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from VegeVale 🌱

Incuriosita dalle tante proposte di formaggi vegani che noto intorno a me, nelle ultime settimane ho deciso di provarne qualcuno e vedere che sapore hanno. Il formaggio è sempre stato uno dei miei cibi preferiti da onnivora e sono sempre stata disposta a provarne di nuovi! Il primo che ho provato è stato della Valsoia, lo Spalmabile classico. Che nella mia mente chiamo la Soiadelphia, perché la consistenza è fatta per richiamare quella della Philadelphia. Ammetto che non è la prima volta che l'assaggio: l'avevo già provato un po' di tempo fa, forse un annetto, credo. Era tra le offerte del supermercato e l'ho preso senza avere chissà quali ispirazioni culinarie. Come tutti i generici della Philadelphia, pensavo di spalmarlo su un panino e bon.

Il primo assaggio l'ho fatto però senza pane, volevo sentirne il sapore e ammetto che non è stato amore a prima vista. Il profumo e la consistenza richiamavano molto la Phila, ma il sapore non era quello a cui ero abituata, neanche per i formaggi spalmabili del supermercato. È stato allora che ho ripreso in mano la scatola e notato che non era un prodotto fatto con il latte. Non era di certo il mio sapore preferito ma una volta spalmata su una fetta di pane e ricoperta di olive e affettato si lasciava mangiare!

Ho ricomprato questo spalmabile un paio di settimane fa e la mia impressione rimane sempre la stessa: ottima consistenza, buon profumo ma sapore così così. Devo essere sincera, però: il sapore della Philadelphia non è così buono da solo, secondo me, ma la densità e la morbidezza di questo formaggio sono le caratteristiche più importanti per me.

Insomma, non penso che ricomprerò lo Spalmabile classico Valsoia per mangiarlo dalla vaschetta con i cracker come faccio con l'hummus, ma da tenere in frigo per fare un paninetto al volo, perché no?

Dopo aver parlato così tanto di un formaggio che non è Philadelphia, passiamo alla Philadelphia vegetale! Che non sapevo neanche che esistesse, fino a quando non mi ci è caduto l'occhio sopra al banco frigo. Ovviamente l'ho subito acchiappato e portato a casa! Una piccola nota per i distrattoni come me: il packaging della Philadelphia vegetale ricorda quello della Philadelphia al salmone norvegese, occhio a quale pacchetto prendete!

Anche in questo caso, promossi a pieni voti su profumo e consistenza. La differenza nel sapore non è eccessiva ma è comunque percepibile. Secondo me la Phila classica ha un sapore leggermente più delicato rispetto a quella vegana, mentre lo spalmabile della Valsoia ha un sapore più deciso della Phila vegana. Sarà che sono tre formaggi a base di alimenti diversi, eh. La Philadelphia classica è fatta col latte, la Philadelphia vegana è a base di mandorle e avena e lo spalmabile Valsoia è a base di soia (chi l'avrebbe mai detto con un nome così).

Però, pure qui mi viene da dire: buona in un panino, la mangio volentieri.

Parlando di panini mi viene in mente uno dei miei pasti veloci preferiti: piadina con roba dentro®. E che cosa c'è di meglio di una piadina con formaggio vegano e affettato vegano? Okay, forse tante altre cose, ma lo ritengo comunque un pasto accettabile quando sono appena tornata a casa dal lavoro, sono le 9 passate e l'idea di accendere i fornelli e spadellare mi pare un incubo. Mi piace cucinare ma ci sono dei momenti in cui dico mi rifiuto categoricamente.

Quindi, cosa ne penso del formaggio affettato vegetale Vemondo British style? Che in casi di necessità può salvarmi le chiappette, quindi è sufficiente a placare la mia fame da lupi. Dall'aspetto sembrano fette di formaggio cheddar e se assaggiato da solo, tirandolo fuori dal pacchetto e basta, il sapore è scarso e la consistenza un po' gommosetta. Se scaldato all'interno di una piadina o di un toast, come dovrebbe essere mangiato, assume invece una consistenza migliore. Si scioglie ma rimane più compatto delle sottilette normali, quindi non va a colare da tutte le parti e sporcarmi la piastra. Il sapore però rimane un po' particolare. Sarà che è a base di olio di cocco, ma non è tra i miei preferiti.

La Vemondo produce anche il grattugiato vegano, che se non erro nei paesi anglofoni è venduto come “vegan pizza topping”. Siccome sono molto intelligente (e modesta!), nel momento in cui i miei occhi hanno incontrato questo pacchettino verde mi si è accesa immediatamente la lampadina: grattugiato veg + pizza veg alla bruschetta = pizza filante tutta Vemondo. Effettivamente devo dire che sparso sulla pizza prima di infornarla dà un tocco discretamente formaggioso. Non è la pizza filante che si vede nei film, però dà soddisfazione e il sapore non va a coprire quello degli altri ingredienti. Sconsiglierei di metterla sulla pasta o su altri alimenti, in forno va bene ma non so se può avere altre applicazioni altrettanto soddisfacenti.

Tirando le somme, posso dire di essere abbastanza soddisfatta di ciò che ho provato finora. Non ho trovato niente che mi facesse andare in visibilio, ma non sono neanche rimasta delusa. Tutti questi prodotti fanno esattamente ciò che pubblicizzano. Le sottilette non saranno mai un cibo gourmet e il formaggio grattuggiato ha usi a mio parere limitati, che sia fatto con il latte o meno.

