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from Parole

1/3/24

Scopro di giorno in giorno un Mastodon sempre più intimista, anche malinconico se non addirittura triste. C’è un denominatore comune: una gran voglia di raccontarsi, di “dire” il cuore. Operazione difficile ma bella e sana. Navighiamo in una melassa di ipocrisie, di piccole e grandi falsità. Scatta la rivalsa del mostrarsi, dentro l’anima, un po’ come certi selfie quando permettono di capire dentro.

Qui ci sono nick che nascondono sentimenti alti.

 
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from Lelio

Ultimamente mi sto rendendo conto di quanto io abbia bisogno di sfogarmi fisicamente per riequilibrare le mie energie. Quindi mi capita di arrampicarmi in cima al mio armadio.

Forse arrampicarmi è una parola grossa, visto che ho un letto a soppalco e mi basta scavalcare le sbarre e sgusciare sotto il soffitto per arrivare lassù. Però sopra il mio armadio c'è una grossa trapunta fatta a maglia da mia nonna su cui si sta molto comodi. O almeno, io sto molto comodo.

Ultimamente mi sto rendendo conto che mi piace stare in alto, accoccolato tra coperte calde e cose morbide, e osservare da lì il trapezio che è la mia casetta. Poi mi stiracchio e scendo un po', vago per casa, mangio qualcosa, ballicchio. Magari mi appendo al bordo del letto e mi dondolo un po', lasciando allungare la schiena.

E poi torno su, scrivo musica, faccio ricerche, gioco a Disco Elysium o a qualche altra cosa, mi spremo le meningi. A volte sto e basta e viaggio sull'onda dei pensieri seguendo le melodie di qualche canzone.

Ultimamente mi sto rendendo conto che sto dando sfogo con più libertà agli impulsi che sento provenire dal mio corpo. Magari sembro più un gatto che un essere umano, ma mi diverto di più.

 
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from Ro scattered words

Con alle spalle già un’opera di successo, nel campo internazionale (La Reina Orquídea), Borja debutta in Italia con Le Black Holes, uno dei suoi lavori più complessi, ora edito da Oscar ink, nuova collana Mondadori dedicata ai fumetti e alle graphic novel.

Le sue opere rivisitano gli immaginari fiabeschi dell’infanzia, mischiandoli con la realtà del presente, e così creando un vortice nostalgico dal fascino fiabesco.

Alla ricerca dei ricordi dell’infanzia e delle sue sensazioni, Borja ci trasporta in un mondo fantastico, dove il presente (il 2016) e il passato si incontrano in una notte stellata, dove tutto è possibile.

I personaggi da lui disegnati sono piccole sagome che si muovono in spazi infiniti, che li rendono semplici pedine di una storia a loro sconosciuta.

I personaggi di Borja sono volutamente senza volto, poiché il lettore non si deve infatuare delle loro forme, ma andare oltre, vedendo ciò che essi rappresentano realmente, uno stato d’animo.

L’autore lascia quindi che ogni lettore riempia quei volti, legandosi con empatia ad essi, attraverso il proprio intimo immaginario.

Il tutto risulta essere un racconto fatto di nostalgia, tempi lontani e fiabeschi, dove un gruppo di ragazze del 2016, che vogliono creare una band Punk, si incontrano e scontrano con personaggi del 19°secolo, che sono alla ricerca di avventure straordinarie, per scappare dalla monotonia del proprio tempo.

Cosmic radiation

 
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from nomadank

SPOILER WARNING: andate avanti a leggere solo se avete visto entrambi i film

Che cos'hanno in comune Past Lives e Perfect Days? Oltre al fatto che sono entrambi candidati agli oscar – motivo per cui sono andato a vederli al cinema, back to back – sono connessi da un filo invisibile che si rivela solo nel finale: entrambi si concludono infatti con un pianto da parte del/la protagonista. Il significato di questi pianti è molto diverso, ma in tutti e due i casi è questo il momento in cui si nasconde la chiave di lettura dell'intero film.

Past Lives è un film che racconta l'intesa che si può creare tra due persone, destinate allo stesso tempo a stare insieme e a non incrociarsi mai. È un film delicato e intimo, che esplode emotivamente nel finale, in cui il pianto struggente e liberatorio di Nora tra le braccia del marito contiene un mondo di significati. L'ultima volta che Nora aveva pianto era bambina e al suo fianco c'era Hae Sung, l'unico con cui si fosse mai sentita veramente se stessa. Il pianto segna allo stesso tempo la fine di una relazione che non c'è mai stata e l'inizio di una nuova fase in quella tra Nora e il marito. Ci comunica che lei ora è pronta a darsi pienamente, senza nascondersi. La bellezza e l'ironia sta proprio nel fatto che il matrimonio di Nora, al posto che sfaldarsi, ne uscirà rafforzato, anche grazie all'atteggiamento del marito, che non l'ha ostacolata in questa esperienza, incoraggiandola invece a viverla fino in fondo.

