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from Testudo Blues

Cliccate qui per un mini-riassunto delle puntate precedenti

“Ehi, chi diavolo hai chiamato Biancaneve?” “Scusami, Bronco, stavo raccontando di te ai miei seguaci e...” “E hai deciso di darmi un nome da ragazza.” “Per proteggere la tua identità e non coinvolgerti in questo casino. Non volevo offenderti” “Non mi sono offeso. Anzi, sai che ti dico? Biancaneve mi piace. Quando mi deciderò a rinnovare il mio ufficio, mi farò fare una bella targa: Agenzia Investigativa Biancaneve.” “Sembra un ottimo posto per rimediare un po' di coca.” “Smettila di fare l'idiota e rimetti in moto il tuo rottame. Dobbiamo trovare il tuo socio in affari.” “Ex socio.”

Chiedo scusa, mascalzoni e sicofanti di Testudo, per avervi tenuto sulle spine. Quella che avete sentito è la voce del detective Biancaneve, dal vivo sulla mia radio. Anche se ormai è inutile nascondere la sua vera identità. Puntando la sua SIG Mosquito contro il buttafuori del Ranucci Jazz Club per salvarmi la vita, il mio amico Bronco (questo è il suo vero nome) ha deciso di sua spontanea volontà che era ora di dire addio all'anonimato.

Dunque, dove eravamo rimasti?

il detective prende la parola, intervenendo con la sua voce profonda

“E adesso portaci dal capo,” ho ordinato all'uomo-bufalo, appoggiando il dito sul cane della pistola per aumentare l'effetto drammatico.

Vedendosi minacciato da un'arma molto più grossa e pericolosa del giocattolino impugnato dal mio amico Danny, il buttafuori abbassa la testa, ruota sui tacchi e ci conduce attraverso una serie di porte di servizio, fino a un lungo corridoio fiancheggiato da foto di cantanti jazz dentro enormi cornici dorate.

“Posso chiamare i soccorsi per mio fratello? Sta perdendo sangue.”

“Li chiamerai più tardi,” rispondo io. “E che vi serva da lezione. Se non aveste cercato di fregarci, a quest'ora il tuo fratellino sarebbe ancora in ottima salute.”

“A parte l'asma,” ribatte il buttafuori, pentendosi immediatamente di aver aperto bocca,

“Adesso fai anche lo spiritoso? Forse dovrei sforacchiare anche te, per far uscire tutto questo sarcasmo dal tuo corpo.”

La porta in fondo al corridoio è circondata da un telaio d'oro massiccio e ha un batacchio a forma di testa di leone. “L'ufficio di Ranucci,” dice l'uomo-bufalo, indicando la porta con un cenno della testa.

A quel punto il mio amico Danny Catenaccio gli affonda la snub-nose nella schiena e gli dice: “Annunciaci.”

Accidenti, scusami, ti sto rubando la scena. Vuoi proseguire tu?

Beh, il tizio entra nell'ufficio e biascica qualcosa al suo capo. “Ci sono due tizi. Chiedono di lei. Hanno dei soldi che le appartengono.” Quindi spalanca la porta e ci invita a entrare. “Prego. Il signor Ranucci è disposto a ricevervi.”

Beh, per farla breve, Catenaccio gli sbatte la valigetta sulla scrivania e fa scattare il meccanismo, facendo comparire di fronte ai suoi avidi occhi l'eterea visione di un milione di corazze.

*Eterea? Vacci piano Bronco, non essere retorico. I miei ascoltatori odiano questa robaccia.”

E sapete cosa ci dice Ranucci?

Roba da rimanerci secchi, sul serio.

Il signor Ranucci si massaggia la fronte grassoccia, poi scuote la testa, sbadiglia sonoramente davanti alle corazze fruscianti e poi dice: “Quindi sei stato tu a rubarli? Che razza di idiota, Catenaccio. Quei soldi erano già tuoi. Non avevo mai visto nessuno rubare il proprio denaro.”

 
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from Kenobit

ARRIVANO I SOCIALINI

Questo post è copiato dalla Settimana Sovversiva, la mia newsletter. Lo pubblico anche qui per diffonderlo più comodamente sul Fediverso.

Oggi lanciamo un progetto al quale tengo moltissimo, frutto di mesi di pensieri e lavoro. Parlo al plurale perché siamo un collettivo, nato con la consapevolezza che l’obiettivo è ambizioso e lo raggiungeremo solo lottando insieme, come gruppo, e che dobbiamo strutturarci in modo che chiunque possa decidere di unirsi a noi. Ma non divaghiamo.

Vi presento Socialini.it.

logo socialini

Il progetto dei Socialini nasce da una domanda scomoda. Come facciamo a preparare le nuove generazioni alla vita su Internet? Che opzioni ci sono se abbiamo un figlio o una figlia di 6 anni? Allo stato attuale, ci troviamo davanti a una scelta che mi sembra perdente a prescindere.

Possiamo:

  • Darlǝ accesso subito accesso a Internet. Per quanto possiamo impegnarci e cercare di essere presenti, non avremo mai modo di proteggerlǝ dai meccanismi predatori delle grandi piattaforme, ai quali lǝ bambinǝ sono ancor più vulnerabili, e dagli altri ovvi pericoli derivanti dalla presenza di sconociuti e contenuti problematici;
  • Non darlǝ accesso a Internet e aspettare che sia più grande. Stiamo solo rinviando il problema, per giunta a un momento dell’esistenza in cui siamo particolarmente fragili. Se aspettiamo i 12 anni, per dirne una, arriverà sui social completamente privǝ degli strumenti per difendersi, magari in un momento cruciale della ricerca della sua identità, nel quale la cultura dell’immagine di Instagram e affini può arrecare danni devastanti. Ricordiamo che su TikTok sono stati proposti allǝ adolescenti account che promuovono l’uso dell’Ozempic, un farmaco antidiabete, come strumento per dimagrire. Metà del business dei social commerciali è dirci che siamo sbagliatǝ per poi venderci la soluzione sotto forma di prodotto.

La situazione, purtroppo, è chiara. La scuola non prepara alla vita su Internet. Non ne racconta la storia, i meccanismi e i pericoli. Di fatto, non ci insegna a gestire una parte gigantesca delle nostre vite. Scherzosamente, dico sempre che è un po’ come se non ci insegnasse l’algebra.

Lo stato ha fallito. La scuola è piena di insegnanti che fanno un lavoro cruciale, forse il più importante di tutta la società, ma non hanno gli strumenti e le risorse per avviare un percorso didattico sulla rete. Tutto è delegato alle famiglie, che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno le competenze necessarie per insegnare la consapevolezza dei mezzi informatici. E, sottolineo, non ne hanno colpa.

Cosa succede quando lo stato lascia un vuoto problematico e non soddisfa un’esigenza chiave del popolo? Si materializza una grande occasione di organizzarsi dal basso e di mettere in atto le pratiche del mutuo soccorso, riaffermandone il valore e la necessità. Possiamo avere un ruolo attivo, riprenderci un po’ di potere e ridistribuirlo in maniera orizzontale.

Ed ecco, quindi, che nascono i Socialini. Cosa sono?

Un Socialino è un server Mastodon, un piccolo social network con tutte le funzioni del caso: condivisione di foto, frasi, link. Fa parte del Fediverso, ma in un modo speciale. Parliamo sempre di Fediverso per la sua possibilità di unire tutto il mondo online in una grande federazione, ma quasi mai di come possa fare l’opposto: creare un’isola indipendente, completamente separata dal resto di Internet. Sicura, privata, protetta.

Il Socialino, dunque, è un social network giocattolo, per imparare a vivere e conoscere Internet, ma in un contesto realmente sicuro, dove i meccanismi tossici dei social commerciali non possono attecchire.

Il Socialino è il vostro social di famiglia e ha una tripla funzione pedagogica.

