allibragi

Harriet era rannicchiata sotto il tronco enorme dell'albero caduto. Il sapore di sangue in bocca, il puzzo di sudore e di zolfo le entrava nella testa provocandole fitte dolorose. “Stanno arrivando, state fermi immobili” sussurrò Rhonda al gruppo. E così fecero i quattro maghi. Ok, tre maghi e un bardo, per essere precisi. Fermi immobili, rannicchiati sotto l'enorme tronco mentre i dissennacosi, con i loro lunghi mantelli, perlustravano il piccolo rilievo in cerca di nuove emozioni di cui nutrirsi. E fu così che stettero, per minuti che parvero ore. “Se ne sono andati” disse Roberto con il suo inconfondibile accento dell'Avana, facendo capolino da dietro il tronco. “Pensavo fiutassero i nuestros sentimenti o qualcosa del genere.” “Per fortuna l'autore di questa fanfiction ha visto Il signore degli anelli e non il film da cui è tratta la nostra storia,” commentò Snabe “ma non saremo sempre così fortunati.” Harriet osservò in silenzio il suo ragazzaccio: se ne stava in posa plastica a osservare i meandri della foresta proibita. La leggera brezza della sera muoveva la sua camicia facendola aderire al suo petto muscoloso, gli ultimi raggi del sole al crepuscolo riflettevano il sudore sulle sue scaglie mettendo in risalto i suoi lineamenti possenti da parasaurolophus. Come faceva a essere così figo anche in una situazione del genere? Lei era conciata da sbattere via, esausta e ricoperta di fango. “Sono sicura che quello che hai detto abbia qualche senso, ma ora che facciamo?” Rhonda si lisciò il pelo arruffato. La donna-cane era rimasta seduta assieme ad Harriet sotto il tronco e stava controllando il contenuto di uno zaino. “Non abbiamo molte provviste, e siamo ancora lontani dalla scuola di magia.” “No te preocupes, mi amor” le disse dolcemente Roberto, stringendo le mani alle sue. “Ce la faremo.” Detto questo la aiutò ad alzarsi.

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Mark prese nuovamente il cellulare per controllare se Lily avesse finalmente risposto. Niente. Le aveva mandato alcuni messaggi durante la giornata. All’inizio non aveva dato peso alla cosa, ma era dalla sera precedente che non si faceva sentire, cosa molto strana da parte sua. Da quando avevano iniziato a frequentarsi, qualche mese addietro, gli aveva sempre dato il buongiorno e, dei due, era sicuramente lei quella più dipendente dallo smartphone. Decise quindi di chiamarla per capire se fosse successo qualcosa. Il telefono squillò per diversi secondi per poi andare alla segreteria.

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Jack correva a perdifiato lungo il corridoio, era tallonato da inimmaginabili orrori armati delle più brutte intenzioni, maleducazione, ingratitudine e arroganza. Arrivò allo sgabuzzino degli inservienti e ribaltò il carrello delle pulizie in mezzo al passaggio, sperando che questa volta potesse rallentare in qualche modo gli inseguitori. Svoltò l'angolo e si lasciò dietro gli ascensori, inutile provarci: gli orrori lo aspettavano sempre al piano che sceglieva, e si infilò nella sala delle colazioni. Scavalcò il bancone e si rannicchiò sotto la macchina del caffè e rimase in silenzio per cogliere eventuali rumori. Tutto quello che riusciva a sentire però era il cuore pulsargli forsennatamente nelle orecchie.

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Aurora premeva ripetutamente il pulsante del piano a cui doveva andare. Stupido ascensore pensava mentre attendeva che le porte si chiudessero. Aveva mangiato velocemente, scambiando qualche chiacchiera rapida con i colleghi, ed era arrivato il momento di tornare alla sua postazione per poter approfittare dell'ufficio vuoto e continuare le lezioni di tedesco online. Non che le servisse per lavoro ma la sua migliore amica si era trasferita lì da qualche anno e sarebbe stato bello non dipendere completamente da lei quando andava a trovarla. Seduta alla scrivania inforcò le cuffie e, dopo aver preso un paio di pastiglie per il mal di testa, iniziò la lezione del giorno. Venti minuti, e una trentina di nuove parole incomprensibili dopo, era già l'ora di tornare al lavoro.

