che lo mise su un'altra carta portale diversa dalle nostre, poco dopo si aggiunse anche Chan Lee la quale decise di sfidare Klaus. Lui ebbe la meglio e si aggiudicò il primo punto passando in testa.

Seguì poi il turno di Julio che, ovviamente, tirò il Bakugan nello spazio sprecando un'occasione per fare un doppio posizionamento. Scoppiai in una grassa risata, chiunque lo avesse programmato doveva essere un genio per fargli fare, penso, la mossa più stupida che il gioco ti permetta di fare.

Ora, era il turno di Klaus. Posizionò una carta portale accanto al mio Bakugan e... andò a sfidare Julio dopo aver fatto un proficuo giro dell'oca. Con mio stupore, Klaus si aggiudicò il secondo punto e gliene mancava uno per vincere la partita. E io ero ancora a zero punti, dovevo svegliarmi e iniziare a mostrare i denti!

Così feci, più o meno. Uno dei miei Bakugan Subterra finì sulla stessa carta dell'altro, anziché portarmela a casa decisi di spostarlo in un'altra. La mia tattica era semplice: più Bakugan avevo in giro, più probabilità qualcuno mi avrebbe sfidato. Non potevo sbagliare, anche perché avrei dovuto ricominciare da capo l'intero scontro.

Tre minuti più tardi, sconfissi Chan Lee e Julio guadagnando due punti. Uno scontro e vincevo la partita, oppure la vinceva Klaus. E parlando di lui, nel suo turno posizionò un Bakugan su una carta a caso senza fare nessun giro di potenziamento.

La mia occasione per vincere era servita su un piatto d'argento e sprecarla era fuori da ogni mio pensiero. Da bravissimo genio, ebbi la grande idea di sfidare Klaus senza fare, anche io, il giro di potenziamento.

C'è una cosa che non vi ho detto nella sezione “Contesto”: prima di ogni battaglia, il giocatore può aumentare i Punti G del Bakugan con delle carte abilità e, nel durante, mettere in difficoltà l'avversario. Le seconde vengono chiamate “Iperabilità” e sono queste: scambio potere G, aumento potere G, blocco potere G e mano del destino. Il loro nomi sono abbastanza auto-esplicativi, tranne l'ultima che è una presa in giro. Perché? È una funzione che non fa altro che favorire un giocatore a caso. Se siete in vantaggio, bene sappiate che con mano del destino attiva, avete più probabilità di perdere che di vincere e viceversa.

Klaus, nel bel mezzo della battaglia, attivò mano del destino aggiudicandosi l'esito della partita facendo assolutamente niente. Vedere la scritta “MANO DEL DESTINO” è stato una pugnalata dritta al cuore. Non importava quanto fossi in vantaggio, non importava se me la stavo cavando, tutto era (letteralmente) nelle mani del destino.

Il primo tentativo si conclude con una sonora e potentissima bastonata: 1103 punti per Klaus e 1002 per me. 101 punti G di differenza... A volte la vita è stronza.

Prima di passare al secondo tentativo, vorrei che leggeste cosa dice il personaggio dopo aver perso una partita.

“Odio ammetterlo, ma ho perso.” — Protagonista

E sappi, caro mio, che perderai anche la battaglia successiva.

Quando il controller non vuole collaborare

Il secondo tentativo lo reputo più veloce e più distratto dei tre che vi racconterò oggi.

Prima di iniziare la partita, seleziono il mazzo solo Aquos e cambio una carta abilità con una che mi conferisce più punti rispetto alla vecchia, da 60 punti a 100 punti.

L'inizio non è dei migliori. Anche questa volta, i primi lanci sono stati uno spreco di tempo e di risorse. Nessuno riesce a posizionare i Bakugan, dando inizio a una lunga spirale di frustrazione che difficilmente se ne sarebbe andata. Ho goduto vedere Klaus sbagliare.

Il “secondo” turno sono durati una manciata di minuti con qualche battaglia tra computer e doppi posizionamenti: Io posiziono un Bakugan; Chan Lee posiziona il suo sulla mia carta e perde contro di me; Julio fa esattamente un giro lungo e si posiziona su una carta; Klaus fa lo stesso, sfida Julio e perde.

Classifica attuale: io e Julio siamo a un punto, mentre gli altri due a zero.

“Terzo” turno: Io posiziono una nuova carta e lancio Leonidas su quella carta; Chan Lee fa le stesse e identiche cose; Julio lancia un Bakugan fuori dall'arena e Klaus mi lancia il guanto di sfida e vince e qui io noto qualcosa di strano.

La sfida contro Klaus è: muovere in una direzione la levetta di sinistra (LS) e, quando vedi l'indicatore sul simbolo dell'attributo del Bakugan, premere il grilletto di sinistra (RT) per aumentare i tuoi Punti G. È una stupidata, ma c'è un dettaglio che il gioco non ti dice, ovvero che prima di selezionare il simbolo successivo, devi riportare la levetta al centro e successivamente guidarla nella direzione desiderata. Ecco perché ho perso, muovevo la levetta senza farla tornare alle coordinate cartesiane (0,0) prima di indirizzarla altrove.

Che. Presa. Per Il. Culo.

Classifica attuale: noi maschi siamo a uno, lei è a zero.

In men che non si dica, arriviamo tutti a due punti. Rimangono in campo solo quattro carte portali, una per ogni giocatore. Alla prima battaglia vinta, la partita sarebbe finita e io avrei fatto i salti di gioia se vincitore fosse stato il sottoscritto. Ma cantare vittoria troppo presto, spesso non è un bene.

Non saprei spiegarvi il motivo, ma al minimo movimento brusco fatto col controller, esso si spegne. Detto ciò, potete intuire cosa sia andato storto con questa ultima battaglia. E per di più contro uno dei personaggi più idioti dell'intero gioco: Julio.

In questo caso, parliamo della sfida potere. Entrambi i giocatori avrebbero dovuto fare affidamento esclusivamente di entrambe le levette del controller, LS e RS, per aggiudicarsi la partita. L'obiettivo è muovere le levette da sinistra verso destra o dall'alto verso il basso per aumentare i punti G. Allo scadere del tempo, chi ha totalizzato più punti vinceva la battaglia.

Ero partito alla grande. Un abisso ci separava e così sembrava rimanere per i successivi quindici secondi. O così credevo. Lo schermo del televisore era diviso in due, due scie di fuoco (una blu e una gialla) se la contendevano alternandosi dall'essere schiacciati dalla parte opposta all'essere quella che avrebbe prevalso. Senza accorgermene successero due cose: il gioco mi impose di fermarmi e il controller si spense all'improvviso. Ci misi tre secondi a realizzare che la mia vittoria si era tramutata in un miraggio perché Julio mi sorpassò con una facilità disarmante. Scaduto il tempo, Julio totalizzò 1239 punti contro i miei sudati 912 punti.