  • Per i genitori. I genitori riceveranno da noi le chiavi del loro server e una breve spiegazione su come usarlo. Saranno lǝ admin, di fatto. La gestione di un Socialino è semplicissima e non richiede competenze informatiche avanzate, ma al tempo stesso vi permetterà di capire perfettamente i meccanismi della Federazione e di Internet. Vi restituirà la complessità di cui Meta e soci vi hanno privato;
  • Per lǝ bambinǝ. Il gioco è il nostro strumento per capire il mondo e imparare a vivere. È normale che lǝ bambinǝ, crescendo in un mondo così connesso, vogliano giocare a condividere i loro pensieri o i loro disegni su Internet. Nel Socialino di famiglia potranno farlo in totale sicurezza, perché sul server saranno presenti solo i genitori ed eventuali amici di famiglia (chiunque venga approvato dallǝ admin, ossia i genitori). Giocando, potranno capire i meccanismi di Internet, ma su una piattaforma che non è progettata per rubare il loro tempo e la loro attenzione;
  • Per la terza età. Anche nonne e nonni hanno bisogno di sviluppare un rapporto più consapevole con la tecnologia. Facebook è un letamaio che lǝ espone a truffe e contenuti avvilenti (ultimamente generati in gran parte dall’IA), del resto. Nel Socialino di famiglia potranno interagire con lǝ nipoti, commentare, raccontare, il tutto usando software libero e imparando a usare uno strumento che non è progettato per turlupinarlǝ.

Abbiamo già fatto dei primi test con un paio di famiglie e possiamo dire che il concept funziona. Ora, dunque, siamo prontǝ a partire con la prima fase ufficiale del progetto: trovare 10 famiglie che vogliono un Socialino, per stringere i bulloni del progetto e rodarlo su scala più ampia. L’idea è di definire le pratiche, scrivere guide e documenti e attirare altrǝ alleatǝ, su tutti i fronti, per poter in futuro creare altri 10, 100, 1000 Socialini.

Se vorreste essere una di quelle 10 famiglie, scrivete a ciao@socialini.it e diteci in due righe chi siete e perché vi farebbe piacere partecipare. In questa fase, per motivi prettamente numerici, dovremo fare una selezione, nella quale cercheremo di privilegiare la varietà, alla ricerca delle tante forme diverse che una famiglia può assumere.

Il progetto è totalmente no profit e lo sarà sempre. Socialini non è un business, ma un progetto di mutuo soccorso volto alla creazione di saperi e competenze digitali per il presente e il futuro. Ogni Socialino ha un costo di mantenimento di circa 3 euro al mese, che in questa fase assorbiremo noi (o ci finanzieremo con un concerto o un giro di donazioni). Tutto il lavoro svolto è volontario e gratuito. Un domani, quando il progetto sarà avviato, l’unico costo per le famiglie sarà quello mensile del server, che puntiamo a ridurre ulteriormente, magari trovando uno spazio per tenere delle macchine. Ma non bruciamo le tappe...

Parte del progetto sarà anche la Piazzetta, un’istanza Mastodon a parte dove raccoglieremo contenuti fidati, sempre open e senza pubblicità, per chi vorrà del materiale per arricchire il suo Socialino. Ne parleremo nel dettaglio nei mesi a venire.

Sono sinceramente emozionato di svelare questo progetto. Ci abbiamo messo il cuore (io, FDA, Morloi e Kzk) e qualcosa mi dice che questa idea bizzarra potrà realmente cambiare qualcosa in positivo. Ho tanta voglia di parlarne e di confrontarmi, quindi non esitate a scrivermi, rispondendo al nostro piccione viaggiatore.

Riprendiamoci Internet.

 
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from La cantina dell'appartamento al terzo piano (senza ascensore)

Spotify è incredibilmente comodo: tra i vari servizi di streaming musicali provati è probabilmente quello che più si avvicina a ciò di cui ho bisogno (e lo dice una persona che al tempo pagava Google Music per riempirsi le orecchie di canzoni). Nel tempo però sono diventato sempre più allergico a diversi aspetti legati a questo servizio:

L'alternativa che fa al caso mio? Navidrome. Un software Open Source con supporto alle Subsonic API (permettendo l'utilizzo da diversi client, tra le altre cose).

Vediamo come tirarlo in piedi in cinque minuti e come iniziare a caricare la nostra musica lì sopra. Sì, anche quella che abbiamo su Spotify. Sì, anche le Playlist invece delle canzoni singole.

Installare (e gestire) Navidrome

Per una volta ho voluto mettere da parte la mia voglia di smanettamento cercando di comprendere se per una persona “non troppo nerd” sia possibile abbracciare questa soluzione. Fortunatamente le meravigliose creature di PikaPods ci vengono incontro e in dieci minuti possiamo tirare in piedi un'istanza Navidrome senza alcuna rogna (o necessità di gestire le cose in prima persona).

I passaggi di base sono davvero banali:

  • mi registro (e ho anche cinque dollari di credito gratuito) qui

  • scelgo il pod Navidrome e imposto le seguenti risorse (2CPU, 2GB di RAM, 50GB di storage):

  • se voglio posso configurare le variabili (tab “ENV VARS”) per prendere da LastFM e Spotify artwork e informazioni su canzoni, album e artist3 – qui la guida passo passo

  • segnatevi il dominio (DOMAIN) e modificatelo a piacere: sarà l'indirizzo con cui accederemo a Navidrome

E... fatto. No, non sto scherzando: è già finito. Andando al dominio che vi siete segnati nell'ultimo punto vedrete la vostra installazione di Navidrome: create username e password e avete il vostro Spotify fatto in casa come le cose buone delle nonne 🔥 Niente altro da configurare (se non eventuali altre utenze) e niente da mantenere (ci pensa PikaPods).

Volendo (ma non è minimamente necessario) è possibile configurare le variabili per personalizzare la vostra istanza, trovate tutto qui. Siamo a post— ah, già, manca ancora la musica!

Caricare la propria musica

A questo punto ci troviamo davanti a due situazioni: chi si è già fatto un backup della propria musica in .mp3 (chessò, “rippando” – mamma mia che termine arcaico – i propri CD) e chi invece ad esempio ha della musica in vinile e non ha possibilità di estrarla per caricare il tutto nella libreria personale. Partiamo dal primo caso, il secondo è un filo meno legale (ma ve lo mostro comunque).

Per caricare i nostri .mp3 su Navidrome dobbiamo prima di tutto procurarci un client FTP e configurarlo. Niente panico: è semplicemente un programmino per trasferire i dati dal nostro PC al nostro server, vediamo come fare. A me piace particolarmente Cyberduck, disponibile sia in versione gratuita che a pagamento (a noi basta quella gratuita scaricabile da qui: https://cyberduck.io/download/) quindi userò quello come esempio su come procedere.

  • scarichiamo il programma e installiamolo

  • mentre il programma si sta installando torniamo su PikaPods e segnamoci le impostazioni di connessione: si trovano sotto Pod Settings (la rotellina) > File:

  • apriamo Cyberduck e clicchiamo su “Nuova connessione”

  • dal menù a tendina scegliamo SFTP (e magicamente la porta cambierà da 21 a 22) e inseriamo i parametri per la connessione

  • clicchiamo su “Connessione” e confermiamo nel popup che appare

  • a questo punto vedremo due cartelle: data e music. Apriamo music con un doppio click e trasciniamo lì dentro la nostra musica (meglio se già organizzata in artisti e album).

Fatto! Diamo a Navidrome un attimo per indicizzare tutta la musica e in pochi minuti ci troveremo le canzoni nella nostra libreria. Ah, giusto, già che ci siamo: si può usare Navidrome dall'interfaccia web oppure utilizzare una delle tante applicazioni che supportano le Subsonic API. Qui una lista: https://www.navidrome.org/docs/overview/#apps

Spotify casalingo: fatto ✔️

Recuperare la propria musica

Okay, ora arriviamo al punto più delicato della questione. Può capitare che non abbiate modo di trasformare in .mp3 la vostra musica o i brani che avete già comprato. Eviterò di farvi la predica sul fatto di acquistare la musica che ascoltate per supportare chi l'ha creata: davvero, è importante e nulla di quanto segue andrebbe eseguito se non si possiedono già i brani in altri formati (e lo dico da persona che crede che le leggi relative al diritto d'autore andrebbe riviste, aggiornate e corrette).

Ma basta premesse, al volo.

  • scaricatevi OnTheSpot (mi raccomando la versione _ffm)

  • avviate il programma (non va installato) e andate nella tab “Configuration”

  • inserite nome utente e password di Spotify (anche un account gratuito) e cliccate su “Add account” (in fondo alla pagina)

  • non cambiate altro se non il percorso dove viene scaricata la musica

  • nella tab “OnTheSpot Search” è ora possibile inserire il nome di una canzone, di un artista, l'URL di una Playlist (o qualunque URL di Spotify) per permettervi di scaricare il brano scelto (o la serie di brani dentro la Playlist, ad esempio)

A posto: potete vedere i progressi nella tab “Progress”, ma davvero non c'è molto altro da fare con questa applicazione. Godetevi gli .mp3 delle canzoni che possedete già e caricate poi il tutto su Navidrome.

