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Cambiare il comportamento del tasto ALT. Subito.

Di default, Linux Mint (e, immagino, anche altre distro) gli assegna il potere di trascinare la finestra in giro per il desktop, con la pressione associata del click sinistro; ebbene, qualcuno in alto ha deciso che, statisticamente, sia più frequente che usare il modificatore ALT assieme al mouse.

“Eh, di sicuro sarà un problema solo tuo: starai usando Windows in una VM o una robaccia, sempre di Windows, (non)emulata in Wine”.

No. Anche con Blender: provate a selezionare un edge loop con ALT+LMB, poi sappiatemi dire.

Quindi, per evitare di impazzire, procedura in Mint Cinnamon, non so altrove: tasto super, cercate finestre, andate in comportamento e in tasto speciale di spostamento e ridimensionamento finestre dimenticate ALT e impostate SUPER.

 
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from archivio pop


Aprile 2025. Viviamo tempi in cui sarebbe preferibile non dipendere da colossi che potrebbero diventare ostili da un momento all'altro, tagliandoci i rubinetti. In realtà, saremmo noi a dover tagliar loro i rubinetti, un processo non istantaneo ma possibile, un passo alla volta.

La nostra casella Gmail, che usiamo da anni, è bellissima, capiente, funziona bene, tutto quel che ci pare ma, ormai, penso ci si trovi davanti un dilemma etico. Dove spostarsi? Le alternative gratuite più gettonate, da diversi anni, sono Tuta e Proton Mail: ce ne sono altre, sempre gratuite, probabilmente meno attente alla privacy. Non sono qui per fare comparazioni, il web ne è pieno e non avrete problemi a farvene un'idea: in linea di massima, i piani gratuiti si equivalgono e i contro sono abbastanza condivisi.

Ecco, i contro, molti dei quali riconducibili ai rispettivi piani gratuiti: – lo spazio disponibile è limitato; – le interfacce non sono una copia esatta di quella che abbiamo usato per lustri (ma ci si abitua); – la personalizzazione globale, con filtri, risposte automatiche, inoltri, etichette ecc., non è assolutamente paragonabile; – la funzione di ricerca è lenta/potrebbe non funzionare come ci si aspetterebbe; – usano applicazioni proprietarie e non si possono usare direttamente in client esterni, come Thunderbird; – i termini di uso parlano esplicitamente di un solo account per utente, ma l'utilizzo di account multipli è consentito entro limiti non precisamente delineati, che lasciano il ban a loro discrezione; – bisogna loggare periodicamente, altrimenti l'account è considerato inattivo e può essere chiuso.

Visto l'uso da privato, mi sono adeguato, forse assuefatto alle limitazioni e l'unica cosa a infastidirmi davvero è la vaghezza sugli account multipli e l'inattività. Allo spazio disponibile rispondo cancellando rapidamente le email appena diventano inutili, pratica che contribuisce anche a mitigare la lentezza della ricerca. Per filtri e etichette, pazienza: anche su Gmail non ne facevo usi particolari, quindi non sono limitazioni che personalmente reputo troppo impattanti. Le app sul telefonino le ho scaricate, pazienza, (quella di Tuta Mail è disponibile anche su F-droid) sui computer uso l'interfaccia web.

Ok, ma come staccarsi da una vecchia casella? Nel mio caso, essendo abbastanza puntiglioso, ho trovato fondamentale tenere traccia, in qualche modo, di tutti i miei account e della correlazione con le diverse email. Strumenti utilizzati: un foglio di calcolo qualsiasi e le etichette su KeepassXC, il mio password manager di fiducia. L'account vecchio non va chiuso: le email in entrata ci aiutano a tener conto delle vecchie iscrizioni, in modo da poterle poi spuntare una a una. Sta a voi decidere se inoltrare o meno queste email alla nuova casella, io ho saltato questo passaggio e ho usato il foglio di calcolo.

Nello specifico, le colonne sono: Nome – Categoria – Email – Url – Note. In Nome, oltre appunto al nome del servizio, c'è anche quello dell'account, in caso di account multipli. Categoria indica la relativa cartella che uso nei segnalibri dei browser e che ha la stessa denominazione di quella usata in KeePassXC. Email, ovviamente, è la casella associata al servizio, **Url il sito collegato e Note è una colonna che uso poco o niente, ma qualcuno potrebbe trovarne un uso più intenso. Nome e email sono le categorie fondamentali, il resto è superfluo; poterle ordinare in ordine alfabetico è la parte essenziale di questa pratica, in modo da poter tenere d'occhio facilmente sia gli account multipli sullo stesso servizio (ordinando per nome), sia le singole email associate ai diversi servizi (ordinando per email). Certo, c'è un discreto lavoro da fare all'inizio, poi si tratta solo di aggiungere gli account creati successivamente o disfarsi di quelli cancellati: come specificato in apertura, non è una guida istantanea alla migrazione e non penso possano esisterne.

Con KeePassXC, il procedimento è analogo. Nel corso dei mesi, perché è una cosa che ho fatto un poco alla volta, ancora una volta, ho creato tutti i gruppi con gli stessi nomi usai nei segnalibri, poi ho assegnato alle varie voci le etichette con l'email usata per la registrazione. Visto che la ridondanza non è mai abbastanza, alle note ho pure aggiunto il testo “emailindirizzo@email.associato”, in modo da poterle ritrovare con la funzione cerca, nel caso avessi dimenticato di impostare l'etichetta.

Con queste pratiche, e assicurandosi di aggiornare tutto con regolarità, controllare la situazione è molto facile. Esisteranno metodi migliori, ma questo è l'unico a essermi venuto in mente e, nonostante il tempo speso inizialmente e la voluta ridondanza, posso certificarne la validità. Se siete programmatori, probabilmente, potrete crearvi soluzioni più personalizzate, ma io sono e rappresento l'utente qualsiasi e mi affido a soluzioni create da altri.


Queste sono le mie proposte usando solo strumenti gratuiti, se proprio si vuole passare a un livello superiore di personalizzazione è necessario prendere e usare un dominio personale. La spesa non è enorme, per un .eu si tratta di 5-7 euro annui a seconda del registrar, per un .com o .net la cifra approssimativamente raddoppia.

Il metodo più veloce per personalizzare le email, col dominio personale, è un semplice redirect, del tipo email@dominio.mio –> casellavera@proton.me. Solitamente, è un'operazione fattibile direttamente dal sito web del registrar (ne confermo la presenza su Namecheap, sarà lo stesso per altri fornitori). In questo modo, è possibile creare tutti gli indirizzi necessari e inoltrarli a differenti caselle, se non addirittura aggiungendo un catch-all, ovvero la possibilità di intercettare qualsiasi termine prima della chiocciola e indirizzarlo, però, a una sola casella reale.

Come sempre, prima i contro e, in realtà, di rilevante me ne viene solo uno: col semplice redirect, e senza spendere un centesimo aggiuntivo o appoggiarsi a un servizio esterno, riceverete tranquillamente le email all'indirizzo designato, ma nell'eventuale reply l'email vera sarà in chiaro. Nel caso vogliate comunque appoggiarvi a Gmail, potrete aggiungere l'email personalizzata come alias, ma il ricevente molto probabilmente sarà informato del cambiamento arbitrario dell'intestazione: alcuni provider lo segnalano chiaramente.

Senza spendere un centesimo aggiuntivo, appoggiarsi a un servizio esterno e usare un'email con dominio personalizzato perfettamente funzionante in entrata e in uscita: sto parlando di Zoho Mail, ma non so nulla del lato privacy e non se ne parla granché in rete. Quel che è certo, è il numero di cellulare obbligatorio per la registrazione, cosa che farà giustamente storcere più di qualche naso e che non depone certamente a favore.