Il mio personaggio fu costretto ad ammettere, per la seconda, volta la sua sconfitta e mi chiesi se la Cex avesse avuto un altro controller perfettamente funzionante che non mi avrebbe abbandonato dopo una piccola scossa.

L'epilogo veloce

L'ultimo tentativo è stato... breve? Anche io non ci credevo quando totalizzai tre doppi posizionamenti senza mai fare una battaglia. Il che è strano perché tu giochi a Bakugan per combattere, non per fare i doppi posizionamenti schivando ogni tipo di confronto con gli avversari.

Quindi sì, ho fatto tre doppi posizionamenti vincendo la partita con tre punti contro Chan Lee e Klaus che avevano totalizzato un punto e Julio con zero punti.

Non è successo nulla di significativo. Lanci normali o, addirittura, lanci fatti a caso nella speranza di cadere su una carta portale.

È, per ora, la partita più veloce che abbia mai fatto da quando ho cominciato il gioco.

 
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from Super Relax


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

Il collezionismo, in ogni ambito, è bello, per chi se lo può permettere e ha spazio. Se state leggendo questo articolo, difficilmente sarete collezionisti senza limiti di soldi e spazio.

Per il ciclista che ama girare per sport, allenamento o per il solo gusto di farlo, senza arrivare agli estremi delle categorie e dei terreni: la bicicletta da corsa non serve ed è possibile coprire qualsiasi percorso (ripeto, non estremo), con una gravel/endurance e una mountain bike front, monocorona col rapporto più leggero possibile.

La bici da corsa, ovviamente, è il mezzo migliore per percorrere grandi distanze, su asfalto, alla massima velocità possibile: considerate le sue caratteristiche estreme (geometria, rapportatura), sarà sfruttata al massimo da ciclisti allenati e flessibili.
Le stesse distanze, tuttavia, si possono percorrere tranquillamente con una gravel/endurance, in maniera più comoda, seppur sacrificando parte della velocità. Geometrie più rilassate che non impongono posture estreme, rapporti più leggeri per gambe meno potenti e cuori meno efficienti. Con la gravel, poi, sarà ancora più piacevole affrontare strade bianche, sterrati o, semplicemente, le strade scarsamente manutenute che si trovano in Italia, specialmente in determinate zone. La possibilità di montare gomme anche abbastanza ampie, poi, permette di togliersi qualche sfizio anche dove solitamente osano le mountain bike.
Ancora, sono mezzi decisamente adatti al cicloturismo, avendone la possibilità.

Certe possibilità, quindi, sono comuni ai due mondi, ma le mountain bike arrivano dove le gravel devono fermarsi, grazie alle ruote larghe, l'ammortizzazione e la possibilità di rapporti molto leggeri, per le salite più ardue e/o le gambe meno allenate.
Ho parlato di front perché sono le più adatte alla salita, non hanno la sospensione posteriore e meno c'è, meno si rompe, possono anche affrontare decentemente qualche discesa poco tecnica, senza megasalti, radici enormi e sassi aguzzi. A saperle guidare.
Volendo, potete sostituire la front con una full, meglio se con la sospensiore posteriore bloccabile. Proprio se pensate di dover affrontare qualche discesa in più.
Il monocorona è ancora per semplificare, i rapporti molto agili per potersi permettere diversi gradi di pendenza in più senza morire per lo sforzo e senza scendere a spingere (cosa degnissima, comunque).

 
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from Super Relax


Articolo in collaborazione con Decidere stanca

I professionisti della bici usano tutti i tubeless, tanto della manutenzione se ne occupano i meccanici. Se state leggendo, sicuramente saprete come è strutturato il sistema tubeless, ma riassumo ugualmente in grandi linee.

Lo pneumatico, che sia tubeless o tubeless ready, è montato su un cerchio specifico, anch'esso per tubeless e/o tubeless ready. Non specifico le differenze tra i due tipi, non avendone le competenze: tuttavia, se siete degli amatori non troppo estremi, è probabile che disponiate di una bicicletta tubeless ready, ovvero col cerchio forato per i raggi, da ricoprire con del nastro apposito nel caso vogliate disfarvi della camera d'aria.
Quindi, sul cerchio specifico e nastrato, viene montato questo pneumatico, con la sua valvola specifica, con dentro del lattice che si occupa di sigillare le porosità della gomma e riparare automaticamente le forature più leggere.
Per maggiore sicurezza, si possono usare anche gli air-liner, comunemente “salsicciotti”, ovvero dei tubi di materiale leggero e poroso che permettono pedalare per una certa distanza (20-25 km) anche con gomme bucate totalmente sgonfie.
Ancora, in caso di forature troppo invadenti, è possibile inserire la classica camera d'aria all'interno dello pneumatico e proseguire.

Il beneficio principale di questo sistema è la possibilità di usare pressioni più basse, aumentando trazione e comodità. Nulla vieterebbe di abbassare la pressione anche montando le camere d'aria, a parte il fatto che si finirebbe col bucarle facilmente su rocce, gradini e asperità varie: data la maggior morbidezza del tutto, le gomme hanno vita facile nel pizzicare le camere d'aria sul cerchio, danneggiandole facilmente.

Contro: i tubeless tendono a sgonfiarsi fisiologicamente in una certa misura e la manutenzione richiesta è sicuramente maggiore e sporca. Il lattice deve essere cambiato periodicamente, così come il nastro, e la bici deve essere usata almeno una volta a settimana, affinché il liquido non si accumuli nel punto più basso, solidificando e vanificando, quindi, la sua azione riparatrice. La manutenzione è più sporca perché il lattice è appiccicoso e... sporca, appunto.
Problema relativo, quando della manutenzione se ne occupa il vostro meccanico; un po' meno, quando volete farlo voi.

Personalmente, ho da poco fatto montare i tubeless con gli air-liner e sono alquanto indeciso sul tenere o meno questa configurazione per sempre. Il mio negozio di bici è a un chilometro circa di distanza, quindi i problemi sono più psicologici che reali.
Tuttavia, credo che la strada più serena per chi non abbia meccanici nelle immediate vicinanze e faccia poche uscite mensili, sia quella della ruota classica, con una bella scorta di camere d'aria e gli attrezzi e la capacità di effettuare la sostituzione.