Considerazioni finali

Sto usando Navidrome da una settimana circa e le uniche cose che ho trovato fastidiose sono state:

  • ricostruirmi le playlist (perché Spotify è stronzo e non te le fa esportare se non con tool esterni) SOLUZIONE: nessuna, se non che sto sfruttando questa cosa a mio vantaggio per rivedere un po' le playlist (con molta soddisfazione vi dirò)

  • il buffering delle canzoni nella riproduzione casuale in contesti con poca rete internet SOLUZIONE 1: nell'applicazione che uso c'è la possibilità di far pre-caricare le successive canzoni di una playlist, spettacolo SOLUZIONE 2: è possibile scaricare un'intera playlist per l'uso offline, se so che avrò poca rete scarico e sono a bolla

Se avete intenzione di provarvi a lanciare in cose simili e trovate difficoltà (o avete suggerimenti da darmi) mi trovate come al solito sul Fediverso: @ed@livellosegreto.it

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from Oliviabenson2

I privilegi di chi non vota (opinione personale)

Scrivo questo pezzo per log consapevole di aver creato un titolo controverso, quasi clickbait, come che l’opinione inserita all’interno di queste parole va contro quello che è il pensiero di molte persone all’interno della community. Vi dico però subito che non sono qui per proporvi un candidato X (anche se unƏ ci sarebbe, ma ne parlerò con un toot solo dopo aver pubblicato questo pezzo), nè per chiedervi di dare fiducia a un sistema in cui avete i vostri motivi per non credere. Vorrei però suscitare in voi una forma di riflessione e, nel caso, suggerirvi come rendere attivi i vostri non voti. Nel corso della vostra lettura, non leggerete nomi politici. Inoltre, poiché ho inserito nel titolo la parola “privilegi”, mi sembra giusto elencarne quelli che penso siano due che possiedo: il primo è l’essere stata per quasi tre anni scrutatrice di seggio, in un periodo in cui le elezioni erano molto frequenti (da fine 2015 a inizio 2018); lavorare lì mi ha aiutato a capire tante cose sul voto e sulle false credenze che girano attorno allo stesso; ho avuto inoltre la fortuna, durante i miei turni, di avere un presidente di seggio molto molto bravo, sia nell’eseguire il lavoro e spiegare le regole, sia nell’aiutare noi scrutatori a sopportare le nottate. Il secondo privilegio, non banale poiché giustifica in qualche modo questo pezzo è il fatto che ho una persona per cui votare nelle elezioni europee che si svolgeranno questo weekend, nei giorni 8 e 9 giugno 2024, insieme con diverse elezioni comunali e una regionale (quella del Piemonte). La candidata che voglio appoggiare è una persona di fiducia, da anni interna alla politica, che ha dedicato le sue battaglie alla causa dell’handicap. Se oggi nel mio municipio molti portatori di handicap hanno dei buoni servizi, lo si deve proprio a questa signora. Chi conosce la mia situazione personale, può capire perché voterò per lei. Mi trovo quindi ad avere un vantaggio notevole rispetto a tanti elettori: ho qualcuno che so essere capace e veritiero nel suo lavoro da votare e conosco abbastanza le regole da non cadere vittima delle fake news, una su tutte quella che vedrebbe i voti in bianco buttati nel cassonetto. Allora perché parlo del privilegio di chi non vota? E perché secondo me, anche per non votare, sarebbe importante recarsi in cabina elettorale? Partiamo dal principio: il sistema elettorale, che varia da paese a paese e la cui legislazione è soggetta a cambiamenti continui, è il sistema con cui, attraverso l’espressione segreta di un voto, viene data a tutti i cittadini di una certa età (a noi donne è arrivata questa possibilità con un decreto legislativo del 1945, mentre per votare il senato bisogna ancora compiere 25 anni) di scegliere i loro rappresentanti nei palazzi del potere. Questo sistema, che è il primo a cui si pensa quando si nomina la “democrazia”, non è perfetto. Anzi, ha molti problemi: brogli e compravendite di voti sono sfortunatamente altamente possibili. Per il primo, una soluzione che si è trovata, è proprio nell’assunzione degli scrutatori: non devono essere iscritti ad alcun partito né avere condanne penali o civili pendenti; vengono spesso cambiati e a volte convocati solo il giorno prima da una figura giudiziaria (nel mio caso mi è venuto a citofonare un vigile); hanno l’obbligo di restare chiusi all’interno dei seggi finchè tutti i verbali non sono stati firmati e controfirmati, mentre i carabinieri pattugliano i corridoi; e se una scheda, UNA, anche di quelle che non sono state utilizzate per votare (perché vengono sempre consegnate almeno un terzo in più delle schede necessarie) dovesse non risultare nel conteggio finale, il seggio viene posto sotto sequestro e tutti gli scrutatori presenti rischiano una denuncia penale. Nella mia “carriera” ho assistito a uno di questi sequestri, quando gli scrutatori, tutti giovanissimi, hanno abbandonato il seggio lasciando le schede sparse in giro. Non so come siano andata la procedura ma è stato comunque meno interessante di quando due rappresentanti di lista (figure più piantonate di noi) hanno cercato di menarsi. Posso comunque dirvi che oggigiorno i brogli sono fortunatamente più difficili di un tempo, e qualora succedessero, sarebbero in realtà abbastanza facili da beccare. Diversa è la questione del voto di scambio, o compravendita di voto che dir si voglia. Questo tipo di problema affligge molto di più gli Stati Uniti, dove è il candidato con più fondi a riuscire meglio nella sua campagna elettorale. Ma in questo caso, l’antidoto potrebbe essere proprio la non astensione: i soldi non sono infiniti, non sono per tutti. Si può corrompere un numero limitato di persone. Sia chiaro: il voto non garantisce in assoluto la non vittoria del corruttore. Ma anche la presenza di un’opposizione rafforzata, per quanto minoritaria, all’interno del palazzo occupato dal vincitore scorretto, può aiutare nel contenimento dei danni che lo stesso può causare. I due problemi illustrati sono i più famosi, ovviamente ce ne sono molti altri. Il voto non deve essere l’unica espressione democratica, né deve essere visto come la soluzione di tutti i problemi; rimane tuttavia uno strumento da non sottovalutare. La situazione in cui il nostro paese versa attualmente, con una maggioranza eletta con un alto tasso di astensione, sia degli italiani in patria sia di quelli all’estero, ne è la prova.

“Non sono d’accordo, e comunque ancora non capisco come fai a dire che ci non vota è privilegiato!”

Come già detto, era un titolo provocatorio, ma proverò a spiegarti tutto partendo dalla mia situazione: sono tra le persone che non possono permettersi di non votare. La realtà familiare in cui vivo, dove l’handicap è parte della nostra quotidianità, mi permette di cogliere e vedere le differenze tra un governo e l’altro, che per una persona normale passano inosservate. Puoi fare tutto l’attivismo che vuoi (e te ne sono tanto grata), ma certe cose puoi percepirle solo quando sei immerso nella situazione, qualunque essa sia. Un cambio di seggio nel municipio ed ecco che il locale affittato per i laboratori dei sordociechi viene chiuso. Un cambio in regione ed ecco che le gite culturali per l’associazione dei ragazzi autistici vengono ridotte da cinque a due. Un nuovo governo e all’improvviso la sedia a rotelle non la puoi più chiedere gratuita alla ASL… E chissà quante altre situazioni ci sono, che anche gli “attivisti” e io sottoscritta ignoriamo beatamente; chissà quante realtà vengono colpite. Ma non perché siamo cattivi, o stupidi, o poco attenti. Ma solo perché certi panni sono impossibili da indossare anche nella finzione, anche con l’empatia. Per me, un voto fa la differenza. Eccome. E credo sia una cosa che sempre più persone stiano percependo (abbiamo avuto bisogno di questo governo per capirlo), perché tutti gli attivisti, gruppi o singoli, che seguo stanno iniziando a manifestare e condividere questa necessità di una votazione. Chi invece è più protetto, questa necessità non può sentirla. Non può vedere le differenze.

“Non sarò portatore di handicap, ma non mi sento certo un privilegiato!”