Secondo me è importante parlare di questi prodotti che si trovano al supermercato, alla portata di (quasi) tutti. La prossima volta però vi parlerò di formaggi vegani un po' diversi, quelli prodotti artigianalmente. Appena finisco di assaggiarli vi do un giudizio ;)

 
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from Lelio

Pensieri insonni

Ogni tanto capita che ogni tuo tentativo di addormentarti (che sia esso biologico, chimico o meccanico), fallisca e ti ritrovi a scivolare verso il sonno per ore senza mai raggiungerlo. In questo stato di scivolamento, con le palpebre pesanti e il respiro lento e regolare, sembra quasi di essere in quel particolare intorpidimento dei sensi causato da una certa sostanza ricreativa.

Intanto il tuo cervello viaggia in mondi lontani e ricordi ancora troppo vicini, passando per gli occasionali spaventi dati dalle marachelle del gatto del vicino.

Un libro potresti scrivere, poesie, canzoni... ma la testa è pesante sul cuscino e il corpo quasi immobile. Hai deciso di prendere i sonniferi, ora chi ti alza più per scrivere il capolavoro che rivoluzionerà il mondo?

Goditi il viaggio, se ti ricorderai qualcosa avrai pur sempre domani per diventare il nuovo Schumann.

 
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from schizo

finalmente sono riuscito a:

  • pubblicare attraverso org-static-blog su Autistici/Inventatihttps://www.inventati.org/noviglob/

    è stato un po' impegnativo la generazione corretta dei file di risulta dalla scomposizione di grossi file org partendo dal suggerimento presente a questo indirizzo https://emacs.stackexchange.com/questions/66828/split-org-file-into-smaller-ones:

    • visto che nella variabile content veniva incluso il titolo del file anche come primo headline e che la cosa diventava ridondante ho fatto partire il contenuto dalla linea successiva, cioè quella dopo l'headline

      (setq content (buffer-substring-no-properties (+(point-at-eol) 1) (point-max)))
      
    • inoltre risulta utile, visto che erano presenti, avere la data di pubblicazione originale delle varie headline, per avere un ordinamento prefissato e impedire, nel caso non venisse attribuita una data, di far risultare il file pubblicato tutte le volte in cui si lancia org-static-blog-publish

      (setq pubdate (org-entry-get nil "PUBDATE"))
      
    • dato che in org-static-blog le TAG che vengono riconosciute sono quelle elencate nell'intestazione #+FILETAGS: ho dovuto leggere le tag che erano attribuite alle varie headline e andarle a mettere, appunto, in #+FILETAGS:

      (setq tags (org-entry-get nil "TAGS"))
      

    l'intestazione risultante per i vari org file ottenuti dalle suddivisioni diventa quindi così

    (insert (concat "#+TITLE: " title "\n" "#+DATE: " pubdate "\n" "#+FILETAGS: " tags "\n" "#+OPTIONS: toc:nil tags:not-in-toc tag:nil" "\n\n" content))
    

    un'altra cosa che ho dovuto risolvere è relativa al fatto che le immagini vengono publicate nell'indice solamente se sono almeno due all'inizio del contenuto, se no risulta visibile solo la prima linea di testo. nel caso di post con un'unica immagine l'accorgimento è stato semplicemente quello di affiancare una immagine di 1x1 px

  • pubblicare attraverso writefreely.el su Log (Livello Segreto)https://log.livellosegreto.it/schizo/

    (vedi) https://log.livellosegreto.it/schizo/prova-da-org-mode (e) https://log.livellosegreto.it/schizo/prova-da-org-mode-v5c7

  • un singolo file pubblicato su antrambe i siti

    con due semplici org-static-blog-publish e writefreely-publish-or-update pubblico sia sull'uno che sull'altro server lo stesso file!

 
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from La guardiana del faro

Che silenzio. Non c'è un'anima. A parte quelle inquiete che vagano nella casa.

Me ne sto in piedi sull'orlo del promontorio e guardo verso l'immensità che è la distesa d'acqua su cui sono in bilico. Basterebbe una lieve spinta del vento e finirei sugli scogli sotto di me... o sul morbido prato dietro di me. Lascerò al vento la scelta. Ma a quanto pare il vento ha altro da fare in questo momento.

È qualcun altro ad avvicinarsi. – Perché non entri? Sei stata fuori tutto il pomeriggio e inizia a fare freddo - È una voce delicata, poco più che un sussurro. Viene da dietro di me, ma non c'è nessuno. – Adesso arrivo. – Qualche istante dopo mi volto. E mi lascio alle spalle lo scrosciare delle onde che si infrangono sugli scogli. La casa mi reclama. Sono stata via tanto tempo, è giusto dedicarle le dovute attenzioni.

 
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from Overthinking

In media, il 70% della popolazione mondiale soffre o ha sofferto della sindrome dell’impostore. Di questo, il 75% delle donne che lavorano come direttori o esecutivi ne soffre quotidianamente (puoi immaginare perché). Di preciso si inizia con un 9% in giovane età e si arriva a picchi dell’82% della popolazione mondiale ogni volta che si comincia una carriera lavorativa. Questo vuol dire che nella nostra società praticamente tutti o quasi, almeno una volta, ne hanno sofferto.

La sindrome dell’impostore è una falla nella percezione cognitiva: il tergicristallo della macchina coperto di vernice giallo limone. Come quando giocando di ruolo fallisci il tiro in percezione e non vedi l’elefante nella stanza nascosto dietro una lastra di vetro. Un fallimento che è critico ma in realtà l’unico critico è il nostro perfezionismo.