 
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from Klaus

Il giorno della festa del villaggio giunse, e con lui anche le mie insicurezze. Sapevo che l'avrei vista. I preparativi per i festeggiamenti avevano interessato gran parte degli abitanti, tra chi addobbava le strade, le case, chi organizzava la cucina che avrebbe dovuto sfamare chiunque avesse voluto assaporare la cucina tipica del nord, tra stufati, carne allo spiedo e dolci di ogni sorta, e la varietà di birre scure artigianali. Anche la caserma era stata richiamata dal sentimento di appartenenza di quelle terre, ed ingaggiati i migliori soldati per sfoggiare le proprie armature scintillanti, gli apprendisti maghi per stupire grandi e piccoli con qualche trucchetto, e i bardi da battaglia con i loro tamburi e cornamuse per intrattenere la gente. Io come altri miei compagni eravamo stati chiamati per controllare che non ci fossero disordini, ma quella volta Leo ed io godevamo di una licenza e quindi avremmo potuto goderci la festa senza troppi pensieri.

Leo ed io ci saremmo visti al calar del sole all'ingresso della porta Sud del villaggio, quindi avevo a disposizione tutto il giorno per rilassarmi col mio passatempo, il che comprendeva passare anche del tempo coi miei genitori, e ne fui davvero felice. Sembrava quasi che quei giorni stessero in qualche modo mitigando le afflizioni dei mesi passati.

Quel giorno mi cimentai in creazioni che avevo sentito solo in storie raccontatemi dai miei superiori, o alla taverna e fu molto liberatorio. Davvero.

La leggenda del tesoro degli elementali leggenda tesoro elementali La leggenda narra di un luogo ai confini del Piano, dove i quattro elementi si uniscono. Qui un portale porterebbe ad una stanza segreta, contenente un tesoro ricco di artefatti antichi quanto il mondo stesso.

L'Abissale del Mare del Nord mito abissale Essere che infesta i mari del Nord, e che solo in pochi hanno avuto la fortuna di poter descrivere. Io ho sentito una storia di un marinaio della flotta di Luksan sopravvissuto ad un attacco della bestia.

La sera sopraggiunse e mi incamminai pensieroso verso il punto d'incontro con Leo. Sapevo già quali sarebbero state le sue intenzioni, spingermi tra le braccia di colei per la quale il mio cuore risuonava più forte dei tamburi di una carica. Venni travolto sin da subito dall'ondata di profumi di cibo e ovviamente ne approfittammo, ordinando dello stinco con patate e della buona birra scura, al tendone fuori dalla taverna “Il settimo boccale”, allestito per la festa per soddisfare più gente possibile. Ed eccola là, dietro al bancone a spillare birra e ricevere le persone che preferivano stare all'interno del locale. Clara è una ragazza con un paio di anni più di me, era alta, dai capelli biondi e occhi scuri, con la pelle chiara e una voglia sotto l'occhio sinistro, simile alla forma di una lacrima. Era rientrata un paio di giorni prima dall'addestramento sui monti a Nord, ed il suo obiettivo era quello di conseguire il titolo di ranger, ma per quei giorni di festa, aveva deciso, anziché sfruttare i giorni di licenza per riposare, di aiutare il padre alla taverna.

taverna

Non era la classica ragazza di osteria, affabile e “piaciona” con i clienti, ma al contrario era molto professionale, distaccata coi clienti che provavano ad avere un atteggiamento troppo amichevole, ed invece accomodante con le persone che le mostravano rispetto e gentilezza. Di fronte a persone che osavano disturbare il locale, o creare disordini, nonché i più villani che tentavano di metterle le mani addosso, sapeva come reagire, grazie agli insegnamenti del padre Gustavo, veterano del mestiere, e ovviamente all'addestramento militare. Per mia fortuna i miei genitori erano stati di quella categoria che non ammette maleducazione.

Quella sera l'ordine del cibo e bevande lo facemmo alla sorella più giovane di Clara, Bea, che non perdeva occasione per punzecchiarmi, invitandomi ad entrare ad ordinare “Signore”, schernendomi, “Le devo chiedere di proseguire le sue ordinazioni all'interno”, o a vedere come aveva allestito la stanza “Ehi, voi due, non ho ancora ricevuto i complimenti per come ho sistemato tutto!”, o semplicemente a fare due parole con colei che mi toglieva letteralmente il fiato “Rubacuori, non entri?”. Non eravamo nuovi del posto, era tranquillo, la birra era ottima e non si avevano mai problemi, e quindi capitava di tanto in tanto di bazzicarlo, conoscevamo sia Gustavo, che Bea e pure Clara, con la quale però non avevo mai parlato, singhiozzato qualcosa di incomprensibile forse. La serata stava proseguendo come mi aspettavo, tra un boccale di birra e l'altro, qualche chiacchiera con Leo e altri che poi si unirono a noi, volgendo appena potevo lo sguardo verso la finestrella che dava proprio sul bancone, sperando di vederla, e il più delle volte era così. Le ore passarono e pian piano la gente rientrò nelle proprie case, i bardi smisero di suonare, i locandieri si apprestarono a pulire, per poter tornare a casa esausti. In pochi rimanemmo lì, solo io e Leo e qualche reduce che ormai sonnecchiava con la testa appoggiata al tavolo; ci stavamo godendo quel silenzio, e forse stavamo un po' prendendo fiato, riempiendoci di quella normalità che nei giorni passati era mancata. Ad un tratto, dall'interno della taverna, poco illuminata ormai, sentimmo dei rumori di passi veloci calpestare le vecchie assi di legno del pavimento, subito dopo un mormorio e una voce strozzata tentare di gridare “Aiu....!”. In un attimo fummo all'ingresso e spiando l'interno non vedemmo nessuno, solo si sentivano delle voci di sottofondo provenire dalla cucina. Cercando di non far rumore entrammo e giunti alla porta spalancata vidi tre uomini minacciare Gustavo, che giaceva a terra ferito alla testa, e Clara tenuta per il collo da un uomo alle sue spalle, che con una mano le teneva serrata la bocca. I tre che accerchiavano Gustavo lo stavano malmenando, intimandogli di dargli l'incasso della giornata, colpendolo ripetutamente anche se questo ormai giaceva a terra, quasi privo di sensi. Feci cenno a Leo di portarsi all'ingresso sul retro della cucina, e pochi istanti dopo fissando la piccola feritoia sopra quella porta vidi un ombra, era lui che si appostava. Riuscii a farmi notare da Clara, che mi vide per un attimo solo e in quel frangente notai i suoi occhi colmi di gioia; sapeva che qualsiasi cosa fosse avvenuta sarebbe accaduta da lì a poco, e sapeva che doveva creare un diversivo alla svelta. Cominciò a dimenarsi in modo energico, ed uno dei tre di fronte al padre le si avvicinò “Stai zitta, lurida puttana!”. Il mio cuore sobbalzò. Subito dopo un colpo al suo viso, facendola sanguinare, dato l'anello che portava l'uomo. Il mio cuore sobbalzò nuovamente. Ma lei, con le gambe libere, sferrò un calcio preciso tra quelle del suo aguzzino, ed io e Leo entrammo in scena.

