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from ordinariafollia

ordinariafollia-log_029-2025.jpg

Sono andato a scuola scalzo nessuno mi aveva detto dei compiti da fare a casa e non avevo neppure una scusa, alla lavagna non sapevo cosa scrivere, e tutti guardavano i miei calzini bucati.

 Lasciate che le figuracce vengano a me

Me la sono fatta addosso sono timido e divento subito rosso, arrivo quando il gioco è terminato e rimango con il dito alzato.

Alla gola un nodo mi prende quando mi fanno certe domande, le altre hanno già fatto tutto e tutto sanno mentre io ho sempre paura di fare un danno.

 Lasciate che le poesie senza rima vengano a me

Alla festa dei tuoi diciotto anni sono arrivato già cotto ed ho vomitato sulla tua gonna ma ti ho dato il libro che avevo comprato.

Avevo i pantaloni sporchi di sangue lì sotto per questo non sono venuta in auto al mare con te ma ti ho dato il bacio che avevo sognato.

 Lasciate che le figuracce vengano a me

 
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from thornsinnercircle

Il cerro di Monte Fontane

ero andato in Sicilia attratto principalmente dall'Etna. Versante sud, e tutti gli alberi secolari che ci abitano. alcuni sono visitabili in tranquilli centri cittadini, come il Castagno dei Cento Cavalli visto mentre bevevo un caffé delle undici. l'Ilice di Carrinu invece prevede un sentiero lastricato di buone intenzioni di circa un'oretta, ripidino. vederlo è trascendentale, e curiosando vicino si scopre il fronte del magma che decise di fermarsi a pochi metri dall'albero risparmiandolo. Dialoghi fra il fuoco e la foresta.

questo è l'ultimo albero che volevo vedere. il cerro di Monte Fontane. al pomeriggio avevo il volo di ritorno, e dovevo anche restituire l'automobile. perché non complicarsi la vita? il sentiero per trovarlo appariva prima chiaro, poi mi sono trovato dopo un'ora e mezza ad aver compiuto un percorso circolare. era tardi, mollo tutto? ultimo tentativo. devio dal percorso che mi suggerisce il navigatore, giustamente. trovo una bella casetta abbandonata in pietra, ma mi sto allontanando dall'albero: quindi per una qualche legge che non conosco, sarà stavolta la strada giusta. imbocco un sentiero più boscoso. ci sono percorsi da mountain bike ripidi. anche qui mi perdo, torno indietro, piovicchia e c'è fango (il che mi compiace sempre, anche se sembra tutto così ostico adesso). ad un certo punto in un fianco della montagna, ripido da usare le mani, sento il bisogno di provare il tutto per tutto e salire! la pioggia ha reso l'erba ed il sottobosco scivolosi. i rami sono bassi, si intrigano nei capelli. dove sto andando non è dato sapere. e stranamente, ma prevedibilmente, arrivato in cima trovo l'indizio di un sentiero. se solo fossi capace di seguire le strade normali. seguendolo, trovo prima un piazzale con tre querce che mi fa sentire di essere vicino. mi piace immaginare le cose, sento quasi l'ebbrezza di luoghi che hanno una valenza sovrumana (è così). e finalmente, un po' nascosto, ecco l'albero. cerco come sempre per mezz'ora lo scorcio migliore per una foto, lo vivo, lo posso toccare. fra l'altro poco oltre c'è un dirupo, bisogna stare attenti.

stranamente, di quale via abbia scelto per tornare ricordo molto poco, se non che avendo visto una strada asfaltata distante solo qualche chilometro mi ci sono avvicinato, per scoprire poi che per raggiungerla c'erano alcuni metri di rovo alto, maturo e cattivo, e filo spinato. la mia impazienza mi fa andare dritto nel rovo. per pochi istanti ci nuoto come penso di saper fare, poi comincio a graffiarmi. vado avanti in bilico fra ostinazione e ansietta. arrivo al filo spinato, mi arrampico, mi ci incastro coi vestiti bloccandomi in cima. forse l'angelo custode degli sciocchini a quel punto mi fa scendere, e tutto si conclude felicemente.

 
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from Dal Nulla

“Se nelle cose dell'ingegno volessimo soppesare i successi dal Rinascimento in poi, non saranno quelli della filosofia a fermarci, oiché la filosofia occidentale non supera la greca, l'indiana o la cinese, tutt'al più le raggiunge in alcuni punti. Siccome rappresenta solo una varietà dello sforzo filosofico in generale, si potrebbe al limite farne a meno e opporle le meditazioni di Sankara, di Lao-zi, di Platone. Non è così per la musica, questo grande pretesto del mondo moderno, fenomeno che non ha confronti in un nessun'altra tradizione: dove trovare l'equivalente di un Monteverdi, di un Bach, di un Mozart? E' attraverso la musica che l'Occidente rivela la sua fisionomia e raggiunge la profondità. Se l'Occidente non ha creato una saggezza né una metafisica che gli fossero del tutto proprie, e nemmeno una poesia della quale si possa dire che non ha esempio, in compenso ha proiettato nelle sue produzioni musicali tutta la sua forza di originalità, la sua finezza, il suo mistero e la sua capacità di ineffabile. Ha potuto amare la ragione fino al pervertimento; eppure il suo vero genio fu un genio affettivo. Il male che più lo onora? L'ipertrofia dell'anima.

Senza la musica l'Occidente non avrebbe prodotto che uno stile di civiltà insignificante, scontato... Se depositerà dunque il suo bilancio, la musica sola testimonierà che non si è sprecato invano, che davvero aveva qualcosa da perdere.

(E. Cioran, La tentazione di esistere, Su una civiltà esausta)


Moreau - Angelo della morte

 
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from Super Relax


*Portoncini e cancelli, perlopiù.

Qualche tempo fa, in quanto rider, ho effettuato una consegna per conto di un famoso marchio di panini e patatine, la cliente una signora anziana di quelle ostiche: non la nonnina della pubblicità, insomma. Mentre si lamentava perché le erano capitati ordini incompleti, una volta mancava questo, una volta mancava quello, mi fa “visto che sei qua, mica sapresti aggiustare il portoncino?”

Do un'occhiata, c'era un sistema magnetico per agganciarlo a un piolo metallico nel pavimento: il magnete, svitatosi, era rimasto attaccato al portoncino, finendo col disinteressarsi del piolo, svito e avvito quel che c'è da svitare e avviare e riparto, arrivederci e grazie.

Stamattina (riferimento temporale senza senso assoluto, ne uso uno relativo: un'oretta prima che mi mettessi a scrivere questo articoletto) stavo gironzolando in Super Relax nella tranquillità delle campagne, stavolta percorrendo una stradina tra i campi coltivati mai fatta prima; vorrei sempre esplorare tutti i luoghi che mi ospitano, fin dove i miei mezzi lo permettano, così mi sono infilato in questa strada, un paio di chilometri, prima costeggiata da rade abitazioni, poi da serre e coltivazioni, infine dal nulla.