There's a sense of being thrown into the deep end of the pool and needing to learn to swim but I wasn't just questioning whether I could survive. In a fundamental way, I was asking, “Am I a swimmer? ”¹

Ho riflettuto molto e spesso su questo tema nella mia esistenza. Forse mi avrai sentito dire almeno una volta, da quando scrivo questi testi: “Questa è una cazzata in confronto a tizi* x che ha rivoltato il mondo come un calzino con opera y”. Nel mio percorso di vita ho cercato di approcciarmi a questo costante fallimento cognitivo da svariati punti di vista provando a: combatterlo, ignorarlo o a seppellirlo, ogni volta me lo ritrovavo ugualmente li, giudicante.

Logicamente affrontare questi pensieri è facile: una serie di somme e sottrazioni matematiche che si concatenano nei collegamenti cognitivi. Metabolizzare, però, è un’altra cosa. Entrare nella profondità dell’inchiostro con cui scrivi i risultati è qualcosa di diverso, guardare fisso quelle parole come il soffitto la notte e comprendere va oltre la logica aritmetica. Ti accorgi che non è una penna su di un foglio ma un solco sulla pelle che sei sicuro, é indelebile, ma che dopo attimi inizia a sbiadirsi.

Bloodstained ritual of the night battaglia contro il doppelganger
Nei videogiochi la figura del doppel è molto abusata

Mi è capitato, come tanti, di avere dei momenti di sconforto. Dei momenti in cui quella voce è più forte del solito e si è troppo stanchi per abbassare il volume o mettere il muto. Sarebbe bello avere un telecomando per queste cose. Una di quelle volte ho ascoltato quella voce senza una contrapposizione battagliera. Non avevo la forza di combattere anche contro me stesso. Quella volta ho assunto che potevo non essere SPECIAL², che avrei potuto darmi pace e accettare di non avere obblighi verso il mondo o verso me stesso. Non dovevo essere per forza il migliore o vincere, potevo anche godermi il viaggio, in un certo senso.

Sarebbe bello poter dire che questa assunzione abbia funzionato ma, come dicevo prima, fare la somma è facile, metabolizzare è un’altra cosa. Da questi ragionamenti ho sviluppato un’altra riflessione, ho pensato che se c’è un impostore, ci deve essere anche un bimbo vero, un’entità dicotomica gemellare che si oppone alla figura negativa per bilanciare il mondo. Il concetto del doppelganger é quindi affiorato alla mia mente associandolo al problema di sentire la propria voce estranea ogni momento.

Mondo 6, scott pilgrim vs Nega scott
Poteva andare peggio, poteva piovere.

“L’unico modo per prendere a pugni qualcosa è dargli una faccia”, così direbbe un barbaro in Dungeons & Dragons. Può, quindi, la figura del doppelganger aiutare a uscire da questa fallacia cognitiva? Forbes dice che servono anni di terapia, rassicurazioni continue, un paio di dadi nuovi e la gamba robotica di quel tizio³. Non parla di rappresentazioni concettuali, disegni a cui dare fuoco o racconti epici. D’altronde chi è l’impostore tra Anakin e Darth Vader? Entrambi? Nessuno dei due? Eppure il lato oscuro racconta che senza di lui sei niente.

La domanda allora arriva precisa e con anche una punta di orgoglio: e se fosse quella voce l’impostore? Se continua a dirti che non sarai mai capace, che stai mentendo, che è tutta fortuna o grazie a qualcun altro solo per dissuaderti dalla verità? Ossia che Rosso l’ha ucciso Verde in electrical? Sus.

I was taught I would need to “work twice as hard to be half as good.” While this instills a goal-oriented approach within me, it also keeps me feeling as though my efforts will never be enough.

Ricordo che la prima volta che mi sono sentito allo stesso modo fu all’Unisob parlando con il tutor del dipartimento. Leggeva il mio passato accademico con ciglio perplesso, avevo vent'anni, mi disse che sarebbe stato più facile per me prendere economia che iniziare da capo nelle scienze umanistiche. Non avendo un background da liceo avrei trovato persone che erano già a uno stadio avanzato di conoscenza e mi avrebbero sicuramente superato.

Sicuramente, se hai imparato a conoscermi attraverso questi log, sai già come reagii a tali insinuazioni: MALE. Cioè, come ti viene di dire una cosa del genere dopo aver superato un test di ingresso a numero chiuso? In ogni caso con un sorriso probabilmente fintissimo dissi che sarebbe stato molto interessante dimostrare che avere entrambe le conoscenze mi avrebbe aiutato nella vita. Sono passati 13 anni, ancora non ho capito se la teoria funziona o devo andare da quel tutor a bucargli le ruote dell’auto. In compenso, a prima vista, mi danno tutti dell'ingegnere informatico.

Shaco e il suo clone
Shaco lo odiano tutti, tranne Fallacea

Quanto è stancante combattere contro se stessi ogni giorno? Quante energie ci rimangono da dedicare al resto? Forse non ne usciremo mai completamente, avremo sempre quella voce che rema contro. A volte griderà, altre sarà solo un sussurro nell’oscurità ma di una cosa sono certo: non siamo soli. Ascoltando, parlando, comprendendo, possiamo unirci come in un raid di World of Warcraft, e fare in modo che quei 4 Dragons of Nightmare vadano giù in un modo o nell’altro.

And we all lift, and we're all adrift together, together. Through the cold mist, till we're lifeless together, together.