Se siamo tra quelli che non vogliono concedere il numero di telefono per mandare un'email, una soluzione è Simplelogin, un servizio di anonimizzazione email acquisito qualche tempo fa da Proton; il piano gratuito possiamo farcelo bastare. L'utilizzo principale è quello della creazione di alias anonimi da associare a una o più caselle postali, ma è possibile anche collegare il proprio dominio per usare i nostri indirizzi personali.
Per far ciò, dovremo aggiungere diverse voci ai campi DNS del nostro registrar, coi valori indicatici da Simplelogin: MX, SPF, DKIM e DMARC. Fatto questo, le email spedite a email@dominio.mio giungeranno alle caselle vere che ci saremo premurati di impostare.

Per rispondere alle email come se stessimo effettivamente scrivendo da email@dominio.mio, la procedura non è automatica: dobbiamo copiarci il reverse alias restituito da Simplelogin e usarlo come destinatario dell'email. Non lo sto spiegando bene, ma è più facile da farsi che da dirsi. Video ufficiale della procedura.

Ok, sto straparlando, è il momento di chiudere e di chiudere con il pro più evidente della soluzione dominio personalizzato: finché paghiamo il registrar, nessuno può buttarci giù un indirizzo email: possono chiuderci Gmail, Tuta, Proton, ma possiamo riassociare i nostri indirizzi a nuove caselle.


Il fantastico mondo dei servizi a pagamento aprirebbe le porte a differenti livelli di comodità: alcuni provider si occupano di acquisto e rinnovo del dominio, non servono particolari magheggi per reindirizzare e mascherare le intestazioni, lo spazio a disposizione sarà maggiore e così via. Penso a soluzioni come Posteo, Mailbox, Startmail, oltre a Tuta e Proton, di cui si è già parlato. Le discussioni in rete non mancano.

 
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from Not My World

There are moments when you stop to think about what you’re doing. Yes, when you're young it happens, often even, but at fifty it’s either a misfortune or a luxury.

I have always worked in the internet/communication/web field, first as a technician, then as head of digital, digital marketer, digital strategist, all that stuff, you know.

Like many others, I believed in the value of communication, including commercial communication, made from the bottom up, by users for users, through a medium developed to be a level playing field, capable of fostering connections.

Over the course of these almost 30 years I have experienced a whirlwind of announcements, technologies, buzz words, from the very first e-commerce sites to sites built in Flash, from newsgroups to social networks, from permission marketing to the invasion of memes.

With each turn of the wheel, everything became faster, and more difficult. The dream of a distributed media, of everyone and no one, shattered with the emergence of large platforms first, and then with algorithmization.

These changes were all made in the name of efficiency and ROI, and have claimed many victims: art directors, copywriters and designers have been replaced – and not supported – by hordes of tireless number crunchers, analysts, specialists in some very private ADV platform, social media managers and SEO experts.

Over the years I believed, or told myself, a pathetic lie, that marketing in this century could be the means to create a dialog between brands and people, to help companies sell their products, but also help users find the answers that best suit their needs, maybe even amaze them, entertain them, making them feel part of the journey.

It was a lie, like that of capitalism with a human face of Google’s “don’t be evil”. It was all smoke and mirrors, and I clearly got fooled.

Many things happened, including Covid, the war in Ukraine, the floods in Romagna and, on a personal note, also a very patient wife and a daughter who is about 13 years old. We can certainly say that it was an intense time, during which I ended up working on the organization and promotion of large events in the field of digital innovation.

Innovation that is no longer what I had hoped it would be. But even the world does not resemble what I had somehow imagined it could become. All in all, between one stomach ache and the next, I was just getting by. The hype for blockchain, web 3.0, NFTs passed, and luckily also rather quickly.

Then one fine day ChatGPT arrived. I am and remain a nerd and a geek, with a good technical background, so obviously this novelty initially galvanized me. I mean, as an old fan of Star Trek and Asimov, being able to finally talk to a computer in a natural way is a big deal.

From that moment on it’s been a wild ride, which has started to overwhelm everything and everyone and is taking us to places I sincerely wish I didn’t know about. Before anyone gets upset, yes, I’m talking about LLMs and generative AI and no, I’m not talking about expert systems used in medicine, aerospace, science.

I don’t want to beat around the bush: Generative AI is bad, it’s useless, it’s immoral and should be heavily restricted, if not completely banned.

I won’t go into an anti-capitalist analysis here, although it would be important to do so, because I don’t even think that's the real point of the matter.

Recently, OpenAI released a model that is particularly good with images, coherence, lettering and other technical marvels, which are certainly admirable. It consciously did this by removing many of the façade filters that prevented you from creating images in the style of a particular author or franchise. I would be lying if I didn’t admit that seeing social media, already full of AI Slobs, completely invaded by images in the Studio Ghibli style, literally made me sick to my stomach.

To paraphrase Miyazaki, who in unsuspecting times said “this technology is an insult to life itself”, the misappropriation of the incredible craftsmanship of Studio Ghibli’s works, only to be remixed into horrible memes for the use of the social media manager or content creator on duty, is an insult to intellectual honesty and morality, and a real crime.

The ongoing farce of the democratization of creativity is simply ridiculous, a statement that simply doesn’t make any sense.

As a former colleague of mine, a very talented illustrator, used to say, why focus efforts and investments on deliberately attacking creative work? This applies to images, but also to music and text; what sense does it make, what concrete and real need does it respond to?

LLMs are elaborate stochastic machines that could have fantastic uses, for example to make the lives of the visually impaired and disabled easier, or to automate “low” tasks to really free up time to dedicate to creative thinking. And yet, no. We create machines that can continuously regurgitate texts, music, newsletters, visuals, press releases, videos, social posts, to literally fill the entire internet with shit, with deleterious effects on the public and on the perception of reality.

What’s more, this stuff pollutes the brain to such an extent that, in my personal experience, rather than valuing the work of an expert and competent team, at the first iteration you take for granted any block of tokens vomited up by the LLM at hand.

It’s no longer my world, it’s not what I wanted and imagined, and it’s not what I want for my daughter, who at this moment is a volcano of creativity, and to whom I MUST tell, a moral duty, that this creativity must be cultivated, cared for and trained with effort, and that this path, made up of ups and downs, frustration and enlightenment, represents the value of what she creates.

For this reason, I have decided that, from now on, also and above all at work, I will refuse to use Generative AI tools and, within the scope of my responsibilities, I will never endorse the use of these tools to generate content of any kind.

I could be accused of Luddism, or of being an idiot who can’t keep up with the times. It may be so, but this doesn’t change the substance: Generative AI is a danger to humanity.

ADSR adsr@distruzione.org

P.S. Here are some links to dig deeper, I’ve put some of them throughout the text, but I’ll summarize them all below, for convenience:

https://tante.cc/2025/03/28/vulgar-display-of-power/ https://www.404media.co/ai-slop-is-a-brute-force-attack-on-the-algorithms-that-control-reality/ https://thelibre.news/foss-infrastructure-is-under-attack-by-ai-companies/ https://www.theatlantic.com/technology/archive/2025/03/libgen-meta-openai/682093/ https://www.theverge.com/news/630079/openai-google-copyright-fair-use-exception https://attivissimo.me/2025/03/24/podcast-rsi-con-lia-la-teoria-dellinternet-morta-si-sta-avverando/ https://affordance.framasoft.org/2025/03/dans-le-retroviseur-doverton-casser-vite-et-bouger-des-trucs/ https://aial.ie/pages/aiparis/

P.P.S. I would have wanted to sign this post. But it’s not an easy thing.

 
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Siamo a Valle Marina, una delle frazioni di Monte San Biagio. Una zona di campagna, senza attrazioni particolari ma dove è molto piacevole pedalare, affrontando pendenze poco impegnative (generalmente), circondati da una natura non eccessivamente antropizzata, con pochi agglomerati veri e propri di abitazioni che cedono presto il passo alle singole abitazioni.