Probabilmente non lo sei su tanti fronti. Il pericolo di parlare del privilegio come concetto è proprio questo: quale è veramente un privilegio? Allora proviamo a lasciare il concetto di “privilegio” da parte e parlare del perché non si vota. Sicuramente non è perché l’ha chiesto il Papa. Perché sì, il Papa al momento dell’unità d’Italia, quando iniziarono le prime elezioni a suffragio limitato, invitò i cattolici al “non expedit”, ovvero al non esprimere un parere, poiché egli non riconosceva il Regno d’Italia come tale. Eppure è evidente che c’è una forma di non riconoscimento e soprattutto di mancanza di fiducia, e non è biasimabile: in questo mondo sono poche le persone, i partiti, le realtà istituzionali di qualsiasi tipo che sono degne di fiducia. Il sistema non ha costruito il mondo che ci era stato promesso e quindi ora non vogliamo più riconoscerlo. È umano, non è nulla di originale. È già capitato nella storia e ha sempre portato, in modi diversi, a dei cambiamenti.

“E allora io aspetto il cambiamento! È molto sciocco pensare che un cambiamento avvenga con un vecchio strumento è stupido!”

Certo. C’è del vero. Ma in mancanza di uno strumento nuovo, rischiamo anche di perdere quel poco che abbiamo a disposizione. Immagina di essere costretto da qualcuno a scavare con un piccone rotto. Immagina di gettare quel piccone a terra e di dire che non scaverai finchè non avrai un piccone nuovo. Immagina che chi ti ha costretto a scavare raccolga il piccone e dica “ok, tornerò con un piccone nuovo.” E poi non torna più. Non mi stupirebbe se qualcuno della nostra attuale legislazione, vedendo l’alta astensione, se ne uscisse con la possibilità di togliere il voto a parte della popolazione. Se poi vogliamo citare la frase “se votare cambiasse qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”, che purtroppo anch’io ho erroneamente attribuito a Mark Twain, ma in verità era di Lowell Sun, sappiate che ad esempio diversi stati repubblicani americani, stanno rendendo molto più difficile votare per tutti (ed era già capitato nelle elezioni precedenti; ecco un articolo che spiega le nuove restrizioni: https://fivethirtyeight.com/features/16-states-made-it-harder-to-vote-this-year-but-26-made-it-easier/ ). No, c’è una gran paura del voto. Ecco perché le campagne elettorali sono così feroci, ecco perché l’astensione non viene mai accennata da alcun politico vincitore.

“Comunque io non ho nessuno per cui votare!”

E allora va a non votare. Esprimi il tuo dissenso anche con la scheda elettorale annullata (o bianca, perché no, non le buttano nel cassonetto).

“Non cambierebbe nulla!”

Non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché ancora non c’è stata un’elezione con una maggioranza di schede nulle. I commentatori amano affidarsi al “la gente se n’è andata al mare”. Se invece tutti andassero a non votare, i commenti probabilmente sarebbero diversi. Sarebbe come presentarsi alla festa di compleanno di una persona a noi antipatica, mangiare la torta, e dirle poi che non abbiamo portato il regalo. Oppure consegnare il compito del professore più odioso con la scritta “lei è uno stronzo”. Siete non-binary, a-gender, transgender ancora con i documenti del nome estinto e vi dà fastidio essere nella lista che non corrisponde al vostro genere di appartenenza e non avete nessuno che vi ha promesso un qualche cambiamento? Andate a scrivere sulla scheda la vostra protesta. Odiate questo governo ma non avete alternativa e non volete fare un voto “meno peggio”? Andate a scriverlo sulla scheda. Anche se io ho una candidata, suggerirei a tutti di provare questa operazione di presentarsi e non votare solo per vedere poi la faccia dei commentatori costretti a dire che il 90%-80%-60% delle schede sono nulle. Che la gente si è alzata, si è vestita, è andata in seggio e ha espresso il suo senso di schifo e sfiducia usando uno strumento. Non è andata al mare. È andata a non votare. Da scrutatrice ricordo con un certo affetto le schede annullate. Oltre a bestemmie (che noi dicevamo essere state scritte dalle suore del convento a cui era legato il nostro seggio) e alle parolacce, ho visto: – Una citazione di Socrate – Una citazione di Totò – Il disegno di un fiore – Il disegno di un orsetto Sappiate dunque che se lo farete renderete interessante l’esperienza anche per chi è lì a lavorare.

Questo che avete letto è un pezzo che ho scritto e pubblicato tra il 6 e il 7 giugno del 2024. È un’opinione personale, volta a creare una riflessione. Non è compito mio costringere qualcuno ad avere fiducia nelle istituzioni. E potrebbe darsi che un giorno, anch’io, possa prendere la decisione di non recarmi alle urne. Non lo escludo semplicemente perché nella vita mi sono capitate talmente tante cose contrastanti e sono stata portata o costretta a decisioni così diverse tra loro, che non voglio precludere questa probabilità. Però, credo che non succederà, perché a mie spese ho capito che anche quando ti viene dato uno strumento rotto, è bene usarlo. È meglio cercare di spaccare la pietra col piccone scassato, che smettere di lottare. Non ho ancora trovato qualcosa di alternativo al voto, o comunque non lo riconosco nel no expedit che molti vantano di esprimere fuori dalla cabina. E so che il voto non basta. La lotta è anche fuori dal periodo elettorale, giorno per giorno, nelle proteste fuori dal centro chiuso, nell’organizzazioni di gite con collette private e collettive, nell’inviare alla ASL 100 mail al giorno per chiedere almeno uno sconto sulla sedia a rotelle… Verrà un giorno in cui esisterà un metodo diverso. In cui il concetto di voto sarà obsoleto. Nell’attesa, invito tutti a usare questo piccone anche solo per colpire (METAFORA EH!) chi ce lo ha messo in mano sapendolo rotto. Buon voto a tutti.

 
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from Giardino Videoludico

Screenshot di una camera da letto

Storia di un inizio

Quando si gioca un titolo come Unpacking, spesso si tende a pensare che sia un semplice puzzle game, abbellito da suoni e musiche, con un gameplay che magari diverte, ma non ispira una vera e propria profondità. Questa era una premessa dovuta. Come altre storie di videogiochi, anche questa comincia molto prima rispetto all'inizio vero e proprio dello sviluppo. Dobbiamo tornare a molti anni prima del 2018, quando i due sviluppatori australiani Tim Dawson e Wren Brier, in arte Witch Beam, ancora ragazzi, erano alle prese con innumerevoli traslochi. Si, perchè contrariamente a quanto premesso, Unpacking è tutto fuorchè un classico puzzle game, dove attraverso l'utilizzo del mouse si spostano oggetti da un punto A ad un punto B cercando di realizzare l'obiettivo finale. Tim e Wren crescono quindi con il fardello di doversi spostare spesso, cambiando casa e inevitabilmente ripetendo spesso il gesto di impacchettare e spacchettare i loro oggetti più cari, perdendo o ritrovando tra di essi qualcosa che ha caratterizzato le loro esistenze. Nel 2018, quindi, i due si trovano a lavorare nello stesso team. Tim Dawson ha acquisito nel tempo competenze nell'animazione di personaggi, lavorando per studi australiani come RatBag, Team Bondi, Pandemic ma soprattutto Sega Studios Australia. Wren Brier è una sviluppatrice UX/UI e ha principalmente lavorato per gli Half Brick Studios. Il progetto che portano avanti nel 2018 tuttavia procede a rilento e in modalità part-time, cosa che cambierà nel 2019, quando i due decideranno di mettere corpo e anima nella creazione di questo titolo, lavorando full-time su di esso, per un totale di 3 anni e mezzo di sviluppo.

Screenshot di un salotto

Racconto senza parole

Se vi chiedessi di raccontare una storia, ma senza dire neanche una parola... Che cosa fareste? Questo è il limite che Witch Beam ha progettato di superare all'inizio dello sviluppo di Unpacking. Tutto ciò che il giocatore si trova davanti quando apre per la prima volta il videogioco è una stanza con delle scatole chiuse. Non c'è introduzione, non c'è tutorial, non c'è spiegazione. In questo, come in altri pregevoli esempi, è il design stesso che spiega cosa bisogna fare e come farlo. L'ambiente parla, gli oggetti non sono semplici soprammobili, ma molti di essi hanno un'anima che si svela solo andando avanti nel gioco. E così, solo estraendo dalle scatole una serie di oggetti, scopriremo ad esempio che la protagonista della storia è una ragazza (all'inizio non è così scontato, perchè alcuni oggetti potrebbero appartenere tranquillamente a membri di entrambi i generi, ma un oggetto in particolare, ovvero il pacco di assorbenti igienici, non lascia spazio ad equivoci), e che nel primo anno in cui giochiamo, è molto giovane, probabilmente in età scolastica/adolescenziale. Inizialmente il progetto era diverso, e ogni stanza doveva appartenere ad una persona differente; idea poi cambiata in corso d'opera per favorire maggiore immersività e senso di appartenenza. Wren Brier ha affermato:

Volevo creare qualcosa che permettesse di connettere le persone, di passare qualcosa a qualcuno che non ho mai incontrato

e ancora

Faccio giochi e faccio arte per connettere con le persone

Non è quindi così strano che tutti gli oggetti raccontino qualcosa, come se effettivamente avessero una voce. Continueremo quindi a spacchettare, cambiando anche di volta in volta l'ambiente in cui lo faremo. Questo ci consente di capire che cosa sta succedendo alla nostra protagonista, anche e soprattutto attraverso l'uso di dettagli davvero deliziosi, come ad esempio un diploma di laurea, una serie di libri per bambini, o il semplice duplicarsi di alcuni oggetti di uso comune, quando è ormai ovvio che non siamo più soli. E' altresì incredibile il livello di profondità in cui scendiamo in alcuni momenti di gioco, come quando capiamo di aver messo fine ad una relazione apparentemente tossica (sottolineata dalla mancanza di spazi per poter mettere i nostri oggetti accanto a quelli del nostro partner) e per proseguire dobbiamo letteralmente chiudere dentro un armadietto una delle foto con il nostro ex-partner che abbiamo trovato dentro una scatola, oppure quando abbiamo malauguratamente deciso di appendere un dipinto troppo vicino alla porta del frigorifero, ed è evidente l'angolo danneggiato dalla sua continua apertura.

Screenshot dell'angolo danneggiato

Noteremo anche il ritrovare alcuni oggetti degli anni passati, evidentemente rovinati dal tempo e dai continui trasporti (come il primo orsacchiotto che mettiamo a posto nella nostra stanza), oppure il luogo fisico dove andiamo ad abitare, guardando fuori dalle finestre e quindi intuendo che siamo in città o in campagna. Il trasloco, in questo senso, diventa il narratore inconsapevole della vita di una ragazza, dal punto di vista professionale e personale. Da ciò che riposizioniamo siamo in grado di comprendere la sua età, le sue passioni, le sue attitudini, il suo grado di istruzione, il suo lavoro, ma anche le sue emozioni, le sue particolarità, i suoi momenti di gioia e quelli di sconforto, il tutto con una fluidità e una delicatezza raramente applicate in un videogioco. I due sviluppatori hanno candidamente ammesso di aver volontariamente fatto concludere la storia nell'anno 2018, perchè non avevano idea di come poter affrontare quella che ormai conosciamo come la crisi sanitaria e sociale degli ultimi decenni, la pandemia di Covid-19 del 2020. Fermarsi prima ha permesso loro di dedicarsi allo sviluppo di una narrazione più semplice, con l'obiettivo di raccontare una vita priva di ostacoli così importanti. E non credo di spoilerare nulla, arrivato a questo punto, se dico che nel finale avremo il coronamento dei nostri desideri, quando al termine del più lungo spacchettamento dell'intero titolo, saremo finalmente realizzati lavorativamente e avremo concretizzato il sogno di una famiglia felice, scoprendo oltretutto, la bisessualità della nostra protagonista, che inizia una relazione con un'altra donna, assieme a loro figlio.

Una tecnica sopraffina

C'è veramente molto da dire dal punto di vista della realizzazione estetica e delle idee che ci sono dietro allo sviluppo di Unpacking. Iniziamo con un po' di numeri: il gioco è composto da 35 camere diverse, tutte realizzate manualmente, e più di 1000 oggetti, comprese le loro differenti “facce” dovute alle rotazioni. Parlando proprio delle rotazioni, Tim Dawson e Wren Brier hanno spiegato che il permettere di girare un oggetto è derivato anche da un'esigenza culturale, poichè certe popolazioni tendono a posizionarli in un certo modo piuttosto che in un altro (ad esempio, i giapponesi tendono a lasciare le scarpe appena dopo la porta di ingresso). Ciò consente a qualunque giocatore di mettere gli oggetti nel modo che secondo la sua personale volontà e cultura, rispecchia il suo modo di essere e di concepire gli spazi di casa. Oltre alla rotazione, gli oggetti possono essere posizionati in diversi punti dello stesso spazio, e questo cambia anche a seconda della grandezza dell'oggetto stesso e della superficie su cui deve appoggiare. Per questo, nello sviluppo le stanze sono state divise in griglie, costituite da piccoli riquadri, che permettevano quindi agevolmente di poter scegliere dove mettere sia oggetti molto voluminosi (che avrebbero occupato molteplici riquadri), che oggetti molto piccoli (come il tagliaunghie, che a tutti gli effetti è uno degli oggetti meno voluminosi dell'intero gioco). Per poter limitare il numero di oggetti da posizionare in un certo punto della stanza, gli sviluppatori hanno utilizzato un metodo chiamato “Stencil Buffer“: un buffer di dati (letteralmente “tampone”, ovvero una zona di memoria “temporanea”) che creasse una maschera, la quale vincolasse l'uso di alcuni oggetti in una determinata area. Per comprenderne il suo funzionamento, basta vedere il comportamento di alcune cose come gli asciugamani sulle aste del bagno o sulle maniglie del forno, oppure gli spazzolini all'interno del bicchiere sul lavandino del bagno. Witch Beam, prima di Unpacking, ha sviluppato un altro gioco chiamato “Assault Android Cactus”, in cui il “clipping” (in parole povere il processo che determina l'area di visualizzazione e di sovrapposizione) dei personaggi non era così importante perchè il fulcro del gioco si basava su altro. Per Unpacking, il clipping è invece fondamentale perchè esso si basa sul posizionamento degli oggetti, e di conseguenza molto tempo di sviluppo è stato dedicato al suo miglioramento, proprio perchè molto più evidente al giocatore rispetto ad altri contesti videoludici. Essendo, inoltre, un videogioco che punta ad un'esperienza rilassata e “rallentata”, è stata presa in considerazione una corretta gestione del tempo all'interno del gameplay stesso. Non ci troviamo, infatti, nè in una situazione di stallo temporale, nè real-time, ma il tempo scorre ogni volta che posizioniamo un nuovo oggetto. Quindi, se non facciamo nulla, noteremo che il tempo non scorre affatto, mentre alla fine dello spacchettamento, saremo a fine giornata. Questo possiamo notarlo dal paesaggio che si vede fuori dalle finestre: il diminuire del traffico stradale con l'arrivo delle ore serali, il mutamento del tempo atmosferico che indica lo scorrere della giornata, la transizione giorno/notte. Graficamente parlando, per evitare che le finestre facessero l'effetto “quadro”, è stata utilizzata una tecnica che abbiamo già visto in Shadow of the Beast, ovvero il parallasse. Diversi livelli di parallasse hanno permesso di rendere al meglio l'idea di profondità tra l'interno e l'esterno della casa. Parliamo infine dell'audio di gioco: le musiche sono state tutte scritte e composte da Jeff Van Dyck, che nell'industria videoludica ha creato le colonne sonore di giochi come Alien: Isolation, Hand of Fate e Hand of Fate 2, alcuni giochi sportivi ma soprattutto alcuni fra i titoli più apprezzati della serie Total War. E' vincitore di alcuni BAFTA Awards proprio per le musiche di 2 di questi ultimi titoli e ha collaborato attivamente in entrambi i titoli di Witch Beam, grazie anche all'aiuto di sua moglie Angela e di sua figlia Ella. E', inoltre, batterista della band australiana Fuzzpilot. Insomma, un curriculum di tutto rispetto. Le musiche composte si adattano perfettamente ai singoli livelli di gioco, e quello che sembra essere spesso un vuoto tra la fine di una musica e un'altra, è stato un effetto voluto per dare ancora di più la sensazione di rilassamento e lentezza. Inoltre, caratteristica molto apprezzata in pochissimi giochi (uno su tutti Portal di Valve), la canzone finale è stata creata appositamente per questo titolo (tra l'altro, canzone davvero molto bella e toccante). Ma se le musiche sono meravigliose, il sound design ha qualcosa di eccezionale. Oltre 14000 (si, quattordicimila) suoni sono stati campionati tramite il sistema Foley, collaudato e utilizzato molto anche nel cinema, con il quale si registrano suoni di tutti i giorni per essere utilizzati in un contesto non reale. Tutti gli oggetti di gioco sono stati messi a contatto con tutte le superfici presenti, per ricreare fedelmente tutte le possibili combinazioni oggetto/superficie presenti all'interno di Unpacking. Un lavoro enorme, di grande pregio, che rende davvero tutto molto realistico e altamente immersivo.

