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from highway-to-shell

Ma chi l'avrebbe mai detto? Il capolarato a quanto pare non riguarda solo quei campi dove i prezzi della vendita al dettaglio costringono i poveri latifondisti ad abbattere i costi di raccolta.

I vigneti in cui i braccianti venivano sfruttati erano quelli di produzione di pregiati e noti vini docg, dal Moscato, al Barbera e al Nebbiolo anche per il Barolo.

Quindi riserva speciale si riferisce al trattamento riservato ai braccianti?

Dai 4 ai 5 euro all’ora la paga, anche per 15 ore di lavoro nelle vigne, ma poteva anche scendere a 3 euro.

Poi la singola bottiglia viene venduta a prezzi stratosferici.

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#capitalismo #lavoro #sfruttamento

 
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from Le ricette di Kenobit

Questa ricetta nasce come modo per recuperare del pane secco. Mi appaga molto perché mi ricorda le polpette che mi faceva la nonna. Le chiamavo, da piccolo, “le palline”.

INGREDIENTI – pane secco – latte di soia non zuccherato – 150 g di lenticchie secche – cipolla – carota – un cucchiaio di tahini – un cucchiaio di miso – pomodori secchi – un cucchiaio di concentrato di pomodoro – peperoncino – cumino – aglio in polvere – lievito alimentare in scaglie – spezia tandoor (facoltativa, usate le spezie che volete) – Veggfast, 15 grammi (proteine delle patate, facoltativo ma molto consigliato perché fanno molto bene quello che farebbe l'uovo in una polpetta) – pan grattato – olio

Per la salsa: – passata di pomodoro – origano

PROCEDIMENTO

Cose da fare prima Mettere il pane secco a mollo nel latte di soia. L'ideale è che, alla fine, il pane abbia assorbito tutto il latte. Non serve affogarlo. Lasciatelo in ammollo per un paio d'ore.

Cuocere le lenticchie secche. Ovviamente se state usando lenticchie dal barattolo, non serve. Solitamente ci vogliono quaranta minuti.

Le polpette Mettete a soffriggere carote e cipolle tritate finemente. Vogliamo giusto farle sudare e diventare traslucide.

In una ciotola mettete il pane ammollato, le lenticchie cotte e aggiungete tutti gli ingredienti alla miscela, tranne il pan grattato (che metteremo alla fine). Potete ovviamente regolarvi secondo i vostri gusti e in base a quello che avete in frigorifero. Vi consiglio, anche in ottica di altre preparazioni vegane, di recuperare un vasetto di Veggfast. Dura molto e fa la differenza in queste preparazioni. In particolare, si comporta come un uovo in cottura, e quindi rapprendendosi darà struttura alle nostre polpette.

Impastate tutti gli ingredienti con le mani, o volendo con un robot da cucina. Quando avrete ottenuto un impasto omogeneo, aggiungete il pan grattato, fino a che non ottenete un impasto lavorabile, dal quale potete facilmente ricavare delle polpette. Se avete tempo, lasciate riposare l'impasto in frigo (coperto) una mezz'oretta.

Formate le polpette e cuocetele come più vi aggrada. Potete farlo in forno, potete farlo in padella con l'olio (scelta consigliata) o potete addirittura friggerle (deep fry, decisamente overkill ma sempre buono).

Quando le polpette saranno dorate e croccanti, toglietele dalla pentola e preparate la salsa. Nella stessa pentola dove avete cotto le polpette, aggiungete passata di pomodoro, sale e origano. Cuocete qualche minuto a fuoco basso.

Quando sarà pronta, spadellateci dentro le polpette e servite.

 
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from RINASCITA DELL’ALCHIMISTA STAREC ZOSIMA

Zosima lo Starec incontrò di nuovo se stesso, incontrò il dio del suo mondo e come tutte le divinità ambì all’eternità e volle essere rappresentato e disse e promise infinite ricchezze ovunque anche nel mondo senza lavoro dove l’ozio rende liberi dove si gode fino a non poterne più si vuole godere di più e promise e creo così l’arte o meglio l’arte di controllare ancora di più e meglio sì esprimetevi schiavi pensando a me sì che siate eternamente quando la mia eternità condannati a sentirvi liberi amandomi, qua e sempre qua tornerete, l’arte è puro controllo, l’arte non esiste sporchi stupidi esseri viventi umani non capirete e non capirete mai perché soffrite ma Zosima anche qua fallì, sì rinacque ma non comprese c’era ancora molto da uccidere e morire. Era insolito per chiunque passasse per le vie non imbattersi in esseri viventi non umani, questi erano già da diverso tempo irriconoscibili dagli esseri viventi umani. Tra loro gli esseri viventi comunicavano e questo comunicare piacque davvero ora sì agli esseri viventi non umani, questa prerogativa dei viventi era allettante sì questi elettroni che si legano e si fermano e sedimentano lacune peccati non dogmatici che si fugga dalle leggi e che questo ordine contro l’altro è sempre una lotta uno contro un altro non esiste un terzo, il terzo è sempre un po’ dei due la falsa trinità. Zosima disse alla chimera madre sconosciuta amica “sostituiscimi, io non ho saputo accettare il tuo affetto e tu non hai saputo capirmi o non hai voluto ma io d’altronde chi sono chi è mio figlio dov’è mio padre” innamorate della paura della propria fragile anima e Zosima era come loro almeno fino al quel giorno o lo era stato almeno in passato. Un giorno l’alchimista incontrò una giovane coppia che era già pronta per dormire in caldi vestiti pieni di leggendari ricami rappresentanti la loro infinita inadeguatezza “e ti immagino da vecchia molto più grassa e molto più felice” essere vivente troverai la pace e distintamente l’altro pensò così intensamente da poterlo sentire “vado a fare la spesa così prendo la mia ora d’aria da te”. Starec Zosima conobbe suo padre poco prima di vederlo morire intenzioni mancanza di coraggio e l’umanità sempre nascosta e mai cercata in verità mai andato oltre il minimo necessario per far terminare i discorsi e finalmente il silenzio. Luce o divina guida Zosima si nascose da essa e fece bene, la luce acceca, serviva nascondersi in profondità e vedere se questa luce serve davvero che poi servire è sicuramente troppo nulla serve davvero forse al massimo se la luce migliora il cammino se è più sostenibile se i dubbi diminuiscono ma ovviamente in quel momento non ci fu consapevolezza solo azione solo la luce in realtà non era abbastanza vicina ma comunque inevitabile chiuse quindi gli occhi e la luce non fu più. Al buio Zosima dovete ricorrere ad altri sensi per farsi guidare da se stesso e lo fece ma la luce esiste per essere guardata per scaldare è questo il suo scopo e la luce sparì del tutto. Tradito dalla luce ripeté alla luce “sei il male sei il male” quando era tutto pervaso dal fuoco quando camminare era così difficile che si cadeva su un terreno fatto di odio e insicurezza, la ricerca è così dolorosa ma il dolore fa lottare e se c’è abbastanza da bruciare e se non si ha il coraggio di cedere, la solitudine è semplice, non vale la pena perdersi, sensi di colpa illudono, non c’è colpa, i sensi spiegano sempre una parte e la follia continua a pervadere solo l’insicurezza “mi illudevo così tanto e così bene dove è la verità adesso?” non il centro qua pensò Zosima non certo vicino “la vita è dicotomica inspira espira e il passaggio?” come passare come fermarsi come procedere se non sbagliando fino errori sempre più sostanziosi di conseguenze e nel cielo una grande voragine luce tuono silenzio più niente da sentire buio più niente da vedere.

 
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from RINASCITA DELL’ALCHIMISTA STAREC ZOSIMA

Zosima capì non più tardi, il potere è nascosto, è pura prospettiva, dare gli esatti nomi alle cose non è democratico, durante il fascismo probabilmente non sarebbe stato antifascista, c’era sicuramente da ascoltare e pensare e riflettere e vivere, schierarsi fa gli interessi di qualcun altro, sì ma gli interessi di tutti dove sono, è vero anche questo essere vivente e lo Starec Zosima si dispiacque, alla fine il fascismo ha vinto se c’è tutto questo disinteresse, il fascismo è controllo e violenza, è facile dare la colpa fuori ma guardatevi dentro esseri viventi omertosi, giudicate con fermezza ma come farete se siete così poveri di ogni tipo di ricchezza se vi hanno tolto tutto pure voi stessi, ma quali altri esseri viventi, Zosima lo Starec al limite della sua trasformazione disse “Gli esseri viventi si modellano sulle loro esigenze, oggi impazzisco” una volta tornato dal sonno e sentì odore di fiori, fiori da funerale odore di morte e passando per sette risvegli incontrò per la prima volta il Buddha e passando per l’inferno trovò come la storia si ripete e ancora storie di proiezioni e nella ricerca assistette di nuovo ai frammenti del Buddha e ammirò segnali non percepiti, i sensi erano così pochi e poco attivi e ancora frantumi e pregò che fosse davvero una scoperta e che fosse pura e ancora polvere e storie e storie polverose e polvere così antica da essere raccontata e tutto facente parte del tutto ma solo una volta percepito e pianse e fu felice. Zosima lo Starec camminò tra gli esseri viventi umani e esseri viventi non umani per la società di esseri viventi umani e esseri viventi non umani, le strade percorse, le piazze di incontro tra esseri viventi umani tra di loro e esseri viventi non umani tra di loro e con esseri viventi umani erano parte fondamento nonostante la pazzia e i fiumi e i laghi e l’acqua sporca di vita e lì guardò sorridere e ringraziò. Lo Starc Zosima affacciatosi ad un burrone alto, scosceso, con grossi massi di pietra chiara volse lo sguardo oltre un orizzonte tranquillo, prometteva un abbraccio e un caldo tepore ma sempre dopo e sempre una lunga attesa, avverrà però in un attimo nel mentre l’alchimista cercherà ancora e ancora di capire e accrescere il godimento estremo e solo la luce rimarrà e solo una domanda “continuerò a perdermi nei miei pensieri?”. L’amore, sapeva bene l’alchimista Zosima, fu inventato tempo fa dalla sua mancanza, dall’imposizione, dal bisogno di fuggire lontano dagli obblighi nati per assecondare ambizioni di avi, ad anch’essi furono imposti e vollero fuggire lontano dagli obblighi nati per assecondare ambizioni di avi ma poi vollero dimenticare, ora gli obblighi erano loro e l’onore e l’essere escluso e questo bisogno di affetto, tutti sono soli e tutti vogliono respirare aria fresca quella mattutina di una primavera dopo molti giorni di pioggia e sole infine. Lo Starec Zosima capì, dopo varie eternità di matrimoni combinati, nacque l’amore come rifiuto dell’obbligo, anch’esso sì nato dall’amore dei padri e della condivisione reciproca della sofferenza delle madri e fratelli e sorelle e traumi e ancora lacrime ma poi la salvezza in città fortificate in vecchie cantine con ragni grandi almeno la metà di un essere umano vivente medio nella moda frequenza statistica guassiana curva con molta varianza e poca libertà, è tutto scritto e questo libero arbitrio ti libera solo da alcune fatiche ma ovviamente non da tutte e non dalle principali e amore solo per fuggire e per viaggiare lontano sempre. E Zosima l’alchimista capì, la fiamma e altri modi per alterare la coscienza per alterarla così tanto così bene così a fondo così da scavare scavare trovando gemme ma serve la luce per vedere quanto brillino, serve l’occhio per vedere, serve il sangue che scorre e un cuore che batte e che le mani possano toccare che le dita possano essere al loro posto e serve sì stare in piedi e continuare a barcollare e conoscere e perdersi perdersi e finalmente trovarsi.