Che si provenga da Fondi, Terracina o Monte San Biagio, l’accesso principale è sempre lo stesso: l’incrocio che dalla SS 7 Appia immette in via Macchioni, all’altezza del cimitero di Monte San Biagio. Volendo, da Terracina è possibile accedere sia da via Epitaffio, strada non asfaltata, che da via di Mezzo, 500 metri più avanti. Provenendo da Fondi, è possibile evitare la maggior parte del tratto sulla statale seguendo due percorsi: il primo, consiste nella sequenza via San Magno, via Rene, via Provinciale San Magno, viale Europa e, infine, 2,7 km di statale, fino a via Macchioni.
L’altra strada passa per le vie parallele ai binari: via della Ferrovia, via Sotto Ferrovia, via Parallela della Stazione e, infine, via Bufalari per immettersi sulla SS 7, tornare indietro di circa 300 metri e poi inserirsi in via Macchioni.
Ahinoi, questa opzione prevede possibili incontri con cani, mi è capitato di imbattermi in due maremmani: uno tranquillo e disinteressato, l’altro scappato da una recinzione e molto aggressivo, che ha tentato di aggredirmi nonostante fosse presente il proprietario, che cercava di calmarlo senza alcun risultato.

Il tratto iniziale, via Macchioni, è sostanzialmente pianeggiante, con qualche salita e discesa di lieve entità. Arrivati alla rotonda, per avvicinarci alla destinazione di oggi dobbiamo girare a sinistra, oltrepassare il ponticello della ferrovia, girare ancora a sinistra e procedere fino all’incrocio con via Chivi e seguire questa strada fino a raggiungere, appunto, via Epitaffio.

La torre dell’epitaffio è la nostra meta; vi troviamo una piccola area di ristoro con un paio di tavoli e una panchina, a pochi metri da una stradina nel bosco che fa parte della via Francigena.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Terreno e altimetria:
Il breve tratto che ci interessa non è adatto alle bici da strada: almeno una gravel, meglio una MTB. Si pedala sulla ghiaia per buona parte del tempo, ma alcuni tratti sono abbastanza critici per la presenza di ciottoli di dimensioni importanti, uniti alla velocità sostenuta offerta gratuitamente dalle discesine pepate.
Molto facile cadere, se non si è abbastanza padroni del mezzo: solo per puro caso non son caduto più volte e, quando qualcosa mi ha detto che sarei rovinato a terra di sicuro, mi son fermato bruscamente per mettere i piedi a terra, la qual cosa è avvenuta contemporaneamente a un salto di catena.
Col senno di poi, ho rifatto quelle parti, al ritorno, spingendo a mano la bicicletta. Non sono un esperto e non ho voluto fare l’eroe.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Niente di particolare da segnalare, oltre alle difficoltà già descritte.
Non incontrerete gruppi di ciclisti, probabilmente non ne incontrerete neanche uno, se non dopo esser tornati sulla SS 7; in ogni caso, non si è in mezzo al nulla e ci sono case abitate lungo tutto il tragitto.
Cani aggressivi non ne ho mai incontrati, anzi: fate attenzione a eventuali gatti e cani di piccola sdraiati in mezzo alla strada, intenti a godersi la tranquillità del posto.

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La salita per Lenola è una costante di parecchi giri in bicicletta della zona, sia per la salita in sé che come tratto di trasferimento, per raggiungere Lenola e poi proseguire per altre mete, come Vallecorsa, Castro dei Volsci e, in questo caso, Pico.

La salita vera e propria inizia all’incrocio tra la SR 637, via Provinciale per Lenola, e via Sant’Oliva, ovvero la SP 94 che inizia a Monte San Biagio, all’altezza del ristorante “Al Boschetto”.
Provenendo dalla zona di Terracina, è possibile percorrere la via Appia, SS 7, fino, appunto, a Monte San Biagio e la SP 94, oppure procedere sempre sulla statale fino a Fondi e all’intersezione con la SR 637 che, appunto, porta alla salita.
Dal centro di Fondi, oltre che dalla SR 637, è possibile iniziare dalla salita del Cocuruzzo, continuando poi per via Sagliutola e, infine, per la Provinciale per Lenola.

La strada di elezione, comunque, è quella che inizia dall’incrocio con via Sant’Oliva, ed è pure il tratto ufficialmente contemplato su Strava. Ci troviamo su una classica strada provinciale del Centro-Sud, piuttosto larga, in questo caso, solitamente sempre con un lato esposto al sole fino a Lenola. Qualche curvone e poche curve, nessuna delle quali realmente chiusa, ci conducono senza possibilità di errore fino alla fine della salita, all’incrocio di Lenola. Prendendo la strada a destra, inizia la via che ci avvicina a Pico, sostanzialmente una lunga discesa inframezzata da tratti in salita, fino all’incrocio nel punto dove la provincia di Latina cede il passo a quella di Frosinone. A destra, Campodimele e Itri; a sinistra, Pico, ed è li che continuiamo.
La ricetta è invariata: discese, salite, ancora discese, poi l’ultimo tratto in salita ci porta in paese.

Dopo aver oltrepassato la parte più recente, possiamo svoltare a destra e avventurarci nel borgo vero e proprio, ma è un itinerario che merita sicuramente di essere percorso a piedi. Proseguendo a sinistra, invece, ci ritroviamo dopo poco alla fine del comune, sulla strada per San Giovanni Incarico; io, invece, ho percorso la strada al contrario e son tornato a casa.

Cosa portarsi dietro:
– Borraccia;
– Crema solare, si pedala lontani dall’ombra per buona parte del percorso;
– Coccodrilli o orsetti gommosi per un pizzico di dolcezza ma, prima ancora, spizzichi di carboidrati e zuccheri.

Fontanelle:
Dovrebbero essercene diverse a Pico, ho conoscenza diretta solo di quella in cima alla salita dopo la casa comunale. Ce ne saranno anche nella parte urbanizzata di Lenola, zona non toccata da questo giro.

Terreno e altimetria:
Il piatto forte del percorso è, ovviamente, la salita di Lenola: 7,5 km a una pendenza media del 4,4%, secondo Strava. Le percentuali più frequenti oscillano dal 4 al 6%, con qualche impennata in prossimità dei tornanti, attorno al 7-8% per qualche decina di metri.
Approssimativamente, sono queste le pendenze che affronteremo lungo tutto il percorso, quindi non sono richiesti rapporti particolarmente agili. Bici da strada, gravel o mountain bike, tutto fa brodo.
L’asfalto, anche stavolta, non è dei migliori, specie nel tratto tra Lenola e Pico: crepe, rattoppi su rattoppi, preparatevi a qualche sobbalzo di troppo.

Potenziali imprevisti, pericoli e cani aggressivi:
Vi capiterà di sicuro di incontrare numerosi ciclisti, specie nei giorni festivi: in caso di imprevisti, dovreste poter contare su qualche anima pia.
Molte zone antropizzate nel percorso, non si pedala in una landa desolata.
Non ho mai incontrato cani aggressivi o anche solo fastidiosi, ma attenzione a eventuali attraversamenti di volpi o cinghiali.

Variazioni del percorso:
Nessuna rilevante, se volete percorrere il tratto classico; tuttavia, è possibile raggiungere Lenola seguendo percorsi alternativi, come per esempio da via delle Fate, via Vignolo o dalla contrada di Passignano. Sono strade sicuramente meno trafficate, con maggiori possibilità di incontrare animali vaganti e con uno o più tratti in forte pendenza.

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from D𝕚ⓈѕⓄᶰA𝐧ℤⒺ

𝗙𝗔𝗞𝗘 𝗡𝗘𝗪𝗦

Il potere distruttivo, rivelatore, caustico, ironico delle fake news.