Screenshot della foto di una precedente relazione

Spacchettare le emozioni

Dopo 3 anni e mezzo intensi di sviluppo, Unpacking ha visto la luce sugli stores digitali, inizialmente su PC, Nintendo Switch e Xbox One, per poi essere portato anche su PS4 e PS5. Una versione fisica è stata distribuita da Limited Run Games tra Marzo e Maggio 2022. Poco dopo la sua uscita, il gioco ha ricevuto il plauso dei giocatori e della critica, che hanno visto negli sforzi profusi una realizzazione egregia e una profondità inaspettata per un puzzle game. Negli anni successivi, Witch Beam e Unpacking hanno ricevuto numerosissimi premi, tra i quali si annoverano: il “Best narrative EE Game of the Year” award ai BAFTA del 2022, “Game of the Year 2021” agli Australian Game Developer Awards, il premio “Excellence in Accessibility”, il “Best Audio” e “Innovation Award” ai Game Developers Choice Awards, il “2D Animation” e “2D Environmental Art” ai IGDA Global Industry Game Awards e tanti altri. Non meno importante, il gioco è stato molto apprezzato per la sua apertura verso le tematiche LGBTQ+, proprio in virtù della storia sentimentale della protagonista, vincendo i premi “Best LGBTQ Indie Game” e “Authentic Representation” ai Gayming Awards 2022. Insomma, Unpacking è un gioco che accontenta tutti coloro che ammirano le esperienze rilassanti e immersive. Inoltre, dà un grande insegnamento a tutti noi, ovvero che tramite opportune scelte di design, è possibile raccontare una storia migliore di quanto non possano fare tante linee di dialogo o cutscenes. Personalmente, mi sono ritrovato più di una volta spiazzato e stupito di quello che capivo dagli oggetti che guardavo, dagli ambienti in cui mi ritrovavo, dalle scelte stilistiche che potevo apprezzare, e hanno reso questo gameplay un piacere intimo e caloroso, completo e appagante. Non posso che consigliare, in finale, a chiunque di giocarci, perchè è un titolo tutto sommato breve, che vi impegnerà poche ore e che potete trovare davvero a due soldi, ma che vi scalderà il cuore e potrà essere un piacevolissimo intermezzo fra un Soulslike e un Metroidvania.

Screenshot della schermata finale

 
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from highway-to-shell

Non si è trattato di un incidente, di una fatalità, di una terribile disgrazia. La morte della bambina di 2 anni a Brescia è la diretta conseguenza di una società auto-centrica.

I nonni non vanno in bicicletta all'asilo a prendere i nipotini, non usano la bici perché sono anziani, gli acciacchi non permettono loro di manovrare in sicurezza il mezzo a pedali, magari ci vedono poco, hanno i riflessi lenti. Almeno così scrivono loro stessi sui social, quando si consiglia di prendere più spesso la bicicletta per evitare ingorghi e traffico ti senti rispondere che mica tutti sono in forma e possono stare in equilibrio su due ruote. Però a quanto pare nonostante l'età ed i malanni possono guidare un mezzo pesante 1 o 2 tonnellate ad una velocità di 50km/h (perché non sia mai che gli ecoterroristi ti facciano andare più piano in alcune zone della città).

Ma mettiamo da parte la polemica auto-bici perché la nonna assassina (eh si, come vuoi chiamare chi uccide pur senza volerlo una bambina di 2 anni) avrebbe potuto andare a piedi all'asilo o chissà magari da quelle parti (ammetto di non conoscere la zona) passano anche quei mezzi di trasporto che servono a spostare i poveri...

Ed invece no, anche se la cervicale ti impedisce di muovere la testa e guardare dietro mentre fai manovra, anche se la tua automobile non ha i sensori posteriori (renderli obbligatori no eh, invece di pensare a togliere gli autovelox) hai comunque il sacrosanto diritto garantito dalla costituzione di sentirti libero guidando un mezzo pesante (si le auto sono pesanti in rapporto al peso di una bambina).

Facciamo che se sei troppo anziano per andare a piedi, per andare in bus, per andare in bici allora anche l'automobile non va bene, troppo pericoloso per la società. Ma siccome essi votano non accadrà mai.

 
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from Pensieri di Pollo

La stragrande maggioranza di persone che conosco, e mi ci infilo pure io nel mezzo, stravede per un certo tipo di videogioco che non esiste praticamente più: quello che ha al centro il concetto di divertimento puro.

Non un gigantesco lavoro di scrittura come gran parte dei Tripla A odierni, non un senso di sfida continua come gli innumerevoli soulslike o roguelite presenti in giro, ma un divertimento puro, intrattenente, basato su uno stupore quasi fanciullesco.

Sia chiaro: io menziono tra i miei giochi preferiti di sempre, per esempio, la serie di The Last Of Us, eccellente portabandiera di giochi che puntano tutto su un'esperienza quasi cinematografica, ma mentirei se dicessi che il mio pensiero va a questo tipo di filosofia nel sentire la parola “videogioco”.

Sembra strano, ma in questa rincorsa al “giocone” a tutti i costi il mercato sembra essersi dimenticato del divertimento. Quel tipo di gioco, perdonatemi il termine, “giocoso” sembra ormai prerogativa di Nintendo e di pochi fortunati giochi indipendenti, oppure delle varie “operazioni nostalgia” perpetrate tramite remake di giochi di decenni fa.

In particolare, guardando in casa Sony, è chiaro che la strada tracciata dal reparto marketing porta quasi sempre lontano da quei lidi, ma è altrettanto vero che in un mercato fortemente in crisi come quello dei giochi Tripla A forse sarebbe il caso di ascoltare le grida di giubilo che hanno accompagnato il trailer del nuovo Astro Bot, coloratissimo platform 3D che ha brillato di luce propria al termine di una carrellata di presentazioni non proprio entusiasmanti dal punto di vista della varietà di proposte.

Certo, mi rendo conto che potrei parlare alla luce della reazione della mia bolla online, perché se i giochi “cicci” proposti da Sony per questa generazione, fatta eccezione per Ratchet and Clank: Rift Apart e Sackboy: A Big Adventure, hanno tutti quell'estetica e quella filosofia di gameplay alle spalle, vorrà dire che il “mondo reale” predilige proprio quell'estetica e quella filosofia di gameplay.

È però innegabile una crisi dei giochi ad altissimo budget, sia guardando al mero profitto che alle idee. Per questo credo – e spero – che giochi come Astro Bot possano iniziare anche a (ri)educare il pubblico ad apprezzare un altro tipo di gioco, meno costoso per le case di sviluppo, che potrebbero quindi accettare più serenamente un progetto originale (e quindi più rischioso), e con una filosofia alle spalle, quella del divertimento puro, che non può e non deve essere esclusiva delle produzioni Nintendo.

Insomma, laddove un Super Mario Wonder rientra a pieno titolo nelle Top 10 dei titoli più venduti del 2023 al posto di tanti gioconi più costosi (e più banali) usciti nello stesso anno, forse esagero in prudenza nel parlare di bolla online quando scrivo delle grida al miracolo per l'esistenza di un gioco come Astro Bot.

Certo, i profitti di un gioco di questo tipo che non ha “Mario” nel nome sono un'incognita, ma Sony sarebbe del tutto ottusa ad ignorare questo entusiasmo, soprattutto alla luce di un eventuale buon numero di copie vendute. Speriamo bene.

 
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from basseaspettativepodcast

Giornalisti: i veri nemici del popolo.

È uscito un articolo interessante sul populista a capo dell'India da 10 anni, Narendra Modi:

https://thediplomat.com/2024/05/narendra-modis-decade-without-press-conferences/

A quanto pare non gli piacciono le conferenze stampa, piuttosto meglio le interviste registrate, preparate accuratamente e senza domande a sorpresa.

Tra le varie dichiarazioni a cui i giornalisti badano bene a non controbattere, torna l'argomento che i mass media non servono più, sono superati ora che ci sono i social.

Questo è un aspetto che non abbiamo trattato nella nostra puntata sullo stato dell'informazione ( https://podcasters.spotify.com/pod/show/basse-aspettative/episodes/11--Linformazione--morta-e-anche-noi-non-ci-sentiamo-tanto-bene-e2itkgv ), ma si ritrova in tutta la retorica delle figure populiste che hanno preso il potere nel mondo negli ultimi anni.