Un nulla rotto, infine, da un una sorta di grosso gazebo chiuso ai lati, a riparo dagli agenti atmosferici: ne esce un signore anziano e mi dice, più o meno, “che stai a fa'? Mi avvicino e, pensando che si stesse preparando a un rimprovero, questa è zona privata, non devi starci ecc., inizio a spiegare che sto facendo un giro in campagna, senza una meta... non gli interessa particolarmente, mi interrompe e mi chiede un aiuto per qualcosa.

Ora, non vorrei essere frainteso: non c'è alcuno scopo derisorio in quel che sto per dire, sto semplicemente constatando il fatto di aver dovuto superare lo scoglio linguistico, perché il signore di certo aveva un buon carico di anni sulle spalle, anni vissuti in campagna, anni di dialetto stretto, e io il dialetto locale lo capisco poco, pur abitando qui da anni e provenendo, più o meno, dallo stesso ceppo linguistico o da un ramo non troppo distante.

C'è un cancello da rimettere al suo posto, uno di quei cancelli abbastanza approssimativi realizzati dai fabbri con barre e tombini di ferro, e quel cancello si era sfilato dai cardini. Oltre a essere oggettivamente pesante per una persona media, c'era pure un listello di legno, in alto, che impediva una manipolazione agevole del cancello. Gli spiego che dobbiamo prima occuparci di quello, si allontana di un paio di metri e torna con un martello, una roncola e un solido utensile per staccare le assi inchiodate: tiè, spacca tutto, non me ne importa.

Nonostante l'autorizzazione, tento un approccio più soft e riesco a schiodare parzialmente il listello, abbastanza da riuscire, in un paio di sessioni, a sistemare. Un paio di sessioni perché, vista l'anzianità, il vigore residuo è quello che è; un paio di sessioni intervallate dalle domande “da dove vieni, chi si'?”

Avevo ben inteso, voleva sapere a chi appartenessi ma, non essendo del luogo, non avevo genealogie da riportare, al che anche lui mi ha detto di essere solo nato qui, ma di essere praticamente di un altro posto, più a sud di una cinquantina di chilometri. E, infine, mi ha offerto delle bibite dal frigobar del gazebo, ho rifiutato gentilmente perché non avevo voglia e ho chiesto cosa ci fosse oltre il ponticello a poca distanza.

“Niente.” Posso dire di aver raggiunto le locali colonne d'Ercole.

#Aneddoti

 
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from kipple


Faccio il giro largo, nulla di nuovo per me. Ai tempi di Usenet, quando eravamo giovani e il web con noi, in molti accedevano ai newsgroup con Forté Agent, storico newsreader legittimamente registrato da tutti quelli che legittimamente registravano mIRC per chattare.

Anch'io usavo Mirc e Forté Agent: il primo quasi esclusivamente per parlare di anime e fumetti e il secondo per temi più vari; non chiedetemi perché, non ho nessuna risposta sensata, ma seguivo anche quello che, probabilmente doveva essere it.cultura.filosofia (o qualcosa del genere). Un newsgroup di filosofia, insomma, materia di cui non ho mai saputo e capito nulla in ogni fase della mia vita.
Seguivo per curiosità, la stessa curiosità che spero continui ad accompagnarmi in ogni fase della mia vita. Mi sono imbattuto, una volta, in una conversazione sul linguaggio degli animali. I filosofi del gruppo (e non so se sia la posizione di tutti i filosofi del mondo, o di tanti filosofi) negavano categoricamente il semplice concetto. Per quegli individui, non c'era comunicazione possibile tra gli animali che non bazzicano Usenet, per certi credenti gli animali non hanno anima, la gente in generale dice che gli manca solo la parola. Sembra sempre mancare qualcosa, a questi animali.

Ho sempre frequentato lo stesso bar, negli anni in cui frequentavo i bar: una volta, mi capitò di traslocare e vivere, per alcuni anni, in un posto più lontano del solito dal nostro punto storico di ritrovo, una distanza tranquillamente percorribile a piedi, forzatamente percorribile a piedi perché giusto quelli avevo come mezzo di trasporto. Il bar chiudeva alle 22.30 circa, anche prima nelle serate più fiacche, e mi facevo tutto quel bel pezzo di strada in una cittadina che ben presto diventava un luogo di desolazione, movimentata giusto dai soliti criminali in macchina, a velocità proibite, sui rettilinei. La mia non è critica e non è rimpianto di una movida trascinata fino all'alba: preferisco la tranquillità e di tirar tardi non me ne importa nulla, è solo cronaca.

In queste serate buie e desolate, per qualche periodo, ero spesso accompagnato da un cagnolino randagio, piccino, silenzioso, amichevole, che mi trotterellava a fianco, non appena entravo nella sua zona di competenza. Tutto scodinzolante, mi seguiva fino a casa e poi se ne tornava da dove era venuto. Così non ero solo, ogni volta che ci incontravamo.

Una sera che ero solo, credevo di esserlo, con troppa leggerezza mi avvicino a due cani di taglia ben più importante, che dormivano sotto la veranda di un bar, anch'esso già chiuso a quell'ora. Si svegliano e fanno per avvicinarsi minacciosi, ringhiando e abbaiando, ovviamente ne ho paura e cerco di comportarmi come si dovrebbe fare in questi casi, quando sento trotterellare alle mie spalle, passettini veloci, leggeri e conosciuti: è il solito cagnolino, stavolta in una sua veste che non conoscevo, quella di salvatore. Senza agitarsi e senza che ne sia seguita una disputa sonora fisica, abbaia un paio di volte senza neanche agitarsi troppo: i due cagnoni smettono di ringhiare e se ne tornano al loro posto, lui pure torna al suo posto che è al mio fianco, trotterellando fino a casa.

Era forse un boss, quel cagnolino? I due cani, grandi abbastanza da ammazzarlo con un solo morso, ne hanno forse avuto paura? C'è stata una comunicazione tra loro, direi anche ben precisa? Fate voi, io non posso che escludere le prime due ipotesi.

Agli animali non manca la parola: mancheranno le nostre, di parole, quelle che abbiamo eletto a unica forma di comunicazione approvata e normata, ma di sicuro si comunicano tra loro tutto quel che deve essere comunicato, lo fanno da prima che esistessimo e continueranno a farlo quando come specie non esisteremo più; negar loro questa capacità non è filosofia e non so cos'altro non debba essere, di sicuro è solo presunzione e egocentrismo.