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l commissario Tommasino osservava silenziosamente la teca di cristallo: l'anta aperta e il piedistallo vuoto gridavano a gran voce l'assenza dell'uovo. Una volta sigillato il perimetro, la squadra intorno a lui aveva iniziato lo scrupoloso controllo della sala alla ricerca di indizi preziosi. “Qui non si può fumare” disse qualcuno alle spalle del detective. “Che chiamino la polizia” commentò serafico Tommasino, facendo un altro tiro. “Che cosa sappiamo?” aggiunse infine, voltandosi verso la voce. L'ispettore Orso, pelo arruffato e giacca in disordine, leggeva da un taccuino che teneva tra le zampe. “Ieri la signora Oca, in fondo alla sala, cappello con i fiori, seduta vicino a Rex, chiude la galleria d'arte come tutte le sere alle ore 21:00 precise. Questa mattina torna per l'apertura e l'uovo è sparito. Nessun allarme, niente segni di effrazione. A parte l'anta aperta non c'è nulla fuori posto.” “Che hai fatto al pelo?” chiese Tommasino. “Che c'entra?” “Assecondami” insistette il commissario, facendo un altro tiro alla sigaretta. “Stavo dormendo quando il questore ha chiamato, oggi è il mio giorno libero e non ho avuto tempo di prepararmi.” Tommasino fissò il collega con sguardo deluso. “Lo so commissario,” disse lamentoso Orso “ma c'è quel concorso per il posto in montagna e sa com'è il questore.” “Orso io ti voglio bene lo sai, ma il questore in montagna non ti manda. Ci abbiamo già provato chissà quante volte. Dai su, non fare quella faccia. C'è altro? Qualche sospettato?” “C'è Giuliano in città, il ragazzo di Anna. Quando è in giro sparisce sempre qualcosa.” Tommasino annuì. “Andiamo a parlarci.”

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Mario era fermo dinnanzi al cancello in ferro battuto, lo stava guardando da qualche minuto. Barre verticali si innalzavano per poi unirsi nella parte superiore in una specie di giglio meccanico, qua e là alcuni punti di ruggine: attorno ai rivetti che univano le varie parti e lungo una putrella storta, probabilmente frutto di qualche manovra poco attenta.

Gianna e gli altri della Bulletin Board System lo aspettavano oltre al cancello, dentro alla villa. Cosa avrebbero pensato una volta conosciuto dal vivo? La sicurezza e l'anonimato garantito dal web sarebbero caduti definitivamente, il suo costume da arlecchino sarebbe stato sufficiente a nascondere il suo disagio e le sue paure? Forse avrebbe dovuto spenderci di più, un costume più pregiato avrebbe fatto un'impressione migliore o dissimulato meglio il suo imbarazzo?

Uno sguardo all'orologio e poi qualche passo verso il citofono. La prima volta che aveva visto un articolo sulle BBS, Mario aveva sentito riaccendersi qualcosa dentro, qualcosa che era rimasta assopita da anni. L'idea di poter comunicare con altre persone sparse in tutta Italia e, perché no, nel mondo intero lo affascinava ed eccitava. Avrebbe potuto raggiungere persone con interessi simili ai suoi, fare nuove amicizie, conoscere cose nuove ma, soprattutto, incominciare da capo. Un nuovo Mario.

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La macchina corre nella notte buia, i fari illuminano la segnaletica orizzontale come in Mulholland Drive, almeno credo perché sono seduto dietro. Gioco con un leoncino di peluche trovato sulla cappelliera. Stringo le zampe posteriori con la destra e le anteriori con la sinistra, lo punto fuori dal finestrino e fingo di sparare come se fosse un fucile.

Questa notte buia buia che ci culla nella Brianza in cerca di un posto che possa conciliare la necessità di riposare le nostre stanche membra e i nostri portafogli vuoti.

Il primo tentativo ci vede all'esterno di un gay bar dall'aspetto asettico. La sua insegna fuxia sembra volerci dire che siamo troppo pezzenti per poterci permettere anche solo un'acqua minerale.

Ha ragione.

Gli altri dicono che prima era un locale più modesto con ottime patatine. Il tempo è una brutta bestia, a volte ti cambia in peggio e altre ancora in locali costosi.

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