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from Oliviabenson2

Gli XFiles di Cabot Cove: Parte 2 (racconto – fanfiction)

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la seconda parte e spero possa piacervi)

Per leggere la parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

“È una cittadina molto tranquilla! Un giorno che non lavorate potete venire a fare qualcosa di rilassante! Gite in barca, escursioni, oppure pescare!” Per quanto visita ufficiale, Skinner aveva comunque optato per non far portare ai due agenti un mezzo loro. Aveva parlato con lo sceriffo Mort Metzger, un ex poliziotto di New York che si era spostato nel piccolo paese da diversi anni diventandone sceriffo e prendendo il posto di un certo Amos Tupper, che però risultava ancora irrintracciabile. Cosa che aveva ovviamente profondamente scosso Mulder: un’altra coincidenza molto strana. Lo sceriffo, su ordine di Skinner, era passato a prenderli alla stazione dei pullman per portarli subito dalla signora Fletcher. Come spesso succedeva con la polizia, non era contento che ci fossero degli agenti dell’FBI, ma quantomeno cercava di nasconderlo. “Certo, oggi chi va a pesca deve fare attenzione!” proseguì lo sceriffo “Vedete quelle nubi? C’è una tempesta in arrivo. Avete detto che ripartite stasera?” “Sì, con l’ultimo pullman.” Affermò Mulder osservando fuori dal finestrino l’orizzonte nero, in netto contrasto con il cielo terso che ancora li sovrastava e che li aveva accolti nella cittadina. “Ma, esattamente, cosa dovete chiedere alla signora Fletcher di tanto urgente?” “Si tratta più di un avviso che di altro.” Rispose Dana Scully “Abbiamo notato che la signora Fletcher è stata coinvolta in molti casi di omicidio… lei si renderà conto che quando c’è il coinvolgimento di una persona civile in affari di polizia, è sempre pericoloso.” “Ah…” lo sceriffo Metzger parve incupirsi. “Ha collaborato anche con voi?” L’uomo, si schiarì la voce prima di dire: “La signora Fletcher fa parte della comunità ed è molto amata. Capirete che non siamo a Washington, né a New York. Qui qualsiasi aiuto per mantenere la quiete è benvenuto…” Aveva detto di sì. Con molti giri di parole. Ma era un sì. Mulder e Scully si lanciarono un’occhiata. “Comunque, qualsiasi sia il problema, posso garantire io per la signora Fletcher: ogni sua ‘intrusione’” tolse una mano dal volante per fare le virgolette in aria “Non è mai stata intralciante né ha mai compromesso le prove.” “Mi scusi se glielo chiedo,” intervenne allora Fox Mulder “ma le sue… collaborazioni con la signora Fletcher… sono state tanto numerose?” Dana Scully lo fulminò con lo sguardo, ma i suoi occhi si inquietarono quando notò che lo sceriffo si attardava a rispondere. “Se devo essere sincero…” disse infine “C’è in effetti un tasso di omicidi molto alto in questa città, per le sue dimensioni almeno. Non so, ogni tanto mia moglie scherza che potrebbe essere colpa di qualche lontana maledizione lanciata da qualcuna delle povere donne bruciate con l’accusa di stregoneria. Ma sapete, si tratta comunque di delitti tipici dei luoghi molto piccoli: gelosie, invidie, forme di arrivismo… oppure è qualcuno che viene da fuori e si porta dietro altre persone che voglio ucciderlo… Ok, forse c’è stato qualche caso più importante… però ripeto, nelle occasioni in cui la signora Fletcher è rimasta coinvolta, non c’è mai stato da parte sua alcun tipo di intralcio.” (1) “Però ammettete che c’è una situazione anomala per quel che riguarda gli omicidi.” “Se sono sotto interrogatorio, vorrei andare nel mio ufficio.” Avevano abusato troppo del buon atteggiamento. “Vi chiediamo scusa. Non è nostra intenzione offendere nessuno. Neanche la signora.” “Scusatemi voi.” Disse allora Metzger “Questa tempesta improvvisa mi sta innervosendo. Siamo arrivati comunque.” Parcheggiarono davanti alla casa della signora Fletcher: una graziosa casetta a due piani, bianca con il tetto verde scuro spiovente e un giardino molto curato. Scesero tutti insieme dall’auto, ma lo sceriffo li precedette. Fu lui a bussare alla porta, dopo essersi tolto il cappello. Questa si spalancò quasi subito. La signora Jessica Fletcher comparve sulla soglia. Indossava un bel maglione di lana con decorazioni floreali e dei pantaloni di tela pesanti. Era uguale alle foto che c’erano nei suoi libri. Da giovane, doveva essere stata una donna molto bella. “Signora Fletcher buongiorno. Ci sono questi signori che desiderano parlare con lei. Immagino… da soli…” “Preferiremmo di sì.” Disse calma Dana tirò fuori il distintivo “Buongiorno signora Fletcher. FBI. Sono Dana Scully e lui è il mio collega Fox Mulder.” “FBI?” fece la donna, sorpresa, ma non preoccupata. “Sì. Possiamo entrare?” “Oh certo! Prego accomodatevi! Stavo giusto preparando del tè!” “Io tornerò verso le sei per riaccompagnarvi al pullman.” Disse lo sceriffo. Poi sussurrò (ma Mulder lo sentì) alla signora Fletcher “Se c’è qualche problema, mi chiami.” Jessica chiuse la porta e fece un cenno ai due: “Andiamo in cucina, lì staremo comodi.” Un rombo che fece tremare pure il vetro delle finestre. Le luci della casa erano tutte accese, ma fuori sembrava già essere notte. Le nuvole che avevano visto all’orizzonte nel tratto di strada tra la fermata e la casa della signora, ora sovrastavano completamente il cielo. Una cappa nera e minacciosa. “Una tempesta? Avevano detto che poteva arrivare… ma ha fatto proprio in fretta!” la signora Fletcher si avvicinò alla finestra del salone per guardare fuori. Questo diede modo ai due agenti di guardarsi intorno. Il salone però non presentava alcuna anomalia. Anzi: l’odore dei libri e del camino acceso fecero provare un senso di calore e di accoglienza anche a Mulder. Osservò la biblioteca della donna e notò la gran quantità di libri gialli presenti, insieme a manuali di varia natura e diverse raccolte di poesie. Grandi classici e perfino alcuni libri di filosofia, affiancavano manuali di giardinaggio, di pesca e di caccia all’anatra; la raccolta completa dei romanzi e dei racconti di Sherlock Holmes, scritti da Arthur Conan Doyle, condivideva lo scaffale con diverse riviste letterarie e un testo dedicato all’architettura; Poe e San Tommaso D’Aquino erano divisi da alcuni testi di biologia… Leggeva molto, la signora Fletcher. E non leggeva solo libri gialli. Il fischio della teiera li attirò definitivamente in cucina, dove sul tavolo era poggiata una bellissima macchina da scrivere. “Non usate computer?” domandò Mulder. “Uso anche quello. Ma a volte mi piace tornare alle vecchie abitudini. Quanto zucchero?” “Io non prendo tè.” Fox Mulder osservò attentamente la cucina. Mobili vecchi, molti utensili in vista. Niente di anomalo. O forse troppo normale. “Per me giusto un cucchiaino. E grazie.” Disse Dana. Si accomodarono entrambi e la signora Fletcher, dopo aver servito una tazza fumante a Scully, si sedette dirimpetto a loro. “Allora, a cosa devo la vostra visita?” Era tranquilla, forse giusto un po' sorpresa, ma per nulla agitata. A Mulder questo non piacque. Quando si scambiò un’occhiata con Dana, le fece capire che era meglio che a parlare fosse lei. “Signora Jessica Fletcher, giusto? Scrittrice di libri gialli e ha anche avuto il ruolo di insegnante di criminologia a New York per un periodo. Tutto esatto?” “Sì, certo.” “Mi scusi… è un po' difficile quello che stiamo per chiederle. Ma vede, abbiamo fatto delle… delle ricerche per… la compilazione di alcune statistiche. E abbiamo notato il suo legame con molti casi di omicidio.” “Più di un centinaio.” Si intromise Mulder. La signora Fletcher sgranò gli occhi, come colta di sorpresa: “Così tanti?” “Non ci siamo permessi di contarli, vede il punto non è il numero…. È più il fatto che lei è presente e interviene anche nelle indagini a preoccuparci.” Un altro tuono fortissimo pose una momentanea pausa al discorso. La lampadina sfarfallò per un attimo, portandoli dal buio alla luce in rapida sequenza. Quando si stabilizzò, Dana riprese il discorso. “Signora Fletcher, capisco la sua buona volontà, chi non la capirebbe: tutti noi in una situazione di particolare stress o se è coinvolto qualcuno a cui teniamo, vogliamo essere d’aiuto. E certamente in tanti casi il suo intervento si è rivelato prezioso per l’autorità. Sappiamo che lei è riconosciuta da molti agenti di polizia come una risorsa preziosa. Ma c’è un fatto: lei non è della polizia.” La signora Fletcher socchiuse gli occhi e annuì: “Credo di capire dove volete arrivare.” “Non ho dubbi, anche perché lei è molto intelligente. Ma ho bisogno di chiederle formalmente una cosa: quella di cercare di non lasciarsi coinvolgere più. Le indagini, e lei lo sa, sono qualcosa di serio e difficile ed è molto pericoloso se un’informazione che le autorità preferiscono tenere riservata dovesse saltare fuori. In più sono molte le persone con cui la polizia può trovarsi a dover combattere: i giornalisti, le talpe e… senza nulla togliere agli agenti onesti, anche le purtroppo possibili corruzioni interne.” “Avete davvero fatto questo lungo viaggio da Washington” la signora Fletcher approfittò della lunga sorsata di tè di Dana per parlare “per chiedermi formalmente di non interessarmi più di un qualsiasi caso di omicidio?” “Esatto signora.” Disse Dana. Prese un respiro profondo e parlò con la voce più dolce che riuscì a impostare: “Voglio essere sincera: ho letto i rapporti e trovo veramente straordinario l’aiuto che è stata in grado di dare, almeno lì dove è stato riportato. Lei ha sicuramente contribuito molto alla giustizia. Ma c’è anche un altro motivo per il quale le chiediamo questo passo indietro. Vede signora, oltre alle indagini, lei ha spesso messo la vostra vita in pericolo. E forse anche quella di altre persone innocenti. È una responsabilità enorme, per la polizia e non solo. Sa, ammetto che non avevo avuto modo di leggere i suoi libri, ma ho trovato il tempo di leggerne uno prima di partire. Sembrerà una lusinga o forse una minaccia, ma le parlo sinceramente: penso che perdere il suo talento per aver deciso di occuparsi di un caso che non le apparteneva, sarebbe un grave danno per la letteratura.” A quelle parole, la signora Fletcher proruppe in una risatina vivace e simpatica: “Lei mi lusinga infatti. Ma le dirò, comprendo perfettamente la sua preoccupazione e la apprezzo molto.” Sembrava sincera in quell’affermazione. “Anche io ho letto i suoi libri sa?” si intromise allora Mulder “Tutti. In meno di quattro giorni.” Dana si allarmò, provò a richiamare con lo sguardo il collega, ma lui fissava intensamente la signora Fletcher che lo ricambiava nuovamente sorpresa. “Quattro giorni? Giovanotto sapevo che molti facevano nottata per i miei romanzi, ma…” “Sono un lettore molto avido” proseguì Mulder “e c’è una cosa che mi ha sorpreso: la perfezione con la quale lei descrive tutto, dagli omicidi alle indagini. Di solito, in narrativa, ci si permette di commettere tante ingenuità a favore di una lettura scorrevole o commerciale. Lei invece non sbaglia un colpo, signora…” Di nuovo quella risatina allegra: “Ah detto da un agente dell’FBI è un complimento non da poco!” “Sa che, da che ho scoperto il suo nome legato a tanti e diversi casi, ho pensato che potesse essere proprio la collaborazione con la polizia ad aver affinato le sue doti… ma poi ho guardato bene le date di pubblicazione e ho capito che il suo è un dono naturale.” Anche se ancora non era chiaro dove volesse andare a parare il suo collega, Dana non lo fermò. Era anzi sorpresa dell’attenzione all’uso delle parole che Fox stava applicando. “Beh, forse. In realtà penso dipenda dalle mie molte letture, e dalla mia passione naturale per il genere, oltre alla mia curiosità.” Proseguì la signora Fletcher, sempre raggiante. “La sua biblioteca, in salotto, è bellissima. Ho riconosciuto alcuni libri della mia infanzia…” proseguì Fox, ricambiando il sorriso ma in modo nervoso. “Oh sì. E non è neanche tutta! Negli anni ho dato via molti libri. Altri purtroppo si sono rovinati…” la donna si incupì “…E altri ancora non ho avuto il coraggio di tenerli dopo la morte di Frank.” “Suo marito?” Lei annuì. Fox chinò la testa. “Condoglianze.” “È stato molto tempo fa… spesso leggevamo assieme, passandoci i libri, oppure ero io a leggerli ad alta voce, la sera, per lui. Lui leggeva, ma meno di me, era più un uomo d’azione. Ma se mi portava un mazzo di fiori, aveva anche un libro da consegnarmi.” Il sorriso si illuminò di nuovo. “Posso chiederle cosa… è successo?” Dana si tese e lanciò un’occhiataccia a Fox. Ma lui rispose con uno sguardo che le chiedeva fiducia. “Un brutto male.” Rispose la signora Fletcher “Che fortunatamente, lo dico a posteriori, non ha portato troppa sofferenza nel nostro ultimo anno insieme. Frank era preoccupato per me più che per lui… non è stato facile… e forse scrivere mi ha aiutato.” “Il cadavere che ballò a mezzanotte.” “Il mio primo romanzo, sì. C’era tutto quello che piaceva a me dei gialli e a Frank dei film d’azione.” “Ha dedicato a lui e a un certo Grady il libro, infatti…” “Grady è mio nipote, figlio di un fratello di Frank. Ci siamo occupati di lui da adolescente, dopo la morte dei suoi genitori in un incidente.” Questa seconda informazione inerente una morte provocò una reazione piuttosto evidente in Fox. “Tutto bene giovanotto?” domandò preoccupata la signora Fletcher. Dana stava per dire qualcosa, quando un nuovo e potente tuono esplose all’esterno, le luci di tutta la casa si spensero e la cucina sprofondò nel buio.