Per fare pollo e patate bisogna cuocere gli ingredienti separatamente, pollo in pentola con acqua e spezie e patate in forno preriscaldato a 200° in modalità ventilato, circa 25-30 minuti, all'incirca lo stesso tempo che sarà necessario perché il liquido del pollo evapori. Poi metti il pollo insieme alle patate fino a quando non diventa croccante. La tentazione di fare tutto insieme è tanta, lo so, ma se fai tutto insieme qualcosa esce crudo sicuramente.

A volte bisogna cuocere una cosa alla volta per far uscire un buon piatto e così combattiamo un pensiero alla volta, un giorno alla volta, una vita alla volta.

¹ É come essere buttati nelle profondità di un pozzo con il bisogno di imparare a nuotare ma, non mi stavo domandando se sarei sopravvissuto… Fondamentalmente la domanda che mi sono posto è: “sono un nuotatore?”

² Hai appena incontrato un easter egg di Fallout! Ogni bambin* che nasce nel mondo post apocalisse atomica è un bambin* S.P.E.C.I.A.L. e può cambiare le sorti del mondo attraverso 7 caratteristiche di base: Sight, Perception, Endurance, Charisma, Intelligence, Agility & Luck.

³ Se non conosci questa citazione mi sa che non possiamo essere amici :(

Rocket Raccoon in Guardiani della galassia 1

⁴ Mi è stato insegnato che avrei dovuto “lavorare il doppio per essere bravo la metà”. Sebbene questo instilli in me un approccio orientato agli obiettivi, mi fa anche sentire come se i miei sforzi non fossero mai sufficienti.

La colonna sonora di questo Log è stata offerta da quel tipaccio di Beck

 
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from schizo

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tempo fa rimuginavo a proposito di #artivismo Artigianale Artistico e m'era germogliata quest'idea, un'Opera Collettiva (autore la molteplicità “/Re Bello Estinto/”) costituita da abiti con il ricamo di un estratto da Manifesto del #terzopaesaggio di Gilles Clément

(dopo aver realizzato una Parte del Tutto ognun si si sarebbe dovut photographare con indosso il suo capo con l'ambizione di riscrivere completamente il testo diffuso nello spazio e nel tempo e ricostituito nella narrazione collettiva)

Poche Manfrine!

#fattodame

io ero parti con:

Elevare l'indecisione fino a conferirle dignità politica. Porla in equilibrio col potere.

mi è stato detto:

questa frase non mi piace per colpa del potere…

ho colto l'osservazione e l'ho fatta diventare incompiutezza del Primo Frammento dell'Opera Collettiva

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Considerare la non-organizzazione come un principio vitale grazie al quale ogni organizzazione si lascia attraversare dai lampi della vita

anche questa è un brandello con una parte di incompiutezza, per il momento (potrei scriverne il retro), ho scritto solo la prima parte della frase

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from yrioll

Arrivata una certa età, e soprattutto ad una certa consapevolezza, mi sono resa conto che cercare di convertire alla causa chi ha un pensiero totalmente opposto è un lavoro senza speranze. Non serve a niente, è solo una perdita di tempo. E, onestamente, una fonte di arrabbiatura. Perché mi fa proprio arrabbiare sentire discorsi di persone che non solo non vogliono capire ma insistono a portare avanti un pensiero, una cultura, che ha dimostrato più e più volte di essere totalmente sbagliato, dannoso. Per lə altrə e anche per loro stessi. Ma nessuno vuole fare quello sforzo per cambiare prospettiva, per vedere tutte le altre possibilità. Arrivata a questo punto ho deciso che devo scegliere le mie battaglie. Devo lavorare dove c'è margine di miglioramento. Discutere, informare, conversare con le persone che hanno già dimostrato sensibilità all'argomento. Che hanno già dimostrato l'intenzione di imparare, di capire e, soprattutto, l'intenzione di voler fare una critica di questa società e anche di se stessi. Io non perdo più il mio tempo con gli ottusi, con quelli che sono convinti che esista un complotto delle donne che detengono il reale potere, che è il potere di quello che hanno tra le gambe. Perché quello è che ciò vogliono gli uomini. Non voglio più sentirli certi discorsi, non mi fanno neanche più ridere. Una volta almeno mi facevano ridere. Adesso basta. Il mio tempo è troppo importante. Preferisco dedicarmi a chi dimostra di meritarlo. In fondo anche questo è un gesto di amor proprio e rispetto per se stesse. Non sono la maestra di nessuno. Se vuoi sapere “cosa vogliono le femministe” ti basta una connessione a internet e la licenza di scuola primaria e le tue ricerche te le puoi fare benissimo da solo.

 
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from schizo

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dopo una gloriosa presenza nel Lato Oscuro della rete provo a ripartire qui nel #fediverso con:

  • il progetto #merde.
    è un'esigenza che nasce dal bisogno di fare rientrare nell'esistenza i #rifiuti e al tempo stesso sondare il mistero della vita che la merda rappresenta; quel continuo trasformarsi della materia in cui siamo immers3.
  • il progetto #infestanti.
    questi atti di #resistenza, di ostinata volontà di vivere, di trovare un proprio spazio di esistenza, mi affascinano, trovo che siano esplosioni di speranza #solarpunk

per seguire: https://pixel.livellosegreto.it/i/web/profile/630008001274831222

 
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from yrioll

Sto leggendo “L'attenzione rubata” e ho deciso che devo dare un taglio alle distrazioni della rete. Il punto è che ragionando su questa possibilità mi sono resa conto che se anche cancellassi i miei profili e i miei account probabilmente nessuno se ne accorgerebbe.