Anche la trama di Perfect Days è caratterizzato proprio dall'assenza delle lacrime, in quanto ogni giornata si apre con un sorriso, che però nel corso del film evolve di significato: se all'inizio sembra essere il simbolo della serenità che il protagonista, Hirayama, ha trovato nella sua (nuova) vita, ora della fine diventa quasi un gesto forzato, un'autoimposizione, un rituale per ricreare artificialmente una felicità che si sta ormai sgretolando tra le sue mani. A differenza di Past Lives però il pianto finale, se così si può chiamare, è il contrario di liberatorio e mette in scena tutto il conflitto interiore che Hirayama sta vivendo: giornate perfette non significano per forza una vita perfetta. Questa realizzazione arriva dopo un susseguirsi climatico di coinvolgimenti emotivi “forzati” che lo costringono a confrontarsi con il rimosso della sua vita: prima il collega e la sua amica, poi la nipote e la sorella e infine la donna di cui non ha potuto fare a meno di innamorarsi riportano alla luce un vortice di sentimenti che il protagonista aveva accuratamente represso. Ed è proprio la richiesta dell'ex morente di lei che lo pone di fronte a una decisione: intraprendere una relazione con lei significherebbe cambiare totalmente vita, rimettere in gioco il suo cuore. Questi incontri gli ricordando in un crescendo di intensità il prezzo della sua solitudine, a cosa sta rinunciando per poter vivere i suoi “giorni perfetti”.

 
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from nomadank

Ok parliamo di Sora, come spunto per parlare dell'IA, ma anche della tecnologia in generale. Quali sono le criticità di questa tecnologia? – si basa sullo sfruttamento di opere già esistenti usate senza il permesso di chi le ha create – è causa di una potenziale perdita di posti di lavoro su vasta scala – può essere usata per il revenge porn o in generale nella generazione di pornografia senza consenso – può essere usata dallo Stato come strumento di controllo per legittimare l'oppressione e la discriminazione

Questi però non sono problemi intrinseci a questa tecnologia, ma riguardano la società in cui viviamo: – dove l'unico modo di sopravvivere facendo arte è essere remunerati con il sistema del copyright che è esso stesso uno dei più grandi freni al progresso e all'arte – dove non avere un lavoro significa non avere diritto di esistere – dove la mentalità patriarcale pervade ogni aspetto della cultura – dove siamo sudditi di un sistema oppressivo e discriminatorio che limita la libertà personale

La soluzione a tutto questo non è frenare la diffusione dell'intelligenza artificiale (che sarebbe tra l'altro impossibile), ma rivoluzionare la società. Anzi, lo sviluppo di tecnologie che ci mettono di fronte a problemi etici e sociali di questo tipo devono invece essere uno stimolo a rivedere profondamente il mo(n)do in cui viviamo.

Detto questo, ovvio che OpenAI è merda capitalista, ma il disfattismo che si propaga con ogni innovazione tecnologica è più un segno dell'incantesimo realista capitalista che ci intrappola, piuttosto che dell'effettivo valore potenziale di una data tecnologia.

Immaginate Sora in una società liberata. Pensate all'ampliamento esponenziale nel numero di persone che avranno accesso al videomaking. Al tempo risparmiato per creare contenuti necessari per un certo fine, ma privi di ogni spinta creativa. Ma anche, al contrario, alla possibilità di dare vita a opere immaginifiche che invece richiederebbero un enorme utilizzo di risorse per essere create in maniera “tradizionale”. Potrebbe essere la nascita di un neo-surrealismo di massa.

Questo esercizio di immaginazione è fondamentale come strumento di lotta contro la distopia tardocapitalista: vuol dire iniziare a dare forma al futuro che davvero desideriamo, il primo passo per la sua realizzazione.

È liberando noi stessi che libereremo la tecnologia, e non viceversa.

 
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from Ro scattered words

L’alba era appena iniziata e ormai l’odore del sangue si mischiava a quello della rugiada.

I primi raggi del sole tingevano timidamente quella buia distesa, della cui forma –inizialmente perfetta– ormai non vi era più memoria né vita.

I corpi dei soldati giacevano sparsi. Il ferro delle armi e dei cannoni si fondeva in un tutt’uno con le loro membra, creando un’onda straziante.