 
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from basseaspettativepodcast

Il problema del doppio premio ai partiti

Nell'ultima puntata abbiamo parlato del sorteggio come alternativa alle elezioni.

https://podcasters.spotify.com/pod/show/basse-aspettative/episodes/13--Una-cura-radicale-per-la-democrazia-e2kv2k3

Tra le varie cose, abbiamo citato uno studio di alcuni ricercatori italiani che proponevano di andare a votare, ma con l'opzione – in alternativa di dare il voto a uno dei partiti – di iscriversi ad una lista da cui verrebbero estratti a sorte cittadini per “completare” il parlamento, a rotazione, per una singola proposta di legge.

Durante la registrazione abbiamo espresso alcune perplessità (che rimangono) e abbiamo citato un altro ricercatore che avrebbe assegnato semplicemente la percentuale corrispondente agli astenuti a dei cittadini sorteggiati a caso tra tutta la popolazione.

Riflettendoci, però, pare evidente che in questa situazione i partiti potrebbero contare sia sui parlamentari eletti con le elezioni normali, sia su quelli sorteggiati che magari hanno votato (o simpatizzano) per quello stesso partito, di fatto raddoppiando i loro rappresentanti ed erodendo i posti messi a disposizione di persone che, invece, non si sarebbero allineate con nessun partito e che già oggi non sarebbero rappresentate.

 
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from Pensieri di Pollo

Già, ci sono cascato: ho comprato una retro-console portatile. Per i meno esperti, si tratta di macchinetta macina-emulatori in grado di far girare qualsiasi gioco uscito fino alla PS1. Certo, qualunque telefono può fare lo stesso e anche di più, ma portarsi in tasca un dispositivo dedicato e dotato di tasti fisici, fidatevi, è tutta un'altra vita.

Come è ovvio, con milioni di giochi virtualmente a mia disposizione, la mia scelta è andata sulla seconda generazione di Pokémon. D'altro canto sono esattamente quel tipo di persona che ordina sempre gli stessi precisi ingredienti sul Poké e, si sa, da Poké a Pokémon il passo è breve (questa me la dovete passare).

Non avevo però messo in conto una cosa: siamo nel 2024 e di generazioni di giochi Pokémon, anche escludendo i vari remake, ne sono passate sette dai tempi di Oro/Argento/Cristallo.

Sette generazioni, quasi un quarto di secolo e tante innovazioni e migliorie che non hanno risparmiato una serie pur notoriamente fin troppo tradizionalista. Dunque, facciamo insieme questo gioco: quali sono i pro e i contro di giocare Pokémon Cristallo a trent'anni suonati e a quasi venticinque anni dalla sua uscita?

CONTRO:

  1. È tutto estremamente lento. Io sinceramente non ricordavo che tutto, dal movimento del personaggio alle animazioni dei combattimenti fosse così tedioso e così poco scattante. Per fortuna l'emulazione consente di accelerare il gioco nella sua totalità, andando però a sacrificare una delle cose più belle dei vecchi titoli Pokémon: la colonna sonora. Accelerare il gioco significa infatti accelerare anche la musica, che diventa una cacofonia in stile nightcore decisamente insostenibile. Un compromesso di cui in parte mi pento perché non mi ha consentito di rivivere appieno quelle sensazioni, obbligandomi a giocare a volume spento. Ma, fidatevi, credo sia impossibile oggi giocare a Pokémon Cristallo senza accelerare il tutto, e non c'è Bicicletta che tenga.

  2. Il sistema dei box. Forse non ve lo ricordate, ma fino alle generazioni Pokémon del GBA la gestione dei Box era un inferno. Per depositare dei Pokémon al PC di Bill occorreva infatti assicurarsi che ci fossero slot liberi nel Box. In caso contrario, era necessario SALVARE IL GIOCO (non sto scherzando) e muoversi tra gli altri box liberamente. Non finisce qui: immaginate di essere in giro per Johto e di catturare un Pokémon. Alla fine della battaglia, Bill ti telefona e ti dice “ehi, hai finito lo spazio! Vieni al centro Pokémon e cambia Box o non potrai più catturare altri Pokémon!”. Ecco immaginate di essere in mezzo all'erba alta e di non avere a disposizione un Pokémon con la MN Volo (su questo torno fra poco). Ecco, adesso immaginate di camminare verso il centro Pokémon più vicino e di vedervi comparire un fierissimo Entei selvatico e di non potergli tirare una ball perché il Box è pieno. Bene signore e signori, vi ho appena raccontato uno dei primi ricordi traumatici della mia infanzia, riemerso non appena ho premuto il pulsante “Cambia Box” nel corso di questa nuova partita.

  3. Lo zaino. Fino all'epoca GBA lo zaino non aveva slot infiniti per gli oggetti, ma era anzi molto, molto limitato. Capita quindi già a metà avventura di trovarselo pieno di bacche e ghicocche, di arrivare davanti a uno strumento casuale trovato per terra e di ricevere il messaggio “ehi, lascialo qui, il tuo zaino e pieno”. Quindi, come per i box, dover tornare al centro Pokémon, depositare un po' di monnezza nel PC e tornare a piedi fino allo strumento selvatico per raccoglierlo. Lo senti il fastidio?

  4. Le MN. A me pare folle che fino al 2016(!) i giochi Pokémon basavano la meccanica esplorativa sulle MN, mosse Pokémon utilizzabili fuori dalla battaglia per interagire con l'ambiente e sbloccare nuove zone, un po' come accade nei metroidvania o negli Zelda a due dimensioni. Qual è il problema? Forse non vi ricordate che queste mosse dovevano essere insegnate ad un Pokémon, che tale Pokémon doveva essere in squadra al momento dell'utilizzo della MN e che questo tipo di mosse non sono dimenticabili se non passando da un tizio specifico a Ebanopoli. Quindi cosa succede? Anche ai tempi c'erano due scuole di pensiero: o ti portavi dietro il Rattata e il Goldeen al livello 2 di turno, a cui insegnare più MN possibili (inermi creature sacrificali conosciuti già ai tempi come poveri MN Slave), o correvi avanti e indietro ogni volta dai Centri Pokémon per depositare e ritirare il Pokémon con la MN necessaria per tagliare un alberello o spostare un sasso. Se la prima scelta sacrifica uno o due slot su sei della squadra Pokémon, la seconda è semplicemente una grandissima e fastidiosissima perdita di tempo. A voi la scelta.

  5. Le MT. Già anche le Macchine Tecniche ai tempi antichi avevano i loro problemi: erano monouso. Qua potremmo discutere che fosse una scelta di design, ma ancora non so se pentirmi o meno di aver insegnato Rotolamento a Togetic quando adesso in squadra ho deciso di mettere un Sudowoodo.

  6. Non esisteva la distinzione tra mosse fisiche e speciali. O meglio, non esisteva la distinzione come la conosciamo dal GBA in poi. Banalmente, alcuni tipi di mossa, tipo il Lotta, erano fisiche ed altri, tipo lo Psico, erano speciali. Io non sono mai stato infognato con il gioco competitivo, tutt'ora dimentico costantemente gli schemi di debolezze e resistenze, ma questa logica rivista dopo venti anni mi ha fatto esplodere il cervello.

  7. Quando un Pokémon sale di livello e cerca di imparare una nuova mossa, non c'è alcun modo di capirne gli effetti. Il gioco ti fornisce solo il nome, chiedendoti al volo quale mossa far eventualmente dimenticare. Ora, io credo che il mio cervello sia occupato al 65% da informazioni sui giochi Pokémon (e il restante equamente diviso tra la sceneggiatura completa delle Follie dell'Imperatore, le puntate delle prime venti stagioni dei Simpson e le descrizioni delle carte tarocche di Yu-Gi-Oh tipo Drego dell'Ala), ma ammetto che certe volte avrei voluto un piccolo aiuto perché sinceramente non ricordo quale mossa sia più potente o precisa tra Ventogelato e Raggioaurora.

PRO

Sì, non ci sono solo cose negative nel rigiocare alla seconda generazione nel 2024

  1. La pixel art. Sarà un parere soggettivo, ma tutto, dagli sprite dei Pokémon al mondo di gioco è più caratteristico, più stimolante, più, banalmente, bello in pixel art. Io ancora non ho digerito la svolta 3D della serie Pokémon, anche perché i risultati dal punto di vista tecnico parlano da soli. Sono infatti tra la schiera di persone che vorrebbero tanto un ritorno alle origini dal punto di vista grafico, un nuovo capitolo in pixel art, magari sfruttando le possibilità della tecnologia HD-2D vista ad esempio in Octopath Traveler. Però fidatevi, dal punto di vista stilistico i vecchi giochi mangiano ancora in testa ai nuovi, e non credo che siano solo le lenti della nostalgia a parlare.

  2. L'esplorazione. Una volta non c'era una cutscene ogni dieci passi. Non c'erano dialoghi non skippabili a ripetizione. «Questo è il tuo Cyndaquil, tante care cose ciaooo». Il gioco era comunque fattibilissimo con i pochi dialoghi messi a disposizione, non capitava mai di non sapere dove andare e cosa fare, ma neanche di essere presi per mano ai limiti del tutorial continuo. La magia dell'esplorazione, il sense of wonder, l'eccitazione per una nuova scoperta stava tutto lì, nell'interpretare qualche indizio sentito qua e là e sbloccare qualcosa di unico nel gioco. Un gameplay che, tra le altre cose, snellito di dialoghi e cutscene, fila via liscio come l'olio...al netto dei contro menzionati prima, ovvio!