Prima di Internet, prima che diventassero strumento di disinformazione di massa nel mare delle notizie che navigano in rete senza controllo; venne utilizzato abilmente negli anni 90, come strumento artistico e politico, per beffarsi di stampa, televisioni e tutto il sistema dell' informazione. In nome di una cultura del sabotaggio, si contestavano i media e l'invasività delle pubblicità.

Da persone scomparse, a culti demoniaci e violenze mai esistite, che crearono un vero e proprio fenomeno di isteria di massa, prima di essere svelati di fronte all'indignazione dei più. Dimostrando al tempo stesso quanto la sete di notizie dei media è tale da divulgare qualsiasi informazione senza la minima certezza.

Tra le azioni più incredibili che riguardano il culture jamming c'è sicuramente la copia del sito Vaticano nel 1998 che coinvolse 200.000 visitatori per un totale di 4 milioni di accessi.

“Abbiamo acquistato il nome di dominio Vaticano.org e fatto una copia del sito web ufficiale della Santa Sede. Il nuovo sito web era visivamente identico a quello ufficiale, ma conteneva piccole ma significative modifiche nascoste tra i testi sacri, che ci hanno permesso di satireggiare e correggere l'identità della Santa Sede, esaltando l'amore libero, le droghe leggere e l'attivismo online.[...] Il tutto inserito tra le righe di encicliche papali, citate con precisione.

Dal momento in cui Vaticano.org è andato online, un flusso enorme di visitatori si è riversato sul sito web parodia, trascorrendo migliaia di ore a leggere testi modificati con proclami eretici, parole inventate, errori imperdonabili e canzoni di band di teeny-bopper.” (0100101110101101.org)

L'ingegno che era dietro queste operazioni era tale da trasformarle in opere d'arte sovversiva e partecipativa, dove lo spettatore stesso prende parte alla scena e alle sue modificazioni poiché interagisce con essa.

“Un'opera d'arte, in rete o no, non può essere interattiva di per se, sono le persone che devono usarla interattivamente, è lo spettatore che deve usare un'opera in un modo imprevedibile. Copiando un sito, stai interagendo con esso lo stai riutilizzando per esprimere dei contenuti che l'autore non aveva previsto. Interagire con un'opera d'arte significa essere fruitore/artista simultaneamente; i due ruoli coesistono nello stesso momento. Per cui dovremmo parlare di meta-arte, di caduta delle barriere nell'arte; lo spettatore diventa un'artista e l'artista diventa spettatore: un testimone privo di potere su ciò che accade al suo lavoro.” (0100101110101101.org)

I media moderni hanno compreso il potere partecipativo della massa: diffondendo contenuti accattivanti, capaci di generare estremo stupore o profonda indignazione, riescono ad ampliare la diffusione delle loro notizie, poiché ogni condivisione aggiunge il punto di vista del trasmettitore, spesso incurante della veridicità del contenuto. Se un tempo lo spettatore poteva interagire con un’opera d’arte in modo imprevedibile, oggi la decontestualizzazione di frasi, immagini o parole viene utilizzata per provocare reazioni calcolate, prevedendo esattamente l’effetto della catena di ri-condivisioni.

La società contemporanea vive in uno stato costante di isteria, e i mezzi di (dis)informazione, insieme ai social media, riflettono un meccanismo che asseconda l’impazienza collettiva di ottenere risposte rapide e rassicuranti di fronte a eventi controversi. Si tende a individuare un colpevole immediato, un capro espiatorio che soddisfi il bisogno di ordine, trascurando dettagli e sfumature che potrebbero ribaltare l’intera narrazione. È invece fondamentale sviluppare uno sguardo critico sulle informazioni, coltivare la volontà di approfondire e ricostruire il contesto.

 
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La zona di San Vito, nel territorio di Monte San Biagio, è ottima per pedalare nella natura, con percorsi in grado di soddisfare più tipologie di ciclisti.
Nel giro odierno, ho raggiunto la celebre Sughereta, proseguendo per via San Candido (attenzione alla breve rampa finale, con pendenze superiori al 17%), via Limatella e via Durante, la strada che conduce a uno degli alberi monumentali del Lazio, un leccio dalle dimensioni davvero ragguardevoli per la sua specie.

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from Not My World

Ci sono momenti in cui ti fermi e rifletti su quello che stai facendo. Sì, quando si è giovani capita, anche spesso, ma a cinquant'anni o è una disgrazia, o è un lusso.

Lavoro in ambito internet/comunicazione/web da sempre, prima come tecnico, poi come head of digital, digital marketer, digital strategist, insomma, quelle robe lì, avete capito.

Ho creduto, come tanti, nel valore di una comunicazione, anche commerciale, fatta dal basso, fatta da utenti per utenti, attraverso un media nato per essere paritario, capace di creare connessioni.

Nel corso di questi quasi 30 anni ho vissuto una girandola di annunci, tecnologie, buzz word, dai primissimi e-commerce ai siti in flash, dai newsgroup ai social, dal permission marketing all'invasione dei meme.

Ad ogni giro di giostra tutto è diventato più veloce, più difficile, il sogno di un media distribuito, di tutti e di nessuno, si è infranto con l'emergere delle grandi piattaforme prima, con l'algoritmizzazione poi.

Questi passaggi, tutti compiuti nel sacro nome dell'efficienza e del ROI, hanno mietuto vittime eccellenti, art director, copy, designer, sostituiti – e non affiancati – da orde di infaticabili uomini dei numeri, analisti, specialisti in una qualche piattaforma, privatissima, di ADV, social media manager e SEO expert.

Nel corso degli anni ho creduto a, o mi sono raccontato, una patetica bugia, quella che il marketing di questo secolo potesse essere il mezzo per far dialogare brand e persone, per aiutare le aziende sì, a vendere i prodotti, ma anche gli utenti a trovare le risposte più adatte ai propri bisogni, magari stupendoli, intrattenendoli, facendoli diventare parte del viaggio.

Era una Bugia, come quella del capitalismo dal volto umano del “don't be Evil” di Google. Specchi per le allodole, e io sono chiaramente un'allodola.

Sono successe tante cose, compreso il Covid, la guerra in Ucraina, le alluvioni in Romagna e, rimanendo sul personale, anche una moglie assai paziente e una figlia, che va per i 13 anni.

Possiamo sicuramente dire che sia stato un periodo intenso, durante il quale sono finito ad occuparmi di promozione di eventi, grossi, in ambito innovazione digitale.

Innovazione che appunto non era già più quella che avevo sperato fosse. Ma manco il mondo assomiglia a quello che in qualche modo mi ero immaginato potesse diventare.

Tutto sommato, tra un mal di stomaco e l'altro, giocavo a tirare avanti. Sono passati gli hype per la blockchain, per il web 3.0, per gli NFT, e per fortuna anche abbastanza in fretta.

Poi un bel giorno si presenta ChatGPT. Sono e rimango comunque un nerd e un geek, con una buona base tecnica, per cui ovviamente questa novità mi ha inizialmente galvanizzato. Voglio dire, da vecchio fan di Star Trek e di Asimov, poter finalmente dialogare con un computer in maniera naturale è tanta roba.

Da quel momento in poi è stata una corsa assurda, che ha iniziato a travolgere tutto e tutti e che ci sta portando in luoghi che avrei preferito sinceramente non conoscere.

Prima che qualcuno si inalberi, sì, sto parlando degli LLM e dell'AI Generativa e NO, non sto parlando dei sistemi esperti in uso in ambito medico, aerospaziale, scientifico.

Non voglio girarci attorno più di tanto, l'AI Generativa è un male, non serve a nulla, è immorale e andrebbe fortemente limitata, se non vietata completamente.

Non starò qui a fare una disanima anti capitalista, che comunque sarebbe importante fare, perché non penso neanche che sia il vero punto della questione.

In questi giorni OpenAI ha rilasciato un modello particolarmente bravo con le immagini, le coerenze, il lettering e altre meraviglie tecniche, sicuramente ammirevoli.