Quella calma sembrava essere innaturale, quasi poetica, dopo la furia insorta in quel luogo.

Lenti e quasi timidi, nel disturbare quei corpi, i corvi banchettavano.

In mezzo a quella folla inerme vi era ancora qualche cavallo ferito, non ancora pronto a morire, e neanche a rialzarsi, come se un solo movimento potesse risvegliare quella battaglia ormai perduta.

Le piccole viole, sparse nel campo, si erano svegliate, accarezzate dai raggi del nuovo giorno e lentamente si facevano strada tra quei corpi dilaniati.

Sembrava come se, durante la battaglia, si fossero nascoste sottoterra, per poi sbocciare solo alla luce del sole; erano sopravvissute alla notte di gelo grazie a quel rosso e caldo abbraccio che lentamente aveva smesso di scorrere poche ore dopo che il sole del giorno prima era calato, ma che la vicinanza dei corpi era riuscita a mantenere ancora tiepido.

Solo un respiro caldo sovrastava quella vista.

Un uomo, ormai privo di vana gloria, aveva vegliato tutta la notte i suoi caduti, in attesa che il nuovo giorno potesse baciare un’ultima volta quei corpi, benedicendoli con ultimo calore prima che la loro memoria si perdesse per sempre nel tempo.

Ognuno di loro era stato amante, marito, padre; ma ora non era altro che un brandello di una vita spezzata, abbandonato in quella valle di sangue, sudore e lacrime.

Solo il suo respiro lo distingueva dai morti, immobile, con gli occhi socchiusi, era seduto sulla terra smossa dagli zoccoli di mille cavalli.

Le sue ciglia erano bagnate di rugiada, come la pelle del suo viso. Nessuno avrebbe mai creduto che quelle potessero essere lacrime.

Nessun dolore traspariva da quel volto, solo rabbia per la sconfitta, ma ormai neanche il più fulmineo e astuto dei pensieri avrebbe potuto evitare quella sconfitta, segnata per sempre nella storia.

La voce di un soldato lo destò dai suoi pensieri, ma il suo corpo non si mosse.

La sua carrozza era pronta, pronta a riportarlo nella polvere da cui faticosamente si era ridestato con forza e vigore.

Ma questa volta sarebbe stata l’ultima, il mare e la solitudine lo attendevano nuovamente, e per sempre.

Questo racconto partecipa alla challenge di dicembre del Circolo di Scrittura Creativa ̴̴ Raynor’s Hall

Circolo di Scrittura Creativa Raynor’s Hall.

 
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from Oliviabenson2

Gli XFiles di Cabot Cove – Parte 4

(Il racconto che state per leggere è una fanfiction che vede il crossover di due serie Tv: “Xfiles” e “La signora in Giallo”. Conosco entrambe, ma sono più preparata con “la signora in giallo”. Siete quindi invitati a segnalarmi qualsiasi errore commetta con i personaggi di Xfiles inseriti nella storia. L’ho scritta su ispirazione di un post su LivelloSegreto di @lookacomics, con passione e amore per queste serie e senza alcuno scopo di lucro. Questa è la quarta parte e spero possa piacervi)

Parte 1: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-1-racconto-fanfiction

Parte 2: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-2-racconto-fanfiction

Parte 3: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/gli-xfiles-di-cabot-cove-parte-3-racconto-fanfiction