Quando ho scoperto il Fediverse ero estasiata. Mi sembrava tutto bello, tutto attraente e ho voluto iscrivermi praticamente ovunque. E ora ho una miriade di account che guardo una volta a settimana solo per rendermi conto che non c'è niente che mi interessi... o quasi. La cosa che ho dimenticato (e sì che l'avevo imparato bene dopo l'esperienza con i social “tradizionali”) è che l'esperienza online non la fanno le piattaforme, ma le persone con cui interagisci. È il motivo per cui, nonostante il mio odio profondo, rimango su TwiX, ci sono quelle tre persone che mi interessano davvero e che non si vogliono schiodare da lì anche se io vorrei scappare da quel manicomio.

E ora sto seriamente valutando che fare degli account creati e mai aggiornati. Da una parte vorrei liberarmene, cancellarli. Ho già detto che non amo lasciarmi dietro contatti aperti se la questione è chiusa. Dall'altra parte c'è la mia più grande paura ovvero “e se un giorno cambio idea?! Non potrò più usare il nome che è mio, che ho creato io per me”.

E ora sono in crisi. Voglio davvero liberarmi di questi account persi nel Fediverse (e non solo), ma questa forma di fomo che mi lega al mio nome mi blocca.

Però il mio animo minimalista mi sta richiamando all'ordine e mi ricorda il mio bisogno di avere solo lo stretto indispensabile. E allora penso che sia giusto eliminare. Che se una cosa non mi è tornata utile per settimane o mesi la situazione non cambierà di certo nell'immediato.

Ho pensato di adottare la tecnica del trasloco. Presto la mia mail ufficiale verrà cambiata e allora cambierò la mail di accesso solo a quei profili che uso, che mi piacciono, che voglio tenere. E terrò davvero solo quello che uso perché mi piace.

 
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from yrioll

Nuova riflessione sul Minimalismo. E sì, ho scritto Minimalismo con la M maiuscola perché probabilmente di minimalismo avrete già sentito parlare in rete. Quasi sicuramente lo avrete trovato associato a foto di case beige, vuote, asettiche. O magari con giovani donne bianchissime, magrissime, “acqua e sapone” (tra virgolette perché lo stile acqua e sapone non esiste, mettetevela via, è solo un sapiente uso del make-up), con una crocchia di capelli biondo platino elegantemente disordinata...

Ebbene dimenticatevi di tutto questo.

L'estetica minimalista può piacere (non nascondo che a me piace molto) ma non è questo il Minimalismo.

Minimalismo vuol dire prendere coscienza del potere che le cose, e l'immagine di noi che vogliamo trasmettere grazie a quelle cose, hanno su di noi. Vuol dire fermarsi, guardarsi intorno e capire quanto quello che possediamo possiede noi. Quanto della nostra vita, del nostro tempo, della nostra serenità abbiamo sacrificato per avere ciò che abbiamo oggi e se ne sia o meno valsa la pena.

Userò come esempio il guardaroba perché è il più semplice (e spesso l'unica cosa che accomuna ogni essere umano di quello che definiremmo il mondo occidentale). Ci troviamo spesso ad avere miriadi di capi che teniamo pur non usandoli per i più disparati motivi: perché è un regalo, perché è carino anche se non mi sta, perché l'ho pagato tanto... spesso perché non mi ricordavo neanche di averlo. Ma tutto ciò che non indossiamo è solo ingombro. Conosco persone che hanno armadi stracolmi di vestiti, al punto da non avere spazio per metterne di nuovi. E poi indossano sempre le solite cose. Due o tre maglie che alternano con due paia di pantaloni. E spesso sono anche cose di scarso valore, trasandate. Magari hanno nell'armadio cose graziose, che gli starebbero meglio, e che valgono di più, ma vanno sempre “sul sicuro” coi soliti capi. Io ero una di queste persone.

Il punto è che tutto ciò crea una condizione di frustrazione, anche se inconscia, perché sentiamo di avere il nostro spazio (e di conseguenza la nostra mente) ingombro di cose che sfuggono al nostro controllo.

È scientificamente dimostrato che uno spazio ingombro e disordinato è fonte di stress. L'armadio è un luogo fisico che apriamo ogni giorno (più o meno), vogliamo davvero che quello che vediamo sia caos, oggetti alla rinfusa, uno spazio ingombro?! Le nostre case (o stanze se viviamo con la nostra famiglia) sono lo specchio della nostra personalità. Che immagine vogliamo vedere ogni volta che apriamo l'armadio? Che immagine vogliamo che le nostre scelte ci rimandino?!

Oltre al benessere psico-fisico il minimalismo porta con se anche l'evidente benessere dovuto al risparmio di soldi. Ma anche al risparmio di materiali (spazzatura) che mettiamo in circolo.

Vi consiglio di vedere, se non lo avete già fatto, The true cost. Si trova anche su invidious cercando il titolo

Quando è successo che l'essere umano ha sviluppato il “bisogno” di possedere 10 (quando è parsimoniosə) maglioni? 50 magliette? 10 paia di jeans?!?

Il consumismo è ciò che ha creato quel mostro ingoia-pianeta che è la fast fashion. Non farò nomi di aziende ma sappiamo tuttə quali sono. E se non lo sapete vi faccio un po' di conti spicci.