Consapevolmente lo ha fatto levando molti di quei filtri di facciata che ti impedivano di creare immagini nello stile di un particolare autore o di un determinato franchise.

Direi una bugia se non ammettessi che vedere i social, già pieni di AI Slob, completamente invasi da immagini in stile Studio Ghibli, mi ha fatto letteralmente ribaltare lo stomaco.

Parafrasando Miyazaki, che in tempi non sospetti ha detto “questa tecnologia è un insulto alla vita stessa”, l'appropriazione indebita dell'incredibile lavoro artigianale delle opere dello studio Ghibli, per essere rimiscelato in orribili meme ad uso del social media manager o del content creator di turno, è un insulto all'onestà intellettuale, alla morale e un crimine vero e proprio.

La farsa, che ancora risuona, della democratizzazione della creatività è semplicemente ridicola, è una affermazione che banalmente non ha alcun senso.

Come diceva una mia ex-collega, bravissima illustratrice, perché mai concentrare gli sforzi e gli investimenti per attaccare deliberatamente il lavoro creativo? Vale per le immagini, ma vale per la musica, il testo; che senso ha, a quale bisogno concreto e reale risponde?

Gli LLM sono elaborate macchine stocastiche, che potrebbero avere utilizzi fantastici, ad esempio per rendere la vita di ipovedenti e disabili più agevole, oppure per automatizzare compiti “bassi” per liberare davvero il tempo da dedicare al pensiero creativo.

E invece no. Creiamo macchine che possano vomitare a ciclo continuo testi, musiche, newsletter, visual, comunicati stampa, video, post social, per riempire di letterale merda tutta l'internet, con effetti deleteri sul pubblico e sulla percezione della realtà.

Non solo, sta roba inquina talmente il cervello che, esperienza personale, piuttosto di valorizzare il lavoro di un team esperto e competente, si prende per buono, alla prima iterazione, qualsiasi blocco di token vomitato dall'LLM di turno.

Non è più il mio mondo, non è quello che volevo e immaginavo, e non è quello che voglio per mia figlia, che in questo momento è un vulcano di creatività, e a cui DEVO raccontare, un dovere morale, che questa creatività va coltivata, curata e allenata con fatica, e che quel percorso, fatto di alti e bassi, di frustrazione e illuminazione, rappresenta il valore di quel che crea.

Per questo ho deciso che, da questo momento, anche e soprattutto sul lavoro, mi rifiuterò di usare strumenti di AI Generativa e, nell'ambito delle mie competenze, non avvallerò mai l'uso di questi strumenti per generare contenuti di qualsiasi tipo.

Potrei essere tacciato di Luddismo, o di essere un rincoglionito che non sa stare al passo con i tempi. Può essere, ma questo non cambia la sostanza: l'AI Generativa è un danno per l'umanità.

ADSR adsr@distruzione.org

P.S. Qualche link di approfondimento, alcuni li ho sparsi nel testo, ma li riepilogo tutti qui sotto, per comodità. https://tante.cc/2025/03/28/vulgar-display-of-power/

https://www.404media.co/ai-slop-is-a-brute-force-attack-on-the-algorithms-that-control-reality/

https://thelibre.news/foss-infrastructure-is-under-attack-by-ai-companies/

https://www.theatlantic.com/technology/archive/2025/03/libgen-meta-openai/682093/

https://www.theverge.com/news/630079/openai-google-copyright-fair-use-exception

https://attivissimo.me/2025/03/24/podcast-rsi-con-lia-la-teoria-dellinternet-morta-si-sta-avverando/

https://affordance.framasoft.org/2025/03/dans-le-retroviseur-doverton-casser-vite-et-bouger-des-trucs/

https://aial.ie/pages/aiparis/

P.P.S Avrei voluto firmare questo post. Ma non è cosa semplice.

 
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from piccole cose inutili

al MIAI

il 22 marzo 2025 ho preso il treno,

mare dal treno per Rende
anche se mi viene ancora il panico a stare tra le persone

tocca le immagini per andare ▽

locandina inaugurazione MIAI il foglio sulla porta del bagno, il foglio sullo specchio del bagno, l'installazione nel bagno, l'installazione all'ingresso, un bambino che sbircia dal buco di una scheda perforata, un padre che gioca a Pong con il figlio, una bambina alle prese con un cabinato, i bambini e le bambine che piangono perché non vogliono andare via, anche se sono le undici di sera, il soffitto, le riviste, la biblioteca [la copia fisica del catalogo di cybernetic serendipity ç.°], una cosa su Auschwitz che non sapevo, lo SNES come quello che ho ritrovato, l'adattatore dei giochi del game boy che non ho ritrovato (ancora), disegni proiettati in tempo reale, palinsesti di poster, Frankensteins in laboratorio, scatole che si svuotano, le persone che mi hanno ospitato, la spilletta ricamata (...)

  } interagire con le opere usando l'hardware per/con cui furono progettate; mettere una tenda nella biblioteca e leggere tutti i libri e provare a programmare le vecchie opere dei cataloghi e a moddarle e a; fare girare opere più recenti su macchine vecchie; }

[il discorso di Tea Fonzi sui musei (sul canale peertube di kenobit), l'importanza di interagire, l'archeologia che vive, nusuth (...)]

(

video e foto dell'inaugurazione del MIAI su

archive.org)

 
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from kipple


Non sono un adoratore di Pino. Mi piace ascoltare le sue canzoni quando capita, alcune le reputo enormi, ma non è tra gli autori che voglio riascoltare e riascoltare. Inoltre, sono un suo conterraneo, ma con quella terra ho un rapporto più conflittuale, un conflitto che si intensifica col tempo ma che, probabilmente, giungerà alla pace prima o poi. Nel senso che mi pacificherò e rinnegherò per sempre quegli anni e quei luoghi della mia vita, perché sono storie che meritano solo questo.

Qualche volta, periodicamente, sento il bisogno di mettere per iscritto il mio rapporto, appunto, con Napoli e la sua provincia; nella mia testa sarebbe un testo di fuoco, una lunga tirata ricca di fervore e passione, poi penso (sempre periodicamente) che non ne vale la pena e che per Napoli e provincia ho già sprecato troppa della mia vita. E poi, a che pro? Pino Daniele ha già detto tutto quello che c'era da dire e meglio di come potrei farlo io in diecimila parole e diecimila anni.

NapulƏ è 'na carta sporcƏ e nisciunƏ sƏ nƏ 'mportƏ e ognunƏ aspettƏ 'a ciortƏ.

Tutto il resto è superfluo, l'unico mio contributo possibile è l'aggiunta degli schwa, perché il napoletano è il dialetto (o la lingua, distinzione di cui si occupano gli studiosi, io propendo per il primo) degli schwa e bisogna metterselo in testa e usarli.

Negli anni Novanta, facevo le superiori e c'era un amico, lui, adoratore di Pino Daniele. Aveva la macchina, in quanto pluriripetente, e in macchina aveva le cassette, chiaramente Mixed by Erry: va bene l'adorazione, ma fino a quando non deve scontrarsi col vile denaro. E una cassetta di Pino, il Pino per antonomasia, era sempre nell'autoradio. Lo stereo, quello lì.

L'amico, tuttavia, non si stancava di ripeterlo a caso nel corso dei mesi e delle discussioni: Pino Daniele non è più quello di una volta, si è commercializzato.
Non ho mai approfondito e non gliel'ho mai chiesto, ipotizzo che il punto di rottura sia stato l'album Che Dio ti benedica. Lettore di passaggio arrivato sin qui, sappi che il mio amico non era l'unico a pensarla così e, estendendo il discorso a qualsiasi musicista sulla terra, ci sarà sempre un momento, ci sarà sempre qualcuno a dire di lui “è diventato commerciale”. È il modo più immediato ed efficace per diventare esperti di musica.