Scese le scale nel buio e andò verso la cucina dove si prese un bicchiere d’acqua. Sul tavolo c’erano i resti della “cena fredda” che Jessica Flatcher aveva preparato e consumato insieme a loro: sandwich ripieni e succo d’arancia, seguiti da una fetta di una torta fatta in casa di cui aveva spiegato per filo e per segno la ricetta. Era stata una cena veloce, che Mulder aveva consumato in silenzio, ascoltando le chiacchiere della scrittrice che sembrava ricordare ogni singola tempesta avvenuta a Cabot Cove; Dana aveva preso la parola più volte, ma solo per fare qualche domanda pertinente o raccontare anche lei qualche episodio inerente il brutto tempo. Fuori la pioggia ancora cadeva forte, ma almeno non si sentivano più i tuoni. Forse anche per questo, all’improvviso la luce ritornò. Cucina e salotto si illuminarono e Fox Mulder si sentì all’improvviso molto più calmo. “Adesso esplorare la casa sarà semplice.” Diede un’ultima occhiata indagatrice alla cucina e sbirciò sia nella credenza che nell’armadietto sotto al lavandino. Ma non trovò nulla. Nulla di sospetto almeno. La lampadina sfarfallò un po' e così l’uomo decise di prendere la scatola di fiammiferi e portarsi appresso il candelabro. Tornò così nel salone: il camino ormai era spento e solo delle brillanti braci rosse in mezzo alla cenere nera confermavano l’esistenza del fuoco. Fox osservò nuovamente la caotica biblioteca della signora Fletcher e solo allora notò una foto incorniciata: la donna era evidentemente Jessica da giovane e come aveva immaginato, era molto bella; l’uomo invece era probabilmente suo marito, il fu Frank Fletcher. Era una foto in bianco e nero e vedeva i due in una posa da ballo ma con lo sguardo al fotografo. Sentì un fruscio e percepì con la coda dell’occhio un movimento: alzando lo sguardo vide la padrona di casa che arrivava dal buio delle scale e sobbalzò. Anche la donna fu spaventata e lanciò un piccolo urlo seguito da una risatina allegra. “Ahaha! Mi ha spaventata agente Mulder! Mi scusi, non pensavo fosse qui!” Mulder, che si era teso e ancora teneva in mano la foto, cercò la scusa più rapida: “Mi scusi… Non riuscivo a dormire, sono venuto a prendere un libro e… e all’improvviso la luce è tornata.” “Sì per fortuna. Ero venuta giù proprio per spegnerle e per provare a chiamare lo sceriffo… Però la pioggia ancora molta vedo…” disse la signora Fletcher avvicinandosi alla finestra. La signora Fletcher, che indossava una lunga vestaglia chiara, ricordò a Mulder l’immagine della copertina di un libro di fiabe che aveva da bambino: una nonna vestita di bianco, seduta a leggere un libro a tanti bambini. Nulla di minaccioso. Quando la donna si voltò verso di lui scrutò la mano che teneva la fotografia. Fox gliela porse subito: “Non ho potuto farne a meno. È una bellissima foto.” La signora Fletcher la prese in mano e la osservò sorridendo teneramente: “La mia prima foto con Frank… ci eravamo conosciuti da una settimana quando è stata scattata. Pensi” si sedette sul divano e Fox con lei “che credevo di averla persa. E invece, mettendo a posto delle scartoffie qualche settimana fa, l’ho ritrovata! È stato bellissimo riaverla tra le mani! Qui eravamo all’Appleton Theater, dove ai tempi lavoravo per mantenere i miei studi e farmi le ossa. Mi sarebbe piaciuto diventare giornalista, ma… alla fine ho seguito un’altra strada.” “Mi sembra una strada migliore…” disse Mulder. “Sicuramente lo è stata al fianco di Frank.” Jessica Fletcher appoggiò la foto sul tavolino di fronte a loro e sospirò. Mulder continuava ad osservarla, in cerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione: un’espressione, un cenno, un difetto del viso che confermassero qualche presenza o coscienza negativa nella donna. Eppure, non la trovava. A parte il lampo di rabbia mostrato dopo l’accenno alla sua continua presenza in casi di omicidio, Jessica Fletcher sembrava un essere incapace di sentimenti negativi. Anche in quel momento, mentre osservava la foto di lei e del marito, sembrava più persa nella nostalgia e nella commozione, che nella disperazione. Gli occhi azzurri della donna si erano fatti lucidi e sopra uno di essi, dove si stava formando una lacrima, vi passo il dorso della mano per asciugarla. “Le chiedo scusa…” “Non si preoccupi, signora Fletcher.” “Posso farle una domanda?” Mulder fu colto di sorpresa, ma dopo quella conversazione, sentì di non potersi rifiutare: “Ma certo…” “Non ho capito esattamente qual è il vostro ruolo nell’FBI.” Fox Mulder si era preparato a una domanda del genere: “Io e la mia collega Scully siamo agenti speciali, lei è nel ramo della medicina forense, io sono più per l’azione e la burocrazia.” “Agenti speciali, ha detto?” “Esattamente. E non posso fornire altre informazioni.” La signora Fletcher apparve confusa. Si portò una mano sotto il mento e assunse un’aria pensierosa. “Qualcosa non va?” “Non riesco ancora a capire perchè per una comunicazione come quella che mi avete portato siate dovuti venire proprio voi dell’FBI.” Mulder si era preparato anche quella risposta: “Non c’è nessun motivo in particolare signora, se non che durante una nostra raccolta di dati il suo nome è venuto fuori più e più volte. Sa, una volta è un caso, due volte una coincidenza, tre volte un indizio… o non è questo il proverbio dei gialli?” La signora Fletcher rise: “Ho sentito qualcosa del genere, ma non è il proverbio dei gialli! Ma… Avete davvero letto tutti i miei libri in quattro giorni?” “Sì. Ero molto… molto curioso.” “Mi lasci indovinare: voleva vedere se mi ero ispirata a qualcuno dei casi in cui sono rimasta coinvolta, per scrivere i miei romanzi.” Mulder non se lo aspettava, così come non si aspettava che gli occhi della donna, ora socchiusi, potessero