Una T-shirt non può costare 5,99 euro. Non è matematicamente possibile. A meno che non si tagli pesantemente sui materiali e sui costi di produzione. Tagliare i costi di produzione vuol dire che da qualche parte nel mondo (quasi sicuramente in Bangladesh) c'è un uomo, una donna o unə ragazzinə che lavora dalle 12 alle 15 ore al giorno per 2 o 3 dollari alla settimana in un edificio privo delle più basilari norme di sicurezza e benessere. Persone che muoiono giovanissime per tumori sviluppati a causa dei vapori degli agenti chimici usati per lavorare tessuti scadenti, pieni di micro-plastiche, che finiranno a inquinare il pianeta.

E no, non sono i “rischi del mestiere”. Perché l'alternativa sicura c'è. È solo che costa troppo per chi vuole vendere T-shirt a 5,99 euro guadagnandoci l'80%.

Io penso spesso a quello che resterà di me dopo che avrò lasciato questo pianeta.

Mi riferisco sia alle cose più stupide (tra cui la mia cronologia di internet) ma anche all'impatto che avrò, pur nel mio piccolo, nell'ambiente. E quando parlo di ambiente mi riferisco sia alla natura, sia alle vite di coloro che verranno dopo di me. Che non sono per forza i miei figli (che non ho), ma chiunque dovrà ripulire dopo che me ne sarò andata. Siamo su questo pianeta per pochi anni e io voglio lasciare il minimo di immondizia possibile.

Tanto niente di quello che possiedo verrà con me nella bara.

Mi rendo conto che forse ne è uscito un discorso un po' nichilistico, dopotutto alcunə aspirano giustamente a lasciare aə propriə eredi una casa, dei possedimenti materiali che rendano loro la vita più semplice. Ma vogliamo che ə nostrə eredi trovino un piccolo scrigno di tesori, magari gioielli e investimenti, o un armadio pieno di stracci che dovranno preoccuparsi di smaltire?!

 
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from yrioll

Uno dei problemi che ho dovuto affrontare nel mio viaggio minimalista è stato come gestire l'amore per i libri. Come molte lettrici e lettori anch'io amo il libro cartaceo, mi piace la consistenza della carta, vedere che le pagine da leggere diminuiscono mentre quelle lette aumentano. Amo girare la pagina, sfogliare il libro avanti e indietro, mettere il segnalibro quando è ora di spegnere la luce...

Tuttavia il collezionismo è decisamente contrario alla mia filosofia di vita. Benché abbia dei libri che conservo perché ho amato molto o perché ho dovuto comprarli non trovandoli in prestito, tendenzialmente preferisco non riempirmi la casa di cose, neanche se sono libri. Senza contare che il libro cartaceo è sempre più un danno per l'ambiente che non sempre viene bilanciato con un vantaggio per la cultura umana. La carta è sempre più rara, il che significa sia che gli alberi iniziano a scarseggiare sia che quanto più una risorsa è rara tanto più costa. E infatti i libri iniziano ad avere costi decisamente proibitivi. Io ho trovato la soluzione per conciliare la passione per la lettura, l'amore per il libro e il desiderio di collezionare i testi che leggo nella biblioteca. Soluzione tanto semplice quanto geniale. La biblioteca è il luogo più bello che esista sulla faccia della Terra. Un luogo in cui puoi prendere i libri che vuoi senza pagarli. È perfino troppo bello per essere vero. E per tenere traccia delle mie letture senza accumulare quintali di carta sugli scaffali?! Per questo è venuta in mio soccorso la tecnologia. Siti e app permettono di salvare i titoli letti e io ho scelto di usare Goodreads. Non è necessario acquistare il libro per “tenerlo con me”, mi basta la mia libreria virtuale e, se volete, mi potete trovare qua https://goodreads.com/yrioll

 
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from yrioll

Ogni volta che mi sento confusa, sopraffatta, incasinata, per dirla in maniera elegante, so che tornare al minimalismo è sempre la risposta.

Quando tutto è troppo, non perdo energia e tempo a trovare il bandolo della matassa per cercare di sbrogliarla. Le do fuoco. Elimino i problema alla radice. Perché darmi da fare per sistemare qualcosa che so già che non mi porterà da nessuna parte?!

Il minimalismo è la mia certezza e la mia forza originaria a cui fare sempre ritorno ogni volta che il caos della vita si fa insopportabile.

Il minimalismo è il mio faro.

 
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from La guardiana del faro

Abandoned Lighthouse

Sono tornata. Caro, vecchio, solitario faro. Immutato e immobile sul confine del mondo. In bilico tra quest'ultimo lembo di terra e l'infinità dell'oceano. Accanto c'è la casa, un po' arcigna e scricchiolante, ma sempre lieta di vedermi tornare. Mi è mancato il mio faro, il mio porto sicuro anche nella più furiosa delle tempeste. Ha bisogno di una sistemata: la lanterna va lucidata per bene, la lunga scala a chiocciola va spazzata, il corrimano lucidato... Ne avrò per un bel po'. E anche la casa necessita di una rinfrescata. L'ho lasciata per troppo tempo. Ma so che non è rimasta da sola. Loro sono sempre qui. Anche ora avverto la loro presenza. Credo siano un po' risentiti con me per essermene andata. Lo sono anch'io, non avrei dovuto andarmene. Dove pensavo di andare, dopotutto? Cosa pensavo di trovare? Non esiste un luogo in cui mi senta più al sicuro, più in pace con me stessa di questo. Devo farmi perdonare. Canterò per loro, so che amano sentirmi cantare, dicono che li fa sentire in pace. E a me piace così tanto. Non ho più cantato dopo che me ne sono andata. È ora di riprendere le buone abitudini.