 
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from Dal Nulla

Sono dunque questi gli anni che s'apprestano? Le mattine che s'affastellano come lenuzola piegate e riposte nell'armadio ma senza l'odore dolce dei sacchetti di lavanda, quelle mattine in cui socchiudi gli occhi per indovinare i granelli di polvere che turbinano in controluce investiti dai raggi del sole del mattino: e conteremmo quei pulviscoli all'infinito piuttosto che sentire l'aria fredda che scivola lenta sotto i lembi del pigiama e ci carezza con la mano fredda della morte senza però la voluttà del nulla, dell'oblio del tutto. Sono qusti quindi i giorni che si apprestano? La processone delle ore e dei minuti che procede senza musica né banda dove ci conduce se non nelle bianche stanze degli uffici in cui scontiamo la pena di voler restare vivi? Il bianco delle pareti è come il bianco dei sepolcri ma senza odore acre senza l'umido di grotta e l'asfissiante biancore non è forse un crudele modo per ricordarci ciò che siamo? Questo discordante sottofondo, questo consueto e detestabile brusìo perché ci accompagna nei nostri tristi giorni? Perché non sono nostre di diritto le celestiali sinfonie, le arpe, i cori a cento voci? Chi volle per noi questo silenzio senza bellezza, questa noia senza requie, questa tenebra che non accoglie?


F. Bacon - Study for a portrait

 
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from ordinariafollia

ordinariafollia-log_028-2025.jpg

Forse c'era sotto dell'altro ed ora ha poca importanza le urla e quella porta sbattuta della mia vecchia stanza.

Forse c'era sotto dell'altro oppure ero io a provocare ma se uscivo così conciato avrei fatto meglio a non rientrare.

Forse c'era sotto dell'altro ma quei jeans strappati erano per me la cosa più importante del mondo nel mille e novecento ottantatré.

Forse c'era sotto dell'altro ma ora non ha più importanza tutta quell'acqua è passata e quanto rimane è pazienza.

 
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from Ore liete


Pezzettino già pubblicato altrove, ma il suo posto è questo.

Era il profumo dell'estate che finiva, con mio padre, quando ero piccolo.

La villeggiatura chiudeva l'estate, quando ancora a fine agosto il tempo cominciava a rinfrescare e nelle serate dei paesini di montagna spuntavano giubbini e maglioncini. Quando ad agosto si poteva dormire la notte, piuttosto che macerare in un bagno di sudore.

Andavamo in villeggiatura per due settimane o un mese. Due settimane in Abruzzo, perché due erano le sue settimane di ferie. Un mese, invece, quando andavamo più vicino e poteva lasciarci lì e raggiungerci nei fine settimana. Oppure, ci ospitavano degli zii in Toscana, per diversi giorni. E c'era sempre il profumo dell'origano, perché lo incontravamo selvatico, incustodito, libero ai margini della campagna.

Nei nostri giretti mattutini, ci fermavamo e ne raccoglievamo: a mio padre piaceva, più il semplice rituale dell'essiccazione che la spezia stessa. Lo facevamo seccare sulle stuoie e poi lo mettevamo nei barattoli di vetro, dove restava per tanto tempo. Quell'odore impregnava la casa.

Ora lui non c'è più, quel bambino che ero è morto da un pezzo, ma ho una piantina di origano in un vaso, che non depredo, e prendo l'origano del supermercato: riaffiorano quei momenti ed è una bella cosa.

 
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from Taccuini in versi

Ho le mani lorde di sangue posso lavarmi con la candeggina?

Gli artigli, le spine, calda una birra, bere piscio; devo rimediare e l'acqua e il sapone portan batteri - meglio le garze sterili ma ecco sangue già secco: le donai col primo proiettile e ora mi è passata la sbronza - meglio brutale, meglio pestar merda in infradito, meglio impiccarmi alla cintura del mio amante dopo ore di sesso sfrenato e mi flagella la sua – – - meglio pianger sangue da orifizi ad hoc creati appositamente specialmente immantinente col ventilatore a trapanarmi, sì? I timpani, che altro?

Meglio tumefatto e vivo che la carta morta che l'oblio educato post-clinica.

Viva i farmaci che mi salvano viva la voce e gli occhi che senton sproloquiare su perché io Pènteo son Dioniso ed Edìpo e mio padre e quella stronza immane con cui divido il sangue, viva la vita, ma che vita è questa?

Dove si trova ancora la luna? Dov'è il cadavere dell'inibizione? Lasciatemelo stuprare dilaniare profanare come un milite russo sulla linea di fuoco, come Napalm dugli alberi umani come veleno nelle mie viscere.

Mi frusto e vengo e piango.

 
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from KSGamingLife

Inktober 2025 – Però per scritto – 8/10 – Reckless

L'Inktober ( https://inktober.com/ ) è un'iniziativa che ricorre ogni anno: 31 prompt per realizzare altrettante illustrazioni, così da stimolare la creatività e non soccombere all'apatia. K&S quest'anno partecipano congiuntamente. K, da brava illustratrice, posterà i propri disegni sui propri social. S, da totale inetto per quanto riguarda disegno e grafica, parteciperà realizzando brevi raccontini. Si, siamo al corrente che esiste anche un'iniziativa analoga per chi preferisce creare racconti. Ma siamo anticonformisti, che ci volete fare.

Ogni giorno verrà pubblicato qui un racconto, ispirato dalla parola del giorno.

8/10 – Reckless

Su internet se ne parlava sempre di più. All'inizio erano alcuni post qua e là, prontamente sommersi da commenti in disaccordo, ma col passare del tempo le voci che davano Ph0tonP0wer come “finito” si facevano sempre più insistenti, i commenti solidali col famoso streamer diminuivano di volta in volta, e ormai iniziava a crederci perfino lui.

Anzi, a dire il vero, le cose non stavano andando bene da anni. La piattaforma è in crisi, si diceva. Ormai, nessuno fa più successo. Gli investitori stessi non ci credono più. E poi, alla fine, chi diamine ha il tempo di guardare tutte quelle ore di live stream su internet? Ma in cuor suo, Ph0tonP0wer sapeva benissimo che quelli erano soltanto parte del motivo. Se così fosse, il successo di tutti quanti starebbe scemando, e invece pareva che il declino fosse principalmente suo. Nuovi canali lo stavano raggiungendo in quanto a popolarità, streamer più giovani, sicuramente spinti da chissà quale raccomandazione, e sicuramente anche qualche ragazza che si è guadagnata la popolarità a suon di “lavoretti”, per così dire. E allora, piano piano, il top streamer mondiale stava vedendo il suo successo svanire, e con esso naturalmente anche la fonte economica che finanziava il suo stile di vita fatto di eccessi e divertimento.

C'era bisogno di qualcosa di nuovo. Qualcosa che avrebbe scosso il suo pubblico, qualcosa che l'avrebbe fatto tornare sul “trono” del live stream globale. Si, ma cosa? Una collaborazione? Nah, non avrebbe funzionato: non sopportava nessuno dei creator che conosceva, ed era abbastanza convinto che il sentimento fosse corrisposto. Certo, se fosse stato una ragazza formosa, avrebbe aperto un profilo su quell'altro sito o avrebbe iniziato a fare stream in vasca da bagno. Le ragazze hanno tutti i vantaggi, si trovò a pensare.

Ci voleva qualcosa che nessuno aveva mai fatto. Qualcosa di estremo. Decise di chiamare il suo agente. Se vuoi sfondare devi affidarti ai professionisti, si ripeteva da sempre, e infatti con lui andò proprio così. Da essere uno streamer qualunque, una goccia nel mare di sfigati, all'essere il top mondiale in meno di 5 anni era un risultato incredibile, ma Ph0tonP0wer sapeva benissimo che buona parte del suo successo dipendeva dal marketing e dalle idee che provenivano dalla sua agenzia, a cui si affidava da sempre.