emanare una luce di furbizia e soddisfazione così forte. Perché sì, aveva fatto centro, anche se non era l’ispirazione che lui era andato a cercare. “Ammetto che ho avuto una curiosità simile.” Replicò l’agente cercando di non scomporsi. “Oh, le posso assicurare che faccio del mio meglio per tenere separate realtà e fantasia. Anche se ammetto che sì, una volta, con il mio romanzo ‘Il latitante’ sono andata molto vicina alla realtà, senza volerlo fare davvero. E ho così inavvertitamente risolto un omicidio!” Mulder chiuse gli occhi e ripassò a mente le informazioni acquisite sulla signora in quei giorni: “Ah sì! Il caso Navarro (1)! Sì avevo letto parti del fascicolo! E dire che tra i suoi romanzi è quello che mi è piaciuto meno.” La signora Fletcher parve restarci male, ma poi fece le spallucce. “Non volevo dire che era brutto!” si affrettò a dire Mulder “Ma solo che non è stato il mio preferito!” “Oh, c’è chi considera tutti i miei libri spazzatura. E non posso biasimare questo giudizio: anche io che ho studiato e amato tanto la narrativa, riconosco nella letteratura di genere una componente commerciale e di bassa categoria. Non è poesia, non è Shakespear. È un romanzo giallo, oppure un noir, o una storia poliziesca… e non deve piacere a tutti. Però le dirò, quando scrivo mi piace molto immaginare quello che può succedere e soprattutto come rovesciare le situazioni. E voglio che tutto sia preciso, chiaro, comprensibile… voglio che i miei lettori si divertano e che amino le mie trame proprio come le ho amate io mentre scrivevo.” Mulder annuì: “Immagino dunque… che anche partecipare a un caso vero possa essere d’aiuto da un certo punto di vista…” Jessica Fletcher parve seccata: “Agente Mulder, le posso assicurare che la mia presenza in così tanti casi di omicidio è solo una coincidenza.” “Io non credo alle coincidenze, signora Fletcher.” Un lampo esplose all’esterno, illuminando per un attimo l’intera casa e le stanze ancora avvolte nel buio. Il tuono però non si udì subito. Esplose dopo alcuni secondi. Segno che anche se ancora pioveva, almeno i fulmini era ormai lontani dalla casa. “In che senso non crede alle coincidenze, signor Mulder?” domandò la signora Fletcher, che però aveva aspettato pazientemente l’esplosione del tuono. “Spesso, quelle che noi chiamiamo coincidenze, non lo sono. Spesso c’è una spiegazione razionale…oppure incredibile, ma comunque slegata dal nostro concetto di ‘caso’. Spesso le cose accadono perché c’è… qualcosa che le ha fatte accadere. E lei stessa, signora Fletcher, mi scusi se mi permetto, ma ha saputo abilmente utilizzare la sua razionalità per dimostrare che certi eventi non erano semplice coincidenze ma prove importanti.” “Quindi lei pensa che io vada a cercarmi gli omicidi in giro per il mondo?” “Non ho modo di comprovare una cosa del genere… ma sono un uomo che non si ferma al concetto di coincidenza… Sono un agente dell’FBI e ne ho viste tante di coincidenze che non erano tali. Non ce l’ho con lei, signora; ma mi conceda il sospetto.” Questa volta, la signora sembrò accogliere meglio quell’accusa. Non si arrabbiò, ma rimase seduta in silenzio con aria pensierosa. Poi si alzò e disse solennemente all’agente, fissandolo negli occhi: “Signor Mulder, credo che lei almeno in parte abbia ragione. È vero, sono una persona che si fa coinvolgere facilmente. Ma le posso assicurare che lo faccio sempre a fin di bene.” “Non ho mai messo in dubbio la sua etica.” Mulder si sentiva sempre più imbarazzato. Sembrava impossibile spiegare la sua teoria senza nominarla esplicitamente, ma se lo avesse fatto… sapeva benissimo quali sarebbero state le conseguenze. In quella missione non era solo: c’era anche Scully e un capo che gli aveva dato degli ordini precisi. In più, c’era un problema ancora più grande che lo metteva in una posizione scomoda: più stava vicino a quella signora e più non riusciva a trovare in lei nulla di negativo. Se non fosse stata circondata da tutti quei casi di omicidio, sarebbe sembrata semplicemente una simpatica nonnina del Maine, abile nel raccontare storie sanguinose, ma anche nello sfornare dolci e fare conversazioni amabili e interessanti. “E sì… ammetto che… ci sono state delle volte in cui… ho messo a rischio molte persone, inclusa me stessa. E le dirò… mi sono quasi abituata a questo continuo coinvolgimento. Tanto che quando avete detto che gli omicidi sono centinaia, mi sono seriamente preoccupata. Solo che, ammetto che non saprei in che modo intervenire su questa coincidenza.” Sembrava veramente dispiaciuta mentre lo diceva. Mulder cominciava a sentirsi in imbarazzo. Cosa poteva dire alla signora dopotutto? “Resti a casa e non si muova più perché è evidente che ovunque va, la morte la segue.”? Sembrava assurdo anche a lui dirsi quelle parole nella testa. “Non posso fare altro che promettere a lei e alla sua collega di non farmi più coinvolgere in alcun modo, sia che mi sia richiesto o che mi trovi nel luogo per caso.” Proseguì la scrittrice sospirando “Certo, sarebbe brutto se poi per una mia mancanza una persona innocente finisse in galera… però, credo che sia la cosa migliore e anche la più semplice. Dopotutto gli omicidi non vengono certo a bussare alla mia porta.” Fu allora si sentì bussare alla porta. Colpi veloci e forti. “Oh cielo! E chi è adesso!?” esclamò la signora Fletcher avviandosi alla porta. Colto da un brutto presentimento, Fox Mulder la seguì. Quando la donna spalancò la porta, davanti a loro comparve Michael Sting, che però non indossava il cappuccio del suo impermeabile giallo a strisce nere. Il volto fradicio dell’uomo era stranamente gonfio. Fece un passo avanti ed emise un rantolo prima di cadere in avanti, rivelando un pugnale infilzato nella schiena.