(1) Cabot Cove ha una percentuale di omicidi per numero di omicidi più alta di qualsiasi altra città reale o immaginaria che sia. Nessun personaggio della serie sembra farci caso, tranne appunto lo sceriffo Metzger nell’episodio “Jessica e la mela parte 1”. Fonte: https://www.dailymail.co.uk/news/article-2191990/Murder-capital-world-Quiet-seaside-town-Cabot-Cove-named-dangerous-place-Earth.html

 
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from LookaComics

Ai primi di gennaio ho avuto bisogno di prepararmi dei character design e studi di alcuni personaggi e idee per un nuovo progetto a fumetti che ho in mente da tempo. Non volendo riempire lo sketchbook appena comprato con tanti disegni storpietti, che sarebbero potuti risultare brutti o disordinati, e non volendo sprecare soldi per comprarne un altro apposta, ho deciso di fabbricarmi uno sketchbook fatto in casa con semplice carta da stampante A4, piegando i fogli in due e pinzandoli nel mezzo con una pinzatrice a braccio. Non avendo paura di rovinare carta di qualità o di fare disegni brutti, ho sfruttato questo piccolo sketchbook di 48 pagine al massimo, facendo schizzi e fumettini di diverso tipo e finendolo in poco più di un mese. Quello che vedrete qui di seguito è il risultato del mio lavoro. Ci sono degli spoilerini per alcune vignette che posterò più avanti a china e colore, conoscerete anche le protagoniste del progetto a cui vorrei dedicarmi in futuro. Spero che gradirete!

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from Lelio

Ho iniziato a scrivere questa riflessione il giorno del mio compleanno, il 4 Febbraio, ma poi ho impiegato qualche giorno a elaborarla per via di impegni, stanchezza e goliardie. I compleanni per me non sono mai stati facili, molti sono stati contrassegnati dalla solitudine e dalla rabbia, ma quest'anno l'ho passato serenamente in buona compagnia e sono stato contento.

Sono sopravvissuto a un altro anno.

Non è stato facile, soprattutto negli ultimi mesi, ma ho avuto la fortuna di avere dalla mia un professionista che nel momento peggiore mi ha fatto sentire “visto” e che mi ha mostrato una via diversa da quelle già percorse, una nuova strategia nel mio cammino di guarigione.
C'è da dire che vorrei dire al Lelio quattordicenne che avrebbe soffiato su due candeline a forma di ventitré in una tuta da sci rosa, circondato dal suo party di D&D dopo una bella sessione. Vorrei dirgli che sto scrivendo questa sorta di bilancio per lui, oltre che per me, per farlo sentire capito e per ringraziarlo di essersi aggrappato così disperatamente a quella scintilla guerriera di vitalità. Dirgli che ce la stiamo facendo, che non siamo più soli. Abbiamo persino fatto partire il progetto dei tuoi sogni.

Questo è stato un anno di alti molto alti e bassi molto bassi; un anno in cui ho imparato per la prima volta cosa vuol dire davvero essere adolescenti; è stato un anno di paure affrontate e imprevisti, di tappe raggiunte e soddisfazioni, di nuove scoperte e vecchi ricordi. Un anno in cui sul palco ho danzato, cantato e interpretato vari personaggi; un anno in cui sono andato contro le aspettative di alcunǝ e oltre quelle di altrǝ. È stato un anno d'amore, in cui mi sono innamorato tanto di concetti, pensieri, immagini, ma soprattutto di persone e di vita. Ho iniziato a innamorarmi anche del mio riflesso allo specchio, non come Narciso, ma di quell'amore che abbiamo per la nostra casa. Ho stretto nuove amicizie e ne ho perse di vecchie. Ho trovato una seconda madre e una seconda sorella, con cui il legame è artistico ma anche molto di più. Mi sono imbattuto nel calore delle braccia del mio compagno e nella tenerezza delle sue carezze; mi sono scontrato con il muro di luce che è il mio morosetto e mi sono lasciato avvolgere dalla sua dolcezza. Ho iniziato a immaginare come vorrei che fosse la mia famiglia queer.

Questa estate ho iniziato a praticare yoga ashtanga per ragioni di ricerca spirituale più che fisica, anche se la componente del corpo è fondamentale. Mi ci sono affezionato subito, così per mesi è stato parte della mia routine giornaliera – finché non ho iniziato ad avere problemi alla schiena. Adesso che la risonanza magnetica e il fisiatra mi hanno autorizzato a riprenderlo, sento nuovamente quella spinta e quella comunione col mio corpo che nient'altro mi riesce a far provare. Avevo iniziato proprio per cercare di riconnettermi alla mia carne, alle mie ossa, al mio sangue; per sentire ogni muscolo, ogni nervo, ogni articolazione vivere nel mio respiro, sostenendomi e accogliendomi. Ho un corpo trans e voglio amarlo nel presente. Sarà sempre più facile connettermici col proseguimento del mio percorso di affermazione di genere, ma adesso il mio corpo è così, il mio cuore batte per tenerlo in vita così com'è perché la vita, di per sé, non discrimina. Domani sarà diverso perché anche fra un minuto, o un secondo, io sarò diverso. Chissà come sarà tra uno, due, cinque anni. Chissà come sarò io tra centinaia di migliaia di minuti. Voglio gioire nel presente, sentirmi presente nella gioia. Per questo, nonostante la scomodità di certe forme, voglio essere in comunione col mio corpo nel presente invece che rimandare questa ricerca al futuro. Pare un pensiero infelice, ma il fatto che la morte è imprevedibile e definitiva è semplice verità; perché dovrei vivere aspettando il domani, così incerto? È inevitabile lasciare qualcosa di incompiuto, ma so che godendomi ogni momento mentre costruisco la mia versione del futuro è l'unico modo per trovare serenità. Ed è a questo che aspiro.

Un mesetto fa il mio morosetto mi stava dando una mano con un'acconciatura e ha scoperto il mio primo capello bianco. Ho dato la notizia al mio amico Carlo e questo simbolo fisico di maturità lo ha commosso. Carlo mi insegna spesso quanto è gioioso crescere e cambiare. Sono grato di averlo nella mia vita come collega, oltre che come amico. Anche perché fa il caffè più buono che io abbia mai provato.

Ho dei problemi con passato, presente e futuro. Col futuro ho problemi per le paure che nascono dal mio perfezionismo. Il passato contiene dei fantasmi che mi tormentano ancora, come se il tempo fosse bloccato ad allora. E ovviamente sul presente influiscono queste cose, ma ci sto lavorando. Quest'anno è stato l'anno in cui sono stato più presente, voglio continuare su questa strada e vedere da che parte mi porterà la vita. Voglio portarmi dietro la sensazione del mare caldo a mezzanotte e il solletico freddo della brezza dopo esser riemerso dal riflesso della Luna; le scale infinite di Genova e i graffiti sui muri della città di sotto; le mani delle amiche che mi fanno sentire al sicuro mentre mi aiutano a spalmare la crema solare; le rughe sul volto dei nonni che sorridono chiamandomi per nome; la possibilità di vivere avventure con mia sorella; il profumo delle torte di mia madre.