Spade già alla mano, ci avventammo sui due di fronte al padre, ferendoli in modo grave e lasciandoli a terra, per poi scagliarci contro l'uomo che ormai aveva lasciato libera la presa al collo di Clara, probabilmente spaventato. Lo mettemmo fuori combattimento in pochissimi secondi. Quello a terra, che si stava rialzando dopo il duro colpo della ragazza, tentò di dileguarsi, sfruttando il momento, ma Clara accortasi del tentativo di fuga, raccolse la prima cosa che gli capitò sottomano, una padella , e la scaraventò contro l'individuo, colpendolo alla testa e facendolo cadere rovinosamente a terra. Ero ufficialmente innamorato. Poi accorse verso il padre per soccorrerlo, Leo si occupò dei malviventi legandoli, aiutato da altri che nel frattempo avevano sentito il frastuono ed erano entrati, ed io mi affiancai a Clara, per prestare le prime cure a Gustavo. Lei si voltò verso di me, “Grazie!” e mi abbracciò. Ancora una volta non ebbi il fiato per rispondere.

Ma la strinsi forte a me.

 
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from Super Relax


Perché mi fa star bene, psicologicamente di sicuro e il movimento è necessario.

Perché posso esplorare, allontanarmi, più di quanto non possa fare a piedi. Più lontano a parità di tempo, in meno tempo a parità di distanza.

Perché coinvolge tutti i sensi. La vista, perché non sono chiuso in un carro armato con le finestre, vedo tutto, anche il cielo, l'unico limite è l'orizzonte. L'udito, perché posso ascoltare i suoni della natura, senza barriere e filtri. Il tatto, perché stringendo il manubrio partecipo alle vicissitudini del terreno. L'olfatto: giro per campagne, colline e montagne, fatelo anche voi e non avrà bisogno di spiegare nulla. E il gusto? Questo mi manca, al momento, perché non posso fare uscite lunghe come vorrei, non ho bisogno di fermarmi in un bar, in una pasticceria. O in una taverna, un ristorantino, come fanno i cicloturisti, beati loro.

Perché sono libero di andare dove voglio e dove posso, coi tempi che posso e voglio.
Perché non inquino, non appesto l'aria che respiro e non l'appesto per gli altri, incolpevoli; sono io a produrre l'energia.

Perché l'unico limite vero è il mio corpo, ed è bello anche scoprire fin dove arriva questo limite e provare a spostarlo un po' più in là, un passettino alla volta.
Perché poi imparo a conoscere i miei limiti del momento e a rispettarli, capisco quando rallentare, so quando fermarmi.

Perché quando vado in bici, da solo, non devo dar retta a nessuno. Non devo dar retta ai valori del ciclocomputer, non ho record da stabilire, non ho velocità medie e massime da raggiungere, non ho distanze stabilite da percorrere.

Perché, fin quando è possibile (e faccio in modo che sia la regola più che l'eccezione), evito di rinchiudermi in quel carro armato con le finestre che ricopre le nostre città, si nutre di denaro e guerre e poi sputa calore, veleno e morte.

Perché no?

 
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from Il Problema della Musica

Nel 1980 andai al Vigorelli a vedere i Kiss. Come opening c'era questa band di sconosciuti, si chiamavano Iron Maiden e Paul Di'Anno era il loro vocalist. Il pubblico non fischiò per far sloggiare la band di apertura, come spesso accade, tutt'altro. Furono un pugno allo stomaco. Uscimmo da lì con la sensazione di aver sentito qualcosa di nuovo, destinato a durare nel tempo. Il giorno dopo mi precipitai ad acquistare il loro primo album.

Che la terra ti sia lieve, Paul 🥺

https://www.ondarock.it/news/morto-paul-dianno-iron-maiden.htm

 
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from Testudo Blues

Crepitìo radio

Qualcuno si schiarisce la voce

Bentornati all’ascolto, mascalzoni e sicofanti. Una splendida giornata di sole splende sulla città isolata di Testudo, e il vostro umile centauro Danny Catenaccio è ancora qui, vivo e vegeto. Vi starete chiedendo come ho fatto a sopravvivere al maledetto pasticcio in cui mi ero cacciato e la risposta è semplice: ho trovato un buon amico, che a sua volta aveva dei buoni amici. Nessuno sopravvive da solo, in questo mondo crudele, ficcatevelo bene in testa. Non posso raccontarvi ogni cosa nei dettagli, ma sappiate che, qualche giorno fa, il signor Ranucci si è visto recapitar, da uno dei suoi musicisti jazz, una piccola scheda di memoria che conteneva un video in cui sua moglie affermava di volerlo morto. La scheda era infilata in una busta con un biglietto che diceva: “dai suoi amici Bronco e Catenaccio.” E così la nostra condanna a morte è stata revocata. Quanto alla moglie del nostro amico, beh, una gang di adolescenti l’ha catturata mentre cercava di fuggire da Fast-food Lawn e ci ha chiesto cosa volessimo farcene. Bronco ha detto di avere un’idea. L’avrebbe fatta arruolare nel Branco, una comunità di banditi che vive nell’estrema periferia di Testudo. Il leader di questa comunità, un temibile bandito chiamato “il Coyote”, è molto rispettato nel sottobosco criminale della città. In questo modo, la signora Ranucci avrebbe avuto una nuova vita e forse non sarebbe finita ammazzata per opera di suo marito. A quel punto Bronco mi ha chiesto di accompagnarla dal Coyote e io ho – contro ogni dettame del buon senso – accettato. Lo so, mettermi in viaggio con la donna dei miei sogni, che suo marito vuole uccidere per colpa mia, non sembra esattamente una buona idea. Ma al cuor non si comanda. Pensate che finirò nei guai? Beh, è proprio ciò che mi è appena successo. Per colpa del mio inguaribile spirito romantico, mi sono ficcato in un guaio grande come l’intera città di Testudo. Ma questa è un’altra avventura e ve la racconterò un’altra volta. Chiudo la trasmissione di oggi con un consiglio di pubblica utilità: occhio ai predoni travestiti da gentiluomini che negli ultimi tempi infestano i quartieri alti. Questa città diventa ogni giorno più pericolosa, ma in qualche modo troviamo sempre il modo di andare avanti. Alla prossima avventura, cari i miei mascalzoni.