La call non durò molto, ma l'idea era geniale: uno stream interamente trasmesso dall'auto sportiva di Ph0tonP0wer, e ogni 10 iscrizioni al canale lo streamer avrebbe schiacciato il piede sull'acceleratore per 10 secondi.

L'agenzia iniziò dunque la sua campagna di promozione: post ovunque, stories, addirittura l'annuncio arrivò anche su qualche notiziario in TV. “Cos'altro s'inventaranno?” si chiese qualcuno. “La mamma degli stupidi è sempre incinta.” affermò qualcun altro. “Questi influencer fanno danni incalcolabili alla psiche dei nostri bambini” dissero in TV.

Sta di fatto che la gente ne parlava. Si parlava di nuovo della Piattaforma, della content creation, degli streamer, e soprattutto si parlava di Ph0tonP0wer.

Dopo settimane di hype, annunci, scambio di opinioni, venne finalmente il giorno. Con rinnovata fiducia, lo streamer entrò nella sua auto fiammante, accese l'apparecchiatura, e premette su Start Live.

Solita introduzione di rito: sorriso d'ordinanza, tono di voce alto e impostato, saluto a chi si è già collegato, reminder di iscriversi e attivare la campanella delle notifiche.

Pronti? Si parte!

Le prime iscrizioni non tardarono ad arrivare. Questi sono i momenti in cui si vede l'amore della propria community, pensò lo streamer. Alla decima iscrizione, scattò l'alert, e Ph0tonP0wer non tradì la promessa: piede in fondo, sorriso di chi è sicuro delle proprie abilità, e via! La chat era letteralmente impazzita. Come ai tempi d'oro, quando era al top. Macché top, si trovò a pensare: non sono mai stato al top come adesso! Adesso sì che il mondo si ricorderà di me!

Ancora iscrizioni, ancora soldi, ancora alert, e ancora piede sull'acceleratore. La risata dello streamer ben rappresentava l'esaltazione che stava vivendo in quel momento. Senza più remore, senza più dubbi, questa era la cosa giusta da fare, questo era ciò che il pubblico voleva!

La Piattaforma registrò un record di presenze nel suo stream quel giorno, proprio nel momento in cui la trasmissione si interruppe improvvisamente, per poi non riprendere mai più.

 
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Inktober 2025 – Però per scritto – 7/10 – Starfish

L'Inktober ( https://inktober.com/ ) è un'iniziativa che ricorre ogni anno: 31 prompt per realizzare altrettante illustrazioni, così da stimolare la creatività e non soccombere all'apatia. K&S quest'anno partecipano congiuntamente. K, da brava illustratrice, posterà i propri disegni sui propri social. S, da totale inetto per quanto riguarda disegno e grafica, parteciperà realizzando brevi raccontini. Si, siamo al corrente che esiste anche un'iniziativa analoga per chi preferisce creare racconti. Ma siamo anticonformisti, che ci volete fare.

Ogni giorno verrà pubblicato qui un racconto, ispirato dalla parola del giorno.

7/10 – Starfish

Il piccolo Timmy era il bambino più sfortunato del mondo. O per lo meno, è così che si sarebbe dichiarato a tutti coloro che glielo avessero chiesto. Le vacanze stavano per finire, e lui non aveva trovato nemmeno un tesoro. Neanche l'ombra, eppure aveva cercato in lungo e in largo. Gli altri bambini della spiaggia erano naturalmente stati più fortunati: chi aveva trovato un braccialetto, chi un vecchio camioncino di plastica, chi un secchiello rosso, e addirittura c'era chi aveva trovato una macchinina perfettamente funzionante.

Timmy niente. Ma certo: d'altronde, era il bambino più sfortunato di tutti. Quel giorno decise di tentare il tutto per tutto: i suoi genitori si erano addormentati sotto l'ombrellone, e c'era un'insenatura a sinistra della spiaggia, poco lontano, dove non era ancora andato. Il posto non gli piaceva più di tanto, c'era una specie di grotta da cui gli altri vacanzieri si tenevano alla larga per qualche ragione, probabilmente perché era buia e fredda e non prometteva niente di buono. Il posto perfetto per un tesoro! Maledicendosi per non averci pensato prima (chissà quante volte avrebbe potuto vantarsi del suo tesoro con gli amici del mare!), Timmy si allontanò velocemente dall'ombrellone, facendo attenzione a non svegliare i suoi genitori, e corse in direzione della grotta.

Se la ricordava bene: fredda, buia, e rocciosa. Niente spiaggia calda qua, e anche l'acqua sul fondo era decisamente gelida. Però Timmy lo sapeva benissimo: è nei posti più inospitali che si celano i tesori migliori, i suoi eroi della TV e dei videogiochi non avevano mai paura a cacciarsi nei labirinti più spaventosi, e ne uscivano sempre vittoriosi e con qualcosa di scintillante in più. Facendo attenzione a non scivolare, il piccolo Timmy si armò di coraggio e entrò nella grotta.

Pochi metri dopo, la luce del sole non era già più sufficiente per capire dove si potesse andare, ma dalle pareti poco più avanti arrivava una debole luce azzurra. Sarà sicuramente un cristallo luminoso preziosissimo, pensò Timmy, e con rinnovata fiducia fece ancora qualche passo.

Non erano cristalli.

Decine e decine di stelle marine adornavano le pareti della caverna, e ciascuna emetteva quella luce, qui decisamente più evidente, una luce fredda ma comunque confortante in tutto quel buio. Maledizione, pensò Timmy, questo non è un tesoro! Decise comunque che in ogni caso sarebbe stato qualcosa di interessante da mostrare agli amici, e allungò la mano verso una delle stelle marine. All'inizio non si accorse di niente, ma dopo poco divenne evidente che l'intensità della luce aumentava via via che le sue dita si facevano più vicine, come se quegli strani molluschi si concentrassero per identificare cosa si stesse avvicinando.

Non appena l'indice del piccolo Timmy toccò la superficie di una delle stelle marine, un silenzioso lampo di luce attraversò la caverna, e il piccolo Timmy perse i sensi.

Quando riaprì gli occhi, si rese conto di trovarsi su una sorta di tavolo metallico, freddo e umido. Una gelida luce bianca, emessa da un faro su quello che doveva essere il soffitto della stanza dove si trovava, lo investiva completamente, e rendeva difficile abituare la vista e scorgere tutti i dettagli. Riusciva a sentire solo un insopportabile fischio, e una sorta di borbottio provenire dal fondo della stanza. Provò a sollevare la testa per capire di più dove si trovasse, ma era impossibile: qualcuno lo aveva bloccato al tavolo, testa mani e piedi. Eppure non sentiva alcuna sorta di legaccio, o manette. Come se una forza nascosta lo tenesse fermo.