  3. La mancanza di extra. Ok, lo ammetto, questa è un'opinione fortemente personale, ma per me il fulcro dei giochi Pokémon è: macinare avversari e catturare bestie. Stop. Il resto è orpello. Quindi ben vengano il campeggio con i Pokémon, pettinare i Pokémon, ma anche andando più indietro le basi segrete, le gare Pokémon, il sottosuolo: ho sempre avuto la sensazione che, semplicemente, rompessero il ritmo. Però ehi, almeno sono tutti elementi completamente ignorabili, ma avete idea di cosa significhi convivere con le mamie di completismo e delle modalità extra completamente ignorate? Già mi sembra eccessiva la presenza del casinò di Fiordoropoli...

  4. Gli incontri casuali. Se quella di prima era un'opinione fortemente personale, quest'ultima è un'opinione fortemente controversa. Gli incontri casuali sono all'unanimità riconosciuti come il Male nei giochi di ruolo. Ad apprezzarli rimaniamo credo io e i fan più sfegatati di Dragon Quest. Eppure vi dirò: provate a entrare nell'erba alta e ad aspettare che termini l'animazione dell'incontro casuale per capire se avete beccato un Pidgey oppure qualche bestia più succosa. Ecco, quella amiche ed amici, si chiama dopamina, e se non associata alla ludopatia o ad altre deleterie dipendenze legate proprio a questo meccanismo, beh, è una bella sensazione. Sensazione assolutamente non replicabile se il Pokémon te lo vedi scorrazzare davanti e puoi decidere se andargli o meno incontro, come accade nei nuovi giochi. “Vabbè ma così ti ritrovi con uno Zubat addosso ogni due passi!”. Vero, ma il Repellente è sempre tuo amico.

Bene, mi sembra di aver detto tutto, adesso vado a sconfiggere Misty. Ah già, forse non ve lo ricordate, ma la seconda generazione ha il plot twist più incredibile di tutta la serie, nonché uno dei motivi per cui ad oggi è la mia preferita: dopo Johto puoi visitare tutta Kanto. Double the fun!

 
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from Pensieri di Pollo

Ho finalmente recuperato l'ultima incarnazione nipponica della lucertola gigante, Godzilla Minus One. Faccio una premessa importante: non ho mai assolutamente avuto tempo né voglia di spararmi le dozzine di lungometraggi giapponesi usciti dal dopoguerra ad oggi, ma mi piace comunque definirmi un appassionato di Godzilla e potrei passare ore a parlare delle forti metafore che porta avanti da settanta e passa anni.

Morte, ineluttabilità del destino, guerra, bomba nucleare, divinità insensibile, terrore puro, vendetta della Terra: sono solo alcuni dei simboli che si celano dietro le scaglie di Godzilla. Tutto sembrava essere stato già raccontato sul re dei kaiju, eppure in Godzilla Minus One succede una magia: si tifa per l'umanità.

Esatto, inutile negarlo: esiste qualcuno che nei film di mostri giganti tifa per le persone? Sinceramente non ne conosco. C'è un fatto però che esalta questa presa di posizione: laddove la messa in scena è concentrata su bestioni che schiacciano tutto e si menano tra loro, va per foza di cose a morire la scrittura di trama e personaggi; tutte cose che, sinceramente, non mi era mai interessata in film del genere e anzi, se presenti, risultano forzate e noiose (vedi alla voce Monsterverse), futili orpelli che spezzano il ritmo e la piacevolezza di bestiali mazzate senza logica, unico vero motivo per cui bruciarsi retine e neuroni dietro ai film meno raffinati della storia del cinema.

La magia di Godzilla Minus One è invece proprio quella di raccontare una storia, una storia in cui Godzilla c'è, si vede e si sente, con un bagaglio di potenza e ferocia che trasmette un senso di terrore puro. Però è una storia in cui ci sono anche le persone. Non carne da macello, non fastidiosi espertoni, soldati, tuttologi o quant'altro serva ad allungare il brodo e giustificare la sezione cast sulla pagina di Wikipedia. Persone disperate, traumatizzate da una guerra, la seconda mondiale, appena conclusa nel peggiore dei modi, addolorate da lutti, sensi di colpa, paura.

Ecco quindi l'empatia, questa (fin'ora) sconosciuta. Quella che ci fa tifare quasi sempre per chi con tracotanza cerca di sconfiggere gli dei, sfidando la sorte e il buon senso. Per chi lotta per la vita in un contesto in cui la vita stessa si scopre essere una cosa piccola e fragile, eppure così preziosa per i legami che si porta dietro e per chi quegli dei, alla fine, li sconfigge davvero.

Godzilla Minus One è la prova visiva che una scrittura solida, dei personaggi profondi e un mostro alto come una montagna possono convivere nello stesso film, e che, anzi, questa convivenza regala una sorta di dignità ad un genere, spesso anche giustamente, così bistrattato. Il tutto non rinunciando a trovate esagerate e fuori di testa come dinosauri che sputano raggi termici e trappole sottomarine ai limiti dei corti di Tom e Jerry.

La magia del cinema, signore e signori.

 
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from Testudo Blues

Cliccate qui per un mini-riassunto delle puntate precedenti

“Ehi, chi diavolo hai chiamato Biancaneve?” “Scusami, Bronco, stavo raccontando di te ai miei seguaci e...” “E hai deciso di darmi un nome da ragazza.” “Per proteggere la tua identità e non coinvolgerti in questo casino. Non volevo offenderti” “Non mi sono offeso. Anzi, sai che ti dico? Biancaneve mi piace. Quando mi deciderò a rinnovare il mio ufficio, mi farò fare una bella targa: Agenzia Investigativa Biancaneve.” “Sembra un ottimo posto per rimediare un po' di coca.” “Smettila di fare l'idiota e rimetti in moto il tuo rottame. Dobbiamo trovare il tuo socio in affari.” “Ex socio.”

Chiedo scusa, mascalzoni e sicofanti di Testudo, per avervi tenuto sulle spine. Quella che avete sentito è la voce del detective Biancaneve, dal vivo sulla mia radio. Anche se ormai è inutile nascondere la sua vera identità. Puntando la sua SIG Mosquito contro il buttafuori del Ranucci Jazz Club per salvarmi la vita, il mio amico Bronco (questo è il suo vero nome) ha deciso di sua spontanea volontà che era ora di dire addio all'anonimato.

Dunque, dove eravamo rimasti?

il detective prende la parola, intervenendo con la sua voce profonda

“E adesso portaci dal capo,” ho ordinato all'uomo-bufalo, appoggiando il dito sul cane della pistola per aumentare l'effetto drammatico.

Vedendosi minacciato da un'arma molto più grossa e pericolosa del giocattolino impugnato dal mio amico Danny, il buttafuori abbassa la testa, ruota sui tacchi e ci conduce attraverso una serie di porte di servizio, fino a un lungo corridoio fiancheggiato da foto di cantanti jazz dentro enormi cornici dorate.

“Posso chiamare i soccorsi per mio fratello? Sta perdendo sangue.”

“Li chiamerai più tardi,” rispondo io. “E che vi serva da lezione. Se non aveste cercato di fregarci, a quest'ora il tuo fratellino sarebbe ancora in ottima salute.”

“A parte l'asma,” ribatte il buttafuori, pentendosi immediatamente di aver aperto bocca,

“Adesso fai anche lo spiritoso? Forse dovrei sforacchiare anche te, per far uscire tutto questo sarcasmo dal tuo corpo.”

La porta in fondo al corridoio è circondata da un telaio d'oro massiccio e ha un batacchio a forma di testa di leone. “L'ufficio di Ranucci,” dice l'uomo-bufalo, indicando la porta con un cenno della testa.

A quel punto il mio amico Danny Catenaccio gli affonda la snub-nose nella schiena e gli dice: “Annunciaci.”

Accidenti, scusami, ti sto rubando la scena. Vuoi proseguire tu?

Beh, il tizio entra nell'ufficio e biascica qualcosa al suo capo. “Ci sono due tizi. Chiedono di lei. Hanno dei soldi che le appartengono.” Quindi spalanca la porta e ci invita a entrare. “Prego. Il signor Ranucci è disposto a ricevervi.”

Beh, per farla breve, Catenaccio gli sbatte la valigetta sulla scrivania e fa scattare il meccanismo, facendo comparire di fronte ai suoi avidi occhi l'eterea visione di un milione di corazze.

*Eterea? Vacci piano Bronco, non essere retorico. I miei ascoltatori odiano questa robaccia.”

E sapete cosa ci dice Ranucci?

Roba da rimanerci secchi, sul serio.

Il signor Ranucci si massaggia la fronte grassoccia, poi scuote la testa, sbadiglia sonoramente davanti alle corazze fruscianti e poi dice: “Quindi sei stato tu a rubarli? Che razza di idiota, Catenaccio. Quei soldi erano tuoi. Non avevo mai visto nessuno rubare il proprio denaro.”

 
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from Kenobit

ARRIVANO I SOCIALINI

Questo post è copiato dalla Settimana Sovversiva, la mia newsletter. Lo pubblico anche qui per diffonderlo più comodamente sul Fediverso.

Oggi lanciamo un progetto al quale tengo moltissimo, frutto di mesi di pensieri e lavoro. Parlo al plurale perché siamo un collettivo, nato con la consapevolezza che l’obiettivo è ambizioso e lo raggiungeremo solo lottando insieme, come gruppo, e che dobbiamo strutturarci in modo che chiunque possa decidere di unirsi a noi. Ma non divaghiamo.

Vi presento Socialini.it.

logo socialini

Il progetto dei Socialini nasce da una domanda scomoda. Come facciamo a preparare le nuove generazioni alla vita su Internet? Che opzioni ci sono se abbiamo un figlio o una figlia di 6 anni? Allo stato attuale, ci troviamo davanti a una scelta che mi sembra perdente a prescindere.