Per esempio Bolsonaro, che i giornalisti li vorrebbe menare (i suoi supporter tralasciano il condizionale e li menano direttamente):

https://www.bbc.com/news/world-latin-america-53887902

Trump, che chiama i media “il nemico del popolo americano”:

https://www.nytimes.com/2017/02/17/business/trump-calls-the-news-media-the-enemy-of-the-people.html

Il nostro Berlusconi, che fece cacciare Biagi e Santoro:

https://en.wikipedia.org/wiki/Editto_Bulgaro

Meloni, contro cui scioperano i giornalisti RAI che la accusano apertamente di censura:

https://www.aljazeera.com/news/2024/5/6/journalists-at-italys-rai-strike-in-protest-at-melonis-government

I 5 Stelle, che hanno fatto la guerra ai media fin dall'inizio (anche se ora fanno finta di dimenticarsene):

https://www.cjr.org/analysis/italy-five-star-movement.php

Orban, che è finito nella lista di “predatori della libertà di stampa” di Reporter senza Frontiere:

https://www.politico.eu/article/reporters-without-borders-lists-hungarian-prime-minister-viktor-orban-press-freedom-predator-silencing-media-journalists-hungary/

Erdogan, che di giornalisti ne ha fatti arrestare (o scappare dalla Turchia) decine e decine:

https://www.reuters.com/world/middle-east/turkey-sentences-journalist-prison-ruling-that-she-insulted-erdogan-2022-03-11/

Tanti nomi, ma hanno tutti un amico in comune.

Un uomo la cui macchina propagandistica ha aiutato a salire al potere – o a mantenerlo – quasi tutti gli altri nomi che trovate elencati qui.

Uno che i giornalisti li ha bersagliati fin da quando è salito al potere, prima sbeffeggiandoli, poi incarcerandoli, poi facendoli ammazzare.

Vladimir Putin.

https://www.pbs.org/wgbh/frontline/article/russia-putin-press-freedom-independent-news/

https://www.newyorker.com/news/our-columnists/how-putin-criminalized-journalism-in-russia

Tutti i dittatori (o aspiranti tali) odiano la stampa libera.

 
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from Ro scattered words

[13] E fu sera e fu mattina: terzo giorno.

Giorno terzo L’aria è pesante, calda, secca. La notte è trascorsa, e questo è già tanto. Percorrere questo deserto di vite perdute si fa sempre più pesante, o semplicemente sono io che inizio a cedere lentamente? Le risorse sono sempre più scarse, la prossima città non è molto vicina ma devo andare avanti. È ciò che conta.

[14] Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni[…]

Giorno 25 Non so in che tempo siamo giunti, le stagioni ormai non si distinguono più le une dalle altre; n’è rimasta solo una, che noi chiamiamo Efesi. Non sappiamo quando iniziammo a chiamarla così, o se il suo nome venne storpiato nel tempo, sappiamo solo che di quelle narrate dagli avi non vi è più traccia. L’unico modo che c’è rimasto per scandire il tempo è il mattino e la sera.

Giorno 40? Sto perdendo il conto dei giorni in cui sono in cammino. Ho attraversato troppe città per potermi ricordare il nome di ognuna di loro; ma ormai non ha importanza, nessuno me ne farà una colpa, nessuno..non più.

Altro giorno... Non ricordo neanche più il senso del mio vagare, del mio strisciare su questa desolata terra. Ho finito ormai l’inchiostro, o meglio, l’acqua che poteva alimentarlo. Da ora in poi, per poter scrivere, dovrò usare l’unico liquido che ancora questo mondo non è riuscito ad asciugare, non ancora. Scriverò, finché le mie vene reggeranno...

[15] e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra”. E così avvenne

Giorno 0 Ho incontrato una Nenfi, un'ancella del deserto, non credevo fossero reali ma solo leggend. Come posso esserlo? Donne che si sono adattate a questo deserto e che si dedicano ai viandanti dispersi? Loro vengono dalla grande grotta, l'ultimo rifugio dell'umanità, almeno così narravano gli anziani.

Non mi chiese il mio nome, né il perché del mio vagabondare, non ebbe paura di me, non ebbe paura dell’animale selvaggio che sono…che sono stato? Forse la mia debolezza la rassicurò dal pericolo in cui poteva incombere?

La intravidi in lontananza, tra le onde di sabbia e il vento che pareva non toccarla, come un'allucinazione del deserto. Mi si avvicinò con viso dolce, lenta, come se lo spazio fra me e lei si restringesse per avvicinarci, come se i suoi passi non esistessero, irreale, come la dolcezza su questa arida terra. Mi sorrise, ricordo solo questo, prima di cadere in ginocchio sulla sabbia e svenire per la troppa stanchezza e la mancanza di liquidi che i giorni(?) di cammino mi avevano procurato.

Al mio risveglio mi ritrovai da solo, rinato, circondato da calde e morbide stoffe. Mi aveva dato una tenda, con cui proteggermi dal sole e dalle intemperie della notte. Mi aveva lavato. Mi aveva dissetato. Non mi conosceva, ma lo fece lo stesso.

Come possono queste creature essere reali, essere ancora benevole? Abbiamo tentato di distruggerle, come abbiamo fatto con la terra, che non possiamo più e non dovevamo mai osare definire “nostra”, in quanto, di nostro, non c’è neanche questa stessa esistenza.

[16] Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle.

Giorno 15 Ho ricominciato a contare i giorni, le sere e le mattine, da zero, dopo quell’incontro. Ora le vedo, come non le avevo viste prima. Le apprezzo, come nessuno le ha apprezzate mai, non più in questo tempo di sofferenza e redenzione. Il mio cammino continua, la speranza di questo mondo continua. Arriverò. Arriverò alla Grande Grotta, devo arrivarci. La speranza dell’umanità risiede in me, nel mio sacrificio, nella mia scrittura.

[29] Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.

[30] A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne.

Ultimo giorno Che gli alberi possano rinascere, che le acque possano rifluire, che le creature possano rivivere. Le Nenfi esistono e con loro la speranza. Credete nel cammino, credete nella speranza. Efesi finirà e con essa la nostra punizione.

Sono finalmente giunto alla fine del mio cammino. Ora potrò finalmente riposarmi. Ora potrò finalmente godere dell’eden, potrò farne parte, potrò rinascere, potrò ridare una gemma di vita a questa terra arida, che i miei avi hanno distrutto e devastato. Venite e lasciate che il perdono venga a voi. Il perdono c’è ed è la nostra redenzione.

Einem.

Questo racconto partecipa alla challenge di primavera 2024 del Circolo di Scrittura Creativa ̴̴ Raynor’s Hall

Circolo di Scrittura Creativa Raynor’s Hall.

 
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from pop


Tutti conosciamo Jojo: storie impossibili, combattimenti come partite a scacchi (le mazzate al posto delle pedine), con sfidanti che portano avanti strategie basate sulle possibili venti mosse successive degli avversari. Il tutto farcito dalle caratteristiche pose, dai vestiti più scemi dell'animazione giapponese e da una serie invereconda di stupidaggini. È per questo che Jojo ci piace, è un fenomeno di costume e riscuote un successo enorme da decenni. Non tutte le serie sono ugualmente riuscite; personalmente, trovo molto brutta la parte in prigione di Stone Ocean, l'avrei sicuramente ridotta a poche puntate, ma non sono Hirohiko Araki. L'avrete immaginato.

Mi è piaciuta molto Diamond is unbreakable per diversi motivi: tra quelli che ricordo, lo stile grafico el'ambientazione in quella cittadina bizzarra, sono pur sempre delle avventure bizzarre. Sulla parte grafica, ricordo di sicuro il netto calo qualitativo iniziato poco dopo l'introduzione del cattivone di turno. Non è una recensione della serie, quindi questa analisi superficiale può finire qua.

Sia quel che sia, l'ultima puntata di Diamond is unbreakable è stata la puntata più bella nella mia lunga storia di appassionato di cartoni animati, sicuramente non per particolari meriti intrinseci, per quanto gradevole e liberatoria.

La serie usciva in simulcast, credo, quindi il classico singolo episodio a settimana, in Giappone come da noi. Mio padre stava già affrontando la malattia da anni, le cose sembravano aver preso la piega giusta. Stavamo aspettando i risultati dell'ultima tornata di esami strumentali e, finalmente, leggemmo quello che tutti vorrebbero leggere: era pulito, finalmente, non c'era traccia della malattia da nessuna parte.

Il giorno dopo, uscì l'ultima puntata di Jojo: potete immaginare in quale stato di felicità mistica, forse mai provata in tutta la vita, la guardai. Probabilmente, avrebbero potuto mandare in onda qualsiasi cosa, pure 25 minuti di schermo magenta, col suono del monoscopio, sarebbe cambiato poco. Great Days era la sigla iniziale, furono davvero giorni memorabili.