Il piccolo Timmy voleva naturalmente urlare, dimenarsi, scappare, ma riusciva a muovere soltanto gli occhi. Muto e immobile, non potè che assistere all'avvicinarsi di una figura dal lato del tavolo dove si trovavano i suoi piedi. Aveva la pelle come quella di un delfino, o forse di una foca (Timmy non poteva esserne certo, aveva visto questi animali soltanto in TV), di statura bassa, forse perfino più basso di Timmy, e con una testa perfettamente sferica. Dove Timmy si sarebbe aspettato di vedere gli occhi, non vi era nulla, ma poco più in basso si poteva scorgere una sorta di piccola fessura, da cui affiorava un corpo molliccio di colore giallo. La figura sollevò quello che poteva essere un braccio, seppur somigliasse di più a un tentacolo che si divideva in tre verso l'estremità. In quella sorta di mano teneva una specie di cubo perfettamente liscio, color acciaio. Lo posò sulla fronte di Timmy. Era gelido, e emanava una specie di debole vibrazione.

Nei pensieri del bambino comparve un messaggio. “Non fare parola con nessuno di ciò che hai visto. Torna dai tuoi simili. Non toccare le stelle marine.”

Timmy aprì gli occhi. Si doveva essere addormentato sulla spiaggia, sicuramente. Ancora il sole del pomeriggio era alto nel cielo. Le vacanze non erano finite, c'era ancora tempo per divertirsi. Se solo avesse trovato un tesoro da mostrare ai suoi amici!

 
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from KSGamingLife

Inktober 2025 – Però per scritto – 6/10 – Pierce

L'Inktober ( https://inktober.com/ ) è un'iniziativa che ricorre ogni anno: 31 prompt per realizzare altrettante illustrazioni, così da stimolare la creatività e non soccombere all'apatia. K&S quest'anno partecipano congiuntamente. K, da brava illustratrice, posterà i propri disegni sui propri social. S, da totale inetto per quanto riguarda disegno e grafica, parteciperà realizzando brevi raccontini. Si, siamo al corrente che esiste anche un'iniziativa analoga per chi preferisce creare racconti. Ma siamo anticonformisti, che ci volete fare.

Ogni giorno verrà pubblicato qui un racconto, ispirato dalla parola del giorno.

6/10 – Pierce

Le luci sulla plancia non lasciavano spazio ai dubbi. Nemico a ore sei.

Bruce tirò verso di sé la cloche del motore con un movimento rapido, e con l'altra mano avviò una manovra di cabrata. L'aveva fatto mille volte all'accademia, una contromisura classica quando c'è un nemico in coda. Il motore del suo caccia diminuì conseguentemente la velocità, e i flap puntarono verso il cielo, con meccanica precisione. Guardandosi intorno, Bruce cercò di avvistare l'aereo nemico che risultava dal suo radar, e con la coda dell'occhio riuscì a vederlo uscire da una nuvola appena sotto di lui. Il briefing della missione ne segnalava la probabile presenza in zona, e ormai ne era certo: era stato scoperto.

L'addestramento dell'accademia permise a Bruce di identificarlo rapidamente: era un caccia di ultima generazione, modello SK-190, due motori a reazione, adatto al decollo da pista o da portaerei, 16 missili a tracciamento termico, cannone rotante a 6 canne. Un mostro di agilità e maneggevolezza, armato fino ai denti. Un vero osso duro, nelle mani di un pilota esperto.

Bruce strinse i denti, e riposizionò la barra di comando in posizione neutra, pronto a forzare il motore in una virata a sinistra. Come da manuale, aumentò lievemente il gas, e tornò a controllare la strumentazione. Il nemico sembrava essersi lievemente allontanato, ma Bruce ne era certo: ci sarebbe voluto altro per seminarlo.

Dopo pochi secondi, infatti, lo vide nuovamente apparire sul radar. Nemico a ore 6. Si accese un'altra luce sulla strumentazione, quella luce che nessun pilota vuole mai vedere. L'allarme di lock-on. Bruce allungò la mano verso la bottoniera sulla sua sinistra, e premette il tasto che comanda le contromisure. Contemporaneamente, iniziò la virata, e il suo caccia lasciò dietro di sé una nuvola di piccoli bengala, un'ottima contromisura per le testate a tracciamento termico.

Non sarebbe stato abbastanza, Bruce ne era certo. Riportò ancora una volta in orizzontale il suo caccia, e spinse in avanti la cloche del gas. Gli SK-190 erano agili, è vero, ma il suo aereo era più moderno, più potente. E soprattutto, aveva un motore supersonico.

Più veloce, pensò Bruce, più veloce, devi andare più veloce!

L'aereo prese a vibrare, e la velocità divenne l'unico pensiero di Bruce. Chiuse gli occhi, e spinse ancora più in avanti la cloche.

Il boato arrivò all'improvviso, quando meno se l'aspettava. Un tonfo secco, forte, e poi il silenzio. Durante l'allenamento ne aveva sentito parlare, ma non aveva idea che squarciare il muro del suono sarebbe stato così. Riaprendo gli occhi, venne colpito dalla luce che sembrava emanare dappertutto, non più soltanto dal sole all'orizzonte, ma dalle nuvole stesse. Istintivamente, guardò il radar per controllare la posizione del nemico. Nessuna spia, nessun allarme. Tutto tranquillo. Ce l'hai fatta un'altra volta, pensò, dandosi una metaforica pacca sulla spalla. Hai vinto anche stavolta.

Riportò in posizione neutrale la cloche, e puntò il suo caccia verso le montagne a est, come da piano. Poco contava per Bruce, ormai, che le montagne non ci fossero più, così come il radar, la cloche, l'aereo. Tutto era luce, ormai.

 
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from KSGamingLife

Inktober 2025 – Però per scritto – 5/10 – Deer

L'Inktober ( https://inktober.com/ ) è un'iniziativa che ricorre ogni anno: 31 prompt per realizzare altrettante illustrazioni, così da stimolare la creatività e non soccombere all'apatia. K&S quest'anno partecipano congiuntamente. K, da brava illustratrice, posterà i propri disegni sui propri social. S, da totale inetto per quanto riguarda disegno e grafica, parteciperà realizzando brevi raccontini. Si, siamo al corrente che esiste anche un'iniziativa analoga per chi preferisce creare racconti. Ma siamo anticonformisti, che ci volete fare.

Ogni giorno verrà pubblicato qui un racconto, ispirato dalla parola del giorno.

5/10 – Deer

La foresta non gli era mai piaciuta, a voler essere onesti. Ogni volta che ne parlava, veniva preso in giro e sminuito: questo è il tuo posto, gli dicevano. Qui sei al sicuro. Qui c'è tutto quello che ti serve.

Di notte, era ancora peggio. Ogni rumore, ogni ombra sembrava una minaccia. Il caldo conforto del sole lasciava il passo al vento freddo, che portava con sé suoni spaventosi e misteriosi. Ogni volta, al tramonto, provava a farsi coraggio. Provava a ripetersi ciò che da sempre gli dicevano gli amici e i parenti. Non devo aver paura, andrà tutto bene, sono al sicuro.