Vorrei ringraziare tutte le persone che sono nella mia vita indicendo un grandioso ballo in maschera con un buffet di pietanze preparate da me appositamente per loro. Quest'anno non ne ho le energie. Recupererò facendo risotti man mano a ciascunǝ.

 
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from nomadank

Ok, continuerò questo blog, con il solo e unico scopo di non farlo diventare l'ennesima cosa che inizio e mollo lì. Nell'Orlando Furioso la Luna è il luogo dove si accumulano tutte le cose dimenticate sulla Terra. Ecco, quando penso ai miei progetti abbandonati, mi immagino un luogo simile, una dimensione parallela, con la differenza che non sono per niente dimenticati, sono lì, pulsanti, in attesa di uscire dalla criostasi, al mio primo accenno. Non so che effetto magico possa avere mettermi ora ad elencarli. Se riaccendere un desiderio, sancirne la fine o prolungarne la standby. Proviamo.

Titolo: hyperzapping Abstract: un altro blog, sempre su log, che parla di una televisione segreta, i cui singoli post sono estratti dalle sue trasmissioni Stato: ho scritto un paio di articoli, uno su un cartone animato con protagonisti degli scoiattoli pirata che volano su un oceano di lava e l'altro su una docuserie tipo Planet Earth ma su esopianeti. L'idea è che ogni puntata fosse una piccola finestra sulle infinite trasmissioni della televisione segreta. Non troppo diverso da Interdimensional Cable di Rick and Morty

Titolo: Communite! Abstract: un videogioco per game boy (realizzato con GB Studio) in stile 2D top down ambientato in un resort di iperlusso su un pianeta paradisiaco posseduto da una multinazionale. Giochi nei panni di unə lavoratorə che viene in contatto con un infiltrato di Communite, un collettivo anarchico intergalattico che vuole fare la rivoluzione. Il tuo compito è di convincere chi lavora con te a unirsi alla causa per trasformare lentamente il resort da un luogo di lavoro a una vera e propria comune e alla fine cacciare la mega corporation dal pianeta. Man mano che convinci persone sblocchi sempre più aree e ti puoi muovere liberamente per la mappa, a la metroidvania. Stato: la storia e il mondo sono pensati anche abbastanza dettagliatamente, così come le principali meccaniche di gameplay; ho realizzato qualche sprite dei personaggi, ma mi sono bloccato sul map design

Titolo: Strategie del Collasso Abstract: un paper anarchico antistatalista su come creare delle neo-comuni come alternativa al sistema capitalista e portare avanti simultaneamente un collasso del mondo occidentale che possa nutrirle Stato: ho già in mente bene o male come strutturarlo e cosa scrivere in ogni passaggio, manca...beh.. scriverlo.

Titolo: ? Abstract: un romanzo sci-fantasy ambientato su un continente ad anello, circondato dall'esterno e dall'interno dal mare. Al centro mare dell'anello c'è una città, la Capitale, con una tecnologia avanzatissima basata su un materiale incredibile di cui ha il monopolio. C'è poi un treno grande come una città che scorre lungo tutto l'anello, su cui vivono i “rifiuti della società”. Le città che sorgono su tutto il resto del territorio sono isolate dal mondo o sottomesse dalla Capitale. Stato: la backstory e il world-building sono abbastanza approfonditi, ho già in mente la protagonista e qualche personaggio ma mi sono bloccato sull'hook principale. Pensavo a un gioco organizzato dalla popolazione del treno che si svolge in diverse fasi su diverse città, ma non sono mai riuscito a trovare una quadra.

Questi quelli che mi vengono in mente, gli altri sono sulla Luna. Non è facile fare questo post. Sento come se “rivelare” questi progetti in questo stato sia un po' come tradirli, condannandoli alla non esistenza. Che poi perché qualcosa deve essere completo per essere vivo? In un certo senso, in una certa forma, SONO vivi. Anzi, il condividerli con altre persone moltiplica la loro esistenza. Almeno credo.

E voi? Avete progetti mai finiti? Quali sono?

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from COSE NUOVE

Gennaio ci ha regalato tanti giochi nuovi ma soprattutto dei film incredibili che già so che saranno tra le mie cose preferite del 2024. Non mi perderò in chiacchiere, iniziamo subito!

GIOCHI

Il 5 gennaio è uscito The Night is Grey, un'avventura punta e clicca in cui il protagonista si ritrova bloccato in una foresta e trova una bambina che avrà bisogno del suo aiuto per sopravvivere. Non ho ancora deciso se lo stile grafico mi piaccia o meno, ma la storia sembra abbastanza intrigante.

Il 5 gennaio è uscito anche Astra Hunter Zosma, un classico rpg che mi sembra abbastanza semplice ma comunque molto carino (e gratuito).

L'11 gennaio è uscito Momodora: Moonlit Farewell, metroidvania in pixel art con ambientazione fantasy, ultimo capitolo della serie Momodora, che contava già tre giochi più un prequel. Questo è ambientato qualche anno dopo la trilogia originale, la protagonista deve salvare il villaggio da un'invasione di demoni. Non ho mai giocato a nessun gioco della serie, ma lɜ autorɜ hanno rassicurato che non c'è bisogno di conoscenze pregresse per giocare a questo capitolo, quindi penso che gli darò un'occhiata.

Il 15 gennaio è uscito MiceGard, un'avventura con protagonisti dei topi norreni. Mi piace molto l'estetica e l'idea dell'accostamento topi-mitologia norrena.

Il 17 gennaio è uscito Atlas Wept un rpg con forti influenze di Earthbound e Undertale, che secondo me potrebbe rivelarsi una perla nascosta.

Il 17 è uscito anche First Cut: Samurai Duel, il titolo dice tutto: è un gioco arcade di duelli con le spade in cui il primo colpo che va a segno decreta la morte dell'avversario. Sembra fatto davvero bene sia a livello di meccaniche che esteticamente. Si può giocare sia in singolo che in multiplayer locale.

17 gennaio giorno di giochi nuovi, è uscito anche TEST TEST TEST, nuovo gioco dello studio Mojiken (A Space for the Unbound) che in realtà è stato pubblicato l'anno scorso su itch.io, ma adesso arriva anche la versione su Steam. Si tratta di un punta e clicca in cui bisogna sfuggire da un loop temporale cercando di risolvere enigmi e puzzle.

Il 18 gennaio è uscito Prince of Persia: The Lost Crown, che conoscerete già tuttɜ, immagino.

Il 19 gennaio è uscito The Cub, spin-off di Golf Club Nostalgia (ex Golf Club Wasteland). È ambientato nello stesso mondo ma il protagonista è diverso e questa volta non si gioca a golf, è un semplice platform, ma conserva la cosa che faceva di Golf Club un gioco super interessante: la radio in sottofondo che racconta le storie dei sopravvissuti all'apocalisse.

Il 24 gennaio è uscito Lil' Guardsman, un gioco in cui devi sostituire tuo padre al posto di guardia del castello e decidere chi fare entrare e chi no. Una sorta di versione fantasy e con toni decisamente diversi di Papers, Please.

Il 24 è uscito anche Anomaly Agent, un gioco d'azione con ambientazione cyberpunk che promette molto bene.

Il 25 gennaio è uscito Jett Rider, un gioco d'azione con elementi rpg in cui si deve esplorare zone sconosciute di un pianeta, sparare a nemici vari e riciclare il materiale raccolto per effettuare gli upgrade. Sembra un giochino abbastanza divertente.

Il 26 gennaio è uscito Into the Necrovale, action rpg disponibile per il momento in early access. Come ho già detto, non amo i roguelite/like, ma ogni tanto ce n'è qualcuno che mi ispira e a questo darò una possibilità. Sempre quando uscirà la versione 1.0, mai in accesso anticipato.

Il 29 gennaio è uscito Celeste 64: Fragments of the Mountain, minigioco gratuito su itch.io che lɜ autorɜ di Celeste hanno realizzato per il sesto anniversario. Si tratta in questo caso di un platformer 3D.

Il 30 gennaio è uscito Twilight Oracle, un gioco punta e clicca che dal look ricorda molto le classiche avventure grafiche degli anni 90. Mi aspetto una bella avventura e una giusta dose di comicità.


FILM

L'1 gennaio è uscito Il ragazzo e l'airone, Miyazaki torna al cinema dopo dieci anni e ci porta un altro film molto personale, di interpretazione non intuitivissima, ma che ha lo stesso effetto per i miei occhi che ha la pizza per le mie papille gustative.

Il 4 gennaio è uscito Perfect Days, nuovo film di Wim Wenders (“Il cielo sopra Berlino”, “Paris, Texas”). Il film ha come protagonista Hirayama, addetto alle pulizie per i bagni pubblici a Tokyo. Film da vedere assolutamente, se potete guardatelo in lingua originale, il doppiaggio italiano non è all'altezza.

Il 18 gennaio è uscito nei cinema italiani The Holdovers, una commedia ambientata negli anni 70 in cui alcuni ragazzi sono costretti a restare al liceo durante le vacanze di Natale con il professore che tutti odiano. La trama è molto semplice e prevedibile, ma è scritto comunque molto bene e la recitazione è fenomenale, Da'Vine Joy Randolph fantastica così come Paul Giamatti. Ottimo da vedere a casa sul divano sotto le coperte con una tisana calda mentre fuori si gela.

Il 25 gennaio è uscito in Italia Poor Things (in italiano Povere creature!), nuovo film di quel pazzo scatenato di Yorgos Lanthimos, con Emma Stone, Mark Ruffalo e Willem Dafoe. Andatelo a vedere perché merita tantissimo.


SERIE TV

Il 4 gennaio è uscito Delicious in Dungeon, nuovo anime dello studio Trigger in cui lɜ protagonistɜ si ritrovano a dover mangiare i mostri che sconfiggono.

Il 6 gennaio è uscita la quinta stagione di Kingdom, anime molto sottovalutato che ruota attorno alle guerre dell'Antica Cina, in particolare nel periodo degli Stati Combattenti. Io sono ancora alla seconda stagione e mi sta piacendo nonostante le animazioni fatte abbastanza male e la censura delle scene più cruenti del manga. Per questi due motivi volevo abbandonare l'anime e passare alla lettura del manga, ma poi ho visto che sono una cosa come 800 capitoli e quindi ho detto nope. Però la storia è comunque interessante e quindi ci si può passare sopra, poi ho letto che dalla terza stagione migliora anche su questi aspetti, quindi ve lo consiglio in ogni caso.