(1) Riferimento all’episodio “Il Latitante” della decima stagione de “La signora in giallo”, dove Jessica Fletcher viene accusata di calunnia da un ex-galeotto per alcune scelte narrative del suo nuovo romanzo.

 
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from nomadank

Egghead si riconferma essere una delle saghe più coinvolgenti di tutta l'opera. Pregna di azione, emozioni, rivelazioni, nuovi misteri, il ritmo è incalzante, come quello dei tamburi della liberazione. In particolare il 1107 è uno di quei capitoli che esplode sia di informazioni che di momenti epici. Per chi è invasato come me è il momento della proliferazione di nuove teorie e della revisione di quelle vecchie. Ma andiamo con ordine.

  • Confermato (sembrerebbe) che i giganti sanno di Egghead dai giornali, ma non come hanno saputo che Luffy è Nika. L'hanno riconosciuto dalla taglia perché sanno che aspetto ha joyboy in quanto la sua incarnazione precedente era un gigante (il che spiegherebbe il cappello di paglia gigante nella stanza di Imu)? Gliel'ha detto Shanks (che secondo me sa fin dall'inizio che quello era il frutto di Nika)? Altro?

  • Luffy colpito ma NON immobilizzato da Saturn. Perché? C'entra con l'haki del re conquistare? Oppure il potere non ha effetto sulla discendenza della D? Di fatto per ora solo Kuma era rimasto immune. Comunque che goduria vedere Saturn massacrato di pugni da Nika.

  • SANJI CHE BLOCCA CON UN CALCIO IL LASER DI KIZARU (mentre Zoro arranca contro Lucci, godo). Vista la reazione incredula di Borsalino più che haki direi che c'entra la tecnologia del germa. Questo, insieme all'essersi preso un pugno in faccia da un Seraphim senza battere ciglio, sta rivelando il suo nuovo e devastante potere.

  • Finalmente si è visto chi c'è della ciurma di Barbanera, anche qui con un'entrata in scena spettacolare. Catarina Devon TOCCA solamente Saturn e la missione è conclusa. Che cazzo mi sta a significare? Basta il tocco per permettere a Teach di rubare i poteri? Non deve farlo neanche lui direttamente? C'entra qualcosa il frutto di lei, la volpe a nove code? Altrimenti che senso ha? Maledetto e meraviglioso Oda che risponde a una domande e te ne apre altre 100.