Al sicuro. Ma quando mai era stato veramente al sicuro? Quando mai, in un mondo come questo, fatto di prede e predatori, si è veramente al sicuro?

Quella notte non fece eccezione. Tramontato il sole, come sempre, non riusciva a dormire. Si ritrovò a vagare per i sentieri della foresta, quei sentieri che solo lui conosceva, calcati dai suoi passi chissà quante volte. Eppure, non riusciva a trovarli rassicuranti, perché anche lì c'erano le tanto odiate ombre, anche lì la luna proiettava ombre e riflessi attraverso le foglie degli alberi che gli facevano vedere forme irreali, personificazioni dei suoi peggiori incubi, minacce. Minacce ovunque.

Anche quella notte, provò a scappare. Ma non si scappa dal buio, non si scappa dall'ignoto, non si scappa dalla paura, perché la paura vive dentro di noi, ed è sempre un passo avanti.

E quella notte, sentì un rumore nuovo. I suoi passi l'avevano portato in una zona diversa, lontana dai soliti posti. Non riconosceva i tronchi degli alberi qui, c'erano radure che non gli risultavano familiari, e le foglie fremevano sotto l'influenza del vento in modo ancora più sinistro.

Non avrebbe saputo descrivere in che modo quel rumore fosse diverso dal solito. Era come lo spezzarsi di un legnetto, ma più deciso, più violento, non goffo ma bensì determinato, di certo non accidentale. Le sue orecchie erano ben allenate, dopo innumerevoli notti trascorse a catalogare ogni suono, per associarlo a chi o cosa l'avesse causato. Un rumore così non l'aveva proprio mai sentito. Uno simile, si, certo. Ma così, no. Se c'era qualcosa di cui si fidava, era sé stesso, e i suoi sensi. Quando devi sopravvivere ogni giorno, è importante affidarsi a sé stessi.

Si fermò all'istante, e con gli occhi scandì ancora più attentamente l'area in cui si trovava. Tronchi d'albero a perdita d'occhio. Saranno stati almeno tanti quante stelle c'erano nel cielo. Ogni albero recava con sé i suoi rami, la cui forma contorta rendeva impossibile contarli. Ogni ramo, innumerevoli foglie. Ciascuna con la propria voce, ciascuna che sussurrava un messaggio di morte. Vicino alle radici dei tronchi più vicini scorse alcuni vermi, ragni, formiche, e un paio di topi. Ma nessun topo avrebbe potuto fare quel suono. Un uccello, forse? Qualche gufo, il cui canto lo spaventava sempre? Ma non c'erano gufi in questa parte della foresta. Dove diamine era capitato, che nemmeno quei maledetti osavano venire qui?

Scelse allora di affidarsi nuovamente all'udito. Se qualcuno, o qualcosa, aveva fatto quel suono, allora l'avrebbe fatto di nuovo. Aspettò, fermo e immobile, ancora qualche attimo. Ogni muscolo del suo corpo lo implorava di non tradire la regola: mai fermarsi. Se stai fermo, sei un bersaglio. Eppure, quella notte scelse di provare a capire, scelse di affrontare la sua paura, e restò fermo, in ascolto, totalmente concentrato. Passò qualche secondo, o forse addirittura un paio di minuti. A lui sembrarono ore, addirittura giorni interminabili, laggiù nella foresta che proprio quella volta scelse di restare in silenzio, come se anche le foglie e i topi volessero stare in ascolto.

Quando all'improvviso, lo sentì di nuovo. Più vicino. I suoi arti dunque presero il sopravvento sulla determinazione, e lo portarono di scatto lontano da lì, via, via da quella maledetta radura. Corse come il vento stesso, senza sapere dove, senza una meta, ma lontano. Corse fino all'alba, quando il sole graziò di nuovo le sue corna maestose, di cui non si sentiva degno, e che gli ricordavano ogni giorno di quanto fosse vigliacco. Non seppe mai l'origine di quel suono, ma quel che importava era che un'altra notte era passata.

 
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Inktober 2025 – Però per scritto – 4/10 – Murky

L'Inktober ( https://inktober.com/ ) è un'iniziativa che ricorre ogni anno: 31 prompt per realizzare altrettante illustrazioni, così da stimolare la creatività e non soccombere all'apatia. K&S quest'anno partecipano congiuntamente. K, da brava illustratrice, posterà i propri disegni sui propri social. S, da totale inetto per quanto riguarda disegno e grafica, parteciperà realizzando brevi raccontini. Si, siamo al corrente che esiste anche un'iniziativa analoga per chi preferisce creare racconti. Ma siamo anticonformisti, che ci volete fare.

Ogni giorno verrà pubblicato qui un racconto, ispirato dalla parola del giorno.

4/10 – Murky

“Così è deciso, la seduta è tolta!”

Con un tonfo del suo bastone, il Grande Castoro concluse il suo discorso, e lasciò ammutolita l'assemblea. La situazione era grave, certo, ma nessuno si aspettava che quella sarebbe stata la soluzione che sarebbe stata adottata.

Dopo così tanti anni, abbandonare l'ansa del fiume per spostarsi a nord, dover ricostruire tutte quante le tane, e chi si sarebbe occupato dei piccoli della tribù, quelli appena nati, che ancora neanche avevano rosicchiati i primi legnetti?

In fondo, però, le alternative non erano molte.

Qualcuno, a dire il vero, già si era insospettito quando, tante lune prima, vennero avvistati numerosi gruppi di uomini, molto più numerosi del solito, soprattutto considerando che il fiume scorreva molto lontano dalle loro chiassose città. Tuttavia, nessuno della tribù se ne preoccupò più di tanto. Saranno campeggiatori, dissero.

Poi arrivarono con le loro grandi macchine di metallo, col loro fumo e col loro assordante rumore. Iniziarono a scavare, spaccare, riempire, e infine portarono lui: il tubo.

Il tubo era grigio, freddo e sporco. Molto più grande del più grande tronco che qualsiasi castoro avesse mai rosicchiato, e dal suo interno ben presto iniziò a sgorgare un tipo di acqua che nessuno della tribù aveva mai visto. Aveva uno strano odore pungente, e un colore violaceo che rendeva le acque del fiume melmose e dense.

E dire che i più forti della tribù ci avevano provato a tapparlo! Ma il tubo era troppo grande, il flusso troppo potente, e soprattutto chi si avvicinava a quelle acque melmose perdeva istantaneamente le forze, e doveva stare a riposo nella tana per almeno due o tre giorni prima di tornare in salute.

Non c'era scelta, gli anziani concordavano tutti, bisognava fare come aveva deciso il Grande Castoro: abbandonare l'ansa del fiume per spostarsi a nord, lontano dal tubo, e ricostruire una vita, una casa, un posto dove la tribù poteva continuare a esistere.

“Ma... ma Grande Castoro, cosa succederà se gli uomini costruiranno un altro tubo anche a nord?”

La voce apparteneva alla giovane Lucinda, una di quelle castorine sempre con la testa tra le nuvole, più dedite a sognare che a rosicchiare il legno.

Tutti quanti i castori dell'assemblea si voltarono, sgomenti, a fissare la giovane. Che arroganza, contraddire il Grande Castoro! Ma il Grande Castoro non tardò a rispondere.

“Giovane Lucinda, quel che dici ahimé è realistico, ma cos'altro possiamo fare? In fondo, il fiume è grande, e potremo spostarci di nuovo. Hai per caso un'altra opzione in mente?”

“Beh... potremmo chiedere aiuto alle altre tribù. Anche loro dovranno affrontare i problemi causati dal tubo, in un modo o in altro!”

“Ma le altre tribù non hanno mai collaborato con noi! Anche quando abbiamo costruito la Grande Diga, nessuno volle prenderne parte, neanche i serpenti, eppure da allora hanno potuto badare più facilmente alle loro uova senza preoccuparsi della corrente del fiume.”

“Lasciate fare a me, Grande Castoro! Parlerò alle altre tribù, e troveremo una soluzione!”

L'assemblea dunque si sciolse per davvero, tra lo scuotere delle teste dei castori più anziani, e lo sguardo incuriosito del Grande Castoro. Che fosse davvero giunto il momento di lasciare che i giovani decidessero le sorti della tribù?

La giovane Lucinda raccolse dunque qualche provvista, e si mise in viaggio poco dopo, fronte alta illuminata dal sole, e coda ben piantata a terra, segno di determinazione e convinzione.

Passarono i giorni, e con ogni tramonto gli anziani si convincevano sempre di più dell'assurdità della proposta. “Questi giovani d'oggi, pensano di saper fare tutto! Figuriamoci, le tribù hanno sempre pensato soltanto a sé stesse, abbiamo sempre fatto bene a fidarci del Grande Castoro e basta!”

Al sorgere del sole del trentesimo giorno, però, Lucinda fece ritorno all'ansa del fiume. Non sembrava più tanto giovane, recava addosso i segni di un arduo viaggio, qualche graffio, il pelo tutto arruffato, ma lo sguardo ancora più fermo e ambizioso.

Lucinda convocò il Grande Castoro, e illustrò il piano maturato nel corso di lunghi giorni e interminabili riunioni con le altre tribù del fiume.

In confronto, il progetto della grande diga sembrava un gioco da ragazzi. Qua si parlava di pietre, tronchi, una struttura ambiziosa e mai realizzata prima di allora.

Gli aironi avrebbero fatto da guardia dall'alto. I tassi avrebbero portato le pietre. I serpenti avrebbero spaventato qualsiasi umano si fosse avvicinato. I castori avrebbero rosicchiato il legno, e i più anziani avrebbero diretto i lavori.

“Ma come faremo a portare le pietre e il legno alla bocca del tubo? Il fango è tossico, ci avvelenerà!” chiese il Grande Castoro.

“A quello penseranno i rospi! A loro la fanghiglia del tubo non crea nessun problema!”

“Ma... ma allora, i rospi non avrebbero bisogno di tappare il tubo! Perché mai hanno accettato di aiutarci?”

“Grande Castoro, non tutte le tribù sono come noi. I rospi sono un po' viscidi e mollicci, ma hanno un gran cuore. A loro piace l'ansa del fiume, per il paesaggio e il clima, certamente, ma soprattutto perché ci siamo tutti quanti noi. Non vogliono vederci scappare, e per questo hanno acconsentito ad aiutarci.”

Il Grande Castoro sorrise, e capì che ormai i tempi erano davvero cambiati. Se le tribù del fiume avessero voluto continuare a sopravvivere, avrebbero dovuto iniziare davvero ad ascoltare i giovani, aprirsi a nuove idee, collaborare, e non scappare di fronte alle difficoltà.

Si dette dunque il via ai lavori. Chi fosse capitato di lì per caso, nonostante il cattivo odore emanato dal tubo avrebbe scorto uno spettacolo unico: i possenti tassi che trasportavano le pietre, i rospi che ascoltavano attenti le istruzioni dei castori anziani, gli aironi in volo in formazione, e una struttura di sassi e legno che piano piano cresceva e andava a tappare il tubo.

Ci volle qualche settimana, ma alla fine il tubo venne tappato e le acque tornarono a sgorgare limpide e pulite lungo l'ansa del fiume.

Gli uomini se ne accorsero, naturalmente, e inviarono le loro macchine di metallo a rimuovere il blocco. Ma le tribù ormai erano diventate esperte, e tapparono nuovamente il tubo in minor tempo: i rospi avevano appreso la tecnica, e non avevano più bisogno di tante istruzioni. I castori avevano affilato ancora di più i loro denti, e riuscivano a rosicchiare il legno ancora più velocemente. Gli aironi avevano perfezionato i turni di guardia, e niente sfuggiva al loro sguardo. I serpenti erano riusciti a scoprire metodi per sbucare all'improvviso e spaventare anche il più temerario degli uomini.

Ogni volta che gli uomini rimuovevano il blocco, il tubo veniva di nuovo tappato, finché un giorno gli uomini non vennerò più. Nessuna macchina venne a rimuovere il blocco, e di lì a poco risultò evidente che il tubo non conteneva più la fanghiglia puzzolente, come se fosse stato in qualche modo dismesso. Gli uomini se n'erano andati, e le tribù dell'ansa del fiume erano restate lì dove si erano stabilite. Tutte insieme.

 
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from ordinariafollia

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Solo un'altra legge di questa dimensione che per noi dispone attrazione o repulsione.

Così che faccia a faccia siamo uniti che tra i nostri corpi non passa d'aria un filo, così che nuca a nuca siam distanti che l'uno tiene l'altra in sospensione contro la gravita contro la ragione.

Solo un'altra legge di questa condizione al pari di quella che straccia i nostri corpi giorno dopo giorno.

Ma io t'amo nudo nella pioggia e scalzo e tu ami me sotto al sole con l'ombrello aperto.

 
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from Il quaderno del Cretino di Crescenzago

Suppergiù 6 anni fa, nella primavera del 2019, venne pubblicata su Nintendo Switch la conversione rimasterizzata di Final Fantasy X, originariamente uscito per PlayStation 2 nel lontano 2001. Il mio partner di allora era ed è un grande estimatore di tutto ciò che è videogioco di ruolo giapponese, mi invitò caldamente a procurarmi il gioco e farne il mio primo Final Fantasy, e io seguii il consiglio. Avviai il software a mente sgombra e senza aspettative, e fui accolto da questo filmato introduttivo.

Fra lo struggimento del sottofondo di pianoforte, la malinconia dei personaggi a bivacco in mezzo alle macerie, e l'unica linea di dialogo fuori campo al termine della clip, questo prologo incapsula egregiamente il nucleo tematico centrale che avrei esperito nelle successive ore di gioco: una storia di miseria e lutto, di flebili speranze, di rivolta contro la tradizione e l'aspettativa, di conoscenze perdute e recuperate dagli interstizi, di sguardi estranei e stranieri che proprio in quanto tali riescono a proclamare che il re è nudo, di un'epoca che finisce per lasciare spazio a un futuro gravido di incertezza. E tutto ciò sta già in quella battuta solitaria al termine della cinematica:

Listen to my story. This...may be our last chance.

Di sicuro, FF X è un'opera meno apertamente eversiva di quanto sarebbe stato Persona 5 nel 2016, ma era decisamente schierata in senso iconoclasta e libertario (e nel suo piccolo anche antirazzista), e non fu un caso se un annetto dopo, nei miei primissimi giorni da insegnante durante la DAD, feci analizzare da una classe proprio questa stessa cinematica, come caso studio di ritmo narrativo.

Saltiamo avanti di 4 anni, al momento in cui nel mondo primario il re si è denudato senza che alcuno osasse stupirsi: il momento in cui il regime sionista ha avviato in via definitiva il genocidio del popolo palestinese gazawo, protetto e foraggiato da questa schifo che chiamiamo Occidente democratico. In quei giorni dell'autunno 2023 io stavo aspettando con gioia che una compagnia di attoru gazawu giungesse in Italia grazie al supporto dell'APS Scighera (realtà davvero virtuosa a Milano Est), e già nei primi giorni di massacro nella Striscia è giunta la notizia che uno degli attori, Abraham Saidam, era stato ucciso dalle bombe israeliane; pochi giorni dopo, il mio coinquilino libanese ci ha informati che la sua amica giornalista Christina Assi era stata gravemente mutilata dal fuoco israeliano deliberato contro la sua troupe, che esibiva i suoi pass stampa ben al di là del confine nazionale. Già allora, per la prima volta nella mia vita di bianco benestante nel Nord globale, ho avuto la decenza di capire che queste stragi erano anche le mie stragi, che è doveroso sputare sulla “bandiera bianca e azzurra con la stella, perché là sotto c'è sepolta mia sorella” (parafrasando i Malasuerte Fi Sud, che lo dicevano già nel '21), e ho composto una lunga poesia in solidarietà alla Palestina resistente e a chi le è solidale. Non l'ho mai pubblicata, né credo oserò mai farlo, perché la fiammella di ottimismo nella strofa finale mi sembra trionfia e buonista, dopo due anni di strage e di rapina nell'impunità generale. E soprattutto, credo che nessun verso di supporto proveniente da una bocca bianca possa valere una lettera dell'ultima poesia del professor Rifaʿat al-ʿAriʿīr, ucciso dai macellai sionisti non molti giorni dopo Abraham Saidam:

If I must die, you must live to tell my story, to sell my things to buy a piece of cloth and some strings, (make it white with a long tail) so that a child, somewhere in Gaza while looking heaven in the eye awaiting his dad who left in a blaze— and bid no one farewell not even to his flesh not even to himself— sees the kite, my kite you made, flying up above and thinks for a moment an angel is there bringing back love If I must die let it bring hope let it be a tale.

L'arte mi (ci) aveva preparato alla vita, e davanti a vite indigene spezzate dallo stragismo fascista, in quel momento, sapevamo solo ascoltare le loro storie postume, quando ormai era troppo tardi.

Saltiamo avanti ancora di 2 anni: la soluzione finale in Palestina procede implacabile come lo fu quella contro i popoli indigeni del Nord America, fra le mattanze nella Striscia di Gaza e lo stato di polizia in Cisgiordania, il tempo è sempre più scarso, e sempre meno voci sopravvivono per difendere sé stesse. Ma forse qualcosa si è finalmente mosso, nell'Occidente putrescente, e il 22 settembre scorso abbiamo saputo far soffiare un minimo alito di autunno caldo contro le guglie di vetro e cemento dei grandi oligarchi: per qualche ora abbiamo osato bloccare tutto e dissanguare i protafogli dei nostri padroni, e per qualche minuto abbiamo osato, timidamente, spaccare tutto e rifilare qualche livido a chi di “mestiere” spacca la testa ai dannati della Terra per conto dei nostri padroni. E l'abbiamo fatto non meramente per il nostro interesse di inferiori entro la casta dominante degli Occidentali, ma perché non un solo chiodo vada a vantaggio del regime di Tel Aviv: se “ogni colpo sparato sul nemico sionista in Italia colpisce chi comanda”, allora ogni colpo sottratto al nemico sionista prolunga una vita palestinese.

Ma non ci possiamo fermare qui.

Lu compagnu della Global Sumud Flotilla stanno letteralmente portando avanti una mossa kamimaze non violenta: o il regime sionista lascia che la Flotilla attracchi a Gaza, e allora l'embargo si spezza per tutti e tutte, o dovrà ammazzare in un colpo solo molte più vite bianche (quelle che contano...) di quante i suoi propagandisti potranno giustificare, gli stessi propagandisti che a suo tempo ebbero un bel daffare per screditare i sacrifici individuali di Rachel Corrie e di Vittorio “Vik” Arrigoni. Ma questa scommessa funziona solo se, qui in Occidente, chi ha capito che il re è nudo ha il coraggio di insorgere ancora e ancora, e bloccare tutto finché chi comanda non avrà la tremarella a continuare a foraggiare il regime sionista. E in questa battaglia, Final Fantasy X, per come io l'ho esperito, è il racconto paradigmatico che ci fornisce una necessaria lettura mitica dello scontro storico: ogni persona fra noi può essere un Tidus, pronto a puntare il dito contro il marciume del mondo (che come l'immaginaria Spira del gioco, del resto, sprofonda in una spirale di necrocrazia); ogni persona può essere una Yuna e farsi pastore della protesta, sia brandendo in prima linea una bandiera di libertà, sia dispensando cure premurose a chi soffre per lacrimogeni e manganellate; ogni persona può emanciparsi dalla schiavitù mentale del pregiudizio introiettato, come Wakka, od offrire alla lotta la propria prospettiva unica determinata dal proprio margine, come Rikku. La cosa importante è non cedere alla falsa pacificazione che il nostro padronato ci propone, in tutto identica alla falsa pacificazione del ciclo di Sin propugnata dal culto di Yevon: il tempo è scaduto, Gaza è rasa al suolo, e noi non vogliamo una tregua di facciata. Vogliamo il disarmo dei sionisti, e poi di tutti i despoti. Noi vogliamo tutto.

Per cui, consapevoli che le storie di chi resiste ci servono disperatamente per fortificarci, per organizzare la nostra resistenza solidale e complice e per proteggere chi di noi cadesse in lotta (penso alla macchina repressiva che qui a Milano si è accanita contro i nostri “cuccioli del Settembre”), non ci limiteremo a leggerle e apprezzarle: dobbiamo farle nostre e riprodurle, e spezzare la spirale. È questa la dignità del sumud palestinese, è questo “restare umani”.

Che gli aquiloni volino e alti e accompagnino il trapasso dei nostri morti. Intanto, noi che viviamo, bloccheremo tutto.

 
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