Possiamo:

  • Darlǝ accesso subito accesso a Internet. Per quanto possiamo impegnarci e cercare di essere presenti, non avremo mai modo di proteggerlǝ dai meccanismi predatori delle grandi piattaforme, ai quali lǝ bambinǝ sono ancor più vulnerabili, e dagli altri ovvi pericoli derivanti dalla presenza di sconociuti e contenuti problematici;
  • Non darlǝ accesso a Internet e aspettare che sia più grande. Stiamo solo rinviando il problema, per giunta a un momento dell’esistenza in cui siamo particolarmente fragili. Se aspettiamo i 12 anni, per dirne una, arriverà sui social completamente privǝ degli strumenti per difendersi, magari in un momento cruciale della ricerca della sua identità, nel quale la cultura dell’immagine di Instagram e affini può arrecare danni devastanti. Ricordiamo che su TikTok sono stati proposti allǝ adolescenti account che promuovono l’uso dell’Ozempic, un farmaco antidiabete, come strumento per dimagrire. Metà del business dei social commerciali è dirci che siamo sbagliatǝ per poi venderci la soluzione sotto forma di prodotto.

La situazione, purtroppo, è chiara. La scuola non prepara alla vita su Internet. Non ne racconta la storia, i meccanismi e i pericoli. Di fatto, non ci insegna a gestire una parte gigantesca delle nostre vite. Scherzosamente, dico sempre che è un po’ come se non ci insegnasse l’algebra.

Lo stato ha fallito. La scuola è piena di insegnanti che fanno un lavoro cruciale, forse il più importante di tutta la società, ma non hanno gli strumenti e le risorse per avviare un percorso didattico sulla rete. Tutto è delegato alle famiglie, che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno le competenze necessarie per insegnare la consapevolezza dei mezzi informatici. E, sottolineo, non ne hanno colpa.

Cosa succede quando lo stato lascia un vuoto problematico e non soddisfa un’esigenza chiave del popolo? Si materializza una grande occasione di organizzarsi dal basso e di mettere in atto le pratiche del mutuo soccorso, riaffermandone il valore e la necessità. Possiamo avere un ruolo attivo, riprenderci un po’ di potere e ridistribuirlo in maniera orizzontale.

Ed ecco, quindi, che nascono i Socialini. Cosa sono?

Un Socialino è un server Mastodon, un piccolo social network con tutte le funzioni del caso: condivisione di foto, frasi, link. Fa parte del Fediverso, ma in un modo speciale. Parliamo sempre di Fediverso per la sua possibilità di unire tutto il mondo online in una grande federazione, ma quasi mai di come possa fare l’opposto: creare un’isola indipendente, completamente separata dal resto di Internet. Sicura, privata, protetta.

Il Socialino, dunque, è un social network giocattolo, per imparare a vivere e conoscere Internet, ma in un contesto realmente sicuro, dove i meccanismi tossici dei social commerciali non possono attecchire.

Il Socialino è il vostro social di famiglia e ha una tripla funzione pedagogica.

  • Per i genitori. I genitori riceveranno da noi le chiavi del loro server e una breve spiegazione su come usarlo. Saranno lǝ admin, di fatto. La gestione di un Socialino è semplicissima e non richiede competenze informatiche avanzate, ma al tempo stesso vi permetterà di capire perfettamente i meccanismi della Federazione e di Internet. Vi restituirà la complessità di cui Meta e soci vi hanno privato;
  • Per lǝ bambinǝ. Il gioco è il nostro strumento per capire il mondo e imparare a vivere. È normale che lǝ bambinǝ, crescendo in un mondo così connesso, vogliano giocare a condividere i loro pensieri o i loro disegni su Internet. Nel Socialino di famiglia potranno farlo in totale sicurezza, perché sul server saranno presenti solo i genitori ed eventuali amici di famiglia (chiunque venga approvato dallǝ admin, ossia i genitori). Giocando, potranno capire i meccanismi di Internet, ma su una piattaforma che non è progettata per rubare il loro tempo e la loro attenzione;
  • Per la terza età. Anche nonne e nonni hanno bisogno di sviluppare un rapporto più consapevole con la tecnologia. Facebook è un letamaio che lǝ espone a truffe e contenuti avvilenti (ultimamente generati in gran parte dall’IA), del resto. Nel Socialino di famiglia potranno interagire con lǝ nipoti, commentare, raccontare, il tutto usando software libero e imparando a usare uno strumento che non è progettato per turlupinarlǝ.

Abbiamo già fatto dei primi test con un paio di famiglie e possiamo dire che il concept funziona. Ora, dunque, siamo prontǝ a partire con la prima fase ufficiale del progetto: trovare 10 famiglie che vogliono un Socialino, per stringere i bulloni del progetto e rodarlo su scala più ampia. L’idea è di definire le pratiche, scrivere guide e documenti e attirare altrǝ alleatǝ, su tutti i fronti, per poter in futuro creare altri 10, 100, 1000 Socialini.

Se vorreste essere una di quelle 10 famiglie, scrivete a ciao@socialini.it e diteci in due righe chi siete e perché vi farebbe piacere partecipare. In questa fase, per motivi prettamente numerici, dovremo fare una selezione, nella quale cercheremo di privilegiare la varietà, alla ricerca delle tante forme diverse che una famiglia può assumere.

Il progetto è totalmente no profit e lo sarà sempre. Socialini non è un business, ma un progetto di mutuo soccorso volto alla creazione di saperi e competenze digitali per il presente e il futuro. Ogni Socialino ha un costo di mantenimento di circa 3 euro al mese, che in questa fase assorbiremo noi (o ci finanzieremo con un concerto o un giro di donazioni). Tutto il lavoro svolto è volontario e gratuito. Un domani, quando il progetto sarà avviato, l’unico costo per le famiglie sarà quello mensile del server, che puntiamo a ridurre ulteriormente, magari trovando uno spazio per tenere delle macchine. Ma non bruciamo le tappe...

Parte del progetto sarà anche la Piazzetta, un’istanza Mastodon a parte dove raccoglieremo contenuti fidati, sempre open e senza pubblicità, per chi vorrà del materiale per arricchire il suo Socialino. Ne parleremo nel dettaglio nei mesi a venire.

Sono sinceramente emozionato di svelare questo progetto. Ci abbiamo messo il cuore (io, FDA, Morloi e Kzk) e qualcosa mi dice che questa idea bizzarra potrà realmente cambiare qualcosa in positivo. Ho tanta voglia di parlarne e di confrontarmi, quindi non esitate a scrivermi, rispondendo al nostro piccione viaggiatore.

Riprendiamoci Internet.

 
Continua...

from La cantina dell'appartamento al terzo piano (senza ascensore)

Spotify è incredibilmente comodo: tra i vari servizi di streaming musicali provati è probabilmente quello che più si avvicina a ciò di cui ho bisogno (e lo dice una persona che al tempo pagava Google Music per riempirsi le orecchie di canzoni). Nel tempo però sono diventato sempre più allergico a diversi aspetti legati a questo servizio:

L'alternativa che fa al caso mio? Navidrome. Un software Open Source con supporto alle Subsonic API (permettendo l'utilizzo da diversi client, tra le altre cose).

Vediamo come tirarlo in piedi in cinque minuti e come iniziare a caricare la nostra musica lì sopra. Sì, anche quella che abbiamo su Spotify. Sì, anche le Playlist invece delle canzoni singole.

Installare (e gestire) Navidrome

Per una volta ho voluto mettere da parte la mia voglia di smanettamento cercando di comprendere se per una persona “non troppo nerd” sia possibile abbracciare questa soluzione. Fortunatamente le meravigliose creature di PikaPods ci vengono incontro e in dieci minuti possiamo tirare in piedi un'istanza Navidrome senza alcuna rogna (o necessità di gestire le cose in prima persona).

I passaggi di base sono davvero banali:

  • mi registro (e ho anche cinque dollari di credito gratuito) qui

  • scelgo il pod Navidrome e imposto le seguenti risorse (2CPU, 2GB di RAM, 50GB di storage):

  • se voglio posso configurare le variabili (tab “ENV VARS”) per prendere da LastFM e Spotify artwork e informazioni su canzoni, album e artist3 – qui la guida passo passo

  • segnatevi il dominio (DOMAIN) e modificatelo a piacere: sarà l'indirizzo con cui accederemo a Navidrome

E... fatto. No, non sto scherzando: è già finito. Andando al dominio che vi siete segnati nell'ultimo punto vedrete la vostra installazione di Navidrome: create username e password e avete il vostro Spotify fatto in casa come le cose buone delle nonne 🔥 Niente altro da configurare (se non eventuali altre utenze) e niente da mantenere (ci pensa PikaPods).

Volendo (ma non è minimamente necessario) è possibile configurare le variabili per personalizzare la vostra istanza, trovate tutto qui. Siamo a post— ah, già, manca ancora la musica!

Caricare la propria musica

A questo punto ci troviamo davanti a due situazioni: chi si è già fatto un backup della propria musica in .mp3 (chessò, “rippando” – mamma mia che termine arcaico – i propri CD) e chi invece ad esempio ha della musica in vinile e non ha possibilità di estrarla per caricare il tutto nella libreria personale. Partiamo dal primo caso, il secondo è un filo meno legale (ma ve lo mostro comunque).

Per caricare i nostri .mp3 su Navidrome dobbiamo prima di tutto procurarci un client FTP e configurarlo. Niente panico: è semplicemente un programmino per trasferire i dati dal nostro PC al nostro server, vediamo come fare. A me piace particolarmente Cyberduck, disponibile sia in versione gratuita che a pagamento (a noi basta quella gratuita scaricabile da qui: https://cyberduck.io/download/) quindi userò quello come esempio su come procedere.

  • scarichiamo il programma e installiamolo

  • mentre il programma si sta installando torniamo su PikaPods e segnamoci le impostazioni di connessione: si trovano sotto Pod Settings (la rotellina) > File:

  • apriamo Cyberduck e clicchiamo su “Nuova connessione”

  • dal menù a tendina scegliamo SFTP (e magicamente la porta cambierà da 21 a 22) e inseriamo i parametri per la connessione

  • clicchiamo su “Connessione” e confermiamo nel popup che appare

  • a questo punto vedremo due cartelle: data e music. Apriamo music con un doppio click e trasciniamo lì dentro la nostra musica (meglio se già organizzata in artisti e album).