Io, che esperto di musica non sono, penso che l'unico modo per non diventare commerciali sia scriversi i pezzi, arrangiarseli e ascoltarseli in cuffia, da solo, o portarli in giro gratuitamente. Diversamente, perché di qualcosa si deve campare questa presunta commercializzazione è una delle prime fasi del processo. Non è neanche scolpito nella pietra il fatto che l'artista voglia, artisticamente, morire così come è nato, ne abbia la forza o l'ispirazione; non essendo un artista, non devo preoccuparmene, una preoccupazione in meno.

Con l'amico ogni tanto ci si scrive su Whatsapp (non è il tipo da usare mezzi più sani), la prossima volta potrei chiedergli se il suo pensiero sia cambiato nel tempo. Solo quando sarà, però, perché con gli amici di scuola è, solitamente, meglio tenere una certa distanza.

 
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from ion-jam

Cous cous fave, cipolle e zucchine

Ogni anno, in questo periodo, inizia la mia dipendenza dalle fave: sanno di viaggi in macchina con mio padre, che le mangiava, crude, mentre guidava.

Quest'anno ho deciso di superarmi e, visto il chilo di fave comprate da mia madre, ho deciso di provare a cucinarle: qualche volta ha provato a farlo lei e non mi sono piaciute, le ho sempre mangiate crude; ma ho pensato che il mio modo zerosbatti di cucinarle potesse dare loro un tocco in più.

Ingredienti: ovviamente le fave fave FAVEEEEE; zucchine; cipolla; cous cous.

Procedimento: ho preparato il cous cous a parte, direttamente nel mio porta pranzo per l'università, coprendolo semplicemente di acqua calda e aspettando. Per quanto riguarda il magico, incredibile, condimento, ho tagliato mezza cipolla e l'ho fatta soffriggere per bene; poi, ho aggiunto le zucchine e le fave fresche. Da questo momento in poi ho solo aspettato e, ogni tanto, girato tutto in padella. Quando le zucchine mi sono sembrate quasi pronte (tanto si sarebbero cotte ancora un po' nel microonde il giorno dopo), senza pormi il problema della cottura delle fave (tanto si possono mangiare anche da crude!), ho mescolato tutto con il cous cous.

Il giorno dopo era buonissimo! (Solo ed esclusivamente grazie alle fave)

 
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from ion-jam

Porridge (finalmente commestibile)

Erano anni che provavo, ogni tanto, a fare del porridge di avena, e ogni volta mi veniva fuori una pappetta insapore. Qualche giorno fa sono riuscita, per ben due volte di fila, ad ottenere finalmente un porridge con del sapore, addirittura buono. Perché non tener traccia di questo forse irripetibile evento?

Ingredienti: avena a cucchiate; latte di mandorla; acqua (la vera novità nel mio procedimento); cacao; cannella; zucchero di canna (assolutamente opzionale); banana.

Procedimento: in un pentolino ho messo i fiocchi di avena, il latte di mandorla e l'acqua un po' a occhio e ho acceso il fuoco. Dato che sono bravissima a far attaccare le cose alle pentole e padelle, ho fatto attenzione a girare ogni tanto il tutto. Man mano che il composto si addensava ho aggiunto la cannella, un po' di cacao e un cucchiaino di zucchero. Ho assunto che fosse pronto quando aveva, ormai, una consistenza densa; l'ho messo, quindi, in una ciotola, insieme a mezza banana tagliata a rondelle.

 
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from Rob's cabinet of mboh?

Ah, gli anni '90. Friends in TV, il Grunge, la guerra del Britpop tra Blur e Oasis, i CD – sempre troppo cari – da comprare nel tuo negozio di dischi preferito, quando Napster e gli mp3 ancora non sapevamo cosa fossero... un bel tuffo nel passato, ma in realtà non è di questo che parlerò. Non direttamente, quantomeno.

Se per vostra sfortuna vi siete imbattuti in qualche mio toot su Livello Segreto, c'è una buona possibilità che al suo interno ci fosse menzionato qualche gioco di ruolo pressoché sconosciuto ai più, con un paio di indiziati che ritorna spesso sul luogo del delitto. Prevedibilmente, uno di questi – oltre a essere diventato immediatamente uno dei miei GDR preferiti – è il vero soggetto di questo post.

Damn the Man, Save the Music!

Copertina del manuale, raffigurante un gruppo di giovani all'interno di un negozio di dischi

Una copertina che dice tutto

Una doverosa premessa prima che continuiate a leggere è che questa non vuole essere una recensione - che per scriverla ho la stessa competenza di uno che sul campo di calcetto ci va in infradito e accappatoio1 - quanto piuttosto un tentativo di riorganizzare i pensieri e mettere su pagina il perché questo gioco continua a piacermi tanto a distanza di anni da quando l'ho scoperto per caso.

I know this, that if I win this roll I will save the place that I work from being sold, and the jobs of my friends that work there. Thus striking a blow at all that is evil and making this world a better place to be in.
linea di un fumetto che partendo dalla citazione qui sopra punta verso l'immagine qui sottoFotogramma dal film Empire Records. Uno dei personaggi seduto sul divano guarda qualcuno di fronte a lui, mentre i sottotitoli recitano 'Damn the Man!'

Credici, Lucas.

Ispirato dichiaratamente a film come La vita è un sogno (Dazed and Confused) ed Empire Records, Damn the Man,Save the Music! di Hannah Shaffer è un GDR one-shot sul tentativo di salvare qualcosa che amiamo: ɜ nostrɜ giovani protagonistɜ si troveranno a gestire il caos che l'evento firma-copie di una capricciosa Rockstar un po' in declino porterà nel loro negozio, sperando che tutto questo possa rimpinguare le casse quanto basta per continuare a tenerlo aperto ancora per un po'.
Sì, perché il nostro amato "Revolution Records" da parecchio tempo è alla canna del gas; fino a oggi è riuscito a rimanere a galla in qualche modo, ma gli incassi sono sempre più scarsi e una grossa catena in franchise ha fiutato il sangue e vuole approfittarne per buttarci fuori e rilevare i nostri locali.

Suona familiare? Beh, fondamentalmente è la trama di (appunto) Empire Records, dal quale il gioco ha preso diversi elementi. Se l'avete visto, dando un'occhiata agli archetipi dei personaggi di Damn the Man vi verrà facile collegarli ai protagonisti del film.

Ma salvare il nostro posto di lavoro non sarà l'unico nostro cruccio: ogni personaggio ha anche un proprio obiettivo personale da provare a realizzare entro fine giornata e dei rapporti tesi da ricucire con lɜ altrɜ.
Allo stesso tempo, la mancanza di soldi non è l'unico problema del negozio: il morale scarso, i casini personali dellə nostrə Capə, i possibili guai con la comunità (come un picchetto di "Mamme preoccupate contro la musica degenerata" o i vicini che chiamano la polizia per il casino) sono sempre in agguato, pronti a peggiorare man mano che il gioco prosegue.

Ok, ma come si gioca?

Dando per scontato2 che bene o male sappiate cosa sia un gioco di ruolo, se siete arrivati fin qui magari vi state chiedendo come funziona Damn the Man per sommi capi.

Per cominciare, la divisione dei ruoli segue un impianto abbastanza classico, con unə Facilitatorə che avrà il compito di gestire il mondo di gioco, impostare le scene iniziali ecc., e il resto dellɜ giocatorɜ che interpreteranno i propri personaggi e cercheranno di portare a termine gli incarichi che lə loro Capə o la Rockstar capricciosa gli daranno.

Come materiali servono giusto un po' di dadi a sei facce bianchi e neri (o comunque di due colori distinguibili), un mazzo di carte francesi, delle matite, una copia delle schede, e la cosa più difficile da procurarsi: altre 3-4 persone con cui giocare.

Una scheda del personaggio di Damn the Man, Save the Music!, in questo caso del Flirt o Piacione nell'edizione italiana

La semplicità fatta scheda.