Il 18 gennaio è uscito Hazbin Hotel, una serie musical animata che è ambientata all'inferno e in cui la protagonista apre una sorta di centro di riabilitazione per i dannati. Inizialmente l'avevo scartata perché non amo quel tipo di disegno, ma tuttɜ ne parlano benissimo, quindi le darò una possibilità. E poi c'è Stephanie Beatriz, un motivo mooolto valido per guardarla.


LIBRI

Ebbene sì, questo mese ci sono anche i libri!

Il 4 gennaio è uscita l'edizione italiana di Un salmo per il robot di Becky Chambers, autrice anche della serie Wayfarers. È una storia fantascientifica ambientata in un mondo in cui l'uomo ha abbandonato le macchine per vivere in armonia con la natura. Un giorno un monaco incontra un robot che cerca la risposta alla domanda “di cosa hanno bisogno gli esseri umani?”. C'è anche un secondo libro ma ancora non è stato tradotto in italiano.

Il 16 gennaio è uscita la prima (credo eh) edizione italiana di Gli aghi d'oro, romanzo del 1980 di Michael McDowell, autore della saga di Blackwater che ha avuto molto successo l'anno scorso (e che sto recuperando in questo periodo). Questo libro è ambientato alla fine dell'Ottocento ed è anch'esso – come Blackwater – un horror gotico incentrato sulle vicende di una famiglia benestante che ha l'obiettivo di liberare la città dalla corruzione. Quindi a chi è piaciuta la saga di Blackwater potrebbe interessare. Si presenta anche con lo stesso stile ed è quindi anche un bel libro da tenere sullo scaffale.

Il 23 gennaio è uscito The Bullet Swallower di Elizabeth Gonzalez James, edizione in lingua originale. È un western ambientato tra il Messico e il Texas, che segue la storia di un bandito nel fine 800 e di un suo discendente negli anni 60, entrambi devono fare i conti con i peccati commessi dai propri antenati dopo un incontro con una figura misteriosa. Non lo so quanto possano interessare dei libri ancora non usciti in Italia, ma non mi costa niente metterli.


Poor Things è stata la mia cosa preferita di gennaio. Tra le cose vecchie che ho recuperato ci sono Pluto, l'anime tratto dal manga di Urasawa che vi consiglio tantissimo; Qualcuno volò sul nido del cuculo che non avevo mai visto, ho parecchie pietre miliari del genere da recuperare e non me ne vergogno, anzi ne sono felicissimo; Dorohedoro, manga di Q Hayashida che ho amato alla follia.

Da Cose Nuove è tutto, mi raccomando non cedete all'hype e alla fomo, segnatevi le cose nuove interessanti ma recuperatele quando avete tempo, ci sono anche un sacco di cose vecchie da potersi godere. Vogliatevi bene, bevete tanta acqua e mangiate tanta pizza, ciao!

Cose di dicembre 2023

 
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from lorenzovujade

Poesia (non) d'amore

Giulia (2)

Non ho saputo coglierti come un fiore Sei stata una rosa per tutte quelle ore Passate di notte a scrivere e gemere Mentre ti sognavo e ti temevo Come fossi nel medioevo Non ho saputo raccontarti balle Non ho mai parlato di farfalle Nello stomaco, come se ce le avessi Ma in realtà era tutto un turbamento Come se le temessi Non ho mai cercato una soluzione al dolore Per tutte quelle ore Tranne in questa notte in bianco Non so stare con un rimpianto La gente non mi sa apprezzare Ma che ci vuoi fare Non ho niente di cui parlare A volte vorrei solo stare in compagnia Ma questa vita è lunga a tutte le ore Portami alla via Dove non c'è dolore Dove c'è poesia E se il turbamento rimarrà Prima o poi cesserà E con un rimpianto resterò E prima o poi imparerò

 
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from lorenzovujade

Le mie due prime poesie (scritte un anno fa)

“Remare”

Ho visto il mio cuore nella corrente Ti ho vista via remare Non ho coscienza di quanto ero presente Ho visto placarsi il mare Ognuno è onnipresente Ma non starmi ad osservare La vita è destinata all'oblio E nessuno si è fratturato più di Dio Apriamo i nostri cuori alla corrente Siamo destinati ad amare Più di chi ci amerà o ci ha amato Più del destino di un soldato

“Dio”

Non sono misericordioso come un dio Questa è la prova che sono realmente io Quando la luce bacia la tua fronte Ogni cosa si fa forte E quando cadde il tuo sorriso Dammi pace, sono ancora io Se son desto ogni cosa mi placa Che mi riesca o non mi riesca ogni cosa è sacra Non c'è ragione per vedere Se non allegri mostri da intrattenere Ogni cosa si fa buia La luce mostra, la luce si increspa La vita è triste senza abiura

 
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from lorenzovujade

“Non c'è più niente”

Che senso ha fare cose solo per se stessi Se siamo parte di un unico essere Conseguenti di altri e conseguenza di altro Figli dei nostri avi e delle stelle Nati da altri padri Noi che splendiamo come stelle immacolate Dove la nostra pelle ruvida che ci tocchiamo e ci sfioriamo Continua a commuoverci E ci rifiutiamo a stare uniti come in un abbraccio Dove io e te siamo la stessa cosa, la stessa cosa Dove il sole e la luna percorrono e ripercorrono sempre e comunque Nella gioia e nel dolore lo stesso tratto assieme Come se non ci fossero altro che loro Così io e il sole, allo stesso tempo Di notte usciamo dai gioghi e non vediamo splendere te o luna e te mia cara amata Così te e la luna in egual modo Di giorno siete appena appena visibili E io mi chiedo ogni volta “dove siete?” Risplendendo di più ogni volta che vi trovo Preferirei ricordarmi di te in egual misura della luna con il sole Ma noi due non siamo satelliti, stelle o altri corpi celesti Siamo solo infime bottiglie con dentro biglietti nel mare Che nessuno troverà più E in queste buie notti solo il mare ci porterà al destinatario Una lunga e beata notte ci attende in queste acque gelide e torbide Dobbiamo noi farci trovare o è il mare Che ci deve portare a destinazione con le sue lunghe braccia? Spero in Dio che almeno alla fine dei tempi I nostri messaggi si confonderanno e si uniranno Così da ricongiungerci alla fine delle nostre sorti Dove il mare finisce, dove i pensieri iniziano E che l'ozio datoci dalla culla del mare riunisca anche chi Avidamente cerca di sfilare il messaggio Che no non era per lui ma Due passi più in la ha trovato sosta dal suo pellegrinaggio incompiuto Di ragioni a noi sconosciute e incomprese E ci ha letti segretamente da solo Dove non c'è nessuna ragione per capirsi e sentirsi perchè Dove ci sono i deserti di sabbia vicino il nostro mare E accanto al nostro cuore Che sono freddi di notte e caldi di giorno E nessun abbraccio è mai abbastanza oppure è fin troppo Con urla e gemiti dal passato non si può solo che Continuare a camminare verso la meta ignota e scrivere di gesta eroiche Dei loro viaggiatori delle dune Che nessuno veramente sa se sono vere o no Ma che aiutano a sentirsi ancora qualcosa nel petto E a non patire la sete e la fame Continuando fino alla fine o poco più A camminare e scavalcare sabbia Fino alla morte e dove non c'è più speranza alcuna Oltre le oasi in cui leggere sogghignando i nostri messaggi Non c'è più niente se non noi due

 
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from nomadank

A volte mi chiedo se questa mancanza di entusiasmo per la vita e per il futuro sia – normale perderla con l'età (ma diocane* ho 30 anni non 60) – legata alla mia vita personale in questo momento – la conseguenza di vivere in una distopia patriarcale tardocapitalista che avvelena ogni tipo di sentimento positivo con la consapevolezza del dolore e della sofferenza che ci circonda

Beh la terza sicuro, le altre due ditemelo voi. A volte mi chiedo davvero come sia vivere con la pancia metaforicamente piena, provare una gioia pura. Il fatto che nella mia vita abbia provato questo tipo di sensazioni (che ora mi raggiungono se va bene in maniera surrogata, per esempio in quello sprizzo vitale che regala un momento videoludico ispirato) mi fa tornare di nuovo al punto iniziale. Meglio cambiare argomento.

Non so perché ho iniziato a scrivere questo blog. Non so se questo post sarà l'ultimo. Non so se voglio che venga letto. Non so se voglio che venga ignorato. Non ho mai avuto l'abitudine di scrivere, quantomeno non in questa forma. A quale fine? Ma perché tutto deve avere un fine? Perché senza un fine non c'è un senso. Allora qual è il senso? Sfogarmi? Dare forma ai miei pensieri? Condividere in solidarietà frammenti di esistenza? Maybe.

Ecco io avrei già finito le cose da dire per il momento e quindi mi chiedo: devo pubblicare il testo così com'è o aspettare un secondo momento per vedere se nel frattempo mi vengono in mente riflessioni aggiuntive. Da bravo nerd ho scelto la terza cosa segreta, ovvero una metariflessione sulla questione stessa. E ora che ho finito questo trafiletto ho risolto qualcosa? No, però a sto punto lo lascio, tanto è il mio blog e faccio il cazzo che mi pare**.

*** INSERIRE CONCLUSIONE ***

_* mi sono sentito un po' in colpa a usare questa bestemmia, non tanto per l'insulto a qualcosa che non esiste e che nella sua illusione di esistenza ha fatto più danni che altro, ma perché, in quanto vegano antispecista, usare la parola cane come insulto non mi sembra tanto carino. Ma allo stesso tempo, la potenza retorica delle bestemmie che evitano il paragone con gli animali non umani è certamente meno dirompente. Mmm.

_** “faccio il cazzo che mi pare” è una locuzione patriarcale? Se sì lo è per l'uso della parola cazzo oppure per il sottostante messaggio prepotente machista? Food for thoughts.

Ok, questa cosa degli asterischi come occasione di riflessione linguistica sul valore politico delle parole non è male. Forse sta cosa del blog potrebbe funzionare.