Passò un anno circa e la malattia tornò, per l'ultima volta.

 
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from Pensieri di Pollo

«Annihilator è ciò che succede quando lasci un pazzo visionario solo in una stanza libero di creare a briglia sciolta»

non ci sono parole migliori di quelle di Christopher Meloni nell'edizione Saldapress per introdurre Annihilator.

Grant Morrison ci racconta di uno sceneggiatore, Ray Spass, che vive di pane ed eccessi e che si ritrova con una malattia terminale e un'ultima storia fantascientifica da raccontare.

Solo che quella storia si scopre essere reale: il protagonista della sceneggiatura, il criminale interstellare Mad Nomax, piomba in casa di Ray e lo costringe a portare a termine il lavoro per poter recuperare la memoria.

Inizia così un racconto che mescola una critica al sistema Hollywoodiano con un'epopea fantascientifica, che cerca di far convivere un'anima intimista, parlandoci di rapporti umani ed elaborazione del lutto imminente, mescolandola ad un'anima invece eziologica, proponendosi come un racconto dell'origine del nostro universo e dell'umanità stessa.

Un intreccio, come emerge anche solo da queste poche parole, a tratti inutilmente complesso e quasi pretenzioso, con sporadici cali di ritmo e passaggi confusi. Ho avvertito la pretesa di Morrison di forzare alcune reazioni di shock e di senso di maestosità, ma, ad essere sincero, il fumetto mi è sembrato riuscito solo a metà, giocando su tematiche e linguaggi che a volte prendono spunto da Neil Gaiman e dal suo Sandman, che, in virtù anche di un numero di pagine estremamente più alto, continua ad essere il punto di riferimento per i fumetti che vogliono veramente parlare di Tutto.

Ottimo il comparto visivo: anche qui l'impostazione di certe tavole ricorda quella delle vicende di Morfeo, ma ho trovato Frazer Irving davvero ispirato, con una regia fuori dagli schemi e a tratti volutamente schizoide, perfettamente in linea con la sceneggiatura proposta.

 
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from salagiochi

Wonder Boy III: Monster Lair, ovvero il gioco dei drogati


Non è una mia affermazione, era una constatazione scaturita dalla fermentazione delle menti, nella mia sala di fiducia.

Wonder Boy III, per qualche motivo, dalle nostre parti era il primo gioco a pararcisi davanti, quello che ci accoglieva nel mondo fantastico degli schermi settati male, dei controller da riparare e degli altoparlanti scassati. Sempre nella mia sala di fiducia, era il primo gioco sulla sinistra, nell'angolo. Intanto, una precisazione: ho giocato tantissimo al primo Wonder Boy, ma i giochi che ti “spingono” non mi sono mai piaciuti: quelli dove lo scrolling continuna, che tu lo voglia o meno, inghiottendo per sempre il tuo personaggio o, semplicemente, spostandolo di peso. A Monster Lair, quindi, ci ho giocato poco, forse giusto perché a quell'età e in quel periodo storico era ancora giusto aver fame di qualsiasi cosa somigliasse a un videogioco. Giocavo, superavo due o tre livelli, probabilmente morivo al boss serpente o subito dopo. Forse, qualche volta, sono arrivato a quello delle api.

Non ero messo particolarmente male, nonostante ci giocassi poco: le prestazioni degli altri erano più o meno equivalenti, livello più, livello meno. A parte il solito Alessandro, ne parlerò separatamente. C'erano, però, dei tizi che si spingevano molto oltre: quelli che erano riconosciuti come drogati (effettivamente lo erano, si trattasse di fumo o del livello successivo, il fumo e le droghe non mi interessano e non voglio averci nulla a che fare).

E così, c'è questo drogato A che gioca e raggiunge livelli vietati agli altri; poi c'è B, che domina il gioco come se non avesse fatto altro nella vita; poi C, eccetera... ormai la voce si è sparsa, la nomea è quella: Wonder Boy è il gioco dei drogati.

Il gioco in sé, comunque, doveva emettere qualche vibrazione strana, qualche frequenza particolare in grado di risuonare con certe menti elette. Un pomeriggio qualsiasi, siamo lì, senza dire una parola, guardiamo qualcuno giocare; forse aspettiamo il nostro turno o, più probabilmente, abbiamo finito i nostri gettoni. E così, dal nulla (out of the blue, direbbero i nostri amici anglofoni), un amico interrompe il silenzio con “le musiche sono di Harrison Ford, si sente proprio”.

 
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from Errabonda

Quando gli si fa notare che hanno dei privilegi gli uomini pensano che le donne li considerino tutti dei piccoli Luigi XVI, viziati, serviti e riveriti che non hanno un pensiero al mondo. Al di là del fatto che questo denota quanto gli uomini ritengano le donne delle povere stupide che non hanno la più pallida idea di come funziona il mondo, ma quando una donna parla dei privilegi degli uomini si riferisce a tutte quelle libertà che un uomo ha e una donna no. Ficcatevi in testa che per una donna il solo fatto di camminare per strada senza avere paura di essere molestata È un privilegio. È un privilegio perché è una libertà che un uomo ha e una donna no. Sentirsi liberi di rifiutare degli approcci sessuali senza temere per la propria incolumità È un privilegio perché l'uomo lo può fare e una donna no. Intraprendere una carriera sapendo che mai si sarà costretti a dover sacrificare la famiglia o un avanzamento È un privilegio perché un uomo non se ne dovrà mai preoccupare mentre una donna sì. E questo vale per ogni altra categoria discriminata sulla base del genere, della razza, della conformità o meno del proprio corpo.

Signori, in conclusione, sappiate che non ce ne frega niente del vostro conto in banca o della dimensione della vostra auto. Quelle sono cose che interessano a voi per bullarvi coi vostri amichetti. Quello che vogliamo noi è essere libere.

 
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from Pensieri di Pollo

Easy Breezy è un fumetto sporco, sia nel disegno che nel racconto. Yi Yang, autrice italo-cinese pubblicata da Bao, attinge a piene mani dallo stile di Taiyo Matsumoto regalandoci ritratti nervosi, inquadrature sghembe e prospettive esasperate al servizio di una di quelle storie in cui tutto sembra andare sempre e solo storto.

Easy Breezy è la storia di alcuni ragazzini vittime di circostanze più grandi di loro, in una città in cui gli adulti possono essere solo malvagi. C'è Li Yu, bullo di quartiere che decide di combinarla grossa convincendo l'ingenuotto zio a rubare un furgone e a rivenderlo allo sfasciacarrozze mafiosetto di turno. C'è Yang Kuaikuai, ragazzo apatico e solitario, coinvolto suo malgrado nel furto. C'è infine Yun Do, dolcissima bambina di sei anni che in quel furgone era già stata sedata e nascosta prima degli eventi per il più crudele dei motivi.

Ma Easy Breezy parla anche e soprattutto di famiglia, la cui assenza si fa assordante nei silenzi tra una rocambolesca fuga e l'altra; famiglia che, come nella vita reale, può però essere scelta tra le persone che amiamo, con o senza legami di sangue. Ed è questo il messaggio più toccante di questo fumetto che si legge d'un fiato e che alla fine, ma proprio alla fine, così sporco non lo è.

 
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from highway-to-shell

Avete presente quei vecchi film americani dove c'è una fattoria piazzata nel bel mezzo del nulla ma proprio da lì deve passare la ferrovia o una nuova strada e ci sono i cattivi pieni di soldi che per fare ancora più soldi fanno di tutto per costringere il proprietario a vendere? In genere alla fine il cowboy-protagonista-buono riesce a tenersi la fattoria.

In alcune varianti c'è di mezzo il petrolio o un centro commerciale.

Ed a dire il vero anche uno dei miei film d'animazione preferiti ha una trama simile: Up

Beh succede anche in Italia nel 2024, non è roba da film vecchio americano.

Succede in Piemonte per l'esattezza

Tra l’asfalto della statale 25 in val di Susa e i binari della linea storia Susa-Bardonecchia c’è casa dei signori Zuccotti. Con altre due della frazione di San Giuliano di Susa dovrà essere demolita per fare spazio al cantiere dalla Tav. Verrà tutto sepolto, non ci sarà più niente. La ragione di stato di un’infrastruttura strategica. Le ragioni dell’economia, con le compensazioni che i proprietari stanno trattando con Telt, con il Comune a fare da mediatore con altri 1.400 piccoli proprietari interessati dall’esproprio dei terreni.

Quindi nella realtà vincono sempre quelli con i soldi.

 
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