 
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from Il Problema della Musica

Si inizia alle 16, caricando l'auto. Si finisce all'1.30 della notte, scaricando l'auto. In tutto due ore di musica, in mezzo i montaggi, le discussioni (anche con il gestore), le risate, il soundcheck, la cena di gruppo, le facce, il concerto, i piccoli problemi tecnici, quelli che cantano con te e quelli che ballano con te, lo smontaggio e il ritorno. Vale la pena tutto questo sbatti? Si. Perchè lo spettatore contento che a fine serata ti ringrazia, è stato bene, e questo è fare musica, cultura è anche regalare due ore di pensieri leggeri in tempi pesanti. Perchè la coppia attempata li davanti, che non si è persa neanche una nota, che andava a tempo, che pensavi “sono qui per mangiare, ora scappano” e invece no, è un regalo incredibile. Me la vivo tutta, la serata, in ogni suo aspetto, perchè a questo desideravo arrivare, per questo ho lavorato e lavoro e studio e mi sbatto, per quelle due ore in cui sei su un palco, e ti senti scorrere il sangue nelle vene, mentre l'amplificatore pompa le note, e tu vibri con loro. E il giorno dopo sei pronto per la prossima, e conti il tempo che ti separa dal ricominciare. Well Done!

 
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from videogeco


Cantonate corali prese nel corso, principalmente, degli anni Novanta: quei malintesi, più o meno colossali, sui nomi di mosse, personaggi e tutto il resto.

Dico anni Novanta sostanzialmente per l'introduzione del “sonoro” negli arcade, per essere più precisi i campionamenti vocali, principalmente nei picchiaduro: quei mondi alternativi, proprio come gli anime, dove la gente sente il bisogno di anticipare vocalmente le proprie mosse. L'audio in questione era quel che era: lo spazio a disposizione era ancora poco, pochissimo, non lo si poteva sprecare in vocalizzi cristallini. Sulla qualità dei cassoni pure, spesso, non ci si poteva fare affidamento: casse bucate o spompate, collegate fisicamente con saldature traballanti; poi, c'era la questione culturale.

L'inglese non era ancora arrivato: certo, ancora oggi è ben lungi da essere una seconda lingua in Italia, ma l'orecchio a certe sonorità ormai l'abbiamo svezzato, dopo anni di film e serie e, appunto, videogiochi non doppiati o doppiati così malamente da far preferire una qualsiasi altra lingua. E il giapponese? Peggio ancora, ovviamente: pure i manga ancora non erano arrivati, o stavano arrivando, degli anime conoscevamo i fantasiosi doppiaggi italiani e di certe parole e del loro suono non avevamo neanche idea. “Tutta roba cinese, diranno CIN CIUN CIAN”. Noi sapevamo sin dagli albori che fossero giapponesi, ma questo è il sentore comune odierno: se hanno gli occhi a mandorla, sono tutti cinesi. Sto divagando.

Successivamente, l'audio è migliorato, grazie a chip più efficaci e supporti più capaci (Max 330 Mega Pro-Gear Spec, The 100 mega shock!). Pure la nostra comprensione era migliorata, scolarizzata nel tempo; c'erano pure le riviste coi nomi delle mosse, ormai.

Prima dei cartuccioni e delle riviste c'era, comunque, Strit Faier 2: una ricca opportunità di storpiare tutto, non ce la lasciammo sfuggire. Un personaggio alla volta (a parte Ryu e Ken, praticamente sovrapponibili), nomi propri e mosse immaginate, quello che ricordo: mi riservo di aggiornare questo articolo, e quelli analoghi, in futuro, in caso di rigurgiti di memoria. Cerco di riportare le pronunce come si scrivono in italiano, non aspettatevi l'alfabeto fonetico internazionale, alla forma esatta segue la dizione imperfetta; in grassetto, la versione più diffusa

Ryu e Ken: Riù, Rìu, Rèiu, Ràiu. Con Ken non si poteva sbagliare. – Hadoken: aduche, adoche, aduchen, auche, palla di fuoco. – Shoryuken: 'o riuchen, oriuuuche, 'o riucheee, . “'O riuchen” in napoletano, quindi 'o è l'articolo. Il riuchen, in pratica. – Tatsumaki senpukyaku: attattasplughe, 'o ttatta splughen, 'o ttatta, il vortice, la giostra (rarissimo). 'O ttatta era per i frettolosi.

E. Honda: Onda, Enzuccio Onda, Enzuccio. La prima è la versione quasi universalmente accettata, le seguenti solo per gli amici più stretti. – Sumo headbutt: la capata. – Hundred hand slap: mille mani, cento mani. Si esagerava parecchio. – Esclamazione di vittoria: iu gui.

Blanka – Electric thunder: la corrente, la scossa. – Rolling attack: la rotella, la ruota.

Guile: Guile, Gail, Giule, Giuilie. Per di più, a ciascuno di questi nomi poteva essere aggiunto il grado, solitamente colonnello o sergente, più raramente capitano. – Sonic boom: aleppu. – Somersault strike: la parabola. – Flying buster chop: lo spezzaschiena.

Chun-Li: Ciunlì, Cianlì. – Spinning bird kick: spinni-bor-chi, qua ci si avvicinava. – Lightning kicks: mille calci, qua erano mille e basta.

Zangief: qua nulla da aggiungere, pronunciato esattamente come si scrive, per tutti. Sono di quell'avviso e mi batto per questa causa, non esiste alcun Zenghiv, non esistono pronunce americaneggianti. Era usato pochissimo, i vocalizzi erano grugniti e sulle prese non ci si impegnava troppo.

Dhalsim: Dalsìm, Dalamascin, l'indiano. – Yoga fire: ioga fai. – Yoga flame: **ioga fei”. Cambiava una vocale. Citazione speciale per lo “scivoletto”, non è una mossa speciale ma avrete capito di cosa si tratti.

Balrog: Balròg, Barlòg. Nessuna menzione particolare per le mosse: anche quando divenne selezionabile dalla CE in poi, non fu mai molto amato dalle mie parti e, comunque, erano sostanzialmente grugniti.

Vega. Vale quanto scritto per Balrog.

M. Bison: Bison, Baison. – Psycho crusher: la torpedine, saico, saico crascia.

#Arcade #SalaGiochi #StreetFighter2 #Capcom #Videogiochi #anno1991

 
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from la tana di Belzebu

lo stato di diritto mi scazza...