image by https://www.deviantart.com/andary Loner

 
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from memorie

Dal 23 novembre 1980 in poi


Sembrava una domenica qualunque, a casa di mia zia, nel mezzo di una di quelle cenette che organizzavamo spesso; una casa, la sua, già vecchia all’epoca, al primo piano. Un primo piano, di quelli alti di una volta, un primo piano che sembran due. Il televisore trasmette qualcos e poi tutto si mette ballare tutto, coi mobili che si spostano dalle pareti. Non ne avevamo mai affrontato e immaginato uno così imponente, ma l’urlo generale, nel silenzio della provincia all'ora di cena, non ammetteva dubbi: IL TERREMOTO.

Un guizzo di lucidità nello spegnere i fornelli, poi tutti a scappare in strada, il nostro primo piano che non finiva più. I genitori afferravano i figli piccoli come meglio potevano, mio zio con mia cugina in braccio, tenendola a testa in giù. Negli anni, poi, è diventato qualcosa di cui ridere, come le risate esorcizzano i brutti ricordi. Finimmo in strada a un momento all'altro, senza che nessuno avesse idea di cosa fare.

Mio padre, appena passato lo shock, forse già il giorno dopo, ci caricò sul primo treno possibile per la Toscana, dove abita mia zia. Lui sarebbe rimasto a guardare la casa e lavorare. Fu quello il mio primo contatto con le ferrovie: solo con mia mamma, mia sorella non era nata ancora, a scappare da una forza invisibile, invincibile, con una valigia riempita alla meglio. Arrivammo col buio e proseguimmo in taxi, non eravamo ancora abbastanza lucidi da affidarci ai mezzi pubblici. Mia mamma, almeno: io guardavo la cosa come può guardarla un bimbo ancora troppo piccolo per la scuola. Un'avventura che faceva paura, ma sempre un'avventura.

Qualche mese dopo, il bis. Stavamo a casa nostra, stavolta, la storia sembrava finita.

Abitavamo al piano terra, anzi: leggermente rialzato, vi si accedeva dopo pochi gradini e fuori avevamo una veranda, in cui mio padre teneva i ferri del mestiere del suo lavoro precedente, cianfrusaglie e altro, ci faceva anche da sgabuzzino. Mia mamma esce a prendere un tubetto di dentifricio da questa veranda e io la osservo, dalla porta di casa socchiusa: mentre torna, le scivola il dentifricio. Si china per raccoglierlo, dal pavimento a febbraio si leva un calore impossibile, prima della scossa aveva già capito, urla a mio padre di prendermi e scappare, qualche secondo e ancora quel grido collettivo.

Sono passati più di 40 anni mentre scrivo, quella scena ce l’ho ancora stampata nella memoria, posso chiudere gli occhi, rivederla in qualsiasi momento, piangere. Tutti in strada, ancora, protagonisti di una scena irreale; per qualche motivo non c’era neanche una macchina in giro, a guardare in alto il nero del cielo sostituito da un rosso cupo e sbagliato, i palazzi che ballavano: nonostante si trattasse di due o tre piani al massimo, si vedevano chiaramente le linee rette curvarsi.

Dove si vive, quando c’è un terremoto? A poca distanza, da noi, c’era un’ampia zona, che il popolino chiamava “la terra”, intesa come terreno non edificato; all’epoca, un ampio spazio di vuoto e polvere, ospitava periodicamente le giostre o il circo. Ci si accampava nelle macchine e all’epoca avevamo una 128 gialla, praticamente un taxi. Ci accampavamo in quella sorta di taxi, poi a lavoro i turni di notte e mio padre non poteva e non voleva lasciarci soli e ci lasciava parcheggiati all’uscita dell’autoparco, faceva l’autista al Comune. Faceva molto freddo, io mi avvolgevo in una coperta di lana, fatta all’uncinetto da mia nonna. Era tremenda, all'uncinetto: calze, calzettoni e tutine le riuscivano in maniera decisamente approssimativa, come se dovessero vestire delle seppie. Coperte e sciarpe, però, almeno avevano una parvenza rettangolare.

Ogni notte, qualche amico collega di mio padre veniva a bussare al finestrino e mi portava un pacchetto di Togo. All'epoca ricordo andassero molto più forte che oggi, anche nei bar degli ospedali.

La nostra casa era relativamente recente, quindi sopportò entrambe le scosse e non fummo costretti a spostarci. Diversi parenti furono meno fortunati e finirono nei container, per anni. A me piaceva quando andavamo a fargli visita, prendevo la cosa come se fossero dei camper, delle roulotte. Un enorme campeggio, avrei voluto starci anche io.

Poi i container si trasformarono in quartieri degradati di case popolari, popolati da brava gente e da gente difficile, tutti democraticamente lasciati alla deriva, in un micromondo che ammazza il presente e cancella il concetto di futuro.

E, infine, se ne sono andati pure i parenti: tutto finisce allo stesso modo.

 
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from Lelio

Voglio condividere un discorso che ho scritto in occasione del TDOR (Trans day of remembrance) di quest'anno.