Se la vostra pietra di paragone è D&D potreste rimanere un po' spiazzati: a parte quelli per tenere traccia del livello dei guai del negozio, non ci sono valori numerici da inserire nella vostra scheda; le cose importanti da definire saranno piuttosto il vostro stile, il genere di musica che preferite, un vostro obiettivo a breve termine (che possa essere completata in un giorno) e le relazioni che avete con lɜ altrɜ giocatorɜ.

Per quanto riguarda il gioco giocato, tutto si svolge in un solo giorno, seguendo una struttura in tre atti, ciascuno ambientato in un momento diverso della giornata: l'apertura del negozio, il firma-copie e la chiusura. C'è anche un breve montaggio di apertura che precede il primo atto, in cui vengono introdotti i personaggi e, ugualmente, alla conclusione del terzo segue un montaggio di chiusura, in cui si tireranno le somme della giornata e scopriremo il destino di negozio e personaggi. Ogni atto dura un numero fisso di scene pari al numero di giocatorɜ, in modo che tuttɜ abbiano una scena da protagonistɜ.

Sarà compito dellə Facilitatorə impostare le scene, iniziando con lə Capə (o la Rockstar stessa) che darà allə protagonista un incarico da svolgere, che sia una cosa semplice come distribuire dei volantini fuori dal negozio o una più assurda come riacciuffare l'amatissimo (e selvatico) struzzo da compagnia della Rockstar, scappato per il rumore della folla.
Lə protagonista (e lɜ altrɜ giocatorɜ se i loro personaggi sono presenti) interpreterà la sua scena ruolando liberamente fino al momento della sua risoluzione che, come vedremo, sarà quando verranno tirati i dadi. Il modo in cui si deciderà di affrontarla - cioè scegliendo se dare il massimo per portare a termine l'incarico, trovare un momento per ricucire una relazione con un altro personaggio o fregarsene e puntare al proprio obiettivo personale - oltre a definire quello che succede nella fiction, avrà un impatto sul numero di dadi da tirare.

Non starò a scrivervi tutte le regole, ma in sostanza le carte servono a determinare quali guai colpiranno il negozio, mentre i dadi quale sarà il risultato delle scene.
Fondamentalmente la meccanica di risoluzione consiste in questo: lə Protagonista tira x dadi bianchi, lə Facilitatorə tira x dadi neri e si confrontano i valori più alti di ciascun colore. Se vince il bianco l'incarico è riuscito, se vince il nero l'incarico è fallito e si pesca una carta per aggravare un problema del negozio, mentre nel caso di un pareggio l'incarico non è ancora risolto e nelle scene successive unə altrə giocatorə potrà decidere di completare anche un incarico in sospeso, ammesso però che riesca a completare il suo.

In ogni caso, gli incarichi rimasti in sospeso, le scelte fatte e il valore dei problemi del negozio decideranno il destino dei nostri personaggi e dell'amato Revolution Records nel montaggio di epilogo.

Sì, ma perché ti piace così tanto?

Ecco, qui arriva la parte complicata, che a riassumere (male) un regolamento ci vuole relativamente poco ma tradurre sensazioni ed emozioni in frasi sensate è un altro paio di maniche.

Per cominciare, direi per il tema: le storie di tentativi disperati di salvare qualcosa che ci è particolarmente caro hanno sempre il loro fascino, specie se il medium con cui ne usufruisci ti permette di viverle in prima persona. E alla fine il Revolution Records è la rappresentazione perfetta di quel posto magari un po' scalcinato e popolato da gente un po' strana ma in cui vi sentite a casa vostra. Se avete avuto la fortuna di trovarne uno nella vostra vita, potete capire cosa si perde quando alla fine anche l'ultimo sforzo si rivela non essere abbastanza.

Disegno tratto dal manuale, con una vetrina del negozio, tra cui spicca un cartello che recita: in qualche modo siamo ancora aperti

Ovviamente i fascisti non sono benvenuti nel negozio (o al tavolo).

Da questo punto di vista, credo ci sia un che di poetico nel fatto che l'edizione italiana di Damn the Man sia stato l'ultimo gioco pubblicato dalla Dreamlord Games prima della sua chiusura, e un po' mi piace pensare che sia stata una scelta voluta per sottolineare l'addio alle scene di quella che nel suo piccolo è stata una delle mie case editrici di giochi indie preferite.

Per il resto, ammettiamolo candidamente, la vena nostalgica per gli anni '90 è un po' un cheat code per me: una finestra aperta sugli anni delle medie e del liceo, tante cose amate (e odiate) potenzialmente da rivivere sublimate da una fiction che ti permette di tagliare fuori, se vuoi, tutti gli aspetti negativi di quel periodo, che spesso il filtro della nostalgia ti fa dimenticare ma che erano dannatamente presenti.

Poi c'è la musica, che per certi versi è un gioco nel gioco: il montaggio iniziale e finale prevedono una canzone di sottofondo, reale o fittizia che sia e, se da un lato c'è il piacere di riascoltare (o scoprire) pezzi dell'epoca creando delle playlist ad hoc, dall'altro c'è anche quello di inventarsi di sana pianta assieme al resto della gente al tavolo gruppi, canzoni e generi musicali.

Fotogramma dei Simpson con la cassetta scassata del padre di Milhouse col brano Can I Borrow a Feeling?

“Uh, I've got something I'd like to say! Would you guys please do a favour for a guy in love?”

(Perché nel nostro universo oltre ai Van Halen esistono i Van Houten, e “Can I Borrow a Feeling?” è un pezzone della madonna!)

E al di là di tutto, Damn the Man rimane un gran bel gioco che riesce a veicolare benissimo il tipo di fiction a cui si ispira, in tutte le sue possibili declinazioni, serie o comiche che siano.
Ricordo ancora una giocata in cui un cialtronissimo Artista travagliato che di nascosto viveva da squatter dentro al negozio, grazie a una monumentale faccia di bronzo, riuscì a convincere la Rockstar a finanziargli una mostra personale e a mantenerlo a sbafo per chissà quanto. Un vero maestro di vita, altroché.

No, La playlist non richiesta nooo...

...e invece, per concludere (e per testare come posso smanettare col testo su Log), vi lascio con un esempio di playlist venuta fuori durante una partita, con i pezzi a scandire i vari momenti del gioco:

Skunk Anansie – Selling Jesus, da Paranoid & Sunburnt (1995)

Belle and Sebastian – Expectations, da Tigermilk (1996) Elastica – Waking up, da Elastica (1995) The Muffs – Lucky Guy, da The Muffs (1993) Tricky – Hell is Round The Corner, da Maxinquaye (1995)

The Prodigy – Breathe, da The Fat of the Land (1997) Blur – Song 2, da Blur (1997) Pulp – Common People, da Different Class (1995) Sleeper – Sale of the Century, da The It Girl (1996)

Eels – Novocaine For The Soul, da Beautiful Freak (1996) Radiohead – Let Down, da OK Computer (1997) The Smashing Pumpkins – 1979, da Mellon Collie and the Infinite Sadness (1995) Stereolab – French Disko, dall'EP Jenny Ondioline (1993) o la raccolta Refried Ectoplasm (1995)

Garbage – When I Grow Up, da Version 2.0 (1998)

Che poi è anche il bello di giochi del genere: alla fine ne puoi ricavare anche dei “manufatti” di qualche tipo che ti ricorderanno i bei momenti al tavolo.

Ma direi che ho abusato fin troppo della vostra pazienza, quindi riporto la DeLorean nel 2025 e vi saluto ^^

Hashtag rilevanti: #RobsCabinetOfGDR, #GDRSegreto, #TTRPG, #GDR, #DamnTheManSaveTheMusic, #Anni90, #90s


1. Voleva essere un esempio di totale impreparazione ma ripensandoci vedere la gente giocare a calcio in infradito e accappatoio potrebbe essere dannatamente divertente... 🤔 [] 2. Sì, sto dando molto per scontato, anche perché la definizione è molto più ampia e sfumata di quella che di solito si pensa. Personalmente a me piace molto quella di Rugerfred []

 
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from nomadank

Sia gli approcci riformisti che quelli rivoluzionari si sono rivelati inadeguati. L'unica soluzione possibile al superamento definitivo del capitalismo è la DESTITUZIONE.

I problemi dell'approccio rivoluzionario – che consiste nell'appropriarsi del potere con la forza per poi cercare di imporre un cambiamento di sistema socio-economico dall'alto – sono molteplici.

Il primo è pragmatico: un attacco frontale a un sistema che ha raggiunto livelli storicamente inauditi di militarizzazione e controllo della popolazione sarebbe destinato a un sanguinoso fallimento.

Ma se anche riuscisse, l'unico modo di rivoluzionare un sistema a cui fino al giorno precedente prendeva parte la quasi totalità della popolazione, sarebbe farlo con l'uso della forza, andando quindi a replicare e consolidare gli stessi sistemi repressivi contro i quali si era combattuto.

Un cambiamento così radicale può avvenire solo gradualmente. Ma, in questo senso, l'approccio riformista è ancora più problematico di quello rivoluzionario. L'idea di prendere il potere legalmente e cambiare il sistema dall'interno presenta infatti altrettanti punti critici.

Una mobilitazione di massa intorno a un soggetto politico unitario, come poteva essere il partito novecentesco, è oggi virtualmente irrealizzabile, in quanto la complessità delle dinamiche del dibattito pubblico contemporaneo spinge verso l'atomizzazione sociale.

Inoltre il sistema stesso tende ad autopreservarsi e non potrà mai essere superato dagli stessi attori che lo costituiscono. Anche con tutta la buona volontà del mondo, le logiche del potere finirebbero per soffocare qualsiasi tentativo di cambiamento radicale.

Non si tratta di prendere il potere, ma di DESTITUIRLO: di smettere di riconoscere Stato e Capitale come istituzioni legittime. Non stare più alle loro regole, svuotarle di senso. Il primo passo è dunque psicologico. Dobbiamo prendere coscienza di quello che in realtà sappiamo da sempre: la vita quotidiana nel tardo-capitalismo non è altro che una recita.

Seguiamo le regole dettate dalla società non perché ci crediamo davvero, ma perché “si fa così” o perché si ha paura di cosa succederebbe se smettessimo di farlo. Paura, intendiamoci, ben fondata. Infatti inizialmente quello che dobbiamo fare è continuare a fingere, partecipare alla recita.

Nel frattempo però dobbiamo maturare nel nostro cuore l'idea che lo Stato in realtà non esista, che la Moneta sia solo un imbroglio, il Potere un'illusione. Che esistono solo le persone e le loro azioni. Azioni fortemente influenzate dalla visione del mondo che questa sistema riproduce sotto la guida di altre (poche) persone, che lo sfruttano a proprio vantaggio.

Pensateci: nel momento un cui il concetto stesso di denaro smettesse di avere presa sulla maggior parte della popolazione, un miliardario perderebbe tutto il suo potere. E lo stesso avverrebbe a un capo di governo quando la popolazione non riconoscesse l'esistenza dello Stato.

Il primo passo dunque è uscire dalla simulazione che domina le nostre menti.

A quel punto, inizia il bello.

Parallelamente alla recita, inizieremo a costruire un nuovo mondo, costruiremo reti informali di collaborazione, condivisione e mutuo aiuto, aliene da qualsiasi logica di tipo monetario e/o istituzionale, senza che siano per forza apertamente schierate a livello politico.

Un complesso rizoma di comunità trasversali che si intersecano e si sovrappongo tra di loro. Locali, translocali, internazionali.

L'obiettivo è costruire un'economia della gratuità che sia alternativa al sistema capitalista. E la crescita di questo nuovo fiore, avverrà attraverso la concimazione del sistema attuale.

Il XXI dovrà essere il secolo del collasso del Capitale e degli Stati. La velocità dello sviluppo delle comuni sarà infatti direttamente proporzionale a quella del collasso del sistema attuale.

Più le condizioni sotto il capitalismo peggioreranno, più persone usciranno dalla simulazione tardo-capitalista e si affideranno alle comuni.

E più le comuni cresceranno in numero e resilienza, più più grandiose e destabilizzanti potranno essere le azioni antagoniste e di sabotaggio contro il sistema.

Ed è solo in quest'ottica destituente che movimenti di riforma e momenti di esplosione rivoluzionaria potranno diventare funzionali, come strumenti di accelerazione del collasso.

E la bellezza del mondo che creeremo sarà al di là di ogni nostra più folle immaginazione.

 
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from guerrilla stickers テッカー禁止

“Stickers disappear, ideas don't!”

Tutto nacque in un pomeriggio alchemico, quando alla ricerca del Lapis Philosophorum nella palude del cyberspazio, mi imbattei in un frammento visivo carico di un'energia memetica latente che iniziò a stratificarsi nella psicosfera: “no adesivi grazie”. Solo più tardi ne rintracciai l’origine: una campagna grottescamente paradossale, un loop semiotico pronto a collassare su sé stesso. Appropriandomi di quel segnale ricodificato dall'iperstizone, generai un'antinomia capace di incrinare il logorio della vita postmoderna. Nacque così l'idea: “Ceci n'est pas un autocollant”, in un sodalizio immaginario con Magritte. “Questo non è un adesivo”, è una provocazione!

Viviamo immersi in un mondo fondato sull'illusione: emozioni sintetiche sotto forma di pillole, propaganda sotto forma di pubblicità, lavaggi del cervello sotto forma di mass-media. Siamo prigionieri di bolle di vetro che chiamiamo Social Network, mentre tentiamo invano di gettare nel cassonetto la spazzatura crescente della condizione umana.

Il capitalismo della sorveglianza è l’ultima mutazione di un dispositivo oppressivo che cannibalizza la vita stessa. Un sistema che si appropria dell’esperienza umana, la frattura, la codifica, la trasforma in merce-dato, in combustibile per il ciclo incessante di estrazione e consumo. Una macchina autopoietica, spietata e inarrestabile, che metabolizza ogni frammento di esistenza per rafforzare il dominio asimmetrico dei pochi sui molti: un sabotaggio intenzionale dei principi naturali di mutuo appoggio, che ha come fine ultimo la sola accumulazione necrotica del potere.

ステッカー禁止 / no adesivi grazie diventa così un hacking concettuale, una provocazione memetica pronta a fratturare la griglia postmoderna. Un grido distillato dall’iperstizione del reale, scaturito da una dissezione implacabile della condizione umana e delle sue configurazioni socio-tecniche. Un paradosso che squarcia il velo della simulazione, amplificando l’urgenza di svelare e decrittare le contraddizioni profonde che permeano le nostre esistenze. Un segnale dirompente, un innesco, per sabotare i loop del Sistema con l’intensità pulsante dell’arte, con la precisione chirurgica del sapere critico e con la volontà insorgente di chi rifiuta il giogo della tirannie.

Un impuslo creativo che dialetticamente evolve in una guerrilla stickers che vi seppellirà, “perché anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti!” (F. De André). Lo spirito dell'uomo è un fuoco divino che come l'Ouroboros, mordendosi la coda, si autoconsuma e si autorinnova perpetuamente. Liberate l'anarchia creativa nei vostri cuori: dalla Nigredo alla Coscienza, per sovvertire l'ordine prestabilito!

La vendetta del simbolo contro la banalità del consumo, il ritorno del significato contro l'inerzia dell'ovvio. Contro le misure preventive che impediscono la diffusione dell'arte libera, sabotatori urbani di tutto il mondo, armatevi del paradosso e unitevi alla guerrilla stickers ステッカー禁止!

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[sezione in aggiornamento]

 
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