 
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from La casa sulla ferrovia

Rosso il cappotto.

rosso il cappello

Per quasi tre settimane il tempo cambiò a Violet Hill. Temporali e vento forte avevano sostituito il sole e il caldo asfissiante. La cosa non mi disturbava minimamente se non fosse che l’ufficio del turismo mi aveva bloccato il lavoro. Giorgia gentilmente mi aveva detto che nell’ufficio dove lavorava lei cercavano per un mese un addetto alle pulizie. Stavo per essere a secco e con tutto quello che facevano le zie per me non avevo il cuore di dire loro che non avevo i soldi per pagarle questo mese quindi accettai senza pensarci. Mi presentò lei stessa al responsabile e dopo un breve colloquio mi disse di presentarmi l’indomani. Giorgia mi guardò soddisfatta come se mi avessero proposto un contratto milionario, la ringraziai. Mi capitava spesso di vederla a lavoro, vestita precisa, puntuale nel consegnare quello che le chiedevano mentre io in divisa pulivo il pavimento. Una volta fermandomi davanti al lavandino del bagno mi guardai e mi vergognai in confronto a quelli che mi circondavano ogni giorno. Scossi la testa e continuai a pulire, avevo bisogno di quel lavoro.

Ricordo ancora quel giorno particolarmente freddo per essere estate, percorrevamo la strada insieme tra il vento e le nuvole minacciose colme di pioggia. Lei leggiadra camminava con una mano su un cappello rosso e l’altra che teneva chiuso il leggero cappotto dello stesso colore. La matita intorno agli occhi era sottile come le sue labbra. Io goffo le stavo affianco vestito con le prime cose prese dall’armadio. Ammisi che era davvero bella, perfetta nel modo di fare che nel vestire e per poco non andai a sbattere contro la palina del pullman. Quando arrivammo all’ingresso dell’ufficio un uomo sulla quarantina salutò Giorgia. -Uao, sei davvero bella oggi. Disse senza neppure guardami. -Grazie, sei molto gentile. Rispose con un sorrisetto. -Un vero peccato che tu sia ancora una stagista, una donna con il tuo portamento porterebbe aria nuova in ufficio. Mi sentii a disagio per lei, la presi per un braccio e l’accompagnai dentro, lo feci anche se non ne comprendevo il motivo. Tutto sotto lo sguardo dell’uomo che nascondeva, neanche troppo, un senso di disprezzo.

Quando uscimmo eravamo tutti e due stanchi. In silenzio ci dirigemmo verso quella che ormai chiamavamo casa immaginando che cosa avemmo messo sotto i denti. Le zie erano davvero delle ottime cuoche. Un rombo di tuono ci scosse dai nostri pensieri, le nuvole si erano fatte scure e dense. Ci guardammo e senza un parola cominciammo a camminare più in fretta possibile. Una goccia, due, tre, centinaia. Presi il mio piccolo ombrello dallo zaino, il vento lo girò al contrario e si ruppe. Imprecammo entrambi. Cominciammo a correre sino ad arrivare ad un piccolo parco giochi, un gazebo di legno fu il nostro rifugio. Ci lasciammo cadere sulla panca di legno scomodo, eravamo zuppi fino nell’anima. -Almeno il vento si è fermato. Sennò saremmo morti assiderati. Dissi con un filo di ironia nella parole. Giorgia si tolse il cappotto, si strizzò i capelli e mi guardò negli occhi, la matita era sparita insieme al trucco intorno alle guance. -Forse nella borsa si sono salvati due piccoli asciugamani, ne vuoi uno? Annuì. Con gesti veloci prese la borsa e frugò all’interno, sino a trovarli, me ne diede uno e cercai di asciugarmi il più possibile. Giorgia se lo passò con delicatezza sul collo pallido, inspirò l’aria. -Porca troia quanto mi piace l’odore della pioggia, mi fa sentire fottutamente me stessa. La guardai con gli occhi sgranati. Mai, nel poco tempo in cui ci conoscevamo, l’avevo sentita esprimersi così. -Stamattina quando mi hai portato via da quell’uomo…Grazie. Bofonchiai qualcosa arrossendo. -Cosa pensi di me Ben? Disse guardandomi negli occhi. -Che sei una donna indipendente, brava nel suo lavoro e anche una gran rompiballe. Dissi imitando dal voce di Alex. Ridemmo insieme. Tirai un sospiro di sollievo, non mi piacevano quelle domande. -Sai, dove lavoro devo essere perfetta, puntuale, bella. Quando stamattina quell’uomo ha detto quella frase, ho capito che se non avessi questo aspetto fisico non avrei neppure un posto da stagista in quel posto. Continuai ad ascoltare in silenzio. -Io non voglio essere scelta per come sono esteriormente, ma per quello che so fare. -Penso che guardino anche quello. Dubito che si fermino alla prima impressione. Lei mi sorrise. -Se una volta mi presentassi senza trucco, senza questi vestiti pensi che mi terrebbero? -A parte che sei bella anche in tuta e senza trucco. -Sei uno sciocco adulatore ma ti ringrazio. Tornò a guardare davanti a lei.
-Ma il mondo non è fatto di persone come te. Per quanto possano sembrare tutti cordiali, aspettano solo il momento in cui commetti un piccolo errore. -Perché continui a stare in quel mondo allora? -Forse perché nel profondo sono come loro. Giudico le persone da come si vestono, da come parlano. Eppure vorrei che gli altri non lo facessero con me. Ho passato metà della mia vita a sentirmi dire che ero bellissima, che dovevo vestirmi in un certo modo sennò non avrei trovato lavoro, un uomo. Odiavo sentirmelo dire e alla fine è quello che faccio tutti i giorni. Sono una bella ipocrita eh? -L’importanza di apparire. Dissi a bassa voce. -Si dice che l’abito non fa il monaco, ma porca troia, lo fa, non c’è nulla da fare. Giorgia si alzò e si appoggiò ad uno dei quattro pali di legno che tenevano in piedi il nostro guscio. -Penso che ci sia sempre una parte di noi che andrà oltre. Guarderà le persone per come sono e non per come si mostrano in pubblico.
Restammo in silenzio e lei si risedette vicino a me, tremava leggermente, presi dallo zaino una felpa che stranamente era asciutta. Gliela passai e mi sorrise con una dolcezza che mi sciolse. -Forse hai ragione, ma io continuerò ad apparire come non sono sino a dimenticarmi come ero. Riflettei un attimo.
-Forse non sei tu, ma questo mondo sbagliato, ci insegna ideali che non sono giusti ma che tutti attuano per sfamare il proprio ego. Dissi. -Il cambiamento deve venire da noi stessi prima che negli altri. Mi rispose tombale. -Facile a dirsi e non a farsi. Ammisi -Il mondo lo costruiamo noi e nessun altro. So che è un discorso ipocrita, io per prima non lo faccio e forse mi sono arresa. -Non è mai troppo tardi per cambiare. Guardai verso la pioggia, le gocce sembravano fendere la realtà, da una parte noi e dall’altra un mondo che non ci apparteneva.

 
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from Kenobit

In questi giorni mi sento su una zattera nella burrasca. È uno di quei momenti in cui i pensieri e i sentimenti sono così tanti che diventano rumore bianco. Assordante, sfiancante. Solo una cosa mi è stata chiara da subito: questo dolore così intimo Instagram non se lo merita. Mi fa vomitare l'idea di regalare il ricordo del mio amico a una piattaforma che lo userebbe come contenuto usa e getta. E visto che è prezioso, non vorrei mai che venisse deformato dai suoi meccanismi.

Però di parlarne ho bisogno, perché è il mio modo di elaborare le cose. Più che di un social network, in questo momento ho bisogno della mia rete sociale, e so che c'è. Non sarò diventato ricco e famoso ma, facendo le cose a modo mio, negli anni ho trovato tante persone che mi vogliono bene e mi fanno sentire meno solo. Le piattaforme sono disumane, noi no. So che ci siete.

C'è una voce che mi dice che devo attraversare questo momento di lutto in maniera consapevole, senza anestetizzarmi. Sento di dover salvare i pensieri di questo momento così difficile, perché forse un giorno troverò un senso che ora mi sfugge. Non ho mai tenuto un diario, ma ho sempre invidiato chi sapeva farlo. Sento che scrivere mi farà bene.

Se vi va, leggetemi. Sappiate solo che tratterò argomenti un po' intensi. Ho paura, ma cominciamo.

Sabato notte una tragedia improvvisa si è portata via il nostro amico Laerte.

È una di quelle notizie surreali, arrivata una domenica mattina, in una giornata di sole perfetta, senza una nuvola. Pensi di aver capito male, ti rifiuti, poi ti disperi, poi ti interroghi, poi ripensi, ricordi, chiami gli amici, piangi, ti chiedi cosa fare. E la cosa più infame è che sotto sotto sai che non cambia un cazzo. Laerte non c'è più.

Nel viaggio in auto verso Siena, con i bagagli fatti di corsa, non ho pensato ad altro. Cerchiamo di fare un sorriso per rassicurare chi ci sta vicino, ma chi vogliamo prendere in giro? La mente gira ossessivamente su quello.

Ripenso alla volta che Laerte mi portò al museo della Tartuca, che mi raccontò con la passione di un contradaiolo e la competenza di uno storico. Mi aprì le porte di un luogo speciale, importantissimo per lui. Chi conosce Siena sa che non è una cosa da poco. Mi invitò persino a una cena della vittoria, perché quell'anno ci sarebbe stato uno spettacolo di projector mapping e noi ci emozionavamo insieme per la tecnologia.

Penso alla nostra usanza di Natale, la tradizionale maratona di Civilization 6: tutti allo stesso tavolo, a bere infinite birre, raccolti in una bolla di sacra improduttività per due giorni. La aspettavo tutto l'anno. Amava i giochi strategici, pure quelli complicatissimi di Paradox. Una volta ci siamo chiusi in casa con Victoria 3, mentre lui si riprendeva dall'operazione al piede, determinati a far scoppiare la rivoluzione anarchica in Italia. Ce l'abbiamo fatta, e poi ci siamo lamentati di come il gameplay non la rappresentasse in maniera adeguata.

Parlavamo di massimi sistemi, a volte. Laerte aveva una cultura sconfinata e una sensibilità quadridimensionale. Era facile raccontargli le cose che mi stanno a cuore, perché le capiva senza bisogno di premesse. Che beffa che un giornale l'abbia ricordato come “un ragazzo solare”! Se da qualche parte c'è ancora, si sta facendo una grassa risata, con quel suo vocione baritonale.

Per me Laerte era un meraviglioso crepuscolo, pieno di colori e sfumature. Tra le pieghe delle sue tristezze si nascondeva una profondità rara, che a volte dev'essere stata un peso da portare, ma era unica e speciale. Sarà quella, credo, a mancarmi di più. Eravamo diversi ma simili. Ho sempre pensato che, dietro la sua facciata di pessimismo cosmico, mi considerasse un idealista squinternato, ma poi verso l'utopia remava anche lui, con tutte le sue forze. Non è un caso che ci sia un'intera città a piangerlo.