Fatto! Diamo a Navidrome un attimo per indicizzare tutta la musica e in pochi minuti ci troveremo le canzoni nella nostra libreria. Ah, giusto, già che ci siamo: si può usare Navidrome dall'interfaccia web oppure utilizzare una delle tante applicazioni che supportano le Subsonic API. Qui una lista: https://www.navidrome.org/docs/overview/#apps

Spotify casalingo: fatto ✔️

Recuperare la propria musica

Okay, ora arriviamo al punto più delicato della questione. Può capitare che non abbiate modo di trasformare in .mp3 la vostra musica o i brani che avete già comprato. Eviterò di farvi la predica sul fatto di acquistare la musica che ascoltate per supportare chi l'ha creata: davvero, è importante e nulla di quanto segue andrebbe eseguito se non si possiedono già i brani in altri formati (e lo dico da persona che crede che le leggi relative al diritto d'autore andrebbe riviste, aggiornate e corrette).

Ma basta premesse, al volo.

  • scaricatevi OnTheSpot (mi raccomando la versione _ffm)

  • avviate il programma (non va installato) e andate nella tab “Configuration”

  • inserite nome utente e password di Spotify (anche un account gratuito) e cliccate su “Add account” (in fondo alla pagina)

  • non cambiate altro se non il percorso dove viene scaricata la musica

  • nella tab “OnTheSpot Search” è ora possibile inserire il nome di una canzone, di un artista, l'URL di una Playlist (o qualunque URL di Spotify) per permettervi di scaricare il brano scelto (o la serie di brani dentro la Playlist, ad esempio)

A posto: potete vedere i progressi nella tab “Progress”, ma davvero non c'è molto altro da fare con questa applicazione. Godetevi gli .mp3 delle canzoni che possedete già e caricate poi il tutto su Navidrome.

Considerazioni finali

Sto usando Navidrome da una settimana circa e le uniche cose che ho trovato fastidiose sono state:

  • ricostruirmi le playlist (perché Spotify è stronzo e non te le fa esportare se non con tool esterni) SOLUZIONE: nessuna, se non che sto sfruttando questa cosa a mio vantaggio per rivedere un po' le playlist (con molta soddisfazione vi dirò)

  • il buffering delle canzoni nella riproduzione casuale in contesti con poca rete internet SOLUZIONE 1: nell'applicazione che uso c'è la possibilità di far pre-caricare le successive canzoni di una playlist, spettacolo SOLUZIONE 2: è possibile scaricare un'intera playlist per l'uso offline, se so che avrò poca rete scarico e sono a bolla

Se avete intenzione di provarvi a lanciare in cose simili e trovate difficoltà (o avete suggerimenti da darmi) mi trovate come al solito sul Fediverso: @ed@livellosegreto.it

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Continua...

from Oliviabenson2

I privilegi di chi non vota (opinione personale)

Scrivo questo pezzo per log consapevole di aver creato un titolo controverso, quasi clickbait, come che l’opinione inserita all’interno di queste parole va contro quello che è il pensiero di molte persone all’interno della community. Vi dico però subito che non sono qui per proporvi un candidato X (anche se unƏ ci sarebbe, ma ne parlerò con un toot solo dopo aver pubblicato questo pezzo), nè per chiedervi di dare fiducia a un sistema in cui avete i vostri motivi per non credere. Vorrei però suscitare in voi una forma di riflessione e, nel caso, suggerirvi come rendere attivi i vostri non voti. Nel corso della vostra lettura, non leggerete nomi politici. Inoltre, poiché ho inserito nel titolo la parola “privilegi”, mi sembra giusto elencarne quelli che penso siano due che possiedo: il primo è l’essere stata per quasi tre anni scrutatrice di seggio, in un periodo in cui le elezioni erano molto frequenti (da fine 2015 a inizio 2018); lavorare lì mi ha aiutato a capire tante cose sul voto e sulle false credenze che girano attorno allo stesso; ho avuto inoltre la fortuna, durante i miei turni, di avere un presidente di seggio molto molto bravo, sia nell’eseguire il lavoro e spiegare le regole, sia nell’aiutare noi scrutatori a sopportare le nottate. Il secondo privilegio, non banale poiché giustifica in qualche modo questo pezzo è il fatto che ho una persona per cui votare nelle elezioni europee che si svolgeranno questo weekend, nei giorni 8 e 9 giugno 2024, insieme con diverse elezioni comunali e una regionale (quella del Piemonte). La candidata che voglio appoggiare è una persona di fiducia, da anni interna alla politica, che ha dedicato le sue battaglie alla causa dell’handicap. Se oggi nel mio municipio molti portatori di handicap hanno dei buoni servizi, lo si deve proprio a questa signora. Chi conosce la mia situazione personale, può capire perché voterò per lei. Mi trovo quindi ad avere un vantaggio notevole rispetto a tanti elettori: ho qualcuno che so essere capace e veritiero nel suo lavoro da votare e conosco abbastanza le regole da non cadere vittima delle fake news, una su tutte quella che vedrebbe i voti in bianco buttati nel cassonetto. Allora perché parlo del privilegio di chi non vota? E perché secondo me, anche per non votare, sarebbe importante recarsi in cabina elettorale? Partiamo dal principio: il sistema elettorale, che varia da paese a paese e la cui legislazione è soggetta a cambiamenti continui, è il sistema con cui, attraverso l’espressione segreta di un voto, viene data a tutti i cittadini di una certa età (a noi donne è arrivata questa possibilità con un decreto legislativo del 1945, mentre per votare il senato bisogna ancora compiere 25 anni) di scegliere i loro rappresentanti nei palazzi del potere. Questo sistema, che è il primo a cui si pensa quando si nomina la “democrazia”, non è perfetto. Anzi, ha molti problemi: brogli e compravendite di voti sono sfortunatamente altamente possibili. Per il primo, una soluzione che si è trovata, è proprio nell’assunzione degli scrutatori: non devono essere iscritti ad alcun partito né avere condanne penali o civili pendenti; vengono spesso cambiati e a volte convocati solo il giorno prima da una figura giudiziaria (nel mio caso mi è venuto a citofonare un vigile); hanno l’obbligo di restare chiusi all’interno dei seggi finchè tutti i verbali non sono stati firmati e controfirmati, mentre i carabinieri pattugliano i corridoi; e se una scheda, UNA, anche di quelle che non sono state utilizzate per votare (perché vengono sempre consegnate almeno un terzo in più delle schede necessarie) dovesse non risultare nel conteggio finale, il seggio viene posto sotto sequestro e tutti gli scrutatori presenti rischiano una denuncia penale. Nella mia “carriera” ho assistito a uno di questi sequestri, quando gli scrutatori, tutti giovanissimi, hanno abbandonato il seggio lasciando le schede sparse in giro. Non so come siano andata la procedura ma è stato comunque meno interessante di quando due rappresentanti di lista (figure più piantonate di noi) hanno cercato di menarsi. Posso comunque dirvi che oggigiorno i brogli sono fortunatamente più difficili di un tempo, e qualora succedessero, sarebbero in realtà abbastanza facili da beccare. Diversa è la questione del voto di scambio, o compravendita di voto che dir si voglia. Questo tipo di problema affligge molto di più gli Stati Uniti, dove è il candidato con più fondi a riuscire meglio nella sua campagna elettorale. Ma in questo caso, l’antidoto potrebbe essere proprio la non astensione: i soldi non sono infiniti, non sono per tutti. Si può corrompere un numero limitato di persone. Sia chiaro: il voto non garantisce in assoluto la non vittoria del corruttore. Ma anche la presenza di un’opposizione rafforzata, per quanto minoritaria, all’interno del palazzo occupato dal vincitore scorretto, può aiutare nel contenimento dei danni che lo stesso può causare. I due problemi illustrati sono i più famosi, ovviamente ce ne sono molti altri. Il voto non deve essere l’unica espressione democratica, né deve essere visto come la soluzione di tutti i problemi; rimane tuttavia uno strumento da non sottovalutare. La situazione in cui il nostro paese versa attualmente, con una maggioranza eletta con un alto tasso di astensione, sia degli italiani in patria sia di quelli all’estero, ne è la prova.

“Non sono d’accordo, e comunque ancora non capisco come fai a dire che ci non vota è privilegiato!”

Come già detto, era un titolo provocatorio, ma proverò a spiegarti tutto partendo dalla mia situazione: sono tra le persone che non possono permettersi di non votare. La realtà familiare in cui vivo, dove l’handicap è parte della nostra quotidianità, mi permette di cogliere e vedere le differenze tra un governo e l’altro, che per una persona normale passano inosservate. Puoi fare tutto l’attivismo che vuoi (e te ne sono tanto grata), ma certe cose puoi percepirle solo quando sei immerso nella situazione, qualunque essa sia. Un cambio di seggio nel municipio ed ecco che il locale affittato per i laboratori dei sordociechi viene chiuso. Un cambio in regione ed ecco che le gite culturali per l’associazione dei ragazzi autistici vengono ridotte da cinque a due. Un nuovo governo e all’improvviso la sedia a rotelle non la puoi più chiedere gratuita alla ASL… E chissà quante altre situazioni ci sono, che anche gli “attivisti” e io sottoscritta ignoriamo beatamente; chissà quante realtà vengono colpite. Ma non perché siamo cattivi, o stupidi, o poco attenti. Ma solo perché certi panni sono impossibili da indossare anche nella finzione, anche con l’empatia. Per me, un voto fa la differenza. Eccome. E credo sia una cosa che sempre più persone stiano percependo (abbiamo avuto bisogno di questo governo per capirlo), perché tutti gli attivisti, gruppi o singoli, che seguo stanno iniziando a manifestare e condividere questa necessità di una votazione. Chi invece è più protetto, questa necessità non può sentirla. Non può vedere le differenze.

“Non sarò portatore di handicap, ma non mi sento certo un privilegiato!”

Probabilmente non lo sei su tanti fronti. Il pericolo di parlare del privilegio come concetto è proprio questo: quale è veramente un privilegio? Allora proviamo a lasciare il concetto di “privilegio” da parte e parlare del perché non si vota. Sicuramente non è perché l’ha chiesto il Papa. Perché sì, il Papa al momento dell’unità d’Italia, quando iniziarono le prime elezioni a suffragio limitato, invitò i cattolici al “non expedit”, ovvero al non esprimere un parere, poiché egli non riconosceva il Regno d’Italia come tale. Eppure è evidente che c’è una forma di non riconoscimento e soprattutto di mancanza di fiducia, e non è biasimabile: in questo mondo sono poche le persone, i partiti, le realtà istituzionali di qualsiasi tipo che sono degne di fiducia. Il sistema non ha costruito il mondo che ci era stato promesso e quindi ora non vogliamo più riconoscerlo. È umano, non è nulla di originale. È già capitato nella storia e ha sempre portato, in modi diversi, a dei cambiamenti.