Qualcuno dovrebbe spiegare in modo esaustivo ed efficace come funaiona per davvero la demoscrazia alla nostra classe dirigente, in quanto mi pare che l'episodio ultimo riguardante la deportazione di persone, colpevoli sino a quel punto meramente di nulla, se non quella di essere clandestini, una condizione quella di clandestino sulla quale ci sarebbe da discutere e ne discuteremo, dicevamo qualcuno dovrebbe fa capire alla nostra classe dirigente che la democrazia non è il volere di una maggioranza e fine, la democrazia è un processo attraverso il quale si applicano principi di maggioranza, certo, ma non estemporanei perché altrimenti basterebbe una maggioranza, anche relativa, per decidere di passare ad una dittatura, e "boom" ecco la morte della democrazia per sindrome autoimmune. La magistratura è un potere dello stato che tutela lo stato anche da se stesso, mi lancio nel dire soprattutto da se stesso, per fortuna, e impedisce che una maggioranza perpetri un atto contro la dignità della persona o di minoranze più deboli. Cara madre, donna, cristiana Giorgia, non è che perché hai la maggioranza alle urne puoi fare il cazzo che vuoi, e non è nemmeno pensabile che tu possa dichiarare seriamente che i poteri dello stato devono dare alla tua maggioranza una mano. Che cosa significa ? La magistratura serve la nazione, il paese e lo stato, tutelandolo da derive anticostituzionali che spostano il centro di interesse dalla "persona" ad altro: interessei economici, interessi di classe o fanatismi politici come in questo caso. ship Quindi facci il favore, dato che il piglio dell'argomento dovrebbe essere nelle tue corde, rispetta la nazione e i suoi principi, la sua costituzione, gira la prua di sta nave e riporta le persone dove queste hanno deciso di stare. E finiamola li con ste cazzate, che se il viaggio di ritorno costa come quello di andata ai buttato nel cesso mezzo milione di euro e i miei figli si portano la carta igienica a scuola, e mia zia per una controllo di ruotine al seno deve aspettare un anno e mezzo...

 
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from Testudo Blues

Qui il consueto riepilogo della storia

I suoni di Fast-Food Lawn filtravano nella bottega dello zio Archiebold attraverso le pareti di lamiera, assumendo una consistenza metallica. All’improvviso, la quiete fu interrotta da un colpo. Una manata contro la saracinesca abbassata. “Preparatevi. Ranucci è capace di tutto. Per quanto ne sappiamo, là fuori potrebbe esserci un’orda di artificieri pronta a far esplodere l’intero quartiere.” Il pessimismo fatto persona, forse avrei dovuto lavorare come titolista in un giornale. A dire il vero, non credevo che la resa dei conti sarebbe arrivata così presto. Al momento eravamo solo in tre, nel retrobottega: il vostro umile centauro Danny Catenaccio, un novantenne con un fucile a canne mozze e un idiota con due semiautomatiche. Il detective Bronco era uscito a cercare rinforzi, ma non avevamo più avuto notizie da lui. Mi sono avvicinato alla saracinesca per guardare attraverso la minuscola fessura che faceva da spioncino. E per poco non mi è venuto un colpo. Là davanti, invece di un predone del deserto armato fino ai denti, c’era la donna più bella della città di Testudo: una visione paradisiaca, una Venere vestita di pelliccia, la mia donna dei sogni, nonché la moglie del signor Ranucci. “Che diavolo ci fai qui?” Le ho gridato attraverso la saracinesca. “Sono qui per offrirvi un lavoro.” Alla sua risposta, il decrepito zio Archiebold è scoppiato in una fragorosa risata. “Balle!” Ha detto, attraverso i suoi denti marci. “Sei qui per ammazzare il mio nipotino!” “Se fossi qui per uccidervi sarei venuta da sola? E avrei portato con me un milione di corazze?” Come al solito, la menzione del denaro è bastata per far abbandonare ogni cautela al mio ex-socio Johhny Rumble. “Falla entrare,” mi ha sussurrato, gattonando fuori dalla sua copertura – un tavolo di metallo rovesciato su un fianco, dove lo zio Archibold era solito tagliare la sua preziosa mercanzia con sostanze di infima qualità. “Sentiamo cosa ha da dire.” Io scuoto la testa e carico il mio fucile da caccia, avvicinandolo alla saracinesca per farle sentire lo scatto. “Vattene, prima che ti faccia saltare la testa.”

Non immaginate nemmeno quanto sia difficile minacciare di morte la donna per cui avete una cotta, vero? Beh, allora non siete cresciuti nei quartieri bassi di Testudo, dove anche le ragazze più carine possono rivelarsi spietate assassine. “Voi due mi piacete, dico sul serio. Non… non certo in quel senso, però mi piace il vostro stile. È per questo che sono venuta qui. Voglio proporvi di eliminare mio marito una volta per tutte. Io erediterò il suo impero e voi lavorerete per me.” “Avanti, l’hai sentita! È sincera.” Un milione di corazze e un lavoro per la donna più ricca di Testudo. Ce n’era a sufficienza per mandare fuori di testa il vecchio Johnny Rumble. “Apri quella diavolo di saracinesca, Catenaccio!” La cosa che mi turbava di più era il fatto che sembrasse davvero sincera. Insieme al terribile pensiero che uccidere il vecchio Ranucci fosse l’unico modo per sfuggire alla sua furia assassina. Ed è stato proprio in quel momento che ho avuto una delle migliori idee che il mio cervello a scolapasta potesse partorire. “Dimmi un po’, Zio Archie, ce l’hai ancora quella telecamera davanti all’ingresso?” “Per tutte le sanguisughe mutanti del lago Michigan, certo che ce l’ho ancora!” Lo zio Archiebold aveva novant’anni, ma sapeva ancora come mandare avanti un’attività in un quartiere pericoloso come quello. Anzi, due attività. Un negozio di copertura e una rivendita di droga. “Un vero gioiellino, corazzata e a prova di esplosione, collegata a un sistema d’allarme che potrebbe svegliare il sindaco Carter in persona. È l’unico modo per evitare che quei dannati teppisti cerchino di entrare ogni notte. Vuoi sapere cosa ho fatto all’ultimo ladruncolo che mi ha scassinato la serranda?” “Non ora,” gli ho detto, tagliando corto. “Puoi caricare il video su una scheda di memoria?” “Ma certo! Ne ho comprata una cassa da un predone che le aveva rubat… ehm… che le aveva acquistate all’ingrosso.” Girando di nuovo la testa verso la serranda, mi rivolsi alla moglie di Ranucci. “Hai sentito, tesoro? Ti venderò a tuo marito, per fargli capire che sono dalla sua parte. Mi dispiace da morire, credimi, ma è così che deve finire questa storia. Ti conviene cominciare a fuggire, perché nessuno si salva dalla furia di Ranucci.” “Maledetto,” ringhiò la donna dei miei sogni dall’altra parte della saracinesca. “Io mi fidavo di te. Ma questa città rende tutti dei bastardi.” Un colpo di mano sul metallo, come un ultimo saluto, e la moglie di Ranucci scomparve per sempre dalla mia vita. Ma le visite, per quel giorno, non erano ancora finite.