La sua salma è stata esposta al museo della Tartuca. Credo che si sarebbe evitato il disturbo, ma gli sarebbe piaciuto. Siena è baciata dal sole, le bandiere gialle e blu sono a mezz'asta, il paggio monturato che gli fa la guardia ha gli occhi rossi e il magone. Una tristezza perfetta.

Entriamo. È il momento in cui tutto diventa vero.

In quella stanza, davanti ai Palii di cui mi aveva raccontato la storia, c'è lui. Immobile.

Cerchiamo di farcene una ragione, ma con scarsi risultati. Abbracciarsi non lo riporterà indietro, ma aiuta. In quella stanza c'è tanto dolore, ma anche tantissimo amore.

Usciamo.

Piangiamo. È surreale. Non ha senso. Sono arrabbiato. Non voglio più stare lì. Ogni volta che l'occhio mi cade su una bandiera a mezz'asta inizio a singhiozzare. Penso che Laerte ci avrebbe preferito con in mano un Campari.

Rapisco D, messo più o meno come me, e andiamo nel baretto dove ci portava lui. Sulla via incontriamo una donna che potrebbe avere l'età di mia madre. Ci sorride, allunga la mano e chi chiede se abbiamo una moneta. Certo che ce l'abbiamo. Ha una dolcezza in viso che mi tocca nel profondo.

Pochi minuti dopo, con il suo deambulatore, arriva anche lei al bar. Chiede due panini piccoli. Io e D ci intromettiamo: “I panini, se possiamo, glieli offriamo noi.”

“Grazie, ma uno almeno lo pago io.”

“No, no, signora, offriamo noi, ché oggi festeggiamo.”

Ci ringrazia, felice.

Ci presentiamo. Lei ha un nome bellissimo, da libro. Si chiama C. L'umanità di questa interazione mi distrugge. Nella mia testa, C diventa il simbolo di un mondo che non vuole bene, pieno di miseria e solitudine. Andrei a rapinare una banca per garantirle panini infiniti. Il suo sorriso mi cura e mi fa male al tempo stesso. Vedo tutto nero. Il mondo mi sembra solo cattivo, un oceano spietato di ingiustizia. Mi arrabbio con chi fa finta che sia tutto a posto. Ripenso a Laerte, che invece davanti a quella sofferenza non era cieco, e infatti ogni tanto soffriva a sua volta.

Di solito sono ottimista e battagliero, ma per un momento mi sembra tutto inutile. Tutto troppo doloroso. Ho solo voglia di piangere. Mi viene da vomitare.

Continuo a pensare a C, e mi fa schifo l'idea di un mondo che non si prende cura di lei. Non ci voglio stare, in questo mondo. Vorrei un mondo in cui chiedere non fa pena perché condividere è la norma. So che è lontano. Normalmente lo vedo all'orizzonte e mi affretto per raggiungerlo, ma in questo momento mi sembra soltanto un miraggio. Un'allucinazione, forse un capriccio, persino. Una voce mi dice che non lo è, che domani sarò di nuovo pronto a lottare, ma in questo momento ho le pile scariche e mi sento come se mi avessero picchiato.

“Che mondo di merda”, diceva sempre Lae.

Ceniamo tuttǝ insieme, perché chi ha voglia di andare a casa a guardare il soffitto? Siamo una strana banda: c'è chi si conosce da una vita, chi da poco, chi solo di vista. Laerte aveva tantǝ amicǝ in compartimenti stagni. Brindiamo, raccontiamo le gesta di Laerte, ridiamo. Ogni tanto qualcuno piange. La vicinanza che si crea è istantanea, perché anche se fino a ieri non ci conoscevamo, in questo momento condividiamo lo stesso terrificante vuoto. Ci abbracciamo.

Che gesto primitivo e affascinante, l'abbraccio. Sono felice di una cosa: abbraccio sempre i miei amici e l'ultima volta che l'ho visto ho abbracciato anche Laerte. Non tenetevi gli abbracci nelle braccia. Sono gesti magici e potenti.

Laerte non ha avuto un funerale, ma un ricordo laico, che è come un funerale, ma con l'ad blocker su Gesù e sui preti. Scelta stilosa, amico mio.

C'erano centinaia di persone, chi con i fazzoletti della Tartuca, chi con le maglie della Robur. E io, vestito da maestro da sci, perché quando ho saputo non mi sono nemmeno fermato per prendere un cappotto. Ci aggrappiamo a qualsiasi scampolo di humour per non piangere troppo e farci forza a vicenda. E a farlo ci aiuta proprio Laerte, il cui spirito è così presente e concreto che riesce a strapparci un sorriso: quando un'elegia di circostanza lo definisce “rispettoso delle istituzioni”, noi che lo conosciamo davvero non possiamo fare a meno di ridere, pur tra i singhiozzi.

Poi il rullante della contrada, la bara, la processione, il carro funebre. Che strazio. Un climax di dolore, il gran finale, prima che la ritualità ci dica che è il momento di ricominciare con la vita di tutti i giorni. Che poi è quel che più ci fa paura.

Quando è mancato mio nonno ho sofferto molto, ma lui aveva fatto tutto quello che doveva fare. Era vecchio ed era il suo momento. Fu un dolore grande, ma con una parvenza di senso. Laerte invece se n'è andato troppo presto. L'enorme perdita non è quel che è già stato, perché non ce lo toglierà mai nessuno, ma tutto ciò che non sarà. Mi sento derubato di risate, spunti, idee. Il vuoto che lascia non è retorico.

Ed è qui che inizio a parlarti in seconda persona, Lae. È un cliché, lo so, ma me ne fotto. È terapeutico.

Sono arrabbiato, non con te, ma con il mondo. Mi sento le fiamme dentro, perché non è giusto. E se un giorno ci sei e quello dopo no, così, senza preavviso e senza appello, allora che senso ha aspettare? Che senso ha moderarsi? Tanto vale alimentare quelle fiamme e bruciare più forte che possiamo. Che cosa abbiamo da perdere? Alla peggio illumineremo un po' tutto questo buio.

Al tuo funerale c'erano tantissimǝ ragazzinǝ in lacrime. Non so se fossero della pallavolo, della scuola o della contrada, ma anche loro avevano la faccia di chi ha perso un punto di riferimento. Hai seminato tanto, per essere uno che si definiva pessimista. Sono fierissimo di te.

È inevitabile, in questi momenti, pensare alla vita dopo la morte. Per me esiste in un modo molto concreto, senza bisogno di scomodare la religione. Ti racconto come, perché il fatto che tu sia morto non vuol dire che ti sia messo al riparo dai miei pipponi da fricchettone idealista.

Penso al nonno tutti i giorni. Ogni tanto, quando mi succede qualcosa di bello o quando sono indeciso su cosa fare, il mio primo pensiero è “telefono al nonno”. Le sinapsi scattano più velocemente del ricordo.

Quell'assenza è una potentissima forma di presenza. Il nonno Tino non c'è più fisicamente, ma nel percepire il vuoto che ha lasciato ritrovo la sua forma. E ti giuro che c'è, perché quando non so cosa fare, le sue parole le sento. Pensa, sono così vere che a volte gli chiedo consiglio, ma so che lui era troppo prudente (“Sono il signor Prudenzio,” mi diceva) e allora decido di fare di testa mia.

Tenetevi ChatGPT, io non ho bisogno dell'IA per parlare con lui. In un modo strano ma concreto, è con me.

Sarà così anche con te, Laerte. Semplicemente, invece che essere la presenza saggia e rassicurante del nonno, sarai un compagno di viaggio che, come me, sta ancora cercando di capirci qualcosa. Il tuo input sarà prezioso. E come lo sarà per me, lo sarà per tuttǝ quellǝ ragazzinǝ e per le tante vite che hai toccato.

Per questo, anche se sono in lacrime e non ne posso più, voglio tenermi stretto questo dolore così straziante.

Questo dolore è un dono, perché è la cosa più viva e concreta che ci lasci. In questo momento sei il vuoto che si dimena nei nostri pensieri, ma col tempo la ferita guarirà e potremo accarezzare la cicatrice. A volte ci farai piangere, a volte ci farai ridere, ma nel farlo ci sarai. Ci porteremo dietro i pezzi di te che ci sono rimasti addosso. E sappilo, ho tutta l'intenzione di fare onore a quello che hai lasciato a me.

Penso al tuo lavoro sociale e antropologico sulle contrade, a quando ti dicevo che negli angoli di Siena che mi mostravi trovavo il mutuo aiuto che vorrei vedere nel mondo. Sarà una bussola, sempre.

Per questo, mi sembrerebbe molto triste ricordarti con un cero. Non ti sarebbe piaciuto.

Ti celebreremo accendendo fiammiferi, tutte le volte che vorremo illuminare questo mondo, o dargli fuoco per distruggerlo e ricostruirlo, ogni volta che ci sembrerà di merda come dicevi tu.

Abbiamo già delle idee, perché la tua scomparsa è il primo fiammifero e ha acceso un impellente bisogno di creare, insieme, per provare a colmare il vuoto che lasci. Le cose che abbiamo in mente ti piaceranno, vedrai.

Forse mi diresti che sono un sognatore che vede simboli ovunque. E sì, magari ci sto anche leggendo troppo, ma ho un disperato bisogno di significato e mi aggrappo a tutte le briciole che trovo. Ripenso alla signora C, all'oceano di sofferenza, a quanto ci mancherai, e lottare mi sembra l'unica cosa sensata.

Cercherò di fare qualcosa di buono. Ti porterò con me.

Ciao Laerte.

 
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from Kenobit

In un recente post ho parlato dei motivi per cui ho deciso di continuare a usare Instagram per comunicare i miei progetti. È una scelta sofferta, perché è un luogo che mi intristisce e mi fa sentire un prodotto, ma sono convinto che in questo momento sia quella giusta per i miei scopi.

Affinché lo sia realmente, però, è cruciale che ridefinisca il rapporto che ho con il social. Cosa gli do? Quanto e quando? E soprattutto, cosa ricevo in cambio?

Se ci poniamo queste domande e osserviamo freddamente le risposte, senza lasciarci intortare dalle bugie che le condiscono, emerge un chiaro rapporto di potere tra noi e la piattaforma. Quando diciamo che “Instagram ci serve per lavoro”, stiamo già usando la parola chiave giusta: LAVORO. Ed è proprio il concetto di lavoro che dobbiamo mettere a fuoco, per riprendere le redini di ciò che facciamo e non diventare vittime di uno sfacciato furto di tempo.