Essere una persona trans non è una tragedia. C'è molta gioia e vita nell'autodeterminazione, nell'esplorare la propria espressività fuori dal binarismo di genere cis-normativo, nell'orgogliosa scoperta del proprio benessere in un mondo che ci vuole alla meglio invisibilǝ, alla peggio mortǝ. La nostra morte, i nostri omicidi sono la vera tragedia. La pornografia del dolore con la quale i media narrano la nostra vita serve da diversivo e da distrazione contro le centinaia di omicidi di stato che annualmente decimano la comunità trans mondiale. Sono omicidi di stato perché un paese che pretende la medicalizzazione forzata, impedisce l'autodeterminazione e ostacola attivamente la rettifica anagrafica è un paese che vuole schiacciare le nostre identità trans. La stessa violenza che vuole ostacolare e annullare le persone trans è il naturale prodotto della società patriarcale in cui viviamo: una società che continua a crescere uomini che considerano le donne come una loro proprietà, a cui possono riservarsi di togliere la vita quando smettono di essere vittime sottomesse come un bambino che rompe un giocattolo che non vuole più. Perché tanto è suo e può farci quello che vuole. La cultura etero-patriarcale che vuole che gli uomini siano forti e dominanti, che incoraggia un'espressione malsana della propria emotività e il rifiuto della propria responsabilità affettiva, è la stessa cultura che impone un rigido binarismo di genere al di fuori del quale viene punita l'esistenza. Mantenere rigide e apparentemente inviolabili le norme di genere è il meccanismo che auto-alimenta il patriarcato. Alla base della transfobia, così come dell'omofobia, c'è una fortissima misoginia. Questo è dimostrato dal fatto che la stragrande maggioranza dei transicidi vede vittime donne trans e persone transfem, mentre invece alle persone non-binarie e agli uomini trans è spesso riservata l'invisibilità e l'infantilizzazione. Perché in questa logica patriarcale, se è incomprensibile e punibile con la morte che (con moltissime virgolette) “un uomo voglia diventare donna”, è un po' più accettabile che (sempre con tantissime virgolette) “una donna voglia diventare uomo”- perché “poverina, lasciatela giocare a fare l'uomo finché è giovane e confusa, poi si troverà un buon marito e le passerà”. In ogni caso è compito dell'uomo etero-cis, eroe pieno di macchie del nostro mondo, rimettere a posto “le donne” e proteggere i bambini dalla possibilità di un mondo migliore in cui siano felici di essere loro stessi, in modo da ristabilire le santissime gerarchie che conservano il potere patriarcale.

Come dicevo, la vita di una persona trans non è di per sé una tragedia. Ma è una costante lotta per la sopravvivenza. Una costante lotta per la libertà. Noi persone trans siamo uguali e diverse da voi persone cis. Ma, come voi, PRETENDIAMO: – di esercitare il nostro diritto all'autodeterminazione, – di essere liberǝ di ricevere le cure necessarie al nostro benessere psico-fisico senza essere costantemente discriminatǝ sulla base del nostro genere, – di poter partecipare ai differenti aspetti della vita pubblica e civile senza doverci nascondere nel passing o “tornando nell'armadio” per la nostra sicurezza, – di non essere criminalizzatǝ o medicalizzatǝ per la nostra identità, – di essere effettivamente tutelatǝ contro la discriminazione attraverso una legge sull'omo-lesbo-bi-transfobia, – di essere riconosciutǝ e rispettatǝ come persone.

 
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from memorie


Non so dare un peso e un'età agli esseri viventi, ma di una cosa sono certo: quel cagnolino, 5 o 6 chili al massimo, era già vecchio quando l'abbiamo conosciuto.

Ci siamo trasferiti in un altra regione e, probabilmente, già il nostro primo nuovo giorno in un posto nuovo l'abbiamo incontrato. Tutto marroncino, poco ingombrante, col faccino più chiaro, come sbiancato dall'età. L'abbiamo incontrato quasi al centro della nostra strada, una traversa a senso unico. Il posto dove è quasi sempre stato, quando non si ritirava a casa.

E sì, si piazzava come una sfinge non al centro della strada, ma quasi: questa mancanza di simmetria serviva a far passare , alla sua destra o sinistra, gli automobilisti. Fosse stato impalato al centro, avrebbe dovuto spostarsi, invece no: restava immobile, quasi parte dell'arredo urbano, una rotonda, uno spartitraffico. Abbaiava con estrema parsimonia, mia mamma non deve averlo mai sentito emettere un suono per tutti questi quasi tre anni.

Tutti in zona lo conoscevano, ovviamente: non sarebbe arrivato illeso a quell'età, diversamente. Negli ultimi tempi stava addirittura formando un discepolo: un cagnolino un po' più esile, quasi identico; chissà, un fratellino di un'altra cucciolata, un figlio. Lo portava in giro, gli mostrava le strade, dove piazzarsi. L'allievo imparava bene, li si vedeva piazzati sui due lati della strada, sfalsati. Le macchine facevano la gincana.

Un pomeriggio, un sabato, sono uscito per una consegna, non potevo fermarmi, il tempo mi spingeva. In una traversa laterale, larga giusto per una macchina, vedo questa macchina bianca ferma, il padrone della macchina a parlare, rabbuiato, col padrone dei due cagnolini.

L'automobilista era rimasto chissà quante decine di secondi ad aspettare che si spostasse. Quella sfinge in miniatura non si sarebbe mai più mossa.

Il cane vecchietto se n'è andato così: dopo una lunga vita, conosciuto e rispettato da tutti, in silenzio, al centro di un nastro d'asfalto così come era vissuto. Mi aspetto ancora di doverlo scansare, quando accompagno mia mamma a fare la spesa o in qualche struttura sanitaria.

 
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