***

Stavo ancora pensando a come recapitare la scheda di memoria al signor Ranucci, quando un altro genere di colpo si infranse contro la saracinesca della bottega. Un colpo di fucile. “Vieni fuori, vigliacco!” La voce roca e sgraziata appartiene a un tizio che ho incontrato poco tempo prima. Un tizio con l’aspetto di un bufalo. “Sì, vieni fuori. Devo ancora ringraziarti per avermi azzoppato.” Il commento proviene da una voce identica alla prima, che probabilmente appartiene al suo fratello gemello, sforacchiato dalla pistola del mio amico Bronco. Un altro colpo di fucile apre una breccia nella saracinesca. Il buco piuttosto piccolo, ma riesco a intravedere la brutta faccia di uno dei due tizi. Sparo un colpo di avvertimento, ma i pallettoni del mio fucile non riescono a oltrepassare il metallo del serramento e non sono così fortunato da centrare il foro. Ricarico in fretta, ma il gemello è già pronto ad aprire di nuovo il fuoco. Il suo fucile anticarro oltrepassa il ferro come se fosse burro. Il buco nella saracinesca si allarga ancora. E il fratello ci infila dentro una granata. “Bomba!” Grido, vedendo scivolare l’ordigno all’interno del retrobottega, mentre comincio a correre verso l’uscita sul retro – una pesante porta tagliafuoco. “Tutti fuori!” Dice lo zio Archie, spingendo sul maniglione antipanico della porta d’acciaio e precipitandosi fuori con l’agilità di un ventenne. Johnny lo segue a ruota e io vengo sbalzato all’esterno dal fragore dell’esplosione. La bottega dello zio Archiebold è stata sventrata dalla bomba. Assieme al legno marcio e alla lamiera di cui era composta, probabilmente, sono andate perdute anche diverse migliaia di corazze sotto forma di droghe illegali. E la scheda di memoria? Spero davvero che lo zio Archiebold non l’abbia lasciata da qualche parte là dentro, dopo averci copiato il filmato che poteva salvarci la vita. Sempre se riuscirò a sopravvivere, s’intende. Sono stordito dall’esplosione. Mi fischiano le orecchie. Ho la vista annebbiata. Sento lo zio Archie e il suo amato nipote dire qualcosa, ma le parole mi arrivano ovattate. Delle mani mi toccano, si infilano nelle tasche del mio giubbino di pelle. Sento qualcuno che comincia a correre. Mi stanno derubando? Se hanno preso la chiave della mia PodeRossa, tornerò come fantasma per divorarli, lo giuro. Volto la testa verso la baracca in macerie e vedo, in mezzo al fumo e alle fiamme, emergere due forme scure. I gemelli-bufalo. Uno di loro solleva verso di me il suo fucile e si prepara a portare a termine la missione. La mia unica speranza è che il detective Bronco mi salvi di nuovo da quell’uomo, come ha già fatto una volta. Ma non succederà mai. Anche lui mi ha abbandonato, fingendo di andare a cercare rinforzi per salvarsi la vita. Faccio un respiro profondo e mi preparo a morire. Non pensavo che sarebbe finita così, giustiziato da uno sgherro qualunque nel bel mezzo di Fast-Food Lawn. Ma in fin dei conti tutta la mia vita è stata volgare e banale. Perché mai sarei dovuto morire da eroe? Chiudo gli occhi. Quanto ci vorrà, prima che sia tutto finito?

***

Sento delle voci di bambini. Sembra che si stiano divertendo. Il paradiso è un posto strano, mi dico. Ci rifletto ancora un momento. Con i miei trascorsi, come diavolo ho fatto a finire in paradiso? Forse dovrei aprire gli occhi e scoprire se queste grida appartengono a tanti angioletti o a un esercito di giovani diavoli. Mi faccio coraggio e sollevo le palpebre. Sono decisamente dei diavoli. La scena che mi si presenta davanti è davvero assurda. Un fiume di ragazzini ha assalito i due sgherri di Ranucci. Ci sono adolescenti e bambini che saltano da tutte le parti, urlando a squarciagola e ridendo di gusto. Due di loro stanno litigando per il fucile dell’uomo-bufalo, che devono avergli strappato dalle mani. Una piccola squadra sta legando strette le due guardie del corpo con delle funi da pesca. Nel mezzo di questa follia collettiva, riconosco il mio salvatore che avanza col petto gonfio d’orgoglio, maestoso come la statua di un santo e ugualmente pronto a ricevere la mia adorazione. “Bronco,” gli dico, quando è abbastanza vicino da potermi sentire. “Come diavolo ci sei riuscito?” “Per fare l’investigatore privato, devi avere qualche contatto con le gang di strada, no? Le baby-gang di Fast-Food Lawn sono facili da corrompere. A proposito, hai un debito con loro: cinquecento hamburger sintetici e duemila corazze di mancia.” “La mia vita vale così poco?” Gli domando. “No, ma loro non lo sanno,” ribatte Bronco, ridacchiando. “In ogni caso, Ranucci tornerà a cercarci. Siamo spacciati. È un vero peccato, ero quasi riuscito a guadagnarmi il suo perdono. C’era un video che poteva salvarmi, ma credo che sia andato distrutto. Dobbiamo andarcene di qui. Forse troveremo un modo per fuggire da Testudo.” Infilo in tasca la mano per controllare se il mio portafoglio è davvero sparito, e le mie dita urtano un piccolo oggetto di plastica. Una scheda di memoria.

 
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from Klaus

casa

Quando arrivai davanti alla porta di casa, che affiancava quella del laboratorio di mio padre, sapevo che a quell'ora non li avrei trovati lì, ma controllai comunque l'integrità del meccanismo anti intrusione che il vecchio aveva installato. Proseguii verso il fiume, poco distante, e li vidi di fronte della lapide di mio fratello Karl. I miei genitori, in piedi, si sorreggevano a vicenda, tenendosi la mano, in silenzio. Solo il vento tra me foglie si permetteva di disturbare quel momento così intimo, tale che anche io, loro figlio, attesi qualche istante prima di giungere al loro fianco. Erano passati un paio d'anni ormai dalla morte di mio fratello, ma le interiora si contorcevano ancora come fosse accaduto il giorno prima. Ci sedemmo lì davanti, sulla panchina che era stata ricavata da un tronco, ed ognuno di noi si raccolse a suo modo; io vagai per i ricordi d'infanzia, ricordando poi l'avventura appena trascorsa.

Mio padre fu il primo ad alzarsi. Poco dopo tornammo a casa, e durante il breve tragitto ci furono solo sospiri, nessuna domanda, e solo dopo aver varcato la porta di casa, mi abbracciarono, felici di non aver perso un altro figlio. Mia madre, Gaia, si mise ai fornelli, sapeva come conquistarmi il palato e, durante i preparativi, volle sapere se mi sarei fermato solo per pranzo, ben felice dopo la mia risposta di apprendere che mi sarei trattenuto per qualche giorno. “Vado a preparare la tua camera” mi disse, come se non sapessi che in realtà era sempre pronta, pulita, e con le lenzuola fresche. Ma facevo finta di niente tutte le volte. La porta nel piccolo salotto dava direttamente sul laboratorio di papà.