Questo post contiene le strategie di guerriglia social che ho elaborato in questo periodo. Posso ottenere ciò che voglio dalla piattaforma senza cadere nella sua trappola? Scopriamolo insieme.

Spesso si sente dire che Instagram (o qualsiasi altro social) ci “serve per lavoro”, ma è la prima affermazione che dobbiamo smontare e analizzare, per evadere dalla gabbia.

INSTAGRAM È LAVORO Che lo usiate per promuovere un progetto, per condividere le foto delle vacanze o anche solo per guardare reel di gattini e ricette vegane in coda alle poste, Instagram è lavoro. Lavoro non pagato, per essere precisi.

Il business di Meta è vendere spazi pubblicitari e dati personali. Guardando un contenuto, stiamo producendo valore per Meta, diventando un target vendibile ai suoi inserzionisti. Mettendo un like, stiamo creando dati che vanno a definire profili di gusto e consumo. E infine, creando contenuti, allestiamo la vetrina, garantendo la continuità di questa linea produttiva. Come si dice quando ci rechiamo in un luogo specifico a svolgere attività che creano ricchezza per un ente terzo?

A prescindere dal fatto che ci serva effettivamente “per lavoro”, Instagram è lavoro, in misura variabile, per tutte le persone che abitano la piattaforma. In quest'ottica, cito un passaggio da Cronofagia di Davide Mazzocco:

Lavoriamo per Mark Zuckerberg con la stessa passione che riserviamo ai nostri hobby, ma con una continuità assolutamente inedita nella storia dell’umanità. Alla mattina appena svegli, nel corso della giornata, nelle pause fra un lavoro e l’altro, sulla metropolitana e sul treno che ci riportano a casa, sul divano quando ci rilassiamo, in cucina mentre aspettiamo che l’acqua bolla, nel letto prima di spegnere la luce controlliamo se abbiamo ricevuto nuove notifiche, se qualcuno ha apprezzato un nostro status o se qualcuno ci ha contattati privatamente. Siamo i nodi di un reticolo di due miliardi e 270 milioni di persone, mittenti e destinatari di messaggi pubblici e privati che alimentano un gigantesco Leviatano che si nutre di dati.

Una volta riconosciuta questa dinamica, diventa evidente anche che Instagram, inteso proprio come app sui nostri smartphone, è un luogo di lavoro. E quando lo apriamo per guardare una notifica alle 23:30, è come se stessimo andando in ufficio, o rispondessimo a una mail inviata fuori orario da quel capo che non rispetta i confini delle nostre vite private.

Ci portiamo in tasca un luogo di lavoro che si insinua nei tempi morti delle nostre giornate. Se vogliamo ridefinire il nostro rapporto con Instagram, dobbiamo cominciare proprio dall'app.

INSTAGRAM SU DESKTOP Realizzata la portata della fregatura, la mia prima idea è stata quella di rimuovere l'app dallo smartphone e usare Instagram solo da computer. Facile, no? Purtroppo no.

L'esperienza desktop di Instagram non è completa. Permette di pubblicare post, ma non storie. Supporta i messaggi privati, ma per vedere quelli che contengono alcuni tipi di foto è necessario aprire l'app. Inoltre, semplicemente, funziona male. Le notifiche desktop perdono pezzi e leggere tutti i commenti è impossibile.

Vogliamo davvero credere che Meta, un'azienda con una capitalizzazione di mercato che ha recentemente superato il trilione di dollari, non abbia il budget per rifinire l'esperienza web del suo prodotto di punta? Manca la volontà, perché queste limitazioni sono funzionali al business. Instagram non sarebbe redditizio, senza il nostro lavoro a titolo gratuito.

Il luogo di lavoro è progettato per seguirci, per ottimizzare il nostro output produttivo. A Instagram non interessa se sei una scrittrice, uno streamer, una fumettista o un cuoco.

Ciò che fai è secondario.

Devi usare l'app.

Devi averla in tasca, per guardare un reel in coda alla cassa del supermercato, per controllare se ci sono nuovi commenti mentre aspetti il cappuccino al bar, per elemosinare una dose di dopamina quando la conversazione a tavola diventa noiosa. Questo è il business di Meta e questa è la natura del lavoro che svolgiamo per lui.

Quando l'ho realizzato, mi sono sentito vittima di un ricatto. Vuoi comunicare in maniera efficace i tuoi progetti, sfruttando le potenzialità promesse dalla piattaforma? Allora devi lasciare entrare il cavallo di Troia. L'app mobile è un luogo di lavoro travestito da parco giochi, una sanguisuga che ci ruba la nostra risorsa più preziosa, il tempo.

Riprenderci il nostro tempo, a prescindere dal potere liberatorio del farlo, è anche il modo più concreto per raggiungere i nostri obiettivi. Quanti dischi avrei scritto, nel tempo che ho investito scrollando il feed come uno zombie? Che idee mi sarebbero venute?

TATTICHE DI GUERRIGLIA Alla luce di tutte queste considerazioni, ecco le tattiche che ho ideato e messo in pratica, ispirandomi al concetto di guerriglia.

La disparità di potere tra noi e la piattaforma è immensa. Non possiamo competere con le sue risorse e siamo costrettǝ a combattere nel suo territorio, dove ha il pieno controllo delle regole di ingaggio. Non vinceremo mai una guerra di logoramento. Non c'è possibilità di riforma perché non è un dialogo alla pari.

L'unica possibilità è concentrare i nostri sforzi in azioni mirate, attacchi mordi e fuggi pianificati per ottenere un risultato, per poi sparire come ninja nel fumo.

Instagram è un luogo di lavoro, quindi trattiamolo come tale. E non so voi, ma io voglio lavorare il meno possibile e dedicare la mia vita alle cose che mi rendono felice. Cominciamo.

Ho disinstallato Instagram dal mio telefono e l'ho installato su un vecchio smartphone scassato che ho riesumato. Se da un lato è vero che l'app è fondamentale per curare a dovere la comunicazione, lo è anche che non siamo obbligati a portarcela sempre dietro. Ho un vecchio smartphone con lo schermo crepato, senza SIM, attaccato alla rete wifi di casa mia. Se uso Instagram, lo uso lì. Ha tutto quello che serve per farne un uso efficace in termini di comunicazione. Non solo mi tutela dai furti di tempo, ma mi permette di collocare il lavoro che svolgo entro un preciso confine spaziotemporale. Il lavoro che faccio su Instagram inizia e finisce, e lo ottimizzo per sbrigarmi il prima possibile. Prendere in mano quel vecchio cellulare è come indossare la giacca e andare in ufficio. Quando lo metto giù, sono libero. Non avere Instagram mentre sono in giro, nel mondo reale, è bellissimo.

Ho identificato le cose da fare per gestire in maniera efficiente il mio account, per poi quantificare le ore necessarie per farlo. Devo pubblicare un tot di storie, fare circa un post a settimana, rispondere ai commenti, commentare sotto i post di account affini al mio e rispondere ai messaggi privati. A tutto questo, chiaramente, si aggiunge il tempo necessario per creare i contenuti che pubblico, dall'ideazione alla realizzazione su Photoshop e affini. Nel mio caso, si parla di circa quattro ore a settimana.

Concentro le ore di lavoro in momenti dedicati e circoscritti. Prendo il vecchio cellulare, “vado in ufficio”, mi concentro e lavoro per un'ora, solitamente prima di pranzo. Posto, commento, interagisco. Terminata l'ora, la mia giornata lavorativa su Instagram si è conclusa. Non esiste messaggio o commento così urgente da non poter attendere dodici ore. Rimetto lo smartphone nel cassetto e ne riparliamo domani. Quando “esco dall'ufficio”, posso effettivamente dedicarmi alle cose che voglio fare. Quattro sessioni infrasettimanali da un'ora l'una sono sufficienti.

A Instagram non regalo niente. Il content, per definizione, è effimero. La pubblicità e il mercato dell'attenzione esigono sempre carne fresca, da scagliare verso l'obsolescenza algoritmica nell'arco di 48 ore. Ha senso lavorare tanto a un post, sapendo che tra un mese sarà storia antica, invisibile ai più? E soprattutto, la voracità della piattaforma non finisce per plasmare ciò che facciamo, limitandone la portata? Pianificare e concentrare i miei sforzi mi obbliga a ragionare in maniera lucida su questo tema. Le mie storie contengono pensieri fatti altrove e i miei post sono concepiti per essere utilizzati anche in altri contesti (il Fediverso, le zine, i post di questo blog, etc.). Non faccio “content”, faccio cose che trovo significative a prescindere, per poi prestarle alla piattaforma. Instagram è uno sprecone. Io invece tengo alle cose che faccio e non le affido in toto a chi le butterà nell'umido.

RISULTATI La promessa di questo anno di assalto alle piattaforme è documentare i risultati, oltre alle pratiche. Quindi, alla fine di questo primo mese, possiamo tirare le prime somme.

Partiamo da un risultato che non si misura con i numeri: la felicità. Non avere Instagram perennemente in tasca mi ha fatto stare istantaneamente meglio. Finché non te ne liberi, non capisci realmente quanto potere avesse sulla tua vita, specie facendo il “content creator”. Giuro, funziona.

A livello numerico, il mio account ha guadagnato più di 500 follower (numero irrilevante per un grande account, ma significativo per uno posizionato come il mio) e ha visto un incremento del 34% degli account che hanno interagito. Molte di queste interazioni si sono rivelate significative e hanno portato pubblico ed energie verso i progetti che voglio promuovere. Incredibile: lavorando di meno, ma in modo più mirato, ho ottenuto di più.

A livello creativo, non c'è paragone. Dall'inizio dell'anno, ho pubblicato quattro lunghi post di analisi su questo blog, un disco, 4 video sulla mia Videoteca (che saranno 6 ora della fine del mese), ho curato altrettante trasmissioni dal vivo, ho prodotto asset grafici per l'identità delle piattaforme di Tele Kenobit (Owncast, Peertube, Castopod), ho contribuito al lancio di Stereo (dove ho caricato in prima persona 24 album e 3 podcast), ho portato avanti con Nick il progetto dello Scanlendario e delle sue stampe, ho ristampato le vecchie maglie Kenobit e ho stampato quelle nuove, con la grafica di Ratematica. Nel mentre, ho portato avanti “Il manuale delle giovani marmottǝ”, la zine che racconta tutto il progetto, che dovrei pubblicare a metà febbraio. Ah, ho anche lavorato con il collettivo Warpo per le date di Zona Warpa 2024 (sarà bellissimo!), portato avanti un progetto con i Cybercirujas in Argentina e organizzato un concerto.