  • Io ho da tempo una teoria, cioè che Teach e Orso siano della stessa razza, questo ancora prima che quest'ultimo si rivelasse un bucaniere. Quindi mi sono soffermato molto sul momento in cui Saturn dice di conoscere la stirpe di Teach. La parola usata dall'astro di saggezza in giapponese vuol dire stirpe nel senso di albero genealogico ma anche razza, solamente che per quest'ultima nel resto del manga si è sempre usata un'altra parola. Quindi magari sta semplicemente dicendo che è della D? Oppure che ha una discendenza segreta? È figlio di Rocks? P.s. l'hype sulla ciurma di Barbanera continua a salire, soprattutto grazie a momenti con questo

  • ADORO che Caribou si riveli essere per Teach letteralmente quello che Barto è per Luffy

Insomma, la quantità di cose che avvengono nel capitolo è notevole. Oda è un maestro in questo: ci inonda di informazioni per farci dimenticare momentaneamente tutto il seitan che c'è al fuoco e poi... BOOM, ci coglie alla sprovvista ogni volta.

E il mio mantra continua: Ma quanto è bello One Piece?

 
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from Oliviabenson2

Vi presento “L'uomo vascello” (Autopromozione)

Pochi mesi fa, mentre ero in attesa di concludere il mio percorso universitario, stavo pensando di smettere per sempre con la scrittura. Avevo completato la tesi, ero in attesa delle ultime correzioni e del completamento delle pratiche burocratiche. Avevo fatto tutto il dovuto e dovevo aspettare i “comodi” degli altri. Nel frattempo due cose erano successe: avevo chiuso un rapporto con un editore che si era rimangiato delle promesse e stavo osservando dei movimenti nel mondo dell’editoria che non mi piacevano. C’erano anche altri problemi (alcuni ancora presenti), ma non starò qui ad elencarli anche perché non riguardavano strettamente la scrittura. La cosa che più mi dava fastidio era il senso di totale passività che provavo in quel momento, perché nonostante io avessi fatto il mio dovere, c’erano altre cose che dovevano muoversi e io non potevo contribuire al loro movimento: l’università e i miei relatori agivano indipendentemente da me e se per un qualsiasi motivo ci fosse stata una decisione opposta da parte di una di queste “entità”, un ritardo o anche solo un errore, io rischiavo di dover rimandare ulteriormente la tesi, prolungando l’attesa di altri mesi e costandomi anche a livello economico. La stanchezza mentale di quelle giornate mi rendeva difficile scrivere qualsiasi cosa, perfino il mio diario e anche questo mi faceva pensare che forse non dovevo più toccare una penna. Avevo fatto inoltre dei colloqui di lavoro abbastanza disastrosi con delle redazioni/case editrici. In questa situazione di profondo sconforto, un personaggio prese forma nella mia testa. In realtà, lo avevo conosciuto un po' di tempo prima, ma non avevo mai avuto di approfondirlo. Ho già raccontato (qui: https://log.livellosegreto.it/oliviabenson2/se-non-fossi-corrotta-non-esisterebbe-in-difesa-di-nikita-personaggio ) che spesso i personaggi si mostrano a me come fossero persone vere. Non posso parlare realmente di processo creativo, perché a volte mi sembra che siano più loro a raccontarmi la loro storia che il contrario. Mi piace in questo senso immaginare che la mia testa sia una specie di bar, dove pensieri/idee diverse, assunta una forma personificata, si incontrano e iniziano a parlare tra loro o direttamente a me, la barista. Se poi la storia che raccontano mi piace, decido di mettermi al lavoro sulla stessa e allora inizia un processo di confronto diverso. Se invece la storia non mi convince o non posso lavorarci, i personaggi non vanno via. Restano nel bar “a disposizione”, come attori in attesa del loro turno sul palcoscenico. Questo personaggio apparteneva alla seconda categoria. Di genere maschile, ma senza nome, era uno degli esseri più passivi che avessi mai creato/incontrato. Una volta mi ero domandata se fosse effettivamente possibile raccontar la storia di qualcuno totalmente passivo e lui si era presentato rispondendomi di sì. Non ha mai avuto un nome proprio, alla fine l’ho nominato: l’uomo vascello. Faccio però fatica a identificarlo come un essere umano: è infatti un essere profondamente odioso, nei modi e nei pensieri, come nelle poche azioni che svolge; vede gli altri come un problema, nel peggiore dei casi; nel migliore, diventano uno strumento che usa con il fine egoistico di concedersi un po' di piacere fisico o mentale; chi