“E allora io aspetto il cambiamento! È molto sciocco pensare che un cambiamento avvenga con un vecchio strumento è stupido!”

Certo. C’è del vero. Ma in mancanza di uno strumento nuovo, rischiamo anche di perdere quel poco che abbiamo a disposizione. Immagina di essere costretto da qualcuno a scavare con un piccone rotto. Immagina di gettare quel piccone a terra e di dire che non scaverai finchè non avrai un piccone nuovo. Immagina che chi ti ha costretto a scavare raccolga il piccone e dica “ok, tornerò con un piccone nuovo.” E poi non torna più. Non mi stupirebbe se qualcuno della nostra attuale legislazione, vedendo l’alta astensione, se ne uscisse con la possibilità di togliere il voto a parte della popolazione. Se poi vogliamo citare la frase “se votare cambiasse qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”, che purtroppo anch’io ho erroneamente attribuito a Mark Twain, ma in verità era di Lowell Sun, sappiate che ad esempio diversi stati repubblicani americani, stanno rendendo molto più difficile votare per tutti (ed era già capitato nelle elezioni precedenti; ecco un articolo che spiega le nuove restrizioni: https://fivethirtyeight.com/features/16-states-made-it-harder-to-vote-this-year-but-26-made-it-easier/ ). No, c’è una gran paura del voto. Ecco perché le campagne elettorali sono così feroci, ecco perché l’astensione non viene mai accennata da alcun politico vincitore.

“Comunque io non ho nessuno per cui votare!”

E allora va a non votare. Esprimi il tuo dissenso anche con la scheda elettorale annullata (o bianca, perché no, non le buttano nel cassonetto).

“Non cambierebbe nulla!”

Non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché ancora non c’è stata un’elezione con una maggioranza di schede nulle. I commentatori amano affidarsi al “la gente se n’è andata al mare”. Se invece tutti andassero a non votare, i commenti probabilmente sarebbero diversi. Sarebbe come presentarsi alla festa di compleanno di una persona a noi antipatica, mangiare la torta, e dirle poi che non abbiamo portato il regalo. Oppure consegnare il compito del professore più odioso con la scritta “lei è uno stronzo”. Siete non-binary, a-gender, transgender ancora con i documenti del nome estinto e vi dà fastidio essere nella lista che non corrisponde al vostro genere di appartenenza e non avete nessuno che vi ha promesso un qualche cambiamento? Andate a scrivere sulla scheda la vostra protesta. Odiate questo governo ma non avete alternativa e non volete fare un voto “meno peggio”? Andate a scriverlo sulla scheda. Anche se io ho una candidata, suggerirei a tutti di provare questa operazione di presentarsi e non votare solo per vedere poi la faccia dei commentatori costretti a dire che il 90%-80%-60% delle schede sono nulle. Che la gente si è alzata, si è vestita, è andata in seggio e ha espresso il suo senso di schifo e sfiducia usando uno strumento. Non è andata al mare. È andata a non votare. Da scrutatrice ricordo con un certo affetto le schede annullate. Oltre a bestemmie (che noi dicevamo essere state scritte dalle suore del convento a cui era legato il nostro seggio) e alle parolacce, ho visto: – Una citazione di Socrate – Una citazione di Totò – Il disegno di un fiore – Il disegno di un orsetto Sappiate dunque che se lo farete renderete interessante l’esperienza anche per chi è lì a lavorare.

Questo che avete letto è un pezzo che ho scritto e pubblicato tra il 6 e il 7 giugno del 2024. È un’opinione personale, volta a creare una riflessione. Non è compito mio costringere qualcuno ad avere fiducia nelle istituzioni. E potrebbe darsi che un giorno, anch’io, possa prendere la decisione di non recarmi alle urne. Non lo escludo semplicemente perché nella vita mi sono capitate talmente tante cose contrastanti e sono stata portata o costretta a decisioni così diverse tra loro, che non voglio precludere questa probabilità. Però, credo che non succederà, perché a mie spese ho capito che anche quando ti viene dato uno strumento rotto, è bene usarlo. È meglio cercare di spaccare la pietra col piccone scassato, che smettere di lottare. Non ho ancora trovato qualcosa di alternativo al voto, o comunque non lo riconosco nel no expedit che molti vantano di esprimere fuori dalla cabina. E so che il voto non basta. La lotta è anche fuori dal periodo elettorale, giorno per giorno, nelle proteste fuori dal centro chiuso, nell’organizzazioni di gite con collette private e collettive, nell’inviare alla ASL 100 mail al giorno per chiedere almeno uno sconto sulla sedia a rotelle… Verrà un giorno in cui esisterà un metodo diverso. In cui il concetto di voto sarà obsoleto. Nell’attesa, invito tutti a usare questo piccone anche solo per colpire (METAFORA EH!) chi ce lo ha messo in mano sapendolo rotto. Buon voto a tutti.

 
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from Giardino Videoludico

Screenshot di una camera da letto

Storia di un inizio

Quando si gioca un titolo come Unpacking, spesso si tende a pensare che sia un semplice puzzle game, abbellito da suoni e musiche, con un gameplay che magari diverte, ma non ispira una vera e propria profondità. Questa era una premessa dovuta. Come altre storie di videogiochi, anche questa comincia molto prima rispetto all'inizio vero e proprio dello sviluppo. Dobbiamo tornare a molti anni prima del 2018, quando i due sviluppatori australiani Tim Dawson e Wren Brier, in arte Witch Beam, ancora ragazzi, erano alle prese con innumerevoli traslochi. Si, perchè contrariamente a quanto premesso, Unpacking è tutto fuorchè un classico puzzle game, dove attraverso l'utilizzo del mouse si spostano oggetti da un punto A ad un punto B cercando di realizzare l'obiettivo finale. Tim e Wren crescono quindi con il fardello di doversi spostare spesso, cambiando casa e inevitabilmente ripetendo spesso il gesto di impacchettare e spacchettare i loro oggetti più cari, perdendo o ritrovando tra di essi qualcosa che ha caratterizzato le loro esistenze. Nel 2018, quindi, i due si trovano a lavorare nello stesso team. Tim Dawson ha acquisito nel tempo competenze nell'animazione di personaggi, lavorando per studi australiani come RatBag, Team Bondi, Pandemic ma soprattutto Sega Studios Australia. Wren Brier è una sviluppatrice UX/UI e ha principalmente lavorato per gli Half Brick Studios. Il progetto che portano avanti nel 2018 tuttavia procede a rilento e in modalità part-time, cosa che cambierà nel 2019, quando i due decideranno di mettere corpo e anima nella creazione di questo titolo, lavorando full-time su di esso, per un totale di 3 anni e mezzo di sviluppo.

Screenshot di un salotto

Racconto senza parole

Se vi chiedessi di raccontare una storia, ma senza dire neanche una parola... Che cosa fareste? Questo è il limite che Witch Beam ha progettato di superare all'inizio dello sviluppo di Unpacking. Tutto ciò che il giocatore si trova davanti quando apre per la prima volta il videogioco è una stanza con delle scatole chiuse. Non c'è introduzione, non c'è tutorial, non c'è spiegazione. In questo, come in altri pregevoli esempi, è il design stesso che spiega cosa bisogna fare e come farlo. L'ambiente parla, gli oggetti non sono semplici soprammobili, ma molti di essi hanno un'anima che si svela solo andando avanti nel gioco. E così, solo estraendo dalle scatole una serie di oggetti, scopriremo ad esempio che la protagonista della storia è una ragazza (all'inizio non è così scontato, perchè alcuni oggetti potrebbero appartenere tranquillamente a membri di entrambi i generi, ma un oggetto in particolare, ovvero il pacco di assorbenti igienici, non lascia spazio ad equivoci), e che nel primo anno in cui giochiamo, è molto giovane, probabilmente in età scolastica/adolescenziale. Inizialmente il progetto era diverso, e ogni stanza doveva appartenere ad una persona differente; idea poi cambiata in corso d'opera per favorire maggiore immersività e senso di appartenenza. Wren Brier ha affermato:

Volevo creare qualcosa che permettesse di connettere le persone, di passare qualcosa a qualcuno che non ho mai incontrato

e ancora

Faccio giochi e faccio arte per connettere con le persone

Non è quindi così strano che tutti gli oggetti raccontino qualcosa, come se effettivamente avessero una voce. Continueremo quindi a spacchettare, cambiando anche di volta in volta l'ambiente in cui lo faremo. Questo ci consente di capire che cosa sta succedendo alla nostra protagonista, anche e soprattutto attraverso l'uso di dettagli davvero deliziosi, come ad esempio un diploma di laurea, una serie di libri per bambini, o il semplice duplicarsi di alcuni oggetti di uso comune, quando è ormai ovvio che non siamo più soli. E' altresì incredibile il livello di profondità in cui scendiamo in alcuni momenti di gioco, come quando capiamo di aver messo fine ad una relazione apparentemente tossica (sottolineata dalla mancanza di spazi per poter mettere i nostri oggetti accanto a quelli del nostro partner) e per proseguire dobbiamo letteralmente chiudere dentro un armadietto una delle foto con il nostro ex-partner che abbiamo trovato dentro una scatola, oppure quando abbiamo malauguratamente deciso di appendere un dipinto troppo vicino alla porta del frigorifero, ed è evidente l'angolo danneggiato dalla sua continua apertura.

Screenshot dell'angolo danneggiato

Noteremo anche il ritrovare alcuni oggetti degli anni passati, evidentemente rovinati dal tempo e dai continui trasporti (come il primo orsacchiotto che mettiamo a posto nella nostra stanza), oppure il luogo fisico dove andiamo ad abitare, guardando fuori dalle finestre e quindi intuendo che siamo in città o in campagna. Il trasloco, in questo senso, diventa il narratore inconsapevole della vita di una ragazza, dal punto di vista professionale e personale. Da ciò che riposizioniamo siamo in grado di comprendere la sua età, le sue passioni, le sue attitudini, il suo grado di istruzione, il suo lavoro, ma anche le sue emozioni, le sue particolarità, i suoi momenti di gioia e quelli di sconforto, il tutto con una fluidità e una delicatezza raramente applicate in un videogioco. I due sviluppatori hanno candidamente ammesso di aver volontariamente fatto concludere la storia nell'anno 2018, perchè non avevano idea di come poter affrontare quella che ormai conosciamo come la crisi sanitaria e sociale degli ultimi decenni, la pandemia di Covid-19 del 2020. Fermarsi prima ha permesso loro di dedicarsi allo sviluppo di una narrazione più semplice, con l'obiettivo di raccontare una vita priva di ostacoli così importanti. E non credo di spoilerare nulla, arrivato a questo punto, se dico che nel finale avremo il coronamento dei nostri desideri, quando al termine del più lungo spacchettamento dell'intero titolo, saremo finalmente realizzati lavorativamente e avremo concretizzato il sogno di una famiglia felice, scoprendo oltretutto, la bisessualità della nostra protagonista, che inizia una relazione con un'altra donna, assieme a loro figlio.