Lab

Cedric era un maestro nell'arte della lavorazione del legno, un inventore, e veniva spesso commissionato da persone di ogni rango e ceto sociale per semplicemente aggiustare una sedia, per costruire qualche marchingegno, o per creare meraviglie tecnologiche. “Non aver paura di osare” diceva, “Dagli sbagli nascono le cose migliori”. Attraversai la porta del laboratorio e fui pervaso dall'odore del legno, dal calore della piccola forgia in fondo alla stanza, e meravigliato dai tanti progetti appesi alle pareti. Tutto era molto ordinato, ogni cassetto aveva inciso cosa avrebbe dovuto contenere, gli scaffali ben organizzati e gli attrezzi appesi mai a caso. Al momento mio padre era di spalle nei pressi della fornace, intento a lavorare proprio uno dei rami che avevo visto pochi giorni prima nella foresta, al fine di scaldarne le venature per poterlo modellare con più facilità. Interruppe quello che stava facendo solo un istante, quando sentì la porta chiudersi, ma non si voltò, “Ciao ragazzo” disse e proseguì nelle sue faccende. Era un brav'uomo, un buon padre, un tempo ricolmo di gioia e calore per i suoi figli, ma la ferita era ancora aperta, e il tempo che tanto ci aspetti risolva ogni male, non bastava. Ricordando le parole del curatore, chiesi a mio padre se potessi usare alcuni dei suoi attrezzi e materiali per occuparmi del mio vecchio passatempo, “costruire avventure”, così lo chiamavo da bambino. Mio padre interruppe le sue faccende, si voltò, e sorrise.

 
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from la tana di Belzebu

Di Social, di Woke, di emancipazione ed altre schiocchezze

Da un po' non mi accuccio nella mia tana, ma effettivamente tempo e risorse fisiche a parte è anche la voglia che manca, perché se è anche vero che di tanto in tanto la mia irriducibile voglia di confronto si palesa feroce alle porte del mio animo è altresì vero che questa viene regolarmente frustrata dell'iniquità degli argomenti che mi capita di leggere e sentire a suffragio di parabiliche teorie sul costrume, sulla mentalità e sulla direzione del mondo. social_woke Sono tuttavia affascinato da sempre dal doppiopesismo naturalmente artificiale del pensiero comune, dilagante, ma si lo scrivo "main stream" che fissa nel muro dell'assoluto con chiodi di burro concetti che come quadri stanchi finiscono inevitabilmente per sfracellarsi al suolo, non abbiamo nemmeno più bisogno di stuzzicare troppo gli interlocutori ormai. E' divertente, è adorabile come la femminista media convinta posti un selfie di se stessa, in una situazione di vita quotidiana, per certi aspetti molto sensuale, con tutto il sacrosanto diritto di farlo e la benedizione del creato intero, ma poi lo rimuova per qualche motivo a noi ingnoto, messaggi privati ? Dai maschi cisgender arrapati destroidi femminicidi e stupratori (potenziali) ? Probabile, certamente non da orsi marsicani che si apprestano ad affrontare la stagione invernale e con i quali sarebbe quantomeno più sicuro relazionarsi. Oppure che so messaggi da moderatori illuminati che si stracciano le vesti per ribadire la genialità e la superba maestranza nell'arte della fotografia, chiedendo alla nostra protagonista come sia stato possibile realizzare un selfie così profondo e ben struttrato ? Chi l'avesse aiutata, presupponendo che da sola non sarebbe mai stata in grado ? "Ehhh Cattivone!", in quell'opera che cambierà per sempre il concetto stesso di autoritratto fotografico ? Per sentirsi rispondere che è bastato impostare il timer ed apoggiare il telefono sulla poltrona di fronte... Che dio ci risparmi poi dalle affinità intellettuali che avvicinano le persone sulla scorta di condivisti gusti per gli scacchi su capi di abbilgliamento differenti e collocati nei rispettivi armadi... Traduzione raffinata di cose antiche come il mondo. Dicevo è divertente, come quando si partecipi ad un evento tradizionale, patriarcale ed antico, anche se questo viene "ripulito" dalle umane cafonate appartenenti ad una cultura di serie B, utile solo a generare morte e frustrazione, divertente, ma anche interessante, come il "Lui" maschio eterosessuale diventi "tenero", docile, "innamorato", cessando di colpo il suo essere naturale, manlevato dalla responsabilità morale di crimini indicibili ed appartenenti al solo universo "maschile" ma con le dovute manleve per gli amici. Amici degli amici e pregiudzio a gogò per tutto il resto. Se non hai il lascia passare dal treno non scendi buon viaggio! E mentre sul mondo piovono bombe, i cercapersone esplodono e noi tutti guardiamo ammirati ad operazioni "speciali", a prove generali di invasione, con avvenimenti che dovrebbero portarci ad una consapevolezza di come le cose si stiano accartocciando, molti si lanciano in ulteriori e rinvigorite polemice politicamente corrette, con Gramellini che dal coporate banking di cui fa parte ci dice che la frase "viva la gnocca..." è sessista, una sorta di violenza verbale nei confronti delle donne, ree solo di essere le depositarie della gnocca. Sarà para sessista anche "grazie al cazzo" ? Oppure "sti cazzi" ? E se dico a qualcuno un bel "che cazzo vuoi!" ?. Beh di cazzi e fighe in bocca ne abbiamo tantissimi alcuni solo lessicali per altri... beati loro... Utenti lasciano i social scrivendo malinconici epitaffi sul loro sentirsi fuori dalla comunità, e li capisco e hanno ragione, perché anche mostrare e dimostrare di adottare uno stile di vita non social, privo della tossicità che questo comporta, ha una contradizzione in termini se poi per non avere un social blu, criticabile giustamente e legittimimaente si costruisce un social giallo che inevitabilmente con il tempo al crescere di frequentezioni si ammalerà di quella "sana" mediocrità umana, non siamo tutti Gramsci, ce lo dobbiamo dire, dobbiamo essere onestamente feroci con noi stessi se vogliamo spremere anche una sola goccia di onestà sempre da noi stessi. In un vecchio e bellissimo film il diavolo raccontava di quanto la vanità fosse il suo peccato preferito, ed è così che funziona, l'apprezzamento, le lusinghe come la pizza piacciono a tutti, non banalizziamoci raccontando qualcosa che sappiamo e fingendo stupore... Perché se continueremo a stupirci di stupide ovvietà non potremmo mai davvero comprendere quanto le cose possano essere "belle" al di là della presunta banalità

 
Continua...