legge la sua storia può erroneamente vederlo come un personaggio bisessuale, ma la verità è che non ha mai avuto preferenze particolari, o comunque non le ha mai indagate; non è in grado di amare le altre persone, in nessuna circostanza. Non mi piaceva, per questo non avevo mai raccontato la sua storia: era un essere intelligente e lucido ma mentalmente immobile, in balia di eventi abbastanza terribili da cui però traeva segretamente un senso di controllo e potere sugli altri. Questa cosa a me personalmente dava molto fastidio, ma in quel periodo di profondo dolore, era l’unico personaggio che sembrava mostrare al meglio quello che era il mio senso di attesa e frustrazione profonda. Anche se, mentre per me la stessa si trasformava in notti insonni o popolate da incubi e giornate passate seduta al PC a ricaricare la casella di mail universitarie, per lui la sofferenza fisica e l’insonnia erano una cosa di rutine, l’attesa e la costrizione all’essere alle dipendenze degli altri custodivano la promessa di un potere più grande. Quando lessi della chiamata narrativa della rivista “Il lettore di fantasia” (Per la rivista: https://www.illettoredifantasia.it/ Per il bando della chiamata narrativa: https://mailchi.mp/b5e292a4f409/call23inv ), volevo partecipare ma l’unica cosa che avevo in testa era la storia, da raccontare in prima persona, di questo gigantesco str0nz0, questo “vascello” carico di veleno e cattiveria. Alla fine, qualche giorno dopo il completamento delle ultime pratiche e la conferma che sì, mi sarei laureata, ma ancora non si sapeva in quale giornata, decisi di mettermi a scrivere di quest’uomo orribile, se non altro nella speranza che mi avrebbe lasciata in pace. Né uscì fuori un racconto horror con elementi che rimandavano al mondo lovercraftiano che intitolai appunto “L’uomo vascello”. Non riuscivo ad amare quello che avevo tirato fuori, rileggere il racconto mi aveva quasi spaventata: c’era sofferenza, rassegnazione, rancore, cattiveria… neanche un’ombra di sentimenti positivi. Anche il titolo mi pareva brutto, mi immaginavo chi lavorava in redazione leggere “L’uomo vascello” e scoppiare a ridere per l’imbarazzo della bruttezza di un titolo così. Stavo anche pensando di non mandarglielo, per non fargli perdere tempo. Stavano partecipando in tanti, più qualificati di me sicuramente, mi dicevo, poi io stavo pure pensando di lasciar perdere la scrittura quindi non aveva nemmeno tanto senso partecipare; ma ormai avevo completato il lavoro. Ci avevo impiegato circa due giorni (notti incluse) e mi sarebbe dispiaciuto non provarci nemmeno, anche se ero sicurissima che non sarebbe andato. Dopo un ultimo editing, inviai il racconto. Non lo dissi a nessuno, o forse accennai qualcosa, ma ero talmente sicura che quello sarebbe stato il mio ultimo racconto che non feci troppa pubblicità sulla mia partecipazione. Passarono le settimane, mi laureai, passai delle feste serene e ripresi un po' la scrittura (a mano) e quasi mi dimenticai di quel mostruoso personaggio che aveva infestato la mia mente per un tempo che a me sembrava infinito. Il 7 gennaio del 2024 però ricevetti una mail: il mio racconto avrebbe fatto parte dell’antologia. E avrei anche ricevuto un compenso! La redazione del “Lettore di Fantasia” è stata molto professionale nello svolgimento di tutto il processo: dal bando, al contratto, all’editing dell’ebook (dove se troverete delle stranezze è solo per via dell’impaginazione dello stesso) e ha reso noi autori partecipi di tutto, rispondendo sempre e in modo professionale a ogni domanda posta e hanno regalato una copia dell’antologia a tutti gli iscritti al loro patreon. Ma le storie non possono restare una cosa d’élite. È con grande piacere dunque che vi annuncio l’uscita dell’antologia su Amazon, dove può essere ora acquistata: https://www.amazon.it/dp/B0CVNLVTX1 Comprandola sosterrete tanto la realtà de “Il lettore di fantasia”, quanto me e tutti gli altri autori che vi hanno partecipato. Oltre al mio “vascello”, infatti, troverete tanti altri personaggi con le loro avventure. Inutile poi dire i risvolti che questa avventura mi ha portato: ho deciso alla fine di non smettere di scrivere e di continuare a provarci. “L’uomo vascello” mi ha dimostrato che anche se un lavoro può non essere propriamente “bello e buono”, può comunque riuscire ancora a trasmettere qualcosa a chi lo legge. Abbastanza da essere accettato a fianco di altri lavori (belli).

 
Continua...