Una tecnica sopraffina

C'è veramente molto da dire dal punto di vista della realizzazione estetica e delle idee che ci sono dietro allo sviluppo di Unpacking. Iniziamo con un po' di numeri: il gioco è composto da 35 camere diverse, tutte realizzate manualmente, e più di 1000 oggetti, comprese le loro differenti “facce” dovute alle rotazioni. Parlando proprio delle rotazioni, Tim Dawson e Wren Brier hanno spiegato che il permettere di girare un oggetto è derivato anche da un'esigenza culturale, poichè certe popolazioni tendono a posizionarli in un certo modo piuttosto che in un altro (ad esempio, i giapponesi tendono a lasciare le scarpe appena dopo la porta di ingresso). Ciò consente a qualunque giocatore di mettere gli oggetti nel modo che secondo la sua personale volontà e cultura, rispecchia il suo modo di essere e di concepire gli spazi di casa. Oltre alla rotazione, gli oggetti possono essere posizionati in diversi punti dello stesso spazio, e questo cambia anche a seconda della grandezza dell'oggetto stesso e della superficie su cui deve appoggiare. Per questo, nello sviluppo le stanze sono state divise in griglie, costituite da piccoli riquadri, che permettevano quindi agevolmente di poter scegliere dove mettere sia oggetti molto voluminosi (che avrebbero occupato molteplici riquadri), che oggetti molto piccoli (come il tagliaunghie, che a tutti gli effetti è uno degli oggetti meno voluminosi dell'intero gioco). Per poter limitare il numero di oggetti da posizionare in un certo punto della stanza, gli sviluppatori hanno utilizzato un metodo chiamato “Stencil Buffer“: un buffer di dati (letteralmente “tampone”, ovvero una zona di memoria “temporanea”) che creasse una maschera, la quale vincolasse l'uso di alcuni oggetti in una determinata area. Per comprenderne il suo funzionamento, basta vedere il comportamento di alcune cose come gli asciugamani sulle aste del bagno o sulle maniglie del forno, oppure gli spazzolini all'interno del bicchiere sul lavandino del bagno. Witch Beam, prima di Unpacking, ha sviluppato un altro gioco chiamato “Assault Android Cactus”, in cui il “clipping” (in parole povere il processo che determina l'area di visualizzazione e di sovrapposizione) dei personaggi non era così importante perchè il fulcro del gioco si basava su altro. Per Unpacking, il clipping è invece fondamentale perchè esso si basa sul posizionamento degli oggetti, e di conseguenza molto tempo di sviluppo è stato dedicato al suo miglioramento, proprio perchè molto più evidente al giocatore rispetto ad altri contesti videoludici. Essendo, inoltre, un videogioco che punta ad un'esperienza rilassata e “rallentata”, è stata presa in considerazione una corretta gestione del tempo all'interno del gameplay stesso. Non ci troviamo, infatti, nè in una situazione di stallo temporale, nè real-time, ma il tempo scorre ogni volta che posizioniamo un nuovo oggetto. Quindi, se non facciamo nulla, noteremo che il tempo non scorre affatto, mentre alla fine dello spacchettamento, saremo a fine giornata. Questo possiamo notarlo dal paesaggio che si vede fuori dalle finestre: il diminuire del traffico stradale con l'arrivo delle ore serali, il mutamento del tempo atmosferico che indica lo scorrere della giornata, la transizione giorno/notte. Graficamente parlando, per evitare che le finestre facessero l'effetto “quadro”, è stata utilizzata una tecnica che abbiamo già visto in Shadow of the Beast, ovvero il parallasse. Diversi livelli di parallasse hanno permesso di rendere al meglio l'idea di profondità tra l'interno e l'esterno della casa. Parliamo infine dell'audio di gioco: le musiche sono state tutte scritte e composte da Jeff Van Dyck, che nell'industria videoludica ha creato le colonne sonore di giochi come Alien: Isolation, Hand of Fate e Hand of Fate 2, alcuni giochi sportivi ma soprattutto alcuni fra i titoli più apprezzati della serie Total War. E' vincitore di alcuni BAFTA Awards proprio per le musiche di 2 di questi ultimi titoli e ha collaborato attivamente in entrambi i titoli di Witch Beam, grazie anche all'aiuto di sua moglie Angela e di sua figlia Ella. E', inoltre, batterista della band australiana Fuzzpilot. Insomma, un curriculum di tutto rispetto. Le musiche composte si adattano perfettamente ai singoli livelli di gioco, e quello che sembra essere spesso un vuoto tra la fine di una musica e un'altra, è stato un effetto voluto per dare ancora di più la sensazione di rilassamento e lentezza. Inoltre, caratteristica molto apprezzata in pochissimi giochi (uno su tutti Portal di Valve), la canzone finale è stata creata appositamente per questo titolo (tra l'altro, canzone davvero molto bella e toccante). Ma se le musiche sono meravigliose, il sound design ha qualcosa di eccezionale. Oltre 14000 (si, quattordicimila) suoni sono stati campionati tramite il sistema Foley, collaudato e utilizzato molto anche nel cinema, con il quale si registrano suoni di tutti i giorni per essere utilizzati in un contesto non reale. Tutti gli oggetti di gioco sono stati messi a contatto con tutte le superfici presenti, per ricreare fedelmente tutte le possibili combinazioni oggetto/superficie presenti all'interno di Unpacking. Un lavoro enorme, di grande pregio, che rende davvero tutto molto realistico e altamente immersivo.

Screenshot della foto di una precedente relazione

Spacchettare le emozioni

Dopo 3 anni e mezzo intensi di sviluppo, Unpacking ha visto la luce sugli stores digitali, inizialmente su PC, Nintendo Switch e Xbox One, per poi essere portato anche su PS4 e PS5. Una versione fisica è stata distribuita da Limited Run Games tra Marzo e Maggio 2022. Poco dopo la sua uscita, il gioco ha ricevuto il plauso dei giocatori e della critica, che hanno visto negli sforzi profusi una realizzazione egregia e una profondità inaspettata per un puzzle game. Negli anni successivi, Witch Beam e Unpacking hanno ricevuto numerosissimi premi, tra i quali si annoverano: il “Best narrative EE Game of the Year” award ai BAFTA del 2022, “Game of the Year 2021” agli Australian Game Developer Awards, il premio “Excellence in Accessibility”, il “Best Audio” e “Innovation Award” ai Game Developers Choice Awards, il “2D Animation” e “2D Environmental Art” ai IGDA Global Industry Game Awards e tanti altri. Non meno importante, il gioco è stato molto apprezzato per la sua apertura verso le tematiche LGBTQ+, proprio in virtù della storia sentimentale della protagonista, vincendo i premi “Best LGBTQ Indie Game” e “Authentic Representation” ai Gayming Awards 2022. Insomma, Unpacking è un gioco che accontenta tutti coloro che ammirano le esperienze rilassanti e immersive. Inoltre, dà un grande insegnamento a tutti noi, ovvero che tramite opportune scelte di design, è possibile raccontare una storia migliore di quanto non possano fare tante linee di dialogo o cutscenes. Personalmente, mi sono ritrovato più di una volta spiazzato e stupito di quello che capivo dagli oggetti che guardavo, dagli ambienti in cui mi ritrovavo, dalle scelte stilistiche che potevo apprezzare, e hanno reso questo gameplay un piacere intimo e caloroso, completo e appagante. Non posso che consigliare, in finale, a chiunque di giocarci, perchè è un titolo tutto sommato breve, che vi impegnerà poche ore e che potete trovare davvero a due soldi, ma che vi scalderà il cuore e potrà essere un piacevolissimo intermezzo fra un Soulslike e un Metroidvania.

Screenshot della schermata finale

 
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from highway-to-shell

Non si è trattato di un incidente, di una fatalità, di una terribile disgrazia. La morte della bambina di 2 anni a Brescia è la diretta conseguenza di una società auto-centrica.

I nonni non vanno in bicicletta all'asilo a prendere i nipotini, non usano la bici perché sono anziani, gli acciacchi non permettono loro di manovrare in sicurezza il mezzo a pedali, magari ci vedono poco, hanno i riflessi lenti. Almeno così scrivono loro stessi sui social, quando si consiglia di prendere più spesso la bicicletta per evitare ingorghi e traffico ti senti rispondere che mica tutti sono in forma e possono stare in equilibrio su due ruote. Però a quanto pare nonostante l'età ed i malanni possono guidare un mezzo pesante 1 o 2 tonnellate ad una velocità di 50km/h (perché non sia mai che gli ecoterroristi ti facciano andare più piano in alcune zone della città).

Ma mettiamo da parte la polemica auto-bici perché la nonna assassina (eh si, come vuoi chiamare chi uccide pur senza volerlo una bambina di 2 anni) avrebbe potuto andare a piedi all'asilo o chissà magari da quelle parti (ammetto di non conoscere la zona) passano anche quei mezzi di trasporto che servono a spostare i poveri...

Ed invece no, anche se la cervicale ti impedisce di muovere la testa e guardare dietro mentre fai manovra, anche se la tua automobile non ha i sensori posteriori (renderli obbligatori no eh, invece di pensare a togliere gli autovelox) hai comunque il sacrosanto diritto garantito dalla costituzione di sentirti libero guidando un mezzo pesante (si le auto sono pesanti in rapporto al peso di una bambina).

Facciamo che se sei troppo anziano per andare a piedi, per andare in bus, per andare in bici allora anche l'automobile non va bene, troppo pericoloso per la società. Ma siccome essi votano non accadrà mai.

 
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from Pensieri di Pollo

La stragrande maggioranza di persone che conosco, e mi ci infilo pure io nel mezzo, stravede per un certo tipo di videogioco che non esiste praticamente più: quello che ha al centro il concetto di divertimento puro.

Non un gigantesco lavoro di scrittura come gran parte dei Tripla A odierni, non un senso di sfida continua come gli innumerevoli soulslike o roguelite presenti in giro, ma un divertimento puro, intrattenente, basato su uno stupore quasi fanciullesco.