Odio la parola produttivo, quindi non la userò. È stato un mese fertile, nel quale ho fatto tante cose di cui vado fiero. A parità di sforzi, ho raggiunto più persone e mi sono divertito di più.

La guerriglia social funziona. Se anche Instagram è un terreno con il quale dobbiamo misurarci per raggiungere i nostri obiettivi, nulla ci obbliga a sottometterci alle sue dinamiche predatorie. La libertà è una scelta vincente.

 
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from La cantina dell'appartamento al terzo piano (senza ascensore)

ultimo aggiornamento: 13 maggio 2024

Da qualche tempo ho smesso – in modo più o meno drastico – di utilizzare i principali social network. Anche tralasciando la mia “deriva fediversistica” sono arrivato al punto in cui i contenuti che fruivo quotidianamente non erano di fatto qualcosa di scelto da me. Il feed di Twitter, i Reel di Instagram, gli Short di Youtube, i video di TikTok... tutte cose che puntano a massimizzare il tuo tempo su una determinata piattaforma dandoti in pasto una vasta quantità di contenuti che ti creano dipendenza [1] e ti spingono al Doomscrolling.

Già, ma come ne esci se tra tutti quei contenuti ce ne sono effettivamente di interessanti che vuoi continuare a seguire?

 * RSS Feed has entered the chat * 

Da dove nasce questo articolo?

“Quando ero giovane io” i Feed RSS erano qualcosa di meraviglioso e molto in voga: una sorta di giornale “personale” in cui ti venivano recapitate le notizie dai vari siti/blog a cui eri iscritto. Capolavoro. Piano piano però “il nuovo internet” si è reso conto che questa tecnologia così comoda per l'utente era in realtà un incredibile ostacolo a quello che chiamo “capitalismo del web”:

  • non posso mostrare all'utente quel che voglio io (o meglio, fino a un certo punto)
  • non ho controllo sul poter trattenere (e per quanto) l'utente sulla mia piattaforma
  • è più difficile creare un profilo personalizzato dell'utente

La chiusura di Google Reader (piattaforma di punta per la gestione dei Feed RSS) risale al 2013. Firefox ha rimosso la funzionalità dei “Segnalibri Live” (di fatto Feed RSS nei segnalibri del browser) nel 2018.

Facile dunque comprendere perché pensare di usare oggi una tecnologia simile per fruire dell'internet attuale non sia cosa davvero praticabile... o forse sì?

Per nostra (e intendo di qualunque persona utilizzi un computer) fortuna ci sono creature meravigliose abbastanza testarde da non assecondare qualunque cosa ci venga dato in pasto dallo Zuckerberg di turno. Basta quindi cercare un po' in giro per trovare Frontend alternativi ai più disparati servizi (Instagram, Twitter, TikTok, Youtube, Twitch, Reddit, Spotify... davvero, c'è di tutto) che tra i punti di forza hanno anche il nostro amatissimo Feed RSS.

Istruzioni per l'uso

Partiamo al volo con due punti da tenere in considerazione:

  • tutti i servizi che menzionerò da qui in avanti sono Free e Open Source: potete tranquillamente tirare in piedi un'istanza per ognuno di essi senza grosse spese (basta un piccolo serverino) qualora vogliate, ma per rendere fruibile l'articolo – e le istruzioni – a chiunque rimanderò a istanze pubbliche già pronte all'uso.
  • tutti questi Frontend alternativi possono durare potenzialmente due giorni e poi rompersi. Di fatto sono metodi intelligenti per andare a pescare sulle piattaforme al posto vostro, ma nulla offre la garanzia che domani Instagram (o chi per esso) non cambi radicalmente impedendo di leggere i suoi contenuti in questo modo.

Okay, la base: dove vedo i Feed RSS? Utilizzo Telegram quotidianamente e l'idea di avere un messaggio per ogni elemento nuovo nei miei Feed RSS mi sembrava un'ottima idea. Dando un'occhiata in giro ho trovato questo Bot che fa praticamente tutto ciò che mi serve (e anche di più). Basta Docker-Compose per tirare in piedi al volo una propria istanza oppure molto più semplicemente si può usare la versione pubblica. I comandi di base sono banalissimi:

Per iscriverti a un Feed:

/sub URL

Per disiscriverti da un Feed:

/unsub URL

Per vedere le tue iscrizioni:

/list

Mi iscrivo a un Feed e ogni volta che questo ha un nuovo elemento mi arriva dritto dritto nella chat di Telegram. Capolavoro. Ora il problema principale: da dove pesco gli URL di questi Feed RSS?

Servizi, Frontend e Feed RSS

Non mi perdo oltre in chiacchiere: ecco un elenco dei vari servizi (o almeno quelli che mi interessavano) e di come pescare il Feed RSS che ci interessa.

Servizio

  • Frontend alternativo
  • Istanza pubblica funzionante al momento della stesura dell'articolo
  • Esempio di URL

Twitter

Instagram

TikTok

  • Proxitok è uno dei frontend principali che ho trovato, ma sembra avere saltuariamente qualche problema. Ho ripiegato dunque su RSS-Bridge, potete trovare la mia istanza qui: RSS-Bridge@ragnate.la

Twitch

Youtube

Considerazioni finali

Sto usando questa configurazione da qualche giorno con particolare soddisfazione: mi evito di restare inguaiato per svariati minuti a guardare cose che non mi interessano e riesco comunque a leggere e godere dei contenuti interessanti che altrimenti non potrei fruire. Mi permetto però di chiudere il tutto con una considerazione: tutti 'sti giri che ho dovuto (/voluto) fare per arrivare a questo risultato non sono in alcun modo necessari non appena togli il “capitalismo del web” dall'equazione.

  • Vuoi il Feed RSS di questo blog? Aggiungi /feed alla fine dell'url:

    https://log.livellosegreto.it/edmael/feed/
    
  • Vuoi il Feed RSS di un'utenza Mastodon? Aggiungi .rss alla fine dell'url:

    https://livellosegreto.it/@ed.rss
    

Giusto per dirne due e togliermi 'sto sassolino dalla scarpa.

🕸️🕸️🕸️

  1. è una mia idea basata su esperienza personale, non mi sono mai documentato sull'argomento
 
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from Parole

Ho scritto questa cosa un po’ di getto. Resto sempre dell’idea che solo il dibattito possa portare a crescere: Siamo appena sotto zero, pare poca umidità. Questa notte ho sognato messaggi cifrati. Radio Londra senza gli Stuka della Luftwaffe, per fortuna. A casa, da piccolo sentivo le storie di un caccia tedesco che passava più o meno quotidianamente e sparava qua e là. I miei lo detestavano a distanza di anni. I miei erano “liberali” mica democristiani, ma mai e poi mai vicino alle sinistre. Tuttavia il loro primo odio era contro i fascisti, avrebbero vissuto male oggi.
Ho bisogno di novità nel Fediverso leggo non pochi piagnistei, ecco questo potrebbe essere una cifra a misura della qualità della comunicazione. C’è poca proposta costruttiva. Riprendo un discorso: se non si incita al cambiamento, in qualsiasi direzione se si vuole, a cosa serve uno spazio di comunicazione libero? Per parlarsi addosso? Per piangersi addosso. Certo non riguarda la totalità dei post ma purtroppo non sono pochi quelli che assecondano un vittimismo individualista.
La diffusione del mezzo giocherebbe a favore della crescita costruttiva. Vedremo,
Buon pistolotto a tuttə.

 
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from Ro scattered words

I battiti risuonano nelle orecchie, per poi perdersi nella gola.

I'm not in love So don't forget it...

I respiri lenti.

Ooh, you'll wait a long time for me...

Non ricordava come tutto ciò fosse iniziato.

I loro corpi si sfioravano come in un caldo e lento valzer, di cui lei non voleva più staccarsi.

So don't you ask me To give it back

I 10cc suonavano.

Era certa che se avesse solo respirato più forte...avrebbe rovinato tutto.

In silenzio respirava ogni suo movimento, ogni suo suono.

Fu un attimo, il respiro caldo di lui sfiorò il lobo del suo orecchio. Odiava quella sensazione, non riusciva più a trattenere il suono che l'avrebbe tradita.

Un brivido iniziò a percorrerle la schiena, al punto che ogni nervo della sua colonna sembrava risuonare come le corde di un’arpa.

Le sue dita sottili la percorsero con fine timore, come se percepisse anche egli quel tremore.

Don't get me wrong, Don't think you've got it made

La sua voce uscì tremante dalle sue labbra, non diceva il suo nome. Erano solo parole sconnesse, un miscuglio misto di scuse e mugugni timorosi.

Don't make a fuss Don't tell your friends about the two of us I'm not in love, no no

Quella voce riusciva a stordirla al punto che quel poco di coscienza rimasta iniziò a svanire come un soffione scomposto dal vento.

Respirò a fondo la sua pelle, mentre le dita affondavano lente tra i capelli di lui.

Erano morbidi, come li aveva sempre immaginati.

Senza interruzioni, che espressione magnifica, quante cose vengono meglio senza interruzioni…

Staccò le cuffie dalle orecchie e si alzò.

I primi raggi dell'alba illuminavano debolmente la stanza.

L'aria era gelida, ma il sudore sotto la maglietta continuava a scivolare lento.

Quella voce divenne un ricordo e quel tocco tornò ad essere solo un sogno.

Questo racconto partecipa alla challenge di dicembre del Circolo di Scrittura Creativa ̴̴ Raynor’s Hall

Circolo di Scrittura Creativa Raynor’s Hall.

 
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from Parole

Altri mondi

Non ho vissuto una piccola sconfitta con Fedora in questo momento in cui sto cercando di conoscere il mondo Linux. Oggi riproverò con calma a leggere. Mi dispiace perché ho intuito di esserci arrivato vicino. Intanto questo mio smanettare mi permette di: – vedere altre offerte del mondo Linux – iniziare a ricordare alcuni comandi – perdere le ansie iniziali – sperimentare nuovi ambienti Ma soprattutto: – ritrovare una passione che credevo di aver perso del tutto – studiare, cosa difficile – mettermi davanti a nuove scoperte – sopire, in parte, quel “male di vivere” di cui soffrono alcune persone quando il corpo si è stancato ma la testa sembra funzionare ancora. Tutto questo dietro ad un passatempo? Certo dietro ogni piccolezza può celarsi quel passaggio che ti permette un po’ di tregua nella severità delle cose quotidiane.

 
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