Sia chiaro: io menziono tra i miei giochi preferiti di sempre, per esempio, la serie di The Last Of Us, eccellente portabandiera di giochi che puntano tutto su un'esperienza quasi cinematografica, ma mentirei se dicessi che il mio pensiero va a questo tipo di filosofia nel sentire la parola “videogioco”.

Sembra strano, ma in questa rincorsa al “giocone” a tutti i costi il mercato sembra essersi dimenticato del divertimento. Quel tipo di gioco, perdonatemi il termine, “giocoso” sembra ormai prerogativa di Nintendo e di pochi fortunati giochi indipendenti, oppure delle varie “operazioni nostalgia” perpetrate tramite remake di giochi di decenni fa.

In particolare, guardando in casa Sony, è chiaro che la strada tracciata dal reparto marketing porta quasi sempre lontano da quei lidi, ma è altrettanto vero che in un mercato fortemente in crisi come quello dei giochi Tripla A forse sarebbe il caso di ascoltare le grida di giubilo che hanno accompagnato il trailer del nuovo Astro Bot, coloratissimo platform 3D che ha brillato di luce propria al termine di una carrellata di presentazioni non proprio entusiasmanti dal punto di vista della varietà di proposte.

Certo, mi rendo conto che potrei parlare alla luce della reazione della mia bolla online, perché se i giochi “cicci” proposti da Sony per questa generazione, fatta eccezione per Ratchet and Clank: Rift Apart e Sackboy: A Big Adventure, hanno tutti quell'estetica e quella filosofia di gameplay alle spalle, vorrà dire che il “mondo reale” predilige proprio quell'estetica e quella filosofia di gameplay.

È però innegabile una crisi dei giochi ad altissimo budget, sia guardando al mero profitto che alle idee. Per questo credo – e spero – che giochi come Astro Bot possano iniziare anche a (ri)educare il pubblico ad apprezzare un altro tipo di gioco, meno costoso per le case di sviluppo, che potrebbero quindi accettare più serenamente un progetto originale (e quindi più rischioso), e con una filosofia alle spalle, quella del divertimento puro, che non può e non deve essere esclusiva delle produzioni Nintendo.

Insomma, laddove un Super Mario Wonder rientra a pieno titolo nelle Top 10 dei titoli più venduti del 2023 al posto di tanti gioconi più costosi (e più banali) usciti nello stesso anno, forse esagero in prudenza nel parlare di bolla online quando scrivo delle grida al miracolo per l'esistenza di un gioco come Astro Bot.

Certo, i profitti di un gioco di questo tipo che non ha “Mario” nel nome sono un'incognita, ma Sony sarebbe del tutto ottusa ad ignorare questo entusiasmo, soprattutto alla luce di un eventuale buon numero di copie vendute. Speriamo bene.

 
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from basseaspettativepodcast

Giornalisti: i veri nemici del popolo.

È uscito un articolo interessante sul populista a capo dell'India da 10 anni, Narendra Modi:

https://thediplomat.com/2024/05/narendra-modis-decade-without-press-conferences/

A quanto pare non gli piacciono le conferenze stampa, piuttosto meglio le interviste registrate, preparate accuratamente e senza domande a sorpresa.

Tra le varie dichiarazioni a cui i giornalisti badano bene a non controbattere, torna l'argomento che i mass media non servono più, sono superati ora che ci sono i social.

Questo è un aspetto che non abbiamo trattato nella nostra puntata sullo stato dell'informazione ( https://podcasters.spotify.com/pod/show/basse-aspettative/episodes/11--Linformazione--morta-e-anche-noi-non-ci-sentiamo-tanto-bene-e2itkgv ), ma si ritrova in tutta la retorica delle figure populiste che hanno preso il potere nel mondo negli ultimi anni.

Per esempio Bolsonaro, che i giornalisti li vorrebbe menare (i suoi supporter tralasciano il condizionale e li menano direttamente):

https://www.bbc.com/news/world-latin-america-53887902

Trump, che chiama i media “il nemico del popolo americano”:

https://www.nytimes.com/2017/02/17/business/trump-calls-the-news-media-the-enemy-of-the-people.html

Il nostro Berlusconi, che fece cacciare Biagi e Santoro:

https://en.wikipedia.org/wiki/Editto_Bulgaro

Meloni, contro cui scioperano i giornalisti RAI che la accusano apertamente di censura:

https://www.aljazeera.com/news/2024/5/6/journalists-at-italys-rai-strike-in-protest-at-melonis-government

I 5 Stelle, che hanno fatto la guerra ai media fin dall'inizio (anche se ora fanno finta di dimenticarsene):

https://www.cjr.org/analysis/italy-five-star-movement.php

Orban, che è finito nella lista di “predatori della libertà di stampa” di Reporter senza Frontiere:

https://www.politico.eu/article/reporters-without-borders-lists-hungarian-prime-minister-viktor-orban-press-freedom-predator-silencing-media-journalists-hungary/

Erdogan, che di giornalisti ne ha fatti arrestare (o scappare dalla Turchia) decine e decine:

https://www.reuters.com/world/middle-east/turkey-sentences-journalist-prison-ruling-that-she-insulted-erdogan-2022-03-11/

Tanti nomi, ma hanno tutti un amico in comune.

Un uomo la cui macchina propagandistica ha aiutato a salire al potere – o a mantenerlo – quasi tutti gli altri nomi che trovate elencati qui.

Uno che i giornalisti li ha bersagliati fin da quando è salito al potere, prima sbeffeggiandoli, poi incarcerandoli, poi facendoli ammazzare.

Vladimir Putin.

https://www.pbs.org/wgbh/frontline/article/russia-putin-press-freedom-independent-news/

https://www.newyorker.com/news/our-columnists/how-putin-criminalized-journalism-in-russia

Tutti i dittatori (o aspiranti tali) odiano la stampa libera.

 
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from Ro scattered words

[13] E fu sera e fu mattina: terzo giorno.

Giorno terzo L’aria è pesante, calda, secca. La notte è trascorsa, e questo è già tanto. Percorrere questo deserto di vite perdute si fa sempre più pesante, o semplicemente sono io che inizio a cedere lentamente? Le risorse sono sempre più scarse, la prossima città non è molto vicina ma devo andare avanti. È ciò che conta.

[14] Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni[…]

Giorno 25 Non so in che tempo siamo giunti, le stagioni ormai non si distinguono più le une dalle altre; n’è rimasta solo una, che noi chiamiamo Efesi. Non sappiamo quando iniziammo a chiamarla così, o se il suo nome venne storpiato nel tempo, sappiamo solo che di quelle narrate dagli avi non vi è più traccia. L’unico modo che c’è rimasto per scandire il tempo è il mattino e la sera.

Giorno 40? Sto perdendo il conto dei giorni in cui sono in cammino. Ho attraversato troppe città per potermi ricordare il nome di ognuna di loro; ma ormai non ha importanza, nessuno me ne farà una colpa, nessuno..non più.

Altro giorno... Non ricordo neanche più il senso del mio vagare, del mio strisciare su questa desolata terra. Ho finito ormai l’inchiostro, o meglio, l’acqua che poteva alimentarlo. Da ora in poi, per poter scrivere, dovrò usare l’unico liquido che ancora questo mondo non è riuscito ad asciugare, non ancora. Scriverò, finché le mie vene reggeranno...

[15] e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra”. E così avvenne

Giorno 0 Ho incontrato una Nenfi, un'ancella del deserto, non credevo fossero reali ma solo leggend. Come posso esserlo? Donne che si sono adattate a questo deserto e che si dedicano ai viandanti dispersi? Loro vengono dalla grande grotta, l'ultimo rifugio dell'umanità, almeno così narravano gli anziani.

Non mi chiese il mio nome, né il perché del mio vagabondare, non ebbe paura di me, non ebbe paura dell’animale selvaggio che sono…che sono stato? Forse la mia debolezza la rassicurò dal pericolo in cui poteva incombere?

La intravidi in lontananza, tra le onde di sabbia e il vento che pareva non toccarla, come un'allucinazione del deserto. Mi si avvicinò con viso dolce, lenta, come se lo spazio fra me e lei si restringesse per avvicinarci, come se i suoi passi non esistessero, irreale, come la dolcezza su questa arida terra. Mi sorrise, ricordo solo questo, prima di cadere in ginocchio sulla sabbia e svenire per la troppa stanchezza e la mancanza di liquidi che i giorni(?) di cammino mi avevano procurato.

Al mio risveglio mi ritrovai da solo, rinato, circondato da calde e morbide stoffe. Mi aveva dato una tenda, con cui proteggermi dal sole e dalle intemperie della notte. Mi aveva lavato. Mi aveva dissetato. Non mi conosceva, ma lo fece lo stesso.

Come possono queste creature essere reali, essere ancora benevole? Abbiamo tentato di distruggerle, come abbiamo fatto con la terra, che non possiamo più e non dovevamo mai osare definire “nostra”, in quanto, di nostro, non c’è neanche questa stessa esistenza.

[16] Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle.

Giorno 15 Ho ricominciato a contare i giorni, le sere e le mattine, da zero, dopo quell’incontro. Ora le vedo, come non le avevo viste prima. Le apprezzo, come nessuno le ha apprezzate mai, non più in questo tempo di sofferenza e redenzione. Il mio cammino continua, la speranza di questo mondo continua. Arriverò. Arriverò alla Grande Grotta, devo arrivarci. La speranza dell’umanità risiede in me, nel mio sacrificio, nella mia scrittura.

[29] Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.

[30] A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne.

Ultimo giorno Che gli alberi possano rinascere, che le acque possano rifluire, che le creature possano rivivere. Le Nenfi esistono e con loro la speranza. Credete nel cammino, credete nella speranza. Efesi finirà e con essa la nostra punizione.

Sono finalmente giunto alla fine del mio cammino. Ora potrò finalmente riposarmi. Ora potrò finalmente godere dell’eden, potrò farne parte, potrò rinascere, potrò ridare una gemma di vita a questa terra arida, che i miei avi hanno distrutto e devastato. Venite e lasciate che il perdono venga a voi. Il perdono c’è ed è la nostra redenzione.

Einem.

Questo racconto partecipa alla challenge di primavera 2024 del Circolo di Scrittura Creativa ̴̴ Raynor’s Hall

Circolo di Scrittura Creativa Raynor’